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Esiste, in Italia, un certo settore radical-chic che, grazie alle possibilitá dello strumento chiamato blog, con il tempo si é guadagnato l'autorevolezza delle proprie opinioni. Ció ha innescato una reazione a catena: l'aumento dei lettori e dei commenti favorevoli ingigantiva l'ego dei bloggers che sono arrivati ad elevarsi a 'tuttologi', con tanto di piccoli eserciti di fedeli al seguito.
Il 'tuttologo' é la nuova figura sociale peculiare soprattutto del nostro Paese, per un mix di ragioni che non ha eguali in altri paesi: lo stato effettivamente disastrato dell'informazione in Italia e la conseguente ricerca di altre possibilitá comunicative ed informative (non crederete mica a certi dati per cui l'87% degli italiani si informa solo attraverso i telegiornali, vero? Date un'occhiata alle statistiche dell'Unione Europea poi ne riparliamo, dicono cose ben diverse), l'universalitá del nostro metodo educativo, soprattutto nelle facoltá umanistiche, per il quale dobbiamo essere 'esperti' di tutto un po' (contrapposto all'estrema specializzazione presente nella societá USA e nord europea, a cui stiamo purtroppo guardando come esempio), la teatralitá del nostro essere latini, la particolaritá tutta italiana del leaderismo...
Dopo l'esempio del precursore Grillo, il cui blog é seguito da milioni di persone ed é stato studiato in tutto il mondo, centinaia di altri personaggi si sono riciclati in quest'attivitá che non so fino a che punto sia remunerativa per tutti in termini economici, certo lo é in quanto a visibilitá.
Non voglio fare un'analisi approfondita del fenomeno, giá lo hanno fatto in molti, io ho apprezzato la critica feroce, giá qualche anno fa, del giornalista Paolo Barnard a quello che lui chiama 'Antisistema', ma non é l'unica.
La caratteristica principale del blogger 'tuttologo' sta tutta in questa frase della giornalista Debora Billi in un suo recentissimo 'post' sulla tragedia libica:
Citazione:
...confesso che per una volta non riesco a formarmi un'idea precisa. Non sono in grado di costruire una teoria, io che ho sempre una teoria pronta per ogni cosa. Succede.
Viva la sinceritá, verrebbe da dire. Il problema é che l'urgenza di scrivere comunque qualcosa, anche dieci righe, prende il sopravvento, anche se non si ha nulla di nuovo da dire o non si conosce l'argomento se non superficialmente o si vuole insistere sulla propria opinione o si vuole parlare d'altro o si crede di poter dare nuova luce a certi fatti o...
Insomma l'urgenza di soddisfare il proprio ego ed avere visibilitá é preponderante rispetto ai contenuti.
Questo sito, CDC, é interessante proprio per questo: raccoglie la cacofonia del mondo, la superficialitá, il qualunquismo, il complottismo vacuo, l'attivismo di tastiera, le analisi da quattro soldi, il rivoluzionarismo da operetta (con alcune eccezioni ovviamente, ci sono eccome articoli interessanti). Ecco quindi gli ormai famosi e tragici Massimo Fini, Gianluca Freda, Debora Billi, Marco Della Luna, Marco Cedolin, Eugenio Benettazzo, Giulietto Chiesa (sí anche lui), Daniel Estulin, Carlo Bertani e tanti altri (anche stranieri come no) fino ad arrivare al commentatore che diventa blogger e spara (a salve) su argomenti economici.
Con il pretesto di rimanere fedeli alla presunta libertá di opinione sbandierata all'entrata del sito ecco che si accostano nella stessa pagina articoli del filo-nuclearista Marcello Foa con il pasdaran Fulvio Grimaldi (uno che nega la strage di Srebrenica, non dico altro), il leghista Della Luna con il sociologo Bifo, il filo-capitalista Benetazzo con Barnard, il complottista con il comunista. Un brodo primordiale che sconcerterebbe chiunque e si nota nella particolare eterogeneitá della sottospecie creata dal fenomeno blogger-tuttologico: i commentatori, non molti qui ma con elementi comuni, primi fra tutti il qualunquismo, l'intransigenza, la fede cieca dei propri argomenti, la violenza comunicativa. L'anonimato e l'assenza di responsabilitá fanno del commentatore un estremista ideologico molto piú aggressivo dell'autore dell'articolo, una ragione che ha costretto piú di un blogger a chiudere la collaborazione (Bertani ad es.)
I blogs, i blogger, i commenti, tutto ció non fa altro che riprodurre un metodo comunicativo e di relazioni di dominio e di potere in cui il dialogo é morto, la partecipazione anche. Sarebbe meglio pubblicare molto meno, impedire i commenti, stabilire una linea comunicativa ed editoriale che vada al di lá dello slogan voltairiano.
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Anzitutto, alcuni, brevi dati analitici sul testo.
Non ho corretto gli accenti, per mostrare che il fantomatico RicBo probabilmente non scriveva con una tastiera italiana: molto probabilmente vive in un Paese francofono o, comunque, all’estero. Questo potrebbe spiegare il bizzarro “in Italia” all’inizio del pezzo, che – letto in Italia – sa di stranezza (anche perché i blog sono un fenomeno mondiale).
Il secondo rilievo è che RicBo si lamenta dell’anonimato, ma si guarda bene dal firmare la sua critica.
Il terzo è che, dopo aver sparato a zero sull’inciviltà dei commentatori, definisce lo scrivente e tanti altri “famosi e tragici”: alla faccia della gentilezza.
Il quarto è che cita foschi “termini economici”, lasciando intendere che l’attività di comunicazione debba essere sempre e comunque remunerata, poiché tale remunerazione diventa (?) garanzia per il lettore di professionalità ed esperienza. Il che, fa pensare che RicBo sia un giornalista o, comunque, una persona dell’informazione mainstream.
Non a caso, quel “sì, anche lui” – riferito a Giulietto Chiesa – sembra affermare: sì, anche tu che hai tradito, che sei passato alle tribù del Web abbandonando il giornalismo “con le stellette”. Difatti, altri giornalisti che sono spesso pubblicati su CDC – e che pubblicano sui quotidiani – non sono citati. Travaglio? Ida Magli?
Vi sono poi alcuni elementi che farebbero supporre l’origine della critica da un “parto di sottobosco”, ossia un “afflato” scaturito dalla burocrazia europea di Bruxelles, ma non ci sono prove e, dunque, non è possibile sostenerlo. Insomma, un sospetto e basta.
Il breve articolo è invece interessante per una serie di spunti che non vanno ignorati, di là del sito al quale RicBo rivolge la sua critica, poiché entrano con determinazione ed impeto su un problema vasto ed aperto, ossia la comunicazione.
E, qui, sarà necessario approfondire.
Il nodo centrale della contesa – se si è ponderato il testo non può sfuggire – riguarda l’identificazione della figura che è in grado ed è, in qualche modo, autorizzata a comunicare. Ossia, chi genera cultura, poiché ogni sapere – scritto, parlato, cantato, sussurrato, suonato, dipinto… – costruisce la “cattedrale” culturale d’ogni Paese. Anzi, per la scrittura, d’ogni area linguistica.
E si torna ancora una volta, di riffa o di raffa, a parlare d’intellettuali.
Senza voler inserire Gramsci come incipit della discussione, non si può eludere la definizione d’intellettuale organico che diede, la lucidità con la quale descrisse – Gramsci scriveva durante il Fascismo – l’apparente dicotomia, quasi un ossimoro “storico”, fra le indubbie capacità degli intellettuali dell’epoca e la loro pochezza, se riferita alla scarsa o nulla incisività che ebbero nei confronti della società nella quale operarono.
Riflettendo su due intellettuali assimilabili alla Destra dell’epoca – Croce e Gentile – non può sfuggire come il liberalismo d’entrambi fu sfregiato, nel nome delle esigenze del regime. Certo, furono accontentati con cariche ed onori: per qualche anno Croce e poi Gentile furono Ministri della Pubblica Istruzione, il secondo generò una riforma encomiabile per l’epoca, ancorché depotenziata dalla “falla” della rigida separazione fra i saperi umanistici e quelli scientifici e tecnologici.
L’Italia Fascista passò oltre la laicità di Gentile – un aspetto di non secondaria importanza, per i successivi sviluppi che generò – con un balzo felino, nel nome della pecunia per ottenere l’acquiescenza dello IOR – le necessità degli “otto milioni di baionette”, bisognava pure che qualcuno provvedesse! – e del necessario rapporto politico con le gerarchie vaticane, per una maggior penetrazione del Fascismo nella società italiana.
Croce, invece, fu semplicemente tollerato a patto che non disturbasse troppo, cosa che – a parte qualche modesto distinguo – si guardò bene dal fare.
Venne il dopoguerra, e gli intellettuali “organici” iniziarono proficuamente il loro lavoro nella nuova Italia repubblicana, alcuni mostrando notevole intuito e pregevoli analisi – pensiamo ad Aldo Moro – ma, di fuori dell’agone politico, non ci furono spazi reali per altri, pensiamo a Sciascia (che lasciò presto lo scranno di parlamentare) ed a Pasolini.
In altre parole, le figure intellettuali che in qualche modo mostravano la necessità di progredire oltre la vuota fase risorgimentale, di passare finalmente dal ruolo di sudditi a quello di cittadini, furono bellamente ignorate.
E, questo, possiamo scorgerlo nella letteratura come nella musica o nella poesia: un intellettuale di rango, come Fabrizio de André, fu trattato dalla RAI come un qualsiasi scrittore di canzonette. Solo oggi si radunano le sue memorie e si creano fondazioni a lui dedicate: perché è morto e, più di tanto, non può più disturbare i manovratori.
Identico destino hanno subito altri scrittori, poeti e musicisti, salvo tirarne fuori uno dalla naftalina quando serve, come Vecchioni, e fargli vincere il Festival di Sanremo, proprio mentre altri due intellettuali (?) – a libro paga del Corriere della Sera, ossia del quotidiano sostenuto dalla “crema” dell’imprenditoria italiana
[1], Stella e Rizzo – “curano” il film/documentario (non autorizzato) sulla vita di Silvio Berlusconi.
Insomma, ora che l’imprenditoria italiana si sta accorgendo del disastro economico creato dalla coppia Berlusconi/Tremonti – il rapporto debito/PIL che “veleggia” verso il 120%, il Paese attonito e fermo poiché non esiste più attività politica, meno che mai una direzione da seguire in Economia, al punto che la stessa Presidente Marcegaglia li ha più volte, pubblicamente, scaricati – anche gli intellettuali possono, anzi devono, partecipare alla corrida finale.
Ora, tornando al nostro fantomatico RicBo, potremmo chiedergli se sono queste le figure che dovrebbero ricoprire i ruoli-guida dell’intellettualismo italiano: non si può affermare che Heinrich Böll abbia avuto così gran fortuna in Germania, e neppure il premio Nobel Ivo Andric riuscì ad andar oltre una carica diplomatica nella Jugoslavia di Tito.
Un po’ meglio, però, di come andò per Sciascia, Pasolini e de André…o no?
Oppure, vogliamo paragonare la visibilità che hanno personaggi come Giuliano Ferrara e Vittorio Sgarbi – i quali sono tutt’altro che degli sprovveduti, intellettualmente parlando – rispetto ad un Rodotà? Una delle menti più “fini” della Repubblica? E non tiriamo in ballo l’omosessualità, per favore.
Dovremmo, allora, chiederci: l’intellettuale è destinato a ricoprire ruoli politici? Nemmeno la Cina millenaria, quella dei Mandarini, fece quel passo, relegandoli all’ambito delle amministrazioni: l’unico a sfuggire alla regola fu Ciu-En-Lai, che potrebbe essere giustamente definito “L’ultimo Mandarino”.
Se l’intellettuale, dunque, non è adatto, destinato, necessario all’agire politico in prima persona – non dilunghiamoci troppo su questa dissertazione, così è e per ora non si notano cambiamenti in senso opposto – qual è il suo ruolo nella società?
Quello di creare cultura, conoscenza, per fare in modo che chi deve compiere delle scelte (il politico) possa attuarle con il massimo grado di conoscenza della società e dei problemi che si troverà di fronte: la Cina, resse per migliaia d’anni in quel modo e tutti gli imperatori – dai Qin ai Manchù – non vennero meno a questo principio, e non è proprio detto che la consuetudine sia, oggi, ignorata.
Stiamo, però, sempre parlando d’intellettuali – per tornare a Gramsci – organici al loro tempo, alla loro cultura e, soprattutto, al potere.
Possiamo, oggi, affermare che il potere – e non solo in Italia – sia in grado d’interpretare il mutamento sociale? Grillo – visto che RicBo lo cita, ricordiamolo – ha più volte posto all’indice la clamorosa ed abissale ignoranza informatica del ceto politico italiano, che non significa non saper inviare una mail: vuol dire non capire che una rivoluzione tecnologica è in atto, e che non si possono osservare le rivoluzioni seduti al tavolino del bar, aspettando “che passino”. Perché, dopo essere transitate, non esiste più nulla dell’antecedente: nemmeno il bar.
Un secondo compito dell’intellettualismo, quindi – oltre la proposizione – è la critica: avvisare per tempo dei rischi che corre una società basata sui fossili per l’approvvigionamento energetico, è un calzante esempio in tal senso. Oppure, la gestione del territorio, la qualità del lavoro e la ragione stessa del lavorare, come, quando e quanto, ecc. Ci sarebbe un mare magnum da esplorare e da porre all’attenzione, poiché nel lessico comune, oramai, il termine “politica” è diventato quasi sinonimo di “quelle robette, quegli scambi che si fanno a Roma”.
Spesso, dal Web giunge quasi un grido di dolore: perché non nasce finalmente un partito nuovo, di gente onesta e capace, che prenda in mano le redini della Nazione?
Il fatto è che di partiti-fotocopia – magari con le migliori intenzioni – ne esistono tanti, forse troppi.
Più volte ho attaccato l’IDV di Antonio di Pietro, e non a caso: le molte defezioni dal suo partito e le “svendite” non sono casuali, poiché è un partito che – richiamo alla legalità a parte – ha ben poco da raccontare. Oh, certo: ci sarà – da qualche parte – un programma con mille cose scritte, ma quando mai se ne sente parlare? L’unico, costante richiamo è un antiberlusconismo di facciata, che finisce poi – in modo rocambolesco e farsesco – per fornire proprio i due deputati che fanno sopravvivere Berlusconi!
Sentiamo parlare spesso di Vendola come del “nuovo che avanza” – ed è pregevole l’esperimento delle cosiddette “fabbriche” – ma stentiamo ad intravedere proposte organiche: va detto, per onestà, che Vendola stesso ha richiamato l’urgente necessità di una fase creativa, dell’effettiva realizzazione di quel “cantiere” che doveva essere quello bolognese di Prodi, iniziativa che – all’epoca – non produsse nulla. E si finì con un Mastella che affossò il Governo, perché non emanava in fretta e furia una legge ad personam per la moglie.
Nutriamo dei sospetti sull’avventura vendoliana, perché questo claudicante PD ci ricorda il vecchio PCI il quale, alla sua sinistra, voleva sempre una stampella: lo PSIUP, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista…domani Sinistra e Libertà? Non a caso, Veltroni fu l’unico ad attaccare alla sua sinistra, e s’è visto com’è finito: Bersani, difatti, lavora nel vecchio “solco” del PCI.
Noi, vorremmo semplicemente non essere presi, ancora una volta, per i fondelli: ancora ricordiamo la famosa “notte delle pensioni” del 2007, quando i partiti della sinistra estrema non furono manco invitati, e Damiano peggiorò ancora la controriforma Maroni.
Ecco dove le fasi di preparazione, di riflessione, di sedimentazione del pensiero non sono sufficientemente valutate: si va sempre ad elezioni, si va in televisione, bisogna fare in fretta, raccontare qualcosa, si fa un programma…anzi, no…bisogna subito “mediarlo” con gli alleati. Togliamo le Province? Ma sì, tu dillo, tanto lo dicono tutti…
Crediamo bene che Berlusconi, con le sue proposte chiare – riducibili ad un “prendere ai poveri per dare ai ricchi” – finisca per vincere, poiché i “poveri” sono storditi da mille, diversi input, dai quali non riescono a districarsi. Quando non c’è di peggio, ossia la solita “pappetta” con i berluscones, vedi la mancata legge sul conflitto d’interessi.
Proprio da queste vicende, si nota che l’aspetto della critica, da parte degli intellettuali, riveste un’importanza del tutto singolare nella società italiana – vista la lunga esposizione all’anestetico cui è stata sottoposta dagli anni ’80 in poi – che non ha certo aiutato il Paese a crescere: siamo ancora qui a domandarci se sia meglio costruire il fantomatico “muro di Ancona” e non riusciamo a toglierci da queste paludi.
Rimaniamo ostinatamente legati alle energie fossili – con l’ultimo decreto “Milleproroghe” (già un Governo, un qualsiasi governo che vara un provvedimento con quel nome, dovrebbe riflettere su cosa sta facendo: si può “prorogare” qualcosa all’infinito?!?) – è stato dato un altro “colpo” al solare ed alle rinnovabili in genere, poiché l’ENI è la principale “cassaforte” del Tesoro, e dunque non si disturbino i manovratori dell’ENI.
La Francia ci supera per presenze turistiche, ma la cosa sembra non riguardarci: che ci frega se possediamo la metà del patrimonio artistico mondiale, noi lo lasciamo crollare! Vengono meno turisti? E noi li tassiamo di più, col “federalismo municipale”!
Ogni anno che passa arriva l’infinito tormentone delle “quote latte”, ma pochi ricordano che in Italia esistono almeno 400 (stima per difetto) tipi di formaggio, mentre nel Nord Europa la sbobba è sempre la solita: cambia l’involucro, rosso o giallo. Qualcuno riflette sulla potenziale ricchezza che ne potrebbe derivare? E i vini? L’olio? La varietà di gusti della nostra cucina?
Certo, parlare d’energia diffusa e di 400 diversi tipi di formaggio fa impazzire i contabili “razionalizzatori” della burocrazia europea – meglio la grande centrale, e due soli tipi di formaggio, molle e duro, così, poi, si dà il via alla grande competizione sui prezzi! – difatti, oggi, parecchi intellettuali (quasi sempre esteri) sono dei feroci critici della globalizzazione, pensiamo a Latouche od a de Benoist.
Insomma, alla navigazione di cabotaggio sarebbe preferibile qualche “incursione” nelle “blue water”, lontano dalle paludose coste del consueto, del bilancio a sei mesi, della tradizione “perché così è sempre stato”, ecc. In questo senso, una profonda “immersione” nella Costituzione – del 1947! – sarebbe salutare.
No, nulla: l’Italia è da celebrare per i valori Risorgimentali, e addirittura un bravissimo Benigni si presta a ricordarli dal pulpito dell’Ariston: Vecchioni, Benigni, Stella, Rizzo e compagnia cantante sono da considerare le punte di diamante dell’intellettualismo di sinistra? Come i due “furbetti” Ferrara e Sgarbi lo fanno per la destra?
Ecco dove il cosiddetto “intellettualismo italiano ufficiale” si mostra per quel che è: la solita zuppetta “organica” al potere, pronta a seguire questo o quello, basta che se magna.
La differenza, rispetto alle passate generazioni, è tutta nel maggior livello d’istruzione (per questo attaccano la scuola pubblica): gente che non è più disposta a farsi menare il can per l’aia da direttori di testata che cambiano seggiola come si fa sul tram, cercano altrove sponda.
Dove la trovano? Chi lo fa?
“Quando non ci sono cavalli, trottano anche gli asini”, verrebbe da dire, e ci scusiamo quindi con RicBo se abbiamo incrinato l’idilliaca pace della Turris Eburnea, ma se questa masnada di “tuttologi” s’è accaparrata i favori di un largo pubblico (lui stesso lo sostiene, “
Date un'occhiata alle statistiche dell'Unione Europea”) non sarà perché nella Torre d’Avorio regnava un silenzio di tomba?
E non siamo solo noi a porre all’attenzione il problema: in una recente trasmissione radiofonica sull’Unificazione, Stella stesso riconosceva che la storiografia ufficiale è stata pensata e plasmata soltanto per le aule universitarie, per i seminari degli “addetti ai lavori”.
Si crea così una situazione paradossale: “si sa” che l’avventura dei Mille fu protetta dalle fregate britanniche, che i generali borbonici furono corrotti col denaro, e che quei debiti – di guerra e corruzione – furono successivamente pagati con l’oro del Regno delle Due Sicilie, ma “chi”, effettivamente, lo sa?
Un sapere protetto, nelle collane dedicate agli studiosi, trova scarso appoggio in qualche – rapida – trasmissione Tv a tarda ora, ma…qual è il contraltare?
Decine, centinaia, migliaia di trasmissioni Tv nelle quali si cita il Meridione come un problema atavico, senza soluzione, senza mai analizzare le ragioni di quel dissesto.
In egual modo, si trattano le altre questioni storiche: giorni della Memoria e del Ricordo per non memorizzare né ricordare nulla, se non la solita campana di una sola parte.
Poi, giunge un sistema elettronico – qui è la rivoluzione! – che consente a tutti di pubblicare: qualcuno lo fa bene, altri meno, ma lo fanno. Gli italiani che volevano informarsi lasciando le tette di mamma Rai, cosa trovavano? Potevano chiedere al solito docente universitario una conferenza, certo…ma quando, e dove?
L’impressione che si ricava dalle critiche di RicBo è che sia il lamento della cultura elitaria, che si vede sopravanzata e che – non sarò certo io a gioirne, perché di raffinata cultura si tratta – sta sbiadendo.
E veniamo all’impossibilità d’essere “tuttologi”.
In realtà, l’affermazione è esagerata e priva di senso: se qualcuno mi chiede di scrivere sulla teologia zoroastriana, cortesemente rifiuto per non incorrere in brutte figure. Anche nei giornali non si chiede al redattore di necrologi di preparare l’articolo di fondo o, come si diceva un tempo, “di terza”.
Non voglio, però, nascondermi dietro ad un dito, poiché è vero che quasi sempre gli articoli d’approfondimento del Web toccano più comparti, spaziano da un universale all’altro.
Se si parla di petrolio, difficilmente si riescono ad eludere questioni finanziarie, economiche, di politica estera, militari e tecnologiche: che, poi, chi lo fa sappia realmente compiere la sintesi è un altro paio di maniche, ma ritorniamo al gran silenzio che aleggia nella Torre d’Avorio.
Qui, c’è un altro aspetto che sfugge alla breve analisi di RicBo.
Senza voler ammantare con il termine “filosofia” la simbiosi delle conoscenze, il loro progredire grazie alla critica, ossia con la dinamica interna ad ogni processo creativo, non è che – sotto l’aspetto “istituzionale” (termine preso a prestito, per meglio definire quel comparto di “cultura” che finisce per diventarne l’antitesi stessa) – l’attuale cultura è priva della seppur minima incisività sull’agire quotidiano? Manca il collante, la liaison, il canale di collegamento.
E’ un problema di tutti: nessun politico può rivolgersi ad altri per migliorare le proprie scelte (anche fosse possibile farlo, e non fosse controllato dalla disciplina di partito!) ma nemmeno l’imprenditore sa con ragionevole certezza dove volgere il guardo, poiché la piccola navigazione di cabotaggio della politica lo costringe ad un mefitico rapporto simbiotico con il sottobosco della politica, che è totalmente privo di scelte strategiche.
E il giovane? Può, ragionevolmente, capire quale potrà essere il suo posto all’interno della futura società? Dove trova corrispondenza e risposte? Piccolo cabotaggio: evitare gli scogli e cercare un approdo per la sera, niente di più.
Il giovane è disorientato, privo di punti di riferimento per la navigazione d’altura della vita.
RicBo mette all’indice i bloggher come se fossero degli imbonitori o dei predicatori televisivi – hanno oramai “
tanto di piccoli eserciti di fedeli al seguito” – come se avere persone che ti stimano sia un peccato originale da purgare, ovviamente se non fai parte della giusta Casta.
Date le premesse sopra esposte, si è domandato, RicBo, da dove nasce questo “seguito”?
Nel mio caso, da anni ed anni di lavoro gratuito e volontario: certo, sono un fesso che lo fa solo perché gli piace. Oppure – come affermava Pasolini – perché quando provi il bisogno di scrivere non puoi sedarlo, devi assecondarlo. Si deve scrivere solo a comando?
Altra obiezione.
Le persone che seguono i blog – sempre secondo RicBo – sono ovviamente una pletora di deficienti ed ignoranti, giacché non sono ancora approdati alla Retta Via e, dunque, sono rimasti abbindolati da questi imbonitori di bassa lega.
Si rende conto che, in questo modo, ha dato del deficiente a milioni d’italiani? E, visto che il mondo dei blog presuppone la lettura, l’analisi, la critica…non ha proprio insultato persone che passano le giornate a seguire le pruderie del Grande Fratello.
Allora – torno a sottolineare il gran silenzio della Turris Eburnea – quelle persone cercano qualcosa, desiderano qualcosa, vorrebbero partecipare a qualcosa: in definitiva, cercano l’agorà, la forma primordiale della democrazia, che in Italia è oramai un ricordo.
Forse lo fanno scaricando semplicemente sul Web “
la cacofonia del mondo”: possiamo accettarlo? O, forse, dovremmo prima chiedere loro di purificare quelle afonie, rettificandole con puro spirito kantiano? Ma, se le persone che dovrebbero essere preposte allo scopo – gli intellettuali – se ne sbattono allegramente, preferendo l’abbuffata nella greppia, a chi dovrebbero rivolgersi?
RicBo ha dunque per il commentatore poca stima, perché lo nota animato da istinti quasi “animali”: è “
un estremista ideologico” che si nutre con “
il qualunquismo, l'intransigenza, la fede cieca dei propri argomenti, la violenza comunicativa”. Per certi versi può essere vero, ma generalizzare è sbagliato: soprattutto, bisognerebbe chiedersi in quale ambiente sociale e culturale è toccato loro vivere. Non sono mica stati i bloggher, ad aver inventato il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi!
Se non si desidera avere a che fare con persone del genere – e chi scrive lo ha provato – si chiude semplicemente la collaborazione con il sito in questione: c’est facile, ou non?
Anche sul mio blog c’è stato chi ha tentato di trasformare la discussione in rissa, ma io – memore di quel che succede quando una classe sfugge al controllo – non ci ho pensato due volte: via, cancellati. Gridi alla censura? Il mugugno è libero, ma vai a farlo da un’altra parte.
Se fosse una semplice questione d’ordine, la cosa finirebbe qui, ma RicBo – al termine del suo intervento – pone degli interrogativi seri, che bisogna meditare:
“Sarebbe meglio pubblicare molto meno, impedire i commenti, stabilire una linea comunicativa ed editoriale che vada al di là dello slogan voltairiano.”
E’ comprensibile che un sito come CDC – una semplice vetrina espositiva – non abbia una linea editoriale, poiché questa è la scelta di chi lo cura: una valutazione che ha il pregio della vasta diffusione, ma il difetto della scarsa elaborazione, da parte dei lettori, dei contenuti.
Se, invece, una rivista Web parte da un gruppo coeso, significa che già esiste una linea editoriale e, dunque, che i commentatori non potranno pretendere di contrastarla: il Web è vasto, vivaddio, e c’è posto per tutti!
Il rischio – in questo frangente RicBo ha ragione – è quello della totale paralisi, poiché l’inveterata abitudine di scontrarsi come tifoserie calcistiche finisce per subissare, con gli strepiti e gli slogan, chi cerca un colloquio pacato e fruttifero.
Potremmo, allora, focalizzare meglio il problema mediante un esempio: noi tutti viviamo in un sistema di pensiero “libero”, nel quale, però, non è in discussione il capitalismo. In altre parole, possiamo scegliere all’interno di una panoplia “chiusa” d’opzioni: quella dell’economia pianificata e gestita dallo Stato – giusta o sbagliata essa sia – non è concessa. E’ fuori dal novero delle possibilità concesse.
Altro esempio: la soluzione del problema palestinese potrebbe passare attraverso la semplice soluzione di un solo Stato con normalissime elezioni, parlamento, ecc. Come avviene – con tutti i difetti che già Churchill esponeva – in Europa. Già, ma l’opzione che Israele possa trasformarsi in uno Stato non-confessionale è fuori del novero, non è nemmeno proponibile.
E potremmo continuare.
Rompendo questo schema, nasce una linea editoriale che non è una proposta politica, bensì la necessaria base di discussione per trovarla: i siti che si pongono come semplici “espositori” dell’esistente, di ciò che viene prodotto dal “mercato” dei blog, questo problema non l’hanno, ma – tempo su tempo – non si schioderanno mai dall’impostazione delle tifoserie contrapposte.
In alternativa – una rivista che desiderasse diventare punto di riferimento culturale per un’area che non è “anticapitalista” od “anti-israeliana”, bensì di chi si pone il problema del superamento del capitalismo, giacché l’attuale forma “mercatista” è fallimentare, idrovora di risorse e incapace di dare serenità e certezze alle popolazioni, così come una soluzione al problema palestinese che ponga fine all’inutile stillicidio di vittime – insomma, una rivista che ponesse come incipit la discussione su un nuovo modo d’interpretare i fenomeni – prima le esigenze delle popolazioni, poi quelle del capitale – sarebbe un luogo dove chi sostiene, invece, quei modelli non avrebbe senso. Sarebbe inutile la loro partecipazione, giacché sarebbero in contraddizione con gli obiettivi liberamente scelti da un gruppo di persone.
Sarebbe come se, dopo essersi messi d’accordo per costruire insieme una casa, altri pretendessero di partecipare per costruire un aeroplano: nulla in contrario alla costruzione d’aeroplani, ma andate a farlo da un’altra parte!
In questo modo, il problema posto da RicBo trova soluzione – in parte seguendo proprio le sue indicazioni – poiché non si può parlare di censura se un intervento è contrario ai principi generali di una rivista, agli obiettivi che si prefigge. Anche perché – seguendo il dettato dell’art. 21 della Costituzione – il Web è il vero “moltiplicatore” delle possibilità d’espressione, e dunque non si priva nessuno di quella, giusta e necessaria, attività.
Da qui, discende la prassi di cancellare – senza doverlo giustificare – qualsiasi intervento che non sia in argomento, poco rilevante o di disturbo, poiché finirebbe per depotenziare il lavoro altrui. Quale lavoro?
Quello di cercare risposte ad una serie d’interrogativi:
- La forma di Stato italiana è, attualmente, coerente con un armonico sviluppo delle personalità, con il necessario benessere e la protezione sociale?
- L’attuale ripartizione della ricchezza è compatibile con il dettato costituzionale?
- La politica estera italiana è coerente con le necessità ed i principi ai quali s’ispira la Nazione?
- Le attuali scelte in campo energetico sono, nel medio-lungo periodo, convenienti?
- La diffusione della popolazione sul territorio è la migliore per la salvaguardia dell’ambiente e per il reperimento delle risorse?
- L’imprenditoria deve essere solo privata oppure lo Stato deve mantenere dei precisi ambiti?
- I frutti dell’impresa appartengono totalmente all’imprenditore oppure ci deve essere una forma di compartecipazione nella gestione?
- Quali percorsi si possono individuare per la previdenza sociale? E’ pensabile e realizzabile un reddito di cittadinanza che superi la questione?
- Come uscire dal dilemma impunità/eccessiva lunghezza dei processi nell’ordinamento giudiziario?
- Come armonizzare e far diventare contributo culturale l’immigrazione?
- Il “pianeta lavoro” è oggi coerente, per forme e diffusione, con l’attuale fase di deindustrializzazione?
Questa è una breve lista d’argomenti, ai quali se ne potranno senz’altro aggiungere altri.
Una rivista che riuscisse ad incidere ed a proporre una “palestra” d’argomenti sui quali dibattere, diventerebbe rapidamente un vero e proprio faro per la cultura italiana: ben presto, sarebbero in tanti ad arrivare, proponendosi come scrittori o come commentatori.
E, questo – con buona pace di RicBo – è probabilmente l’unico antidoto al pericolo del “monismo” che già Tocqueville intravedeva nella Rivoluzione Francese: quel “monismo” fatto di un pensiero unico tranquillizzante come l’arsenico, che sta avvelenando l’Italia ed il Pianeta poiché costituito da assiomi incontrovertibili: economia “libera”, Stato “leggero”, diritti “compatibili” e via discorrendo.
Carlo Bertani potrà anche essere “famoso e tragico” – sul primo aggettivo mi viene da ridere, sul secondo ammetto che una riflessione (personale) sia utile – ma saranno proprio mille giovani indiani, con le loro timide frecce di carta – quando si leverà l’alba di un buon giorno per vincere – a scompaginare le schiere dei corazzati del pensiero unico. Nessun altro potrà mai farlo.
Saranno vittoriosi proprio dove le colonne degli eserciti regolari dell’informazione – ancora una volta, con buona pace di RicBo – hanno fallito.
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