“La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi
a questa scelta prescritta.”
Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Minima
moralia, 1951
La stampa nazionale è impazzita: dappertutto si sbraita
oppure ci si cosparge i capelli di cenere! Alle elezioni primarie è crollato
l’afflusso, anche lì l’astensionismo dilaga! Peggio ancora: ci sono i brogli! I
candidati che si comprano i voti! Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da
dire: già nelle votazioni del Senato Romano se ne sentivano (riportate dagli
autori latini) delle belle. In tutti questi brevissimi paragrafi che precedono,
c’è solo una parola che stona, anzi, che è proprio sbagliata secondo i comuni
canoni semantici: elezioni.
Il termine elezioni,
se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro, viene usato anche per
eleggere il Presidente della Confraternita del Coccio Spezzato, oppure per
nominare il Direttore dell’Istituto per la Ricerca sul Porcino
Caprino...insomma, anche lì si deve eleggere qualcuno...ma, da questo, a
strombazzarle ai quattro venti come elezioni “importanti”, “decisive”...al
punto di rivolgersi alla Magistratura, ce ne passa.
Il PD è un’associazione di privati cittadini, in forma di
partito (ossia d’associazione politica) la quale bandisce delle votazioni, al
suo interno, per stabilire l’organigramma del partito stesso od altre figure
ritenute – a torto od a ragione, ma questi sono cavoli del Partito Democratico
– importanti per la sua vita interna. Punto.
Se qualcuno ritiene d’essere stato danneggiato, va da un
avvocato, gli spiega la situazione e – a quel punto – il legale farà i
necessari passi conformi alla legge. Noi, scusate – intendendo i destinatari
delle prime pagine dei giornali – cosa c’entriamo? Perché dobbiamo saperlo ad
ogni costo?
Insomma, giuridicamente, questo ha la stessa importanza di
un incidente stradale e ci viene propinato come una tragedia greca!
Certamente, la figura fatta non è delle migliori...nei
filmati si vedono e si sentono scambi di denaro a vario titolo...ma, ricordiamo,
le elezioni primarie non sono regolate da nessuna legge repubblicana: ciascuno
fa come vuole. Nemmeno le elezioni politiche sono regolate dalla Costituzione,
se non dall’art. 48:
“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e
donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere
civico.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per
effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati
dalla legge.”
Ma, come si può
notare, agli art. 56 e 58 dice anche:
La Camera dei deputati (ed il Senato N. d.
A.) è eletta a suffragio universale e diretto...(omissis)...
Su quel “diretto”
ci possono essere delle interpretazioni, ovvio: la lingua italiana è fra le più
malleabili del Pianeta. La più comune e sensata è senz’altro “senza
intermediari”, ossia nessuno si può frapporre fra il cittadino/elettore ed il
cittadino/eletto. Certo, il bello spettacolo dei “dammi 10 euro” messo in
piazza dal PD non brilla proprio per correttezza istituzionale ma, ripetiamo, le
cosiddette elezioni primarie non sono niente di più di un gioco interno ai
partiti, sono una lotteria benefica (per loro) e nulla hanno a che vedere con
le istituzioni. Nemmeno negli USA, dove la Costituzione Americana mai le cita:
sono un sistema come un altro per creare una classe dirigente oppure, se
preferite, per mettere in lista dei volti qualunque, in modo che i veri poteri
possano spadroneggiare.
Se, invece, vogliamo parlare di selezione e creazione di una
classe dirigente, il discorso cambia.
Se credete fermamente – e con fondate ragioni – che le
classi dirigenti siano create dai veri poteri con una telefonata, allora potete
smetterla di leggere: troverete il seguito assai noioso e, per il vostro modo
di pensare, anche urticante. Aggiungo solo che, se questa teoria in parte è
vera, non è mai semplice come una telefonata e richiede molto lavoro: dal
controllo dei media a quello degli esplosivi.
Subito dopo la 2GM, le classi dirigenti furono di buon
livello, quasi ovunque: almeno, se correlate allo sfascio odierno. Il Senegal,
ad esempio, ebbe per molti anni un poeta/presidente – Léopold Sédar Senghor – uomo
di grande cultura, oppure, come in Tanzania, all’indipendenza, si trovarono a
disposizione 7 laureati (6 medici) e 150 maestri elementari. Fine della classe
dirigente. Eppure, riuscirono ad imbastire qualcosa di meglio del patetico,
corrotto e violento governo coloniale portoghese. Ci furono anche i Bokassa: ma
crebbero in Africa anche i Gheddafi ed i Mandela.
In Italia accadde un evento abbastanza raro: ossia un
partito d’ispirazione religiosa (DC) trovò la sua dirigenza “pescando” nei
quadri del cattolicesimo militante, e non fu poi così male: parecchie teste
pensanti e una pletora di pance gaudenti. Ma, almeno, qualcuno che pensava
c’era. Qualcosa del genere fece anche il PCI, ma non si possono dare giudizi
perché non governò mai: nelle amministrazioni locali, in ogni modo, i due
metodi si equipararono. Cooperative rosse in Emilia e bianche nel Veneto:
spesso con gli stessi statuti ed i medesimi obiettivi.
Nel film “Il Divo”,
c’è una battuta che Sorrentino mette in bocca ad Andreotti/Servillo: parlando
di Nenni, Andreotti lo ricorda in modo istrionico, come “strano” o “curioso”,
ma subito dopo aggiunge “Che grande
stima, reciproca, che vi fu!” Distanza, ma stima.
Tutto questo, prima del 1970: possiamo affermare che – pur
avendo perso una guerra e pur essendo, praticamente, una nazione occupata (lo
siamo tuttora) – avemmo una classe dirigente in grado di parare i colpi,
soprattutto internazionali (si pensi all’infinito tormento arabo/israeliano). E
di creare ricchezza per gli italiani.
Dopo il 1970, una classe politica che iniziava ad
invecchiare, ebbe paura. Troppo distanti le richieste delle nuove generazioni –
spesso, senza una reale consistenza politica e molta confusione – ma, proprio
lì, il dialogo – all’interno ed all’esterno dei partiti, dove sarebbe stato più
necessario, per captare le nuove esigenze e provare nuove vie – fallì.
Aldo Moro comprese l’importanza di quella interlocuzione e
la espose nel famoso discorso alla segreteria del suo partito il 18 Gennaio del
1969, e la ritengo così importante che merita riportarne almeno un estratto:
“Parliamo, giustamente
preoccupati, di distacco tra società civile e società politica e riscontriamo
una certa crisi dei partiti, una loro minore autorità, una meno spiccata
attitudine a risolvere, su basi di comprensione, di consenso e di fiducia, i
problemi della vita nazionale (…) Noi vogliamo corrispondere sì, capendo e
facendo, all’inquieta richiesta della nostra società, ma ostruiamo poi
contraddittoriamente i canali che potrebbero portarne nel partito, proprio nel
partito, quella carica di vitalità e di attesa che è pure nel nostro paese.
Sicché essa finisce per riversarsi altrove, mettendo in crisi la funzione dei
partiti, i quali sovente fronteggiano dall’esterno, senza un’esperienza
interiore vissuta del dramma sociale del nostro tempo, le situazioni che si
presentano e spesso si esauriscono senza autorevole mediazione, nella società
civile”.
(Aldo Moro,
intervento al Consiglio Nazionale DC, 18 gennaio 1969)
Moro fu lasciato nelle mani delle BR, nessuno voleva un
simile “cavallo di razza” fra i piedi: troppo ingombrante. Meglio gli Sbardella,
gli Evangelisti, i Cirino Pomicino: i loro discendenti, sono quelli che hanno
causato l’odierno disastro nell’amministrazione capitolina.
Non si creda che il terrorismo abbia contato più di tanto:
sapevano perfettamente che gli “armati” erano meno di 10.000 (circa 5.000 le
condanne giudiziarie), mentre coloro che cercavano d’elaborare nuovi scenari politico/sociali
erano milioni. E, attenzione: appartenevano ad aree della sinistra come della
destra.
Questo, fece loro paura. E’ un caso che le presidenze del
consiglio “saltarono” una generazione? Si è passati, rapidamente, dalla
generazione anteguerra di Prodi e Berlusconi agli attuali quarantenni come
Renzi. Delle generazioni nate dopo la guerra, non rimarrà traccia nella
politica italiana (l’unico fu D’Alema, Il “tartufaio”, meglio perderlo che
trovarlo).
Ad esempio, nel PCI, fu proprio D’Alema (neo segretario, in
pectore, dei Giovani Comunisti) a scrivere la bolla di condanna per gli
“eretici” del Manifesto nel 1970: la scrisse bene, ed ebbe una carriera
folgorante. Rimase “folgorato” fra le vie di Belgrado e non si riebbe più? E va
beh, adesso fa “Tartufon”...
Un altro esempio furono le votazioni per eleggere il nuovo
segretario della “Giovine Italia”: il risultato fu la vittoria di Marco Tarchi
– uomo di vasta cultura – ma intervenne Almirante, con la scusa che il MSI non
era “un partito democratico”, ed il quarto classificato, un certo Gianfranco
Fini, venne catapultato alla presidenza dei giovani missini. Posizione del
futuro segretario in pectore: ottima scelta! Persero addirittura il partito.
Anche negli altri partiti, i “giovani”, o erano considerati
“sicuri” sotto l’aspetto della continuità, oppure non avevano scampo: nessun vero innovatore giunse ad essere
classe dirigente in quegli anni.
L’illusione dell’eternalismo è sempre viva nell’animo umano:
perché domani non può andare come ieri? Questo fu il grande errore dei nostri
padri: credere che quel modo di concepire la politica fosse perfetto, che tutto
sarebbe andato sempre così. Andreotti, ad esempio, ritenne impossibile la
riunione fra le due Germanie, la affrontò con un’alzata di spalle.
Ma venne, improvvisamente, Tangentopoli. Guidata da uno
strano magistrato molisano, che era stato poliziotto – una vera storia da libro
“Cuore”, a ben pensarci, perfettamente confezionata – fu decapitata un’intera
classe dirigente. E non solo metaforicamente.
Le vicende successive sono spiegabilissime se si parte da
queste considerazioni: dal vuoto pneumatico, era necessario riempire i banchi del
Parlamento.
A parte i residuati bellici della Prima Repubblica – figure
patetiche, elevate al rango di potenti – fu necessario prelevare “sangue
fresco” dai dipendenti Mediaset, da qualche pittoresco legaiolo (che fa rima
con...va beh...) e riempiendo i buchi ancora mancanti con le quote rosa.
Possibilmente con la quinta di reggiseno, altrimenti...che quote rosa sono?!?
Non si poteva esporre al pubblico ludibrio una simile
accozzaglia di parvenu, perciò fu abolita la scelta elettorale: adesso voti un
partito, anzi, un logo. Ah, Naomi Klein, come avevi ragione!
E veniamo all’oggi.
Fra i mille, disperati fremiti agonici di gran parte della
classe politica, spicca la scelta del M5S: cosa c’è di più legittimo di una
consultazione libera (on line), aperta a tutti gli iscritti (?), per trovare
nuove classi politiche? Ossia, delle primarie on-line.
Sono tormentato da un dilemma: Grillo avrebbe consentito di
fare come poi hanno fatto, se la legge elettorale avesse consentito le
preferenze? Ossia se gli italiani avessero avuto scelta effettiva sui loro eletti?
Me lo chiedo, perché sono una persona curiosa e che non dà nulla
per scontato, ma ne dubito.
Chi avrebbe mai scelto dei candidati che erano stati votati
da circa 100 persone, fra parenti ed amici? Senza competenza alcuna, su nulla?
I risultati si sono visti a Parma – probabilmente
“gentilmente” offerta da PD/PdL su un piatto d’argento – dove un povero
Pizzarotti s’è ritrovato – lui, un tecnico informatico – a dover gestire una
delle realtà più complesse d’Italia. Una città che è la capitale della lirica,
che è sede dell’autorità europea per la sicurezza alimentare, una città ricca
di storia e di cultura, con una fiorente industria agro-alimentare, una città
universitaria, ecc.
In più, la “grana” dell’inceneritore “a metà” con Reggio:
bisogna riconoscere che, se il “Pizza” era un modesto ed allegro “Fonzie”, se
l’è cavata come ha potuto e come è riuscito per i suoi mezzi: per lo più, poco
aiutato dal suo partito. Scusate, non-partito: il quale, comunque, ha fatto una
figura di m... E, adesso (si dice), sarà “obbligato” a vincere a Roma.
Il metodo scelto dal M5S, in realtà, è stato qualcosa di più
di un parziale fallimento, è stato un naufragio dove una sola scialuppa s’è
salvata, ma senza grandi teste pensanti a dirigerla: con tutto il rispetto che
posso avere per Di Maio & Company, sono soltanto dei (bravi?) polemisti. Se
per questo, anche Fini e D’Alema – presi solo nell’agone della dialettica
polemista – erano dei campioni. Dietro, buio pesto.
Anche Andreotti era un fine polemista, però non era “sotto
il vestito, nulla.”
All’epoca di Andreotti si riconosceva l’avversario come
meritevole di stima, anche se lontano per posizioni politiche: oggi, si stima
l’altro per la sua capacità di raccogliere denaro e tangenti...mannaggia:
quello, è un uomo da 2 milioni l’anno, quello vale...la politica? Ma non
facciamo ridere: questo è stato uno dei perversi frutti di “Mani Pulite”. La
consapevolezza, interiorizzata come frutto morale, del furto collettivo: così
fan tutti...
Perché, se un tempo esistevano i cosiddetti “cacciatori di
voti”, oggi esistono solo dei cacciatori di soldi: è più facile raccattare
soldi, a fronte d’interessi garantiti, che voti, poiché le richieste –
legittime! – degli elettori, sono più variegate, costano di più. Ergo:
eliminiamo gli elettori, facciamo mettere solo più una croce su un simbolo
evanescente, al resto pensano i soldi, mediante i quali ci assicuriamo spazi
mediatici. Insomma, più che soddisfare le necessità degli elettori, creiamo
delle Gestalt dalle quali loro
possano essere irretiti: l’irrealtà al servizio del potere, il tweet che crea
un gregge effimero, gli 0,1% che discriminano fra ricchezza e povertà...
L’unica soluzione, per uscire da questa follia da reparto
psichiatrico, sarebbe di lasciare ai partiti i loro giochini di primarie ed
ammennicoli vari: di tornare, però, a scrivere un nome sulla scheda elettorale
ufficiale (quella controllata dalle Corti d’Appello) con un sistema
proporzionale, il nome di una persona fisica, riconoscibile. Altrimenti, nessun
gioco varrà, nessuna alchimia finanziaria, nessuna guerra su commissione,
nessun viso salvifico apparirà alla porta.
Perché, vedete, la cosiddetta “governabilità” è solo un
inganno: è la necessaria “semplificazione” di un sistema complesso richiesta a
gran voce dalle lobbies, dai poteri esterni, dai corruttori occulti, che –
oramai – calcano tranquillamente le aule parlamentari. I frutti? Pessime leggi
per noi, ottime per i loro interessi: la riforma del canone RAI, le mille, nuove
norme per spremerci fino all’ultimo soldo di tasse, le pazzesche norme che
consentono al sistema bancario di spadroneggiare e di non pagare mai il fio dei
loro errori e/o malversazioni...continuo? Non è necessario.
Avevo già toccato questo argomento in “Storia di lucidatori di sedie”, per far capire ai più giovani com’è
stato possibile ridurre il nostro Paese in queste condizioni. I principi
generali sono contenuti nel famoso “Piano di rinascita democratica” di Licio
Gelli, e tutti sappiamo che razza di persona fu Licio Gelli.
Credetemi: non è sempre stato così, c’è stato un tempo nel
quale eravamo amati e rispettati, anche all’estero, e non solo per la Ferrari o
per la pizza. Oggi, vi fanno credere che tutta la colpa è dell’Europa.
Ma non v’insospettite un poco? Cos’altro potrebbero
raccontarvi a fronte di un simile sfascio? Che la colpa era d’Alfredo? Del
Sudafrica? Degli emiri yemeniti? L’Europa, colpevole od innocente, è perfetta
come cavia, e noi possiamo continuare a cazzeggiare. Chi ha combinato il bel
guaio di Banca Etruria, l’Europa o la cosca Renzi?
Nella mia vita mentirei se dicessi che non ho ricevuto
“chiamate” ma, più che chiamate per empatia, erano velleitarie “chiamate di
correo”: della serie, vieni con noi, la tua fine vena polemica ci farà
guadagnare...e poi, chiedevo io? C’era da ridere ad ascoltare le risposte. E,
io, non sono un uomo da marciapiede. Perché non sono più chiaro?
Perché è del tutto inutile: si dice il peccato, non il
peccatore, ma non per un pietoso o reticente rispetto per il peccatore.
Semplicemente, perché i peccatori sono tanti, il peccato è uno solo. Sempre il
solito: dimenticare che ministerium
vuol dire servizio, e non credere di
vincere un Paese al Banco Lotto.
Pochi giorni fa ho compiuto 65 anni: lo Stato, benevolmente,
mi concede una patente ufficiale di “vecchio” e l’esenzione dai ticket
farmaceutici. Che gioia. Ancora mi dibatto fra Socrate e Platone, come forse
voi vi chiederete se vale la pena dibattere fra destra e sinistra. O Stato e
mercato? Forse, meglio.
Ma non so tacere, e quando vedo l’Italia ridotta ad una
fiera di minimalia ridotte in
frantumi, ad un rodeo fra capi-bastone in lotta/combutta, non so se mettermi a
ridere od a piangere. E mi domando, in questo gelido deserto degli intelletti:
quale domani attenderà le giovani generazioni?