29 ottobre 2018

EVA: una tigre di carta


Non riesco proprio a comprendere che senso abbiano le zuffe sulle “grandi vittorie” dell’Unione Europea o sulle “rovinose cadute” del governo italiano: secondo me, se si vuole ragionare in tal senso, bisogna tenere d’occhio sia il passato (ossia la Storia che ha condotto all’oggi) e sia la diplomazia, ossia i grandi e lenti movimenti delle grandi potenze. Sento parlare dell’Europa come di un consesso invincibile di finanzieri agguerriti e onnipotenti: a mio avviso, non è questa la realtà.

In questi giorni stiamo assistendo allo stato comatoso che precede l’agonia dell’Unione Europea: il disfacimento è evidente, sin dall’incedere claudicante e assente del suo presidente, quel Jean-Claude Juncker che resse, sin dalla sua nascita, l’Eurogruppo, ossia la “associazione” dei Paesi dell’euro all’interno dell’UE. Qui è il nodo dell’involuzione terminale europea.
Osservando lo scenario dall’esterno, la vicenda italiana – se, da un lato, perde senso – dall’altro lo acquista, giacché può essere proprio il detonatore per la sua fine politica, anche se il governo, saggiamente, per adesso lo nega.
Juncker sarà l’ultimo Presidente? Può essere, perché è sotto la sua visione che è maturata la fine, sin da quando blaterava del primato dell’Economia sulla Politica per finire, malato e sconfitto, a governare un’EVA: una Entità di Vuoto Assoluto.

C’è da chiedersi il perché l’UE abbia affidato lo scettro nelle mani di un uomo evidentemente malato, e da molto tempo: Beppe Grillo (1) ha un po’ scherzato sul suo stato di salute, ma un’amica infermiera (proprio nel settore geriatrico) ha sostanzialmente confermato le ipotesi di Grillo. Un mix di farmaci ed alcol in dosi massicce, ingeriti (contemporaneamente, perché alcolizzato) poiché sofferente di qualche malattia ai nervi spinali. Una malattia non da poco – non una sciatica, tanto per capirci – ma qualcosa di più grave, una malattia probabilmente degenerativa che i medici tengono a bada con massicce dosi d’antidolorifici.
Il pover’uomo sembra Eltsin, quando – sceso dall’aereo in Germania – ballò l’inno nazionale tedesco, di fronte ad una platea di politici, militari ed autorità varie esterrefatti. Eltsin, almeno, aveva l’aria più allegra.

Da dove inizia questa storia?
In realtà, la storia dell’UE è un film in due tempi, od episodi: dapprima la fase preparatoria – che vide ben tre presidenze di Jacques Delors – fino a quella di Prodi: fu il periodo nel quale un progetto sballato fu mandato avanti ugualmente, anche se non s’era mai vista la nascita di una entità sovranazionale con poteri politici cementata soltanto da una moneta comune e, dopo l’ingresso dei Paesi dell’Est, nemmeno da quella. Pareva d’associarsi all’ARCI, oppure alla Lega Calcio dilettantistica.
Soltanto dopo, nella fase due, ci s’accorse d’aver consegnato nelle mani di “qualcuno” le proprie vite.
Cos’era successo?

Il progetto politico – per semplicità potremmo definirlo Delors/Prodi – giunse a conclusione con la presidenza Prodi: nel 2002, l’euro divenne la moneta comune. E la politica?
Quella non si era riusciti a rabberciarla in nessun modo: il Parlamento viene tuttora eletto a suffragio universale, ma non decide nulla, non si sa cosa e perché vota, in compenso i ministri sono nominati dai singoli Stati e la Banca Europea gode di ampia autonomia. A quale Nazione è correlata? Non si sa. Vi sembra che una roba del genere possa reggere a fronte degli USA, della Russia e della Cina?

Nel 2005, viene eletto per due mandati Barroso – un uomo insignificante, pronto a qualsiasi compromesso – ma, parimenti, cresce il potere dell’Eurogruppo che non è più un semplice consesso di economisti, bensì diventa il vero deus ex-machina dell’UE. L’Unione Europea abbandona i progetti di sviluppo, quasi nessuno sa che il prossimo anno, in Francia, doveva partire in via sperimentale il primo reattore a fusione e confinamento magnetico…ma la data è stata spostata al 2025, poi chissà…

L’importante è il “passaggio” di Juncker dall’Eurogruppo alla presidenza dell’UE, che ha sancito la fine del progetto europeo, poiché non s’è mai visto che una pletora di banchieri riesca a governare un continente.
La politica viene messa da parte: si distribuiscono ancora fondi per centinaia di miliardi, ma non c’è nessun progetto politico alle spalle. Solo finanziamenti a pioggia e misere alchimie finanziarie: il dramma è tutto qui.
Se n’accorge anche uno tizio che queste cose avrebbe fatto meglio a dirle anni prima, ma (colpevolmente) non le disse proprio, ossia Prodi:

È anche ora che i responsabili politici europei si rendano conto che, senza l'Italia, non vanno da nessuna parte.”
Nello stesso articolo (2) si cita Prodi: “chiede all'Europa e ai governi tedeschi di fermare la stampa tedesca e il commissario europeo al bilancio da commenti che offendono la democrazia italiana.”

E’ ovvio che perdere (dopo Brexit…) la terza economia dell’Unione è come perdere un braccio o una gamba, ma non solo: l’Italia ha una posizione geografica centrale all’interno dell’UE, è al centro del Mediterraneo, nel quale gode di una posizione strategica che nessun altro ha. Insomma, senza l’Italia l’UE porterebbe i libri in Tribunale e chiuderebbe bottega: di questo, sono arcisicuro.

Passiamo, quindi, a verificare l’operato del governo. Cosa doveva (poteva) fare?
E’ nato un governo di coalizione senza un accordo politico, bensì un contratto scritto e firmato. Un limite? Certo, ma come si poteva fare altrimenti all’indomani del 4 Marzo 2018?
Mattarella ci provò pure, e il governo Cottarelli incassò lo 0% degli appoggi parlamentari. Se qualcuno fece dei calcoli bislacchi a Bruxelles, dovette accorgersi che l’Italia non è la Grecia – sulla quale si possono anche “sperimentare” le alchimie finanziarie, tanto il popolo paga e tace: la Grecia, sola, non può che inchinarsi – mentre l’Italia non rinuncia al piccolo privilegio, se buttata (o uscita di sua volontà), di trascinarsi dietro tutto l’ambaradan europeo.

Oggi, a otto mesi dalle elezioni, gli scenari non sono cambiati: vi incanta il “successo” di Salvini? Se siete degli appassionati di sondaggi, fate un po’ il conto di quanto valeva e vale (in voti o sondaggi) il vecchio centro destra: grosso modo la stessa cifra. Nessuno, che abbia un minimo di sale in zucca, può credere d’andare ad elezioni (e poi governare) con un patrimonio del 40% dei voti. M5S e Lega sono vicini al 50%.
Questo governo, quindi, è obbligato a restare: questo non significa che sia il non plus ultra!
Al piccolo industriale del Nord non sta bene il sussidio di disoccupazione (RdC) del M5S, come all’elettore di sinistra non sta bene che in finanziaria si facciano condoni anche per chi ha portato l’azienda all’estero.
Ma – e questa è la realtà – la maggioranza degli italiani (che per qualcuno sono solo stupidi, ma ci andrei piano a dare dello stupido a milioni di persone) ha capito che altra strada non c’è. Alternative?

PD: antifascismo, accoglienza e un milione di posti di lavoro.
Berlusconi: zero tasse, ordine, legalità e un milione di posti di lavoro.
PD + Berlusconi: due milioni di posti di lavoro e un sacco di balle.

Per comprendere la faccenda, allora, dobbiamo inquadrare l’aspetto internazionale: è vero che l’Italia, per Trump, è il grimaldello per scassinare la tronfia e grossolana protervia tedesca (già vista in passato due volte), ma non ricamiamoci sopra troppo: è una faccenda secondaria nel gran gioco internazionale.

Il vero gioco è limitare l’ascesa cinese e controllare la crescita della potenza militare russa la quale, per giunta, è al centro di un’alleanza che conta più tre miliardi di persone: lo SCO, o Patto di Shangai. Le economie dello SCO, seppur meno ricche pro capite, superano già oggi in valore economico quelle occidentali. Non è certo una sfida facile per Trump, come non lo è per russi e cinesi: questa è la realtà.

Ora, di fronte a questi grandi numeri, cosa volete che contino le intemperanze dittatoriali di qualche capetto periferico del Lussemburgo, olandese o tedesco? L’importante è che l’Europa segua senza smagliature la Nato, che rimane il cane da guardia USA nel mondo (per ora).
Cosa volete che conti la grande industria automobilistica tedesca, quando è in Cina che si vendono più auto elettriche che in ogni altro posto della Terra! Nell’ultimo anno, la Cina ha investito 21,7 miliardi di euro nella produzione di veicoli elettrici. L’Europa solo 3,2. La vendita di auto elettriche (il futuro) è oramai in Cina al 50% sul totale delle vendite: nel solo 2018, ne sono state vendute (o prenotate) 294.000! (3) (4)
Il futuro è in Oriente e, oggi, non servono nemmeno più tanto i capitali occidentali che, all’inizio della “lunga marcia capitalista” cinese, piovvero a Pechino: oggi, ne hanno in abbondanza.

La “vecchia Europa” è invecchiata non solo sotto l’aspetto demografico: non ha fatto tesoro delle, seppur ingenue, proposte che fece il presidente Wilson alla conferenza di Pace di Versailles nel 1919, un secolo fa!
Smettetela di litigare per quattro linee di confine, per le sponde di un fiume…oggi, si potrebbe parafrasare: smettetela di litigare per un 1,6 o un 2,4%! Ci perderete tutti!
Ma la vecchia Europa ha preferito vestire i panni di un’Entità di Vuoto Assoluto, piuttosto che accettare che uno dei suoi più importanti Stati membri provasse la via keynesiana, all’opposto della solita austerità “targata” Friedman & scuola di Chicago, che non ha dato risultati.

Sono d’accordo con chi sostiene che entrambe le vie sono interne al sistema capitalista e che, di conseguenza, non potranno portare a grandi novità sotto l’aspetto delle maggiori risposte ai mille dubbi dei nostri tempi: energia, ambiente, produzione, robotica, informazione, socialità…
Certo: è vero.
Rispondetemi, però, con franchezza: preso atto del livello medio dell’elettore italiano (o europeo, americano, ecc) ve la sentireste di proporgli la sequela di dubbi sopra esposti sul cosiddetto “sviluppo”?
Sono maturi i tempi per affrontare temi come la decrescita, l’economia circolare, il rapporto uomo/robot…ecc? Sono temi che possono affrontare le persone abituate al confronto, alla critica, ad dibattito: la gran maggioranza, s’accomoda di fronte al Tg1.
Ma, almeno, smetterla di litigare per decimali di bilancio a fronte di qualche miglioramento – considerando l’evidente incapacità di gestire modeste beghe fra piccole tribù che occupano questa o quella penisola europea – ci pare un obiettivo minimo, che si può raggiungere senza strapparsi i capelli. E che può essere compreso da una platea più ampia.

Sarebbe un obiettivo raggiungibile, se a livello europeo si discutesse in termini politici – come sempre è stato nelle trattative diplomatiche – invece che dissertare non di economia (l’economia politica è già scienza accettabile), bensì di bilanci, di previsioni, di “outlook” generati da soggetti privati terzi che nessuno ha nominato e che non si sa a quale titolo decidano le nostre vite.

Qualcuno ha detto che l’Europa ci ha “salvati” dal rischio di una nuova guerra europea o mondiale: non è vero.
Molto probabilmente non ci sarà nessuna guerra sul campo di battaglia, ma ciò che resterà di questa Entità di Vuoto Assoluto avvelenerà le menti ed i cuori per generazioni. Sia maledetto chi ha voluto tutto questo.


 


17 ottobre 2018

L’enigma Biglino e la rimozione cosciente


Oggi come non mai stiamo vivendo nella caverna platonica, dove gli uomini scambiano per reali le immagini che scorrono loro davanti. Oggi come non mai, infatti, confondiamo la realtà con le ombre.”
José Saramago

Di fronte alle esternazioni di Mauro Biglino sulla Bibbia, si potrebbe liquidare tutto come un fenomeno editoriale alla Dan Brown. Se Biglino ponesse al centro dell’attenzione la sua persona, avremmo più di un sospetto nei suoi confronti: eppure, pur utilizzando tutti i canali dell’informazione attuale, il biblista torinese non si pone come un “faro” di sapienza, e neppure instaura una sorta di “dissidio” con la Santa Sede, anche se – a dire il vero – Oltretevere non devono aver gradito l’idea che, proprio dalla Bibbia, Biglino abbia sottratto un elemento di una certa importanza, cioè Dio.

L’autore torinese sostiene proprio questa tesi: la Bibbia è un resoconto di “qualcosa” che avvenne fra la Mesopotamia ed il Mediterraneo in epoche lontane: il “qualcosa”, però, secondo Biglino, non ha nulla a che vedere con la Creazione e nemmeno con la figura di Dio, come attualmente viene dipinto. La storia, secondo Biglino, è un’altra: il termine “Elohim” rappresenta un essere (o più esseri) in possesso di una tecnologia superiore, i quali hanno instillato le basi della conoscenza scientifica (agricoltura, costruzioni, ecc) nei popoli che vivevano in quelle aree. Di più: essendo fatti “a nostra somiglianza”, questi esseri più evoluti si sono incrociati con la nostra razza (Biglino ipotizza l’ingegneria genetica, ma potrebbero aver usato sistemi più “semplici”) inserendosi così come “catalizzatori” nell’evoluzione umana.

D’altro canto, non dimentichiamo che gli antichi usavano translitterare la Storia (per loro) antica nel Mito: gli Dei che stavano sempre “in alto”, che potevano assumere le sembianze più strane…e poi, s’accoppiavano con gli umani, generando semidei. Ne hanno avuta di fantasia: era solo fantasia?
In nota troverete un colloquio critico con l’autore (1).

Dobbiamo riconoscere che la sua esegesi è chiara e convincente, anche se – in definitiva – il simposio è ristretto ad esperti traduttori dall’ebraico antico, dall’aramaico e dalle altre lingue mesopotamiche del tempo. E finisce per essere un cenacolo per pochi eletti: coloro che sono in grado di verificare le sue ipotesi con competenza filologica.
Biglino non asserisce che questi “Dei” fossero extraterrestri, oppure appartenenti a precedenti civiltà terrestri: si limita a sottolineare le incongruenze che ci sono nella Bibbia, “sfiorando” anche il Mahabharata e l’Epopea di Gilgamesh, dove ci sono numerosi passi un poco inquietanti.
Quindi, è inutile “parteggiare” per l’una o per l’altra parte, se non evidenziando i tanti dubbi sull’evoluzione umana. Che non mancano.
Anche il dibattito, in ambito filologico, è stato molto “soft”: certo, da parte Vaticana qualche studioso ha messo all’indice Biglino, ma senza eccedere. Insomma: è un poveraccio senza arte né parte, non facciamogli pubblicità. Anzitutto, perché non ci conviene.

Biglino, però, sfiora appena lo stridere fra i livelli tecnologici degli “Elohim” rispetto alla popolazione umana, perché è un traduttore: traduce letteralmente, scontrandosi (evidentemente) con una serie di problemi semantici che affondano nelle radici dell’esperienza umana. E che lui interpreta a suo modo, ovviamente.
Oggi, abbiamo persone che – pur di guadagnarsi qualche click in più su Youtube – non hanno remore a presentare la vecchia foto della nonna in giarrettiere e mutandoni spacciandola per la “vera” Mata Hari: in questo senso, i libri sono ancora più affidabili del tanto “sapere” Web. Che, a volte, ricorda i venditori di pozioni miracolose nelle piazze del Far West.

Mauro Biglino non s’addentra in questioni di tipo scientifico-tecnologico, le sfiora appena: verrebbe il sospetto che, non sentendosi avvezzo a dissertare su campi così distanti dalle lingue antiche, non li voglia prendere in esame.
Eppure, il sapere scientifico, oggi, è senz’altro più conosciuto e dibattuto rispetto alle lingue antiche: perciò, mi sono divertito a presentarvi alcuni fatti, comprovati da scoperte archeologiche, che tuttora suscitano sgomento.

Se volessimo partire da una data, una sola data che ci ponga qualche dubbio, potrebbe essere il 74.000 a.C. perché?
Poiché, anche se la presenza dell’Homo Sapiens è documentata fino a circa 2-300.000 anni or sono, in quella data esplose il supervulcano di Toba.

Ora, un supervulcano non è un “vulcano plus”, è qualcosa di apocalittico, che per fortuna non capita sovente: non si tratta di uno “scorreggione” come il Vesuvio, e nemmeno di un “ruttatore seriale” come l’Etna, bensì di un accumulo di materiale lavico che dura migliaia di anni e che, poi, fa saltare il tappo roccioso che lo sovrasta. Con conseguenze su tutto il Pianeta.
L’esplosione di Toba immise nell’atmosfera 3.000 chilometri cubici di materiale e la radiazione solare scomparve: la Terra (all’epoca, si era in piena glaciazione di Wurm) precipitò in un “inverno vulcanico” che durò alcuni anni.
Siccome la popolazione allora residente era quasi tutta nella zona fra i Tropici – e Toba è a Sumatra – fu duramente colpita. I paleobiologi hanno stimato – dalla varianza del DNA umano – che si partì, in quel senso, quasi dagli inizi. Alcune teorie ipotizzano una “forbice” di sopravvissuti fra i 600 ed i 3.000, ma sono cifre ipotizzate e ricavate, come dicevamo, solo dalla scarsa varianza del DNA. I soli reperti archeologici non ci forniscono informazioni esaustive al riguardo

Finalmente, verso il 10.000 a.C., termina la glaciazione di Wurm: altro periodo di sconvolgimenti, il mare si alza di decine di metri in pochi secoli, fiumi immensi si generano dallo scioglimento dei ghiacci. Però, l’uomo può finalmente affacciarsi alla “finestra” del mondo. Sono, appena, 12.000 anni or sono.
Qui, in qualche modo, s’innesta la trattazione di Biglino, in qualche data probabilmente intorno al primo/secondo millennio prima di Cristo ma, non dimentichiamo: la Bibbia racconta vicende molto antiche e, tuttora, non c’è unità di vedute fra gli studiosi.

Passano 7.500 anni – un’inezia, se riferita ai tempi dell’evoluzione – e, intorno al 2560 a.C Il faraone Khufu (Cheope) decide di farsi una bella tomba di famiglia, e fa costruire la nota piramide.
Ancora oggi non si sa come la costruirono (e la datazione è incerta), nonostante mille teorie sullo spostamento dei massi ed il loro posizionamento.  Craigh Smith, un ingegnere statunitense che fece parte di una squadra, la quale cercò di determinare i tempi e le modalità seguite per la costruzione della piramide di Cheope, confessò:

Le logistiche di costruzione di Giza sono impressionanti se si pensa che gli antichi Egizi non avevano a disposizione pulegge, ruote e accessori di ferro. Le dimensioni delle piramidi sono estremamente accurate e il sito è stato livellato con un errore di meno di un centimetro su una base di oltre cinque ettari. E' paragonabile all'accuratezza dei moderni metodi edilizi ed al livellamento al laser. E' sbalorditivo, con i loro “attrezzi rudimentali”, i costruttori di piramidi dell'antico Egitto furono accurati quasi quanto lo siamo noi con la tecnologia del XX secolo.”

Si aggiunga che, nei siti di estrazione dei massi, non è stato rilevato nessun  utensile di Rame, il metallo più duro conosciuto all’epoca.
Inoltre, i massi delle piramidi avevano un peso compreso fra le 2,5 tonnellate e le 80 tonnellate: li trasportavano su barche di papiro? Auguri.
Voi credete alle storie degli schiavi che tirano nella sabbia 80 tonnellate su un piano inclinato inumidito con l’acqua?
Ecco una gru che può sollevare 80 tonnellate:



Tutto questo lo fece un popolo che non conosceva la ruota?!? Difficile da mandar giù, anche perché gli schiavi erano pochi nell’antico Egitto e, la popolazione, lavorava sì per il “grande Padre”, ma solo quando era libera dai lavori agricoli.
Insomma, un bel rebus.
Ma facciamo un salto al museo di Bagdad.
Ecco cosa ci troviamo davanti:



Cos’è?
Una rudimentale batteria…al fluoruro di Litio? No, ai tempi le facevano (!) al Ferro-Rame, non conoscevano ancora lo Zinco, figuriamoci il Litio.
Eppure, quel vaso contiene proprio i due metalli, separati da uno strato di catrame. L’elettrolita? Un acido qualunque, succo di limone oppure aceto, vino…è un’edizione arcaica della nota pila di Volta, che utilizzò il Rame e lo Zinco. Chi la costruì? Perché? Nessuno lo sa.
Una cella elettrolitica così fatta poteva fornire una tensione di 0,4 Volt, ma collegandole in serie si potevano raggiungere tensioni più elevate, chissà…
Di che epoca è?

Pare 2 secoli prima di Cristo.
Ovviamente gli archeologi “ufficiali” si sono sperticati nel dire che “forse” era “solo” uno strumento per stendere, per via elettrolitica, un sottile strato d’Oro su altri metalli. Poi, si sono rimangiati anche la seconda ipotesi…perché…beh…un conto è affermare che, in qualche modo, qualcuno avesse costruito una batteria, un altro aggiungere che conoscevano le tecniche galvaniche, che includono – en passant – una conoscenza approfondita dell’elettrologia. E della Chimica. La galvanotecnica è complessa, e si usano per lo più, i sali cianidrici dei metalli che si vogliono usare per ricoprire. Mettevano l’Oro a bagno in un impasto con le mandorle amare? Mah…
Un mondo che conosceva la tecnologia? O forse la ricordava? O l’aveva vista, o ricevuta, in dono da qualcuno?

Già, ma quale mondo?
Le conoscenze, a quell’epoca, non erano omogenee, basti pensare che, quando i Romani conquistarono la pianura padana e le valli circostanti (II-I secolo a.C.), in val Camonica incontrarono popolazioni che ancora si dedicavano alle pitture e sculture rupestri, come nel Mesolitico. Una differenza abissale: le pitture rupestri incontrarono un mondo che già aveva creato strade, ponti, acquedotti…che già possedeva un corpus giuridico, che si governava grazie al Senato e…stava per sperimentare la guerra civile!

Mentre i Romani si dedicavano alla conquista del mondo allora conosciuto, in un’isola del Mediterraneo –Cicerone dice la Sicilia, altri Rodi, ma non ha importanza: erano tutti Greci… – qualcuno costruiva ed esportava sofisticati orologi astronomici, come non ne sarebbero più stati costruiti per almeno 1500 anni!
Una di queste macchine è stata ritrovata su una nave greca naufragata presso l’isola di Anticitera, vicino a Creta, nel 1900.
Sulle prime non fecero caso al ritrovamento, incrostato dai sedimenti e dagli organismi marini: poi, qualcuno “drizzò le orecchie”. Si cominciò a capire che era un meccanismo complesso, ma solo pochi anni or sono, grazie ad una sofisticata tecnica di scansioni ai raggi X ad alta risoluzione, i ricercatori sono riusciti a ricostruirla. Eccola com’era al suo ritrovamento:



E la ricostruzione eseguita dal team di studiosi dopo le analisi ai raggi X (è disponibile anche un filmato, su Wikipedia):



Si tratta di un sofisticato orologio astronomico che misura il moto del Sole, della Luna e dei cinque pianeti all’epoca conosciuti, ma non solo: fornisce le fasi lunari, le eclissi e…le date delle Olimpiadi! E sono tutti in relazione precisa fra di loro, grazie al meccanismo che funzionava a manovella.
E’ costituita da decine di ingranaggi in Rame – e passi costruire lamine di Rame così precise – ma quando hanno dovuto fare i denti degli ingranaggi, cos’hanno fatto? Sono scesi in ferramenta a comprare una lima triangolare?!? Riflettiamo che è difficilissimo, manualmente, fare i denti ad ingranaggi così piccoli, che devono essere precisissimi, senza una macchina!
Non sorprendono le conoscenze astronomiche dei Greci, ciò che è inusuale è osservare una macchina così complessa e piccolissima! Difatti, è considerata la prima “espressione” di una macchina di calcolo automatico, precedente di 18 secoli a quelle di Pascal e di Liebnitz: dunque, il “capostipite” dei computer.

Ho visitato un orologio astronomico ad acqua del 1868, nella cattedrale di Beauvais (Francia), ma gli ingranaggi sono molto più grossi e l’orologio astronomico di Beauvais misura 12 m d'altezza, 5,12 m di larghezza e 2,82 m di profondità! Ce ne sono altri in giro per l’Europa, a volte collegati a carillon, con girotondi di statuine…a Praga, ad esempio…ma nessuno ha così ridotte dimensioni!
I Greci, nel 200 a.C., mettevano un orologio astronomico in circa 40 cm x 20. Che fosse passato da quelle parti un giapponese?

Sempre loro, i Greci, quando passano compaiono cose straordinarie, realizzazioni poco credibili considerando la tecnologia dell’epoca.
Così, dopo la leggendaria “cavalcata” di Alessandro Magno in Oriente, alla sua morte tutto il bacino orientale del Mediterraneo è dominato dai Greci, ed i luogotenenti di Alessandro si spartiscono la torta.
Tolomeo Sotere era stato un generale di Alessandro (si dice che fosse suo fratellastro) e, alla morte di Alessandro, “eredita” l’Egitto dove regna come Tolomeo I.
Oltre che fondatore della famosa biblioteca – che non era solo un ammasso di libri, bensì un centro del sapere in tutti i campi, tecnologia compresa: una sorta di campus universitario ante litteram – nel 300 a.C. decide di costruire un faro.

La navigazione degli Egizi era poca cosa: le uniche notizie certe sono che si recavano nella terra dei Fenici (odierno Libano) per importare legname, soprattutto per costruire navi: una navigazione costiera. Con quelle costruite col papiro, non si andava tanto distante, anche se Thor Heyerdhal, col suo Kon-Tiki, riuscì ad attraversare un oceano. Il problema era che duravano troppo poco. Per questa ragione si recavano ciclicamente nel Paese dei Cedri: per comprare legname pregiato.
Quando regnarono i Greci, probabilmente le rotte battute cambiarono, e…così…Tolomeo decise di costruirne un faro alto…134 metri! Ecco una ricostruzione ricavata dopo anni di studi e comparazioni, nel 2006 (a):



Il Faro di Alessandria, nato fra il 300 ed il 280 a.C., durò fino al 1303 o 1323, quando si verificarono due tremendi terremoti. Restò in servizio per 16 secoli! 1600 anni! 16 secoli nei quali sfidò le intemperie, i venti, le tempeste ed i terremoti.
Senz’altro la ricostruzione grafica corrisponde al vero, ma non dimentichiamo che la sua immagine fu coniata sui sesterzi di Traiano e che lo storico (e matematico) romano d’origine giudea Flavio Giuseppe ne parlò estesamente nei sui libri: raccontò che la luce si poteva vedere da 48 chilometri di distanza, ossia dalla distanza che la curvatura dell’orizzonte terrestre permetteva.
Fu costruito per ovviare alle difficoltà della navigazione…dovuta ai banchi di sabbia costieri? Un faro alto 134 metri? Per uso costiero? Suvvia…

Più probabilmente, era un mezzo che consentiva di tenere la rotta verso il mare aperto, verso Creta (distante 300 miglia nautiche) e la Grecia, ma allora dobbiamo ipotizzare che i Greci possedessero degli strumenti di navigazione assai avanzati, non la sola conoscenza del firmamento: la bussola era già nota ai cinesi…di più, non è possibile ipotizzare.
Tanto per capire di cosa stiamo parlando, questa è l’immagine del grattacielo Seagram, costruito a New York nel 1958. E’ un po’ più alto (156 m.), ma rende bene l’idea delle cubature e delle altezze del Faro di Alessandria:

 

Qualcuno sostiene che, nella realizzazione, furono usate anche strutture in ferro, ma non v’è certezza: i resti del faro sono ancora lì, sott’acqua. Forse, un giorno, qualcuno ce lo dirà. Certo che, resistere 16 secoli…non aveva la base d’appoggio di una piramide ed aveva l’altezza di un moderno grattacielo: costruito con pietre squadrate e malta? Fu una realtà che moltissimi Romani videro con i propri occhi, ma nessuno pensò di replicarlo sulle coste italiane. Perché?

I Romani furono grandi costruttori di strade, acquedotti, ponti, terme, templi…ma non costruirono mai per le basi della flotta (Miseno, od Ostia antica ad esempio) fari che potessero lontanamente ricordarlo.

Al termine di questa lunga cavalcata, bisogna tirare qualche conclusione.
Qui non si tratta d’essere dei “fulminati sulla via di Damasco” verso qualcuno o qualcun altro (sono riflessioni che tornano, ciclicamente, da decenni), né di scendere verso un cinismo fuori luogo e, sostanzialmente, permeato dalla sicurezza di un egoismo agnostico.
Si tratta di capire se la Scienza, oggi, è in grado di capire qualcosa di più sulle nostre origini, qualcosa che – nel lungo periodo – potrebbe anche mutare il nostro modo di pensare, l’approccio stesso all’esistenza od alla coscienza del nostro essere.
In realtà, ciò che va per la maggiore è la “rimozione cosciente” di ciò che non ci aggrada, c’infastidisce, di qualcosa che cozza violentemente contro il nostro laissez faire, le nostre piccole sicurezze.

Che una sorta di “rimozione cosciente” – dopo tanti eventi contrastanti – si avverta non è una favola, lo si ricava anche dagli attuali comportamenti umani, in tutti i campi.
Una banca va male, ha fatto operazioni rischiose e s’è indebitata? Nessun problema: si scorporano i passivi su una “bad company” e si butta tutto nel dimenticatoio, ossia un posto dove qualcuno dovrà pensarci. In genere, lo Stato.
Le emissioni dei diesel sono fuori dal range previsto? Si fabbrica una bella centralina elettronica che “non veda” le imperfezioni: è storia dei giorni nostri.
C’è il problema dei mutamenti climatici? Nessun problema. Ci si divide fra coloro che imputano i mutamenti alla protervia delle compagnie petrolifere, oppure si parla di fake news, ossia di chi ha interesse a vendere nuove tecnologie. Nessuno approfondisce la tematica: per apparire e far colpo sui “social” basta calcare i termini sul catastrofismo, mentre dall’altra si dirà che sono soltanto invenzioni ad opera di poteri forti che vogliono addomesticare questo o quel mercato al loro volere.
Cercare di capire? Con la propria testa? Non serve: è troppo faticoso e poco redditizio: quel che conta è ottenere appoggi, seguito, oppure demonizzare l’avversario, ridurlo ad un minus habens per la sua vita privata, per le mille pecche che – cercando bene – si trovano nella vita di chiunque.

Anche l’archeologia non è scevra da questa mistificazione. Ciò che non si riesce a spiegare è dovuto ad eventi “casuali”, a “fake news”, ad imbrogli.
Osservate questo geroglifico: che ve ne pare? Ci vedete qualcosa che assomiglia ad un elicottero, una nave (o sommergibile), un oggetto volante? E’ conservato nel tempio di Abydos, XIX dinastia, circa il 1300 a.C.:



Invece gli archeologi spiegano il fatto con ripetute corrosioni dovute allo scorrere del tempo e riscritture, come potrete notare nella loro giustificazione della stranezza:



Ecco, questa è – in sintesi – la spiegazione. E’ pur vero il celebre paradosso della scimmia che scrive al computer: se lasciata picchiare sui tasti per un tempo uguale ad infinito, la scimmia – inesorabilmente – premendo i tasti casualmente, scriverà la Divina Commedia. Già, per un tempo pari ad infinito, non tendente ad infinito, e dunque si tratta di una condizione irrealizzabile.
Così, gli archeologi vorrebbero farci passare che, scrivendo, cancellando e riscrivendo sono saltati fuori l’elicottero, la nave e l’aereo? Tutti nella stessa tavoletta o porzione di muro?
Non sarebbe più onesto affermare “Non sappiamo cosa vollero dirci gli Egizi con quel disegno, od ideogrammi, e per questo tacciamo: non abbiamo spiegazioni da fornire”.

Ma, la Scienza, s’ammanta con la stola della Nuova Religione Mondiale e, per questo, ha preferito la turris eburnea alla verifica precisa dei fatti, allo studio coerente degli eventi, alla sperimentalismo come fonte di prove. Non è solo una questione di denaro: quando sono a congresso, i grandi scienziati ritengo che si sentano come un consesso di semidei, assisi appena un po’ sotto la vetta del monte Olimpo.
Da qui, in seguito, la discesa ai mille “cedimenti” al dio denaro et similia: appunto, ad una vita da semidei, come il rango loro compete.

Ritornando a Biglino, io non so se un certo verbo, scritto in lingua ebraica antica, possa essere più correttamente tradotto come “fare” – ossia creare da qualcosa, come fa un artista – oppure che sia da intendere come “creare” e basta, dal nulla. Non lo so perché non ho i mezzi per capirlo (bisognerebbe essere degli esperti filologi in lingue antiche): però, questa persona che sì, si fa sentire ma sempre con misura, e con un aplomb più torinese che britannico, a mio avviso meriterebbe più fiducia ed ascolto.
Se questo fosse un posto dove la gente viene ascoltata per quel che dice o scrive, e non per schieramenti od amicizie.
In fin dei conti, perdiamo di vista solo una cosuccia da nulla: la Verità.


(a) Di Emad Victor SHENOUDAde:User:Xlance original uploader to .deen:User:Xlance fr:User:Xlance ar:User:Xlance - German Wikipedia (de:Datei:PHAROS2006.jpg), Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7977684

13 ottobre 2018

Il caso Cucchi: uno scoglio per il governo

L'arresto di Roberto Savi (Uno bianca)

Dopo tante lotte, dopo aver sopportato ogni sorta d’ingiurie, il caso Cucchi s’avvia a conclusione con (si spera) una punizione esemplare per i colpevoli. Ciò non esaurisce, né sconfessa, il comportamento dei vari attori politici della vicenda i quali, nel corso degli anni, hanno sempre teso a minimizzare la portata di quella morte, come se il “corpus” di Stefano Cucchi, giacché tossicodipendente, non appartenesse all’universale umano degli “Habeas Corpus”, come recita il noto principio giuridico inglese che data all’oramai lontano 1215, con alterne “interpretazioni”, ma presente da secoli nel Diritto degli Stati democratici.
Perché la cosa coinvolge il governo?

Perché, se da un lato c’è stato pieno appoggio ad Ilaria Cucchi – “con questo governo”, ha dichiarato – dall’altra le dichiarazioni di Salvini sembrano quelle di una persona stitica, che non ce la fa a riconoscere la realtà degli eventi. E si sforza, pur imbellettando le sue dichiarazioni di confessioni retoriche – “un’esigua minoranza dei tanti donne e uomini che vestono una divisa…” – quando un atto di coraggio sarebbe senz’altro più consono per rimediare ciò che disse in passato: “in ogni caso, io sto sempre dalla parte di Polizia e Carabinieri”.

Non voglio sobillare frizioni nel governo, né me lo auguro, però quando di mezzo c’è la vicenda – e la vita stroncata in malo modo – di una persona, bisognerebbe avere più coraggio, come quello che si dimostra nei “litigi” internazionali. Ma, domandiamoci, perché – dopo innumerevoli ammazzamenti “in divisa” mai puniti – proprio oggi si giunge ad un risultato?
Perché l’aria è cambiata? E da cosa è cambiata?

Dall’inveterato, sempre presente, andazzo italiota: è un “burino”, un “cafone”, un “pezzente”, “villano”…oggi si aggiunge “drogato”, “perduto”, “borderline”…e l’affare è fatto, ossia li possiamo ammazzare impunemente.
Non starò a raccontare le mille malefatte degli “uomini in divisa” – che non sono proprio un’esigua minoranza – e mi soffermerò un momento sul fatto più eclatante, più terribile di questa storiacce: la Uno Bianca. Perché?

Poiché quella vicenda mostra la sufficienza, la sottovalutazione, fino alla quasi complicità in quegli atti che – è bene ricordare – durarono dal 1987 al 1994: sette anni di sangue costati come una piccola “battaglia”, con un bilancio di 24 morti e 102 feriti. Nessuno s’accorse di niente di quel che capitava fra l’Emilia e la Romagna? Eppure, c’erano – sin dall’inizio – indizi che saltavano agli occhi anche ad un cieco.

Ma quando mai, nelle vicende di malavita nostrana, si nota che il calibro usato è il 5,56 Nato? E’ come metterci una firma. E nessuno se n’accorge, per ben 7 anni!
Perché vi racconto tutto questo?
Poiché i calibri consentiti dalla legge per l’uso civile sono, generalmente, il 7,62 il 6,35, il 22 (short e long range) e poco altro.
I calibri “riservati” ai militari erano invece il 9 “lungo”, il 7,62 e, oggi, il 5,56: perché questa differenza?


Per mantenere “divisi” i due mondi: quello di chi uccide per mestiere da quello di chi deve giustificare, di fronte ad un giudice, i suoi atti.

Ma, Roberto Savi possiede ben due Beretta AR 70/90, che ha avuto un po’ di difficoltà a comprare poiché la Polizia non è più una Forza Armata da molto tempo ed anche perché la Beretta non vende sul mercato civile il suo fucile mitragliatore, se non in una versione semi-automatica (cioè non può sparare a mitraglia) con soli 5 colpi nel caricatore. Questa arma era in dotazione alla Polizia, ma Roberto Savi riesce ad acquistarle come privato proprio perché è un poliziotto.
Chi acquista un’arma del genere deve riempire moduli su moduli, ed erano comunque poche le armi in circolazione di questo tipo: oggi, invece, da Gennaio 2018 è possibile acquistarla, così non ci sarà più la linea di demarcazione sancita dal calibro, fra mondo militare e mondo civile (si fa per dire…)
Potrete comprarvi un bel fucile d’assalto e…farci il tiro a segno. Con quell’affare, costruito per ammazzare persone nel modo più rapido possibile.

Perché salta l’omertà che circonda la banda? Perché qualcuno s’incazza giacché dei poliziotti rapinano le banche, ammazzando senza pietà?
No, perché commettono l’errore di uccidere dei “colleghi”, i tre Carabinieri di ronda al Pilastro.

Cosa sarà successo? I Carabinieri si saranno un po’ incazzati…e avranno minacciato d’indagare senza troppe pastoie…e allora…si fa un accordo.
Noi non indaghiamo e voi ce li prendete.
Detto fatto: un giovane magistrato di Rimini incarica due graduati (Polizia di Stato) di provata fedeltà e capacità, i quali consultano gli elenchi dei possessori di un Beretta AR 70/90 e…il “gioco” finisce. Dopo ben 7 anni.
Ultima notizia: un appartenente alla banda, Marino Occhipinti, colpevole d’omicidio, è stato scarcerato nello scorso Gennaio perché il direttore del carcere l’ha giudicato “pentito”. I parenti delle vittime hanno storto il naso, e non solo quello.

Dopo questa vicenda, e dopo Uva, Rasman, Aldrovandi…e tutti gli altri…oggi scoppia la pentola ed i Carabinieri parlano.
Pare, quasi, un percorso inverso rispetto ad altre nazioni.

Come tutti sapranno, i “bobbies” – i famosi agenti di quartiere inglesi – per decenni hanno girato disarmati. Solo un manganello. Oggi, non più: la giustificazione è il terrorismo, mentre la vera questione è un taglio di bilancio. I bobbies, quando capitava qualcosa di più di un ubriaco od una semplice lite, chiamavano via radio la squadra armata che stazionava in questura. Troppo spreco: pigliati ‘sta pistola e vai.
Ciò avveniva, in Italia, anche per i vigili urbani, che erano armati solo se ne facevano richiesta, e molti non si prendevano la responsabilità di un’arma. Ne conobbi parecchi negli anni ’70: qualcuno disarmato, altri con una piccola 6,35 in un taschino della giacca.
Poi, per “armarli” si usò un metodo tutto italiano: negli anni ’80, diedero un “bonus” mensile di 60.000 lire a chi girava armato. Chiaro che tutti si comprarono una pistola.

E scomparve, anche da noi, la separazione fra chi si dedicava a compiti d’ordine pubblico “soft” (vigili urbani) e chi invece era un “uomo con la pistola” conclamato e, dalle BR in poi, anche una mitraglietta.
Oggi, ci ritroviamo con un milione di “tutori dell’ordine” sul modello americano: la cosa stupefacente è che, ad esempio negli ospedali e nelle stazioni, il servizio viene sempre di più affidato a “vigilantes” esterni con compiti di ordine pubblico. I quali sovrintendono alla sicurezza del personale (la cosiddetta “sicurezza interna”), mentre non c’è più tutela e lavoro investigativo nei luoghi dove è più facile intercettare reati: negli ospedali, sui treni, ecc.

In parole povere, abbiamo nuovamente una “guardia pretoriana” che deve rispondere, in primis, ai suoi datori di lavoro, che non sono i cittadini, bensì il potere dominante. Nulla che non sapevamo.
Per questa ragione c’è lo spregio delle leggi: poiché si sa che, comunque, qualcuno coprirà le tue malefatte. In cambio della solita formula: “Fedeltà: pronta, cieca ed assoluta”.

Ne è un esempio lampante quello della Lunigiana (1), dove alcune caserme vissero per anni in un regime di pieno spregio delle istituzioni repubblicane, laddove dei magistrati che li indagavano si diceva: Il pm Iacopini deve morire. E male anche”.

Per queste, ed altre ragioni, è importante dare un segnale forte, del tipo:

“Per i reati di minacce, violenza e tortura è previsto, se commesso da personale dei servizi di tutela dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Agenti di Custodia), oltre che la sospensione dal servizio ed il licenziamento se accertato il dolo, l’aumento della pena di un terzo.”

Se non riusciamo a riportare all’interno dei limiti costituzionali il personale delle Forze dell’Ordine, avremo mancato ad un preciso principio costituzionale, ossia che l’indagato non è colpevole fino all’emissione di precisi atti dell’autorità giudiziaria nei suoi confronti e, anche in quel caso, la sua incolumità personale deve essere tutelata.

Solo così la morte di Stefano Cucchi non sarà avvenuta invano: non sono d’accordo per intitolare una via a Stefano Cucchi: meglio un provvedimento legislativo, che sarà ricordato per sempre come “Legge Cucchi”. Avremo così pagato un debito, per la sua breve e tormentata vita.

Non scordiamolo mai: uno stato di diritto non può comprendere atti di giustizia al di fuori di quelli emanati da una sentenza, con tutte le riserve per l’errore umano ma, comunque, sempre meglio delle botte o delle pistole ficcate in bocca per spaventare.
Non siamo la Gestapo e non vogliamo diventarlo: chi ha orecchie per intendere, intenda, e scriva il comma che abbiamo proposto. Se ne ha il coraggio.

02 ottobre 2018

I bilanci del Sacro Romano Impero Europeo


Tutti sappiamo che l’Europa ci frega, ma non immaginiamo fino a che punto la truffa è raffinata. Oh, certo, sì…paghiamo con un euro di debito una banca, per la quale, se quella moneta vale 10 centesimi è già tutto grasso che cola. Anche una banconota da 500 euro costa pressappoco qualche centesimo, ma il guadagno è maggiore: se, poi, è denaro elettronico…puf! Non costa niente. E ti sei indebitato per il valore nominale.
Un sistema come questo, però, richiede che la gente ci creda, che non possa farne a meno, che abbia paura se taglia i legami con la banca strozzina. Per fare questo, ci vogliono fior di politici e di giornalisti: e chi paga? Sempre noi, paghiamo anche le fruste dei nostri aguzzini. Mai dato uno sguardo ai bilanci dell’UE?

L’UE è “prodiga e trasparente”, quando si tratta mostrare quanto sono buoni ed onesti con noi, salvo che – come in ogni gioco di un prestigiatore – il trucco c’è, ma non si vede. E non parlo d’ingegneria finanziaria: è più semplice, ma efficientissimo.
Vediamo, anzitutto, quanto versano e ricevono i vari Paesi, annualmente, all/dall’UE, considerando che una parte viene restituita sotto forma di finanziamenti:



Ogni anno (dati 2015) la “tassa” che l’Italia paga per rimanere nell’UE è di circa 14-15 miliardi di euro (1) mentre quelli che ci ritornano sono circa  12-13. Così, adesso abbiamo ben cinque livelli di tassazione: Europa, Stato italiano, Regioni, Province (ora “Enti di vasta area”) e Comuni: una bella zuppa, non c’è che dire.
Perché, se l’Italia è un Paese in “gravi difficoltà” per quanto riguarda il debito pubblico, non riceve più di quanto dà? La Grecia, difatti, e nel novero dei “riceventi” come, del resto, l’Estonia che non ha – praticamente – debito pubblico. Mistero. Chissà, poi, perché la Spagna riceve parecchio di più rispetto a quanto versa…insomma, è un guazzabuglio senza senso, dove sembra che più dei dati oggettivi – di bilancio o di bisogno – contino di più appoggi ed alleanze con Paesi potenti.

Un altro aspetto è che – con un paio di eccezioni – tutti i Paesi dell’area euro sono a saldo negativo, mentre i Paesi fuori dall’euro sono a saldo positivo: la Polonia, ad esempio, riceve 9 miliardi in più di quanto versa, (l’ammontare del RdC tanto contestato all’Italia), che insieme alla Grecia non ha mai avuto un serio assegno di disoccupazione, quale il RdC è. Si vede che il detto “se lo conosci lo eviti”, riferito all’euro, si è fatto strada e…devono far vedere che sono prodighi!
Ci piacerebbe anche sapere come mai il signor Juncker s’arrabbia così tanto per l’Italia quando il suo Paese – che è un paradiso fiscale nel bel mezzo dell’Europa – versa pochissimo: eh già…i lussemburghesi sono pochi ed il PIL è scarso…in compenso, i bilanci delle banche sono astronomici…
Tutti i Paesi a forte penetrazione economica tedesca (soprattutto industriale) sono a saldo positivo: così è anche per la Spagna, dove i capitali germanici hanno investito in lungo ed in largo.

Ma…ciò che riceviamo? Sono pur sempre una dozzina di miliarduzzi…
Vediamo come l’UE li ripartisce per aree economiche (2):



L’UE riceve, complessivamente, circa 155 miliardi l’anno dagli Stati membri però i bilanci sono settennali. Perché? Forse un “ricordo” dei piani quinquennali sovietici? Mistero.
Ciò che più è importante è notare la ripartizione del bilancio di previsione 2014-2020, che supera la fantasmagorica cifra di 1.000 miliardi di euro e che aumenta ogni anno di 4 miliardi. Beati loro: lo sanciscono per editto, come gli imperatori del Sacro Romano Impero.
Curiosità (ma non troppo) l’UE spende – ogni anno – circa 4 miliardi in compensi, cioè stipendi. Riteniamo che, nella cifra, ci siano sia i politici che i burocrati…oppure i secondi sono pagati con i 10 miliardi annui dell’amministrazione? E Global Europe, cos’è? Sono più di 9 miliardi annui spesi per l’immagine dell’UE nel mondo e per le spese conseguenti: un bel mistero, visto che l’UE non ha un’unica politica estera e non è nemmeno un’entità statuale, federale o confederale. E allora?
Rimangono pochi spiccioli – circa 2,5 miliardi l’anno – per sicurezza e cittadinanza e ben 20 miliardi l’anno per crescita e lavoro.

Ma veniamo alle due ripartizioni principali, che sono, rispettivamente, la prima più legata agli aspetti industriali (Coesione…ecc) e la seconda all’agricoltura, che si “beccano” la prima circa 50 miliardi l’anno e la seconda addirittura circa 60 miliardi tondi tondi l’anno.
Cosa ci fanno?
Beh, se notate (3) la sfilza di finanziamenti a fondo perduto capite subito che si tratta di soldi dati a soggetti pubblici od altri grandi investitori privati. L’Europa, ai piccoli imprenditori o, comunque, a qualcuno che non abbia dietro “consistenti” appoggi politici, non dà una mazza. Due brevi esempi:

Due ragazze avevano deciso d’avviare un’attività legata al loro territorio (Langa), ossia una stalla dove allevare capre per fare formaggi caprini: ci sono riuscite – e adesso vendono le loro formaggette – ma le hanno aiutate le loro famiglie. Pur bussando più volte a molte porte, non hanno ottenuto nulla dalla “grande” Europa.

Nella seconda fui coinvolto personalmente.
L’idea, partita da una parrocchia, era quella di creare una cooperativa fra ex carcerati che si occupasse di restauro ligneo: fui interpellato come esperto del settore (provengo da una famiglia d’antiquari) insieme ad un amico restauratore. Credevamo, essendo le uniche persone esperte, di dirigere la struttura ma non era così: la direzione generale della struttura era affidata ad un “diacono” che nessuno conosceva. Incontrai questo “diacono”, m’offrì una grappa e mi disse “tanto è inutile che voi pretendiate la direzione, perché “noi” riceveremo i fondi europei, voi mai.” Bevvi d’un sorso la grappa e lo salutai. A mai più.

Quella enorme massa di denaro (4) che viene elargita per vari “progetti” non è altro che una colossale regalia al potere politico di una nazione, allo scopo di garantirsi la fedeltà assoluta ai dettami europei.
I mille capannoni abbandonati, cosa furono? Altrettante tangenti o, comunque, “provvigioni” ottenute da “progetti” che erano inconsistenti, privi d’utilità economico-sociale, buoni solo per finanziare questo o quello, europeisti convinti, ovvio.

Infine, c’è la bella favola del Fondo Sociale Europeo – il quale, per sua definizione, potrebbe essere usato anche per il RdC – ma no, non s’ha da fare. Perché? Perché la gestione del FSE era delle Regioni, poi delle Province…e adesso? Sono i famigerati “centri per l’impiego”, ossia posti dove una miriade di burocrati s’affannano per farti credere che il lavoro si troverà…a patto di fare quel certo corso d’aggiornamento, tenuto dal luminare universitario, pagato profumatamente…mediante il quale magari ti daranno anche un punteggio. E, tu, mangiaci col punteggio. Mentre loro sono i veri destinatari del FSE: erano la base elettorale dei partiti che prima erano al governo e che temono un’affermazione dei sovranisti alle prossime elezioni europee. Finisce la pacchia? Vedremo.

Un bilancio europeo siffatto serve soltanto ad un trasferimento di denaro, che passa dai fondi pubblici alle tasche private: difatti, l’Europa è il continente che più esporta capitali nei paradisi fiscali (Isole Cayman, ecc), come dimostra il grafico (5):



Ben 2600 miliardi di dollari! Pronti, all’evenienza, ad acquistare stock di debito pubblico di un certo Paese, oppure a venderli: così si ottiene il controllo di un continente, mediante lo spread ed il tipico atteggiamento dei cravattari.
Del resto, cosa ci si può aspettare da un uomo (Juncker) che ha promosso l’elusione fiscale per le grandi aziende, nel suo Paese e nel resto d’Europa, documentata da un’inchiesta di ben 80 giornalisti di 26 Paesi, ed un processo nel quale i giudici (lussemburghesi) hanno condannato…i giornalisti che avevano indagato!

Ora, torniamo a noi ed a quel famoso 2,4% che ha fatto infuriare Juncker: una nazione, pesantemente indebitata (come quasi tutti i grandi Paesi Europei), decide – dopo anni d’inconcludenti restrizioni economiche – di provare la via keynesiana, ossia di fornire risorse alle fasce più deboli della popolazione affinché, visto che quei soldi finiranno spesi per necessità (e non alle Cayman!), si possa innalzare la crescita e, in questo modo, ridurre il rapporto debito/PIL.
E’ un tentativo plausibile? L’alternativa?  Continuare in ristrettezze con il debito che sempre aumenta?

Crediamo che Juncker sia arrabbiato, perché loro campano proprio sul debito altrui, come gli usurai: se qual debito non ci fosse, si dovrebbe inventarlo!
Però, c’è un però. Per la prima volta sono giunti al potere partiti anti-europeisti: non tanto per principio, quanto per la miseria che è diventata questa Europa, che va sempre peggio, nella quale l’Indice di Gini (la disuguaglianza sociale) è sempre in aumento, nella quale in ogni Paese s’avvertono solo “necessità di tagliare”, via welfare, via scuole, via ospedali…
Il guaio è che è capitato in un grande Paese: l’Italia. Al punto che, se si dovesse giungere ad uno scontro veramente duro, quel Paese potrebbe sottoporre ai suoi elettori un referendum consultivo (come per il referendum consultivo per l’adesione, nel 1989) e decidere, vista l’impossibilità di rimanere insieme, d’andarsene. E sarebbe la fine dell’Unione Europea.

Alcuni burocrati Europei l’hanno capito (Moscovici, ad esempio, più “morbido”) mentre Juncker – che non è un gran politico, la sua formazione è prevalentemente economica – sembra non volerlo capire. Alle prossime elezioni europee lo capirà: coraggio, Juncker, non è mai troppo tardi!