30 novembre 2009

Finanziaria per il volgo

Copio e incollo brutalmente da Repubblica del 30/11/2009:

Scudo fiscale per tutto
La cifra prevista non è indicata, ma gli introiti dello scudo fiscale, quali che saranno, saranno utilizzati per i seguenti interventi:

Sostegno all'autotrasporto
alle missioni di pace
agli impegni derivanti dalla partecipazione a banche e fondi internazionali
alla proroga del 5 per mille
alla garanzia di equilibrio di bilancio per gli enti locali colpiti dal sisma in Abruzzo
alla parziale gratuità dei libri scolastici
all'agricoltura
alle scuole private
a convenzioni con i Comuni per la stabilizzazioni dei lavoratori Asu
alla Giustizia
al sostegno delle categorie socialmente svantaggiate.

Esegesi:

Sostegno all'autotrasporto: non si tratterà, per caso, d’aiutare l’amico Lunardi – poverino…lasciato fuori dal Governo, povero piccino… – che è uno dei boss dell’autotrasporto italiano su gomma? Ferrovie, navigazione…no, autotrasporto: ah, già, Lunardi era quello che “con la mafia si deve convivere”. Capito.

Sostegno alle missioni di pace: che sia la “tassa” da pagare ad Obama per massacrare qualche migliaio d’afgani in più? Per cercare di farsi perdonare l’amicizia con Putin e l’affossamento dell’oleodotto Nabucco? Non vediamo italiani in missione di pace, solo aerei e carri armati. Spiegare meglio, prego.

Sostegno alla proroga del 5 per mille: dal quale saranno sottratti 470 milioni di euro per il Ponte sullo Stretto. Altrimenti, i mammasantissima potrebbero lasciar liberi i pentiti di raccontare da dove venivano i 114 miliardi (degli anni ’70, più tutto il resto) con i quali Silvio si è “fatto da solo”, e sui quali si è sempre avvalso della “facoltà di non rispondere”.

Sostegno alla garanzia di equilibrio di bilancio per gli enti locali colpiti dal sisma in Abruzzo: eh, altrimenti, come si fa ad andare dall’Insetto a raccontare frottole sulle “villette”?

Sostegno alla parziale gratuità dei libri scolastici: non fatevi troppe illusioni, si tratta solo del libro di Geografia per il biennio e dell’Inferno per il triennio (in comodato d’uso). Grazie! Grazie! Grazie! In Germania, sono da sempre tutti in comodato d’uso.

Sostegno all'agricoltura: la cosa ci coglie in contropiede. Che si tratti dei discendenti dello “stalliere” Mangano, i quali hanno acquistato un’azienda all’asta dai beni sequestrati alla mafia? Oppure compreremo delle “quote latte” come i certificati verdi, tanto per dare un contentino alla Lega? Queste sì che sono le priorità del Paese.

Sostegno alle scuole private: beh, se questa norma non c’era ci saremmo allarmati. Dopo aver visto la processione, la questua dei poveri gestori delle scuole private…ci voleva, ci voleva proprio. Nel frattempo, nella scuola pubblica s’acquistano i cancellini con le tasse pagate dagli allievi.

Sostegno a convenzioni con i Comuni per la stabilizzazioni dei lavoratori Asu: si noti “a convenzioni”. Come a dire: a te sì perché sei bravo…a te no perché sei comunista…ma va là…speriamo solo che non siano convenzioni per lo “zoccolume” di Palazzo.

Sostegno alla Giustizia: questa, siamo seri, ci voleva. Più il processo è breve, e più costa. Avete forse sentito dire che una cosa, più si protrae nel tempo, e più costa? Ah, ma allora non capite proprio niente…

Sostegno delle categorie socialmente svantaggiate: grazie, grazie signor Presidente, grazie ministro Tremonti, grazie. Un insegnante, con pochi anni di servizio, guadagna meno di 1.300 euro il mese: ci voleva proprio un aiuto per questi poveracci. Grazie di cuore: baciamo le mani a vossia.

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28 novembre 2009

Curiosità curiose

“…vi faccio la barba, o la fate da sé?”
Fabrizio de André – Don Raffaé – dall’album Le nuvole – 1990.

Dopo mesi nei quali tutti guardavano alla Presidenza della Repubblica come ad un faro, l’unico rimasto nella Italian Banana’s Republic, il Presidente Napolitano ha gelato tutti, richiamando la Magistratura: “nulla può abbattere un governo che abbia la fiducia della maggioranza del Parlamento”[1].
Ohibò, mi son detto, che Napolitano sia stato colto da Alzheimer?

In modo un po’ contorto, la frase ci potrebbe stare, ma c’è una sola persona alla quale la Costituzione affida il delicatissimo compito di mandare a casa il Parlamento (e, di conseguenza, il Governo in carica, salvo per l’ordinaria amministrazione): lui stesso.
Non m’invento nulla:

art. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tali facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato.

C’è da chiedersi perché i costituenti giunsero a scrivere una norma così chiara e senza nessuna ulteriore precisazione o limite: il potere di sciogliere le Camere, da parte del Presidente, non è temperato da nessun comma aggiuntivo.
La norma sembra discendere direttamente dagli Statuti Albertini, che assegnavano al Re poteri quasi assoluti (diremmo oggi) sulla nomina dei Ministri e delle Camere, rimasti in vigore fino alla caduta della Monarchia Sabauda.
Probabilmente, la ragione che condusse ad affidare alla Presidenza della Repubblica un simile potere, non fu per continuità con il Regno d’Italia, bensì per cautelarsi da eventuali “caudilli” che avessero dominato il Parlamento con vari mezzi. Mussolini, dominò e svuotò di reale potere il Parlamento grazie all’appoggio della Monarchia, ma anche con l’aiuto delle milizie fasciste.
Nel 1947, dunque, la “scottatura” del Fascismo bruciava ancora, al punto d’affidare alla Presidenza della Repubblica un potere/dilemma molto gravoso, ossia decidere se chi governava fosse ancora degno di farlo, anche se avesse avuto la maggioranza parlamentare per farlo.

In questi giorni, ha stupito non poco la veemenza con la quale l’ex presidente Ciampi sembrava voler rammentare all’attuale inquilino del Colle i suoi poteri[2]:

“Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all'opinione pubblica.”

Questo passaggio lascia qualche dubbio, perché Ciampi firmò il lodo Schifani, al pari del lodo Alfano di Napolitano, ma chi s’affretta a porre questa critica (dimenticando che Ciampi s’oppose alla legge Gasparri e ad altre leggi del Cavaliere) non soppesa, a mio avviso, sufficientemente un’altra parte dell’intervista:

“Viviamo un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell'azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto…”

E ancora:

“È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile.”

In effetti, ci sono delle differenze fra le due situazioni: nella precedente legislatura di Berlusconi, i rapporti di forza all’interno del Parlamento non erano squilibrati come oggi. Grazie alla “Calderol Porcata”, tre milioni d’italiani non hanno più rappresentanza parlamentare, e sono quasi tutti della sinistra.
Ciò ha condotto Berlusconi – uomo che mal sopporta l’equilibrio dei poteri – a ritenere d’aver vinto l’Italia al Lotto: da quel momento, è iniziato uno stillicidio di leggi ad personam, un legiferare confuso e quasi “on demand”, e sono sempre leggi che “rispondono” ai desideri della sola maggioranza. Ad esempio, la “demolizione” della scuola – sottraendole quasi 8 miliardi – per far cassa e pagare l’abolizione dell’ICI per i redditi più elevati (per quelli più bassi, l’aveva già abolita Prodi).
Non mancano mezzi e mezzucci, come il “nascondere” provvedimenti di spesa nei vari decreti “milleproroghe”, cercando in questo modo di vincere con la “sorpresa” o con la distrazione.

Tornando alla nostra domanda iniziale, allora, dovremmo chiederci quale sia il “limite” che un Presidente può sopportare prima di rimandare a casa le Camere ed il relativo Governo, perché quella norma – se è stata scritta così chiara nella Costituzione – un significato l’avrà. Poiché, non usare quella prerogativa, potrà domani essere rigettato dagli storici come un atto dovuto e non attuato.
Ovviamente, Ciampi non potrebbe mai invitare a chiare lettere il suo successore a percorrere quella via però, quelle parole così gravi sull’imbarbarimento della politica, sembrano quasi un messaggio subliminale.
C’è da chiedersi se il Presidente Pertini avrebbe sopportato fino a questo punto: avendo conosciuto e frequentato una persona a lui molto vicina, la mia opinione è che da un pezzo si sarebbe tornati a votare.

In ogni modo, anche la Presidenza della Repubblica – come ogni aspetto della vita politica italiana – ha le sue curiosità, che sono spesso motivo di sottili dietrologie.
Da quali ex stati risorgimentali sono giunti i Presidenti?
Si fa presto a dirlo:

Regno di Sardegna: 6 (Einaudi, Segni, Saragat, Pertini, Cossiga e Scalfaro)
Regno delle Due Sicilie: 3 (De Nicola, Leone e Napolitano) ma, attenzione, tutti rigorosamente napoletani.
Granducato di Toscana: 2 (Gronchi e Ciampi)
Stato della Chiesa: 0
Lombardo Veneto: 0
Altri: 0

Nessun Presidente è giunto dall’area adriatica, mentre Sardegna-Sicilia, il match delle isole maggiori, è fermo sul 2 – 0.
Cinque regioni hanno avuto ben 11 presidenti, le altre quindici nessuno.
Lombardia, Triveneto, Emilia…e via, giù fino a Lecce, nemmeno un Presidente.
Lo Stato della Chiesa – forse punito? – proprio niente.
Curioso, vero?
Chissà se la ragione di questi strani “regionalismi” – spicca la metà dei Presidenti all’ex Regno Sabaudo – non c’entri qualcosa con certe lobbies palesi, per nulla occulte, da sempre attive a Roma…chissà…nessuno c’aveva mai pensato, vero?

Nell’attesa che Napolitano soppesi l’invito di Ciampi, complottisti di tutte le parti, razze e religioni, d’Italia e d’Oltremare: scatenatevi!

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25 novembre 2009

Determinismo brigatista?

Nonostante la gran panoplia d’informazione presente sul Web, raramente si parla di brigatismo, lotta armata ed argomenti correlati.
Alcuni giorni or sono, furono recapitate ad alcuni quotidiani[1] delle lettere contenenti una sorta di “comunicato strategico”, che richiamava ad anni lontani, ed il Ministro dell’Interno Maroni ha recentemente esternato “preoccupazione” per l’evento.
Scorsi rapidamente la notizia, direi superficialmente, troppo superficialmente. Perché?
Poiché la teoria del complottismo ci ha abituati prima alla dietrologia che all’analisi, e dunque frettolosamente si conclude che, ciò che fa comodo al potere, è frutto inequivocabile del potere stesso.

Ci sono alcune defaillance in questi sillogismi: uno, ad esempio, riguarda gli shahid che si fanno saltare per colpire le truppe occidentali in Oriente. I quali, inequivocabilmente, esistono. Al prezzo della propria vita.
Non desideriamo entrare nel tourbillon delle opinioni che riguardano il “dopo 9/11”, poiché ci condurrebbe lontano dai nostri intenti, bensì sottolineare che – se qualcuno ritiene Al Qaeda una “succursale” del Pentagono (chi scrive non è fra questi) – quelli che si gettano con l’auto carica d’esplosivo contro i convogli militari sanno di morire, e la motivazione per giungere a tanto deve essere forte, radicata, convincente.
Chi vorrà approfondire le motivazioni del martirio islamico potrà trovare una breve spiegazione in nota[2], anche se non è questo l’argomento che andremo a trattare: ricordo, quando scrissi il libro su Al Qaeda[3], che una fonte citava, per il solo Pakistan, una “forza combattente” pronta a morire di circa 135.000 unità, formatasi, negli anni, nelle madrasse pakistane.

Il dato non è assolutamente incoerente, se si considera la popolazione del Paese (all’epoca, circa 150 milioni di persone), il reddito pro capite assai basso, l’alta sperequazione nella distribuzione della ricchezza, la diffusione dell’Islam di matrice wahabita ed il difficile accesso all’istruzione.
Considerate queste ragioni, non è certo azzardato concludere che milioni d’adolescenti pakistani siano “passati” nelle madrasse finanziate dalle varie organizzazioni caritatevoli islamiche, e che una parte di essi abbia maturato la convinzione di diventare martire per la causa.
Altrimenti, non potremmo spiegarci il costante “flusso” d’attentatori suicidi che continua, da anni: in altre parole, il quadro presentato è coerente.
Anche se le modalità d’intervento furono diverse (più per noi occidentali che per i musulmani), dovremmo anche riflettere sulle migliaia di combattenti islamici dapprima presenti in Libano, poi in Bosnia, in Cecenia, quindi in Iraq, Afghanistan, ecc.
Tutto ciò, per dire che le condizioni economiche, le culture tramandate, la presenza d’organizzazioni sul territorio ed altri fattori possono generare frutti come questi. Ovviamente, potremmo dissertare all’infinito sui finanziatori, sui “controllori” di queste operazioni, ma ci condurrebbe lontano perché è dell’Italia che desideriamo parlare, non del terrorismo di matrice islamica.

Maroni, come in altre occasioni, è solito “gettare il sasso nello stagno” per poi ritrarre la mano: attenzione – come nel caso del traffico d’organi – Maroni non è solito “sparare” panzane, poiché quel traffico sui migranti fu acclarato già nel 2004, in un dibattito a “porte chiuse” della Sanità Britannica. Semplicemente, pare dimenticarsi che – un Ministro dell’Interno – non può semplicemente lanciare il sasso nello stagno per poi stare a guardare i cerchi dell’acqua. Un Ministro dell’Interno, che comunica notizie di tale gravità, deve far seguire alle parole gli atti.
Non abbiamo nessuna difficoltà a credere che gli inquirenti stiano indagando su queste “Nuove BR”; ciò che ci ha colpito è un altro aspetto del problema: è “coerente”, con la realtà italiana, una nuova diffusione del fenomeno brigatista?
Per questa ragione abbiamo preferito porre all’attenzione dei lettori la questione pakistana – non per improbabili “saldature” fra i due fenomeni – ma per rendere un parallelismo nell’analisi che andremo ad esporre.

Maroni afferma che esistono delle “Nuove BR”, le quali hanno comunicato d’esser organizzate in nuclei territoriali in alcune città del Nord: ovvio, che qui – per i particolari della vicenda – dovremmo credere sia a Maroni e sia alle Nuove BR. Un po’ troppo.
Siano oppure no organizzate territoriali, armate o sedicenti armate, le nuove organizzazioni combattenti di matrice leninista non ci sembrano affatto, nell’attuale panorama politico ed economico italiano, una bestemmia.

Eppure, dobbiamo premettere che la situazione economica italiana non è certo quella pakistana e nemmeno quella statunitense, con il 15% della popolazione sotto la soglia di povertà. Obama gira il mondo con il suo potente Air Force One mentre, a casa, un americano su sei non ha da mangiare.
Questo, perché la soglia di povertà americana è calcolata su degli standard dell’ONU, i quali si basano sul numero di pasti non effettuati durante la settimana: vera fame, mica scherzi. In Italia, invece, la soglia di povertà è fissata in circa 222 euro il mese pro capite, ed è sotto questa soglia il 4,4% delle famiglie italiane[4].
Anche in Italia s’iniziano ad osservare persone che cercano cibo nei cassonetti alla chiusura dei mercati rionali, però la struttura della società italiana è molto diversa da quella americana, laddove la famiglia d’appartenenza è spesso un vago ricordo.

Tutti sappiamo che la vera rete di protezione contro la povertà, in Italia, non è lo Stato bensì la famiglia: sotto questo aspetto, siamo più simili al Pakistan (forti legami familiari e di clan, appartenenza religiosa, ecc, per semplificare molto) che agli USA.
Negli USA, spesso, vivere negli slum è quasi sempre sinonimo di piccola delinquenza, che si consuma in aggressioni a scopo di rapina, spesso individuali, mentre non esistono “germi” di rivolta collettiva. Almeno, ad oggi, e fatti salvi alcuni sporadici casi del passato come Oklahoma City, i quali furono ben delimitati nel tempo e non ebbero seguito.

In Italia, invece, la tradizione alla costituzione di società segrete e/o armate è radicata nella nostra cultura: iniziò nel Risorgimento, prosegui durante il Fascismo, si materializzò nella guerra partigiana, fu ripresa dalle BR (ed altri) negli anni ’70. E’ nel nostro DNA, come del resto la “squadraccia”, ossia il gruppo che s’oppone militarmente sul territorio all’organizzazione politico/militare di stampo marxista-leninista.
Riflettiamo che, ciò che avviene, prende forma in un diverso palcoscenico, ma con un retroterra culturale – una serie di “copioni”, verrebbe da dire – ben sedimentato nello scorrere delle generazioni.
E’ dunque fantapolitica immaginare che, fra pochi anni, avremo nuovamente a che fare con formazioni combattenti sul territorio, strutturate in piccoli gruppi, come avvenne in passato? Io non credo proprio, poiché le condizioni – o ci sono già oggi – oppure stanno maturando.
Cerchiamo di scorrerle, ad una ad una.

Una peculiarità scaturita dalla legge elettorale – la “Calderol Porcata” – è stata la sparizione dei partiti dell’estrema sinistra: un fatto inusuale nel panorama europeo, quando sia in Francia e sia in Germania – indipendenti oppure aggregati a formazioni socialdemocratiche – esistono gruppi comunisti, trotzkisti, ecc, i quali – pensiamo alla “Linke” tedesca – “pesano” nel panorama politico.
Non entriamo nel merito di quella “sparizione”, della fiducia sottratta loro in primis proprio dal loro elettorato tradizionale, poiché ci condurrebbe lontano: certifichiamo soltanto che, in Italia, 2-3 milioni di potenziali elettori non hanno più rappresentanza politica parlamentare (la presenza nelle Amministrazioni Locali sta scemando, e presto sparirà del tutto).
Chi è questa gente?
E’ in gran parte un elettorato che si sente tradito proprio dai leader come Bertinotti o Di Liberto, e che sta rapidamente perdendo interesse per i vari Vendola, Ferrero & compagnia cantante, poiché non riesce a capire – viste le forche caudine della soglia elettorale – il motivo che preclude la loro assimilazione in una sola forza politica. Risultato: è inutile essere un comunista “democratico”, perché tanto non esiste nessuna organizzazione che mi permetta d’esser rappresentato dove conta (o dovrebbe contare) ossia in Parlamento. Credetemi: così ragionano in tanti. E, i “tanti”, cominciano ad essere milioni di persone.

In questo panorama, iniziano a scaturire i frutti della cosiddetta “oramai passata” crisi economica: sarà pur vero che l’economia finanziaria “sta guarendo” (almeno, così raccontano…), ma sul fronte dell’economia reale – l’unica che c’interessa per questa analisi – i segnali sono disastrosi.
La vicenda Olivetti-Getronics-Bull-Eutelia-Noicom-Edisontel, tutti confluiti in Agile s.r.l. (ora Gruppo Omega), è una storia di quelle che fanno tremare i polsi: 9.000 persone che rischiano, nei prossimi mesi, di non avere più nessuna fonte di reddito! Ed è solo una delle tante.
In passato, queste crisi di ristrutturazione erano risolte con la cassa integrazione, la mobilità “lunga” verso la pensione e l’assunzione da parte del settore pubblico per i più giovani: ma, di crisi di ristrutturazione si trattava, crisi cicliche del capitalismo. Oggi?

La situazione internazionale ci vede poco attrezzati per competere nel panorama globalizzato: anni nei quali la ricerca ha languito (incredibile lo scarsissimo interesse per il settore energetico innovativo), la dismissione del patrimonio produttivo pubblico, più la completa deriva di una nazione oramai priva di una classe politica, stanno mostrando i frutti.
Per la classe politica non ci sono scusanti: alcune delle aziende sopra citate, oramai inviate al “Miglio Verde” dell’estinzione, solo vent’anni fa competevano con IBM sui mercati internazionali. La débacle è totale, e lo afferma persino Confindustria, pur cercando d’edulcorare la pillola mediante comunicati spruzzati di rosa shocking.
La responsabilità, ovviamente, non è da addebitare ai lavoratori, agli italiani in genere, ma al connubio fra la classe politica con i boiardi di Stato. Ma passiamo oltre.
E’ ancora possibile, in questo scenario, garantire tutti?

Qualcosa è possibile fare, ma è oramai evidente che il destino degli italiani, nel prossimo futuro, sarà quello d’ulteriori abbassamenti del reddito, privazioni di diritti, precarietà, difficoltà economiche e sociali di vario tipo e natura.
Questo perché, mediante le varie riforme pensionistiche, lo Stato ha fatto cassa per fronteggiare la perdita di posti di lavoro e di competitività sui mercati internazionali, ma le recenti dichiarazioni di Tremonti – nessun inasprimento del regime previdenziale – testimoniano che il sacco è giunto al fondo e che non si può andare oltre.
Anche sul fronte della precarietà del lavoro è difficile pensare a qualche “innovazione”, poiché solo più di schiavitù si tratterebbe.
In altre parole: siamo al capolinea.

In questo immaginario “capolinea” – freddo e buio, come nella tradizione letteraria e cinematografica – s’incontra un ceto politico ed imprenditoriale che non è assolutamente disposto a cedere privilegi e prebende che loro appaiono – nel confronto internazionale – pienamente giustificate. Dall’altra parte della via, moltitudini sempre più povere.
Organizzate? No, perché ha ceduto l’altro “pilastro” dell’organizzazione sociale del lavoro, ossia il sindacato. Trasformati, rigenerati in centri servizi, i caporioni della Triplice attendono posti e prebende dalla Casta politica, nient’altro. Rigorosamente divisi per false appartenenze, CISL ed UIL guardano verso la cosiddetta destra, la CGIL verso la cosiddetta sinistra.
Risultato: rivolta spontanea? No, sbagliato.

L’italiano medio è un suddito, non un cittadino e non si ribella: inveisce e blatera, bestemmia e minaccia, poi rientra nei ranghi e cerca carità.
La struttura della società italiana – proprio per i legami familiari, la “disponibilità” delle organizzazioni mafiose, le associazioni “caritatevoli” del potere ecclesiastico – consente, al prezzo di una graduale ma continua riduzione dei redditi, dei diritti e della propria dignità, di sopravvivere. Questo è lo “stellone” italiano: quello che consentirà a vostro figlio di campare con meno cose di voi, di sopravvivere, affogando la propria vita nell’insipienza di un vivere schiavo.

Tutto ciò, però, vale per grandi numeri, per vaste aggregazioni sociali, ma dimentichiamo un aspetto: la varianza, la differenza, che s’esprime in forma grafica con la campana di Gauss.
La società italiana non mette a ferro e fuoco le periferie come in Francia e non arresta completamente il Paese come gli scioperi in Germania, bensì comunica il suo malessere con le proprie modalità storiche, con i suoi tradizionali mezzi di rivolta: il brigantaggio, le organizzazioni segrete, ecc. Perché?
Poiché, a fronte di una vasta maggioranza che accetterà il tozzo di pane della carità – e di una minoranza che fuggirà nel dolore psicologico fino alle nevrosi, alle droghe, ecc – un’altra minoranza si ribellerà. Come? Con i mezzi della propria tradizione culturale, sedimentati nelle generazioni e via via riportati alla luce e rinvigoriti dalle circostanze.

Perché nacquero le organizzazioni combattenti di sinistra, negli anni ’70? Prima, dobbiamo porre attenzione sul quando nacquero.
Se la spontanea rivolta internazionale partì all’incirca fra il 1967 ed il 1970, le Brigate Rosse (di qui in avanti, useremo il termine in modo omnicomprensivo, per tutte le organizzazioni terroristiche di sinistra dell’epoca) iniziarono ad affermarsi dopo il 1975, e toccarono forse l’apice nel 1978, con il sequestro Moro.
Non perdiamoci in dietrologie sulle singole vicende: non è questo l’argomento.
Il “successo” delle Brigate Rosse iniziò proprio quando il grande movimento di quegli anni iniziò a barcollare, per giungere, nel 1980, all’acclarata sconfitta del movimento operaio, la famosa “marcia dei 40.000” quadri e funzionari FIAT di Torino[5]. Passò sotto le mie finestre.
Dove trasse energie, proseliti, “numeri” la lotta armata?

Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro e cercare di quantificare – con approssimazione – la consistenza dei movimenti di quegli anni.
Le generazioni che furono coinvolte nei rivolgimenti sociali dell’epoca furono all’incirca una decina, ed una generazione dell’epoca superava le 500.000 unità. Fonti (dell’epoca) quantificarono in circa un milione i giovani che fecero parte del Movimento Studentesco, della Sinistra extraparlamentare e d’alcuni partiti che avevano piccole rappresentanze parlamentari: come si può notare – sia pure a grandi linee – il dato è coerente.
I brigatisti condannati per reati di terrorismo, invece, non superarono le 6.000 unità, le quali comprendevano anche i cosiddetti “fiancheggiatori”, ossia chi semplicemente ospitò un terrorista, lo curò, lo aiutò, ecc. E’ da notare che queste persone furono la gran maggioranza, mentre i “gruppi di fuoco” furono sempre molto esigui, qualche centinaio di persone al massimo.
Da una moltitudine che urlava contro il potere, a far sparare le armi – in definitiva – furono poche centinaia, eppure il sangue versato fu tanto. Perché?

Poiché l’organizzazione terrorista gioca d’anticipo, non ha finalità di proselitismo alla luce del sole e su larga scala: la sua “lotta politica” sono le uccisioni stesse.
Sulle modalità di reclutamento c’è parecchia letteratura, e si ricava che i reclutatori avvicinavano persone che militavano nei gruppi extraparlamentari per indicazione di qualche “fiancheggiatore”, intavolavano vaghi discorsi ed osservavano la reazione del soggetto. Se c’erano elementi per loro positivi, veniva nuovamente avvicinato con argomenti sempre più espliciti: solo quando c’era oramai la certezza dell’adesione, l’organizzazione si “scopriva”.

Non è qui importante analizzare come andò a finire, perché qualsiasi società segreta o gruppo armato clandestino viene distrutto mediante la delazione: nemmeno il brigantaggio si sottrasse a questo principio, e la lotta partigiana ebbe successo soltanto perché avvenne in un quadro bellico, dove i vincitori erano al loro fianco.
Ciò che è invece interessante notare è che, per molti versi, la disillusione, lo sconforto italiano di questi anni – pur con importantissime differenze – è un sentimento che assomiglia molto all’atmosfera di “sconfitta” del movimento di quegli anni.

Si potrà dissertare all’infinito sulle differenze storiche, ma la percezione di sconfitta – al tempo una “rivoluzione mancata”, oggi la sensazione che il Paese non è più in grado di trovare “anticorpi” per risollevarsi – ha molti punti di contatto.
Ovviamente, senza avere le informazioni che certamente Maroni ha, non siamo in grado d’andar oltre ma – analizzando le dinamiche sociali – non crediamo proprio che il Ministro dell’Interno abbia desiderato creare del “polverone mediatico”, tanto meno che sia tutta una “bufala”.
I prodromi ci sono tutti.

Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.

20 novembre 2009

Cari amici di destra e di sinistra

E’ difficile iniziare questo discorso, però è necessario farlo: altrimenti, fra decenni saremo ancora qui a sbatterci sul muso mille piccole ritorsioni, accuse…tanti mal di pancia dei quali, francamente, potremmo fare a meno. E guadagnarci pure.
Poiché, mentre noi ci ributtiamo addosso i classici “comunista” e “fascista”, altri – che non saprei dire se accomunare ai “comunisti” od ai “fascisti” (basta riflettere su quanti “ex” di tutto ci sono nell’attuale Governo e nella cosiddetta Opposizione…) – ci stanno rubando anche le mutande. Rigorosamente rosse e nere, ovviamente.
Questo non significa affatto abiurare le proprie radici, saltare a piè pari le proprie esperienze, poiché questo siamo ed altro non potremmo essere: io, che mi sono formato nel marxismo ed ho “succhiato” latte rosso sin dalla nascita, male mi troverei ad agitare gagliardetti con i labari littori.
Ciò non significa che non possiamo parlarci – un tempo erano solo botte – e forse è meglio che impariamo a farlo, perché il nostro povero Paese ha bisogno di noi, delle nostre energie, delle nostre risorse, delle nostre idee. Tutte. Perché? Perché, chi dovrebbe averle, è giunto alla frutta e non ne ha proprio più.

Osserviamo cosa sta partorendo l’attuale classe politica: leggi ad personam, finanziamenti ad personas e leggi liberticide come quella che privatizzerà l’acqua potabile. Un settore strategico per l’economia ma anche per la vita non viene nemmeno discusso: sottoposto ad un semplice voto di fiducia! Ma stiamo impazzendo?
Il “Pianeta Acqua” – mi riprometto di tornarci più approfonditamente con un articolo ad hoc – comprende molteplici aspetti: dalle forniture civili a quelle industriali, l’agricoltura, il sistema d’approvvigionamento e la gestione dei corsi d’acqua…e…tutto finisce con un voto di fiducia che regalerà ai soliti noti soldi e mazzette, prelevate ancora una volta dalle nostre magre risorse? Siamo tornati all’esazione delle decime ed alla tassa sul macinato?
Immaginiamo che tutti desidereremmo una scuola che funzioni bene, un lavoro sicuro, una giustizia uguale per tutti che non ci metta vent’anni per una sentenza definitiva: soprattutto, vorremmo vivere in un Paese dove il sopruso non sia la regola, la raccomandazione la prassi e dove chi sbaglia paga, senza però essere ucciso in carcere per banali storie di spinelli o di parchimetri.
Veramente, crediamo che sbatterci sulla faccia i soliti epiteti, aiuti noi tutti? Forse, quegli epiteti sono dei “mantra” che contengono, nella loro essenza, proprio le soluzioni? Ne dubitiamo.

A ben pensarci, l’Italia non è mai stata “comunista”, e nemmeno ha avuto un sistema organizzato di “socialismo reale”: forse ebbe alcune impostazioni che facevano capo a quel tipo di scelta politica, ma ci furono cooperative “bianche” e “rosse”, difficile stabilire se fu una scelta completamente autoctona oppure dettata da aspetti ideologici.
Il Fascismo, invece, governò l’Italia per circa vent’anni, con “l’appendice” della Repubblica Sociale.
Oggi, sinceramente, mi mette in imbarazzo chi si dichiara “fascista”, poiché sottende un’appartenenza che più non esiste. E’ da notare, inoltre, che i vari governi europei di destra dell’epoca non furono assimilabili: nemmeno durante la guerra ebbero, poi, rapporti molto “fraterni”. Quelli fra Italia e Germania rimasero sempre improntati dal sospetto, mentre gli iberici puntarono più discretamente sul “carro” inglese, convinti che ci avrebbero perso di meno.
Ma, ciò che più colpisce, è che in Germania Hitler colpì proprio l’ala del suo movimento (le Camicie Brune) che più si sentiva vicino al “movimentismo” del primo Mussolini. Fatto che, Ernst Röhm, mai nascose.
In buona sostanza, Italia e Germania divennero “regimi” quando accolsero i diktat e s’appiattirono sui dettami del grande capitale e della gerarchia cattolica (la prima), degli junker dell’economia e dell’apparato militare la seconda.
Perciò, accomunarsi in qualche modo a quei regimi – ritenersi “Fascista” o “Nazista” – significa abiurare qualunque forma d’elaborazione politica, poiché furono gli stessi capi dell’epoca a promuovere quelle scelte che negavano l’elaborazione politica, pur mantenendo un aspetto di facciata per mascherarle.

C’è da dire che il “vento” dell’epoca era proprio quello del cosiddetto “Uomo forte”, colui che sarebbe stato in grado di condurre la nazione come un sol uomo: se gli americani avessero potuto, avrebbero eletto Roosevelt per dieci volte. E Stalin? E lo stesso Churchill, non fu accolto come il deus ex machina che tutto avrebbe risolto?
Perciò, se ci riferiamo a quei tempi, a quelle persone, a quelle vicende storiche – e le consideriamo riproducibili, valide, attuabili – stiamo perdendo soltanto del tempo, perché quel mondo non esiste più: sia per gli aspetti culturali e sociali, sia per la tecnologia, siamo di fronte ad un altro Pianeta.
Se, invece, desideriamo esplorare i fondamenti delle dottrine dell’epoca – ma nella loro essenza originaria, ossia il dibattito prima ideale, quindi politico – di cose da raccontare e da dibattere ce ne sono molte; un solo esempio: la Costituzione Italiana (art. 46) riconosce il diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle imprese. Tale principio era già contenuto in due disposizioni (1942, Fascismo e 1944, Repubblica Sociale), anche se si trattava di una legislazione emanata durante la guerra, che aveva – ovviamente – altre priorità.
Oggi è forse inutile cercare lumi da quei provvedimenti del tempo che fu – il Paese è troppo mutato – però capire che già allora ci si poneva il problema, può aiutare soprattutto chi crede che l’assioma dell’attuale liberismo sia inviolabile.

Il “pianeta” comunista è più variegato e più “espanso” nel tempo: non dimentichiamo che la principale economia (oramai, chiamarla emergente…) del Pianeta è la Cina, che mantiene l’impostazione comunista.
La Cina ha certamente – si dai tempi di Deng Xiaoping – assunto un atteggiamento pragmatico nei confronti dell’economia, ammettendo l’importanza del libero mercato temperato, però, dalla presenza dello Stato.
Se ci mettiamo a discettare sulle defaillance dei cinesi ne troveremmo a iosa, ma questo vale probabilmente per l’intero Pianeta: l’importante – parlando di Cina – è capire che in tutti i documenti ufficiali cinesi l’attuale fase è vista, appunto, solo come una “fase”.
Non è facile capire cosa intendano i cinesi per una “fase” capitalista all’interno di un processo che dovrebbe condurre ad una società socialista, ed è arduo soprattutto perché noi non siamo cinesi, non siamo cresciuti leggendo Kong-Fuzi né Lao-Tse, tanto meno Mao o Zhou Enlai.
Se scorriamo le esperienze “comuniste” nel Pianeta ne scoviamo, solo che alcune si trovano in Paesi lontanissimi da noi per cultura, mentre altre (i tentativi centro-sudamericani) sono più vicine (la cultura cattolica ed iberica) ma fanno capo a Paesi piccoli, con apparati produttivi molto diversi dal nostro, sono popolate da gruppi etnici assai variegati, sui quali è stata “sovrapposta” una cultura, ecc…
Insomma, da un lato grandi Paesi con abissi culturali che ci separano, dall’altro piccoli Paesi con i quali possiamo trovare comunanze, ma le realtà sono diversissime. Ne sanno qualcosa i vecchi amministratori emiliani, quando si trovavano a discutere di “socialismo” con i sovietici: non mi riferisco alle elucubrazioni “di facciata” (le “iperboli” di Togliatti ai congressi del PCUS), bensì alle difficoltà spicciole sul commercio, sullo scambio di delegazioni…due mondi che difficilmente riuscivano a capirsi.

Riassumendo, ci rimane ben poco: lontane esperienze della prima metà del Novecento per i governi di Destra, un panorama variegato e di scarsa utilità per quelli di Sinistra, passati ed attuali. Perciò, se desideriamo riprendere in mano i destini del nostro Paese, assegnarci ad una “appartenenza” del tutto ideologica finisce per farci perdere solo del tempo e complicarci la vita.
Ciò non significa che, domani, potranno esistere differenti visioni, approcci diversi ai problemi, alle soluzioni, ma in un quadro completamente diverso sia dalla sterile contrapposizione “E’ Fascista, è Comunista, non voglio nemmeno ascoltarlo”, sia dall’inciucio permanente delle corruttele al quale siamo abituati.
Oggi, invece, l’emergenza nazionale che abbiamo di fronte c’impone di superare le nostre divisioni, poiché qui non ci si divide più fra chi si dice “Fascista” – e poi? Ripristinerebbe il Sabato Fascista ed i Saggi Ginnici? I moschetti? Ma va là… – e chi ancora immagina che, un bel giorno, la salvifica rivoluzione porti alla Repubblica Popolare Italiana dove tutti i mali, d’incanto, spariranno.

Gli utili idioti non mancano da entrambe le parti: gente con le svastiche tatuate che va in giro ad aggredire i gay e, per contrappasso, qualche Strafe Expedition verso i centri sociali di destra. E’ un bel modo di trascorrere “pericolosamente” il nostro tempo, giocando ai Ragazzi della Via Pal mentre gli altri – proprio additando il “pericolo rosso e nero” – ci sfilano l’ultimo paio di mutande rimasto.
Sono dibattiti “culturali” fra chi non ha mai letto una riga di Marx né sa cosa siano i “Canti Pisani”.
La differenza importante, invece, è fra chi ancora crede nell’importanza dello Stato (con varie e diverse accezioni, ma se ne può discutere) e chi, invece, ritiene che l’unica cosa da fare è attendere il bollettino mensile del WTO, quello del FMI, l’ultimo report dell’ambasciata USA e ricopiare. Fedelmente e senza errori ortografici, mi raccomando.
Se, invece, volessimo partire dai nostri problemi, troveremmo probabilmente più punti di contatto che di frizione: non perché gli “opposti estremismi” si toccano! Cavolate! Semplicemente, perché il buon senso accomuna le menti che intendono risolvere, non chiacchierare.
Prendiamo in esame alcuni semplici esempi, non per svolgerli come si dovrebbe – mancherebbe il tempo e lo spazio, e non è lo scopo di questo articolo – ma per renderci conto di quante cose potremmo esigere perché coerenti con una vita migliore, per tutti.

La classe politica giustifica la privatizzazione dell’acqua allargando le braccia: ci vorrebbero 60 miliardi di euro per risistemare la rete degli acquedotti! Non li abbiamo! Li metteranno, ovviamente, i privati. Come no.
Il problema è tappare le troppe falle degli acquedotti italiani?
Al Politecnico di Torino hanno inventato un marchingegno tecnologicamente complesso ma concettualmente semplice: un piccolo “pesce”, che è in grado di rilevare le perdite (poiché emettono suoni riconoscibili dal normale flusso), viene immesso nelle tubazioni degli acquedotti. Quando trova una falla, invia un segnale radio (probabilmente utilizzando il sistema GPS, ma non ne sono certo) e chi deve riparare quella falla va a colpo sicuro: il risparmio di tempo e di denaro è notevole, visto che il 58% dell’acqua va perduta proprio dalle falle delle grandi condotte.
Il congegno inventato a Torino ha già ottenuto importanti riconoscimenti, al punto che in Qatar (là, d’acqua ce n’è poca…) lo hanno premiato con un milione di euro e stanno pensando alla produzione industriale del sistema. E in Italia?

Una volta strutturato il progetto, abbiamo provato a proporlo in Italia, ma non abbiamo riscosso immediato interesse. Visto che ci credevamo, ci abbiamo lavorato nei rimasugli di tempo, con materiale di scarto del laboratorio. Forse anche grazie a questo è stato possibile realizzare un oggetto a basso costo[1]”.

Questi bravi ingegneri ci hanno provato ma…ahimè…è mancato “l’interesse”…già: costa poco, poca trippa per gatti e…per tangenti!

Vediamo invece cos’è successo in Finlandia per un’altra scoperta.
Nel 1998, i finlandesi si mettono in testa che sia possibile rilevare la presenza dell’Helicobacter mediante semplici analisi del sangue, evitando così la più invasiva (e costosa) gastroscopia e…ci riescono!
La Biohit Diagnostics mette a punto le procedure d’analisi, che poi sono rivendute all’estero sotto forma di licenza (od altre, simili forme commerciali) in tutto il mondo. Ovviamente, il “ritorno” commerciale per la Biohit (e per la ricerca finlandese) è cospicuo.
Non c’interessa valutare i parallelismi fra le due scoperte sotto l’aspetto economico e scientifico, bensì sottoporre all’attenzione dei lettori i differenti scenari nei quali sono avvenute, che determinano effetti ben diversi.
In Finlandia, ricchezza per i finlandesi, in Italia…non sappiamo: l’acqua continuerà a perdersi dalle tubazioni degli acquedotti e, magari, in Qatar nascerà una joint venture con capitale misto, ma niente che potrà cambiare nulla, o molto poco, per noi italiani.
A questo punto – gli esempi sarebbero tantissimi, potrei continuare per intere pagine – c’è da chiedersi quale sia la differenza: i finlandesi, che so, hanno forse le antennine da marziani?

No: semplicemente, hanno ancora uno Stato, uno Stato che si cura di porre delle regole e di coadiuvare l’economia senza invaderla, semplicemente stabilendo delle priorità, negando dove occorre…insomma, uno Stato che fa semplicemente il suo dovere. Uno Stato autorevole senza essere autoritario.
In Italia, abbiamo uno Stato autoritario e violento – le vicende Cucchi et similia insegnano – che non sa essere autorevole mai, al punto che si merita solo delle pernacchie.
Vi rendete conto che, nel momento stesso nel quale scrivo queste righe, sta per andare in scena la (così spacciata) più “grande” riforma della scuola dai tempi di Gentile? Siamo quasi a Dicembre, gli allievi delle Medie devono scegliere a quale scuole iscriversi e…nessuno lo sa!
Compaiono anticipazioni dei futuri Licei sui giornali e sul Web, ma le scuole – ufficialmente – non sanno nulla! A Novembre, nemmeno i Dirigenti Scolastici sanno a cosa andremo incontro: questo è esser Stato? Autorevole?!? Siamo alla frutta!
Miss Gelmini chiacchiera nei TG, tutti dibattono nei consessi televisivi…sul nulla, perché non c’è niente! Solo qualche tabella sparsa qui e là. Un vero Stato, dovrebbe comunicare con largo anticipo la riforma, sin nei minimi particolari, perché chi deve scegliere per la propria vita ha il diritto di saperlo per tempo!

Nel ridicolo Stato italiano, invece, ci si bea perché in provincia di Brescia le amministrazioni leghiste hanno iniziato la “pulizia di Natale” – sì, l’hanno chiamata proprio così! Mancava solo un “etnica” per condimento! – nei confronti degli immigrati irregolari o con il permesso di soggiorno in scadenza. E l’hanno giustificato con uno slogan: il “White Christmas”[2], il “Natale dei Bianchi Cristiani”! Contro chi?
Contro il perfido nero immigrato che viene a rubare…ma che cosa viene a rubare, se – cari leghisti[3] e tutta la pletora politica – i primi ladroni d’Italia siete proprio voi! Non è forse vero che il 30% dei finanziamenti pubblici va “perso” in tangenti? Proprio come l’acqua. Privatizzerete anche la tangente? Ma andate a…
Nei Paesi dove lo Stato è autorevole ma non autoritario, è impossibile essere immigrati senza essere stati precedentemente accettati: altra carenza di uno Stato autoritario ma inefficiente.

Qualcuno potrà pensare che “così è sempre stato in Italia, e non c’è niente da fare: e poi, a me che me ne frega…”: a parte che è falso, perché nel dopoguerra l’Italia ebbe una classe politica decente, ed i risultati ci furono, ma tutti ne siamo coinvolti.
Se la classe politica non fa nulla per catalizzare lo sviluppo di un’economia più efficiente, il sistema produttivo sarà sempre in affanno ed accumulerà scarsi profitti e copiose perdite. Ciò, si tradurrà in due inevitabili e paralleli scenari: aumento della pressione fiscale e restrizioni sui diritti dei lavoratori.
Nel primo scenario saremo tutti a pagare – chi più e chi meno, salvo una ristretta cerchia – mentre nel secondo si dovrà allungare la permanenza al lavoro e rendere lo stesso meno remunerativo e più precario.
In definitiva, siamo all’assurdo: manteniamo al lavoro generazioni che non hanno più nulla da dare – riflettiamo sull’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, un fallimento, nonostante un Brontolo veneziano continui a blaterare c… – mentre rimangono ai margini del vero lavoro (e, quindi, della vera vita intesa come indipendenza e socialità) le giovani generazioni, che svolgono mansioni spesso inutili, “progetti” che non si sa dove conducano, ecc.
In fin dei conti, perché dobbiamo essere tempestati dalle telefonate dei call center che ci vogliono vendere di tutto, anche se non ne abbiamo nessun bisogno? Questo sarebbe “lavoro”?

Ma, la classe politica, ha bisogno di creare delle sacche di ricchezza per calmierare la sua insipienza: dove prendere le risorse per dare quattro soldi ai disoccupati? Dalle casse dell’INPS! E, allora, sempre più tardi in pensione e lavori sempre meno pagati e precari.
L’unico comparto che non viene mai toccato è quello relativo ai loro compensi ed al mondo delle tangenti: lì, i finanziamenti devono continuare, cospicui, altrimenti il perverso sistema s’inceppa.
La stampa ha campato per mesi sulla vicenda dello Zoccoluto che siede a Palazzo Chigi, con toni da romanzo d’appendice, ma pochi hanno scorto il vero vulnus. Personalmente, se a Berlusconi piacciono le puttane, sono affari suoi: diventano affari miei quando a pagargliele è un “faccendiere” della Sanità, che le foraggerà con le tasse che noi tutti paghiamo per la Sanità, di destra e di sinistra.
Ma, in queste vicende, c’è qualcosa di “destra” o di “sinistra”? Qualcuno può essere favorevole o contrario soltanto per un’evanescente appartenenza politica?
Si dirà: la maggioranza degli italiani non è né di destra e nemmeno di sinistra, bensì appartengono al partito trasversale del “Franza o Spagna, basta che se magna”. Verissimo.

Il sistema, però, ogni anno che passa diventa sempre più instabile: i meno attenti pensano che lo “stellone” possa durare all’infinito, ma così non è. Ad ogni Finanziaria sono sudori, si raschia oramai oltre il fondo del barile.
D’altro canto, per invertire la tendenza, poco si può fare per l’industria manifatturiera e per le attività più tradizionali: molto, invece, si potrebbe fare nel comparto dell’agricoltura e della silvicoltura di qualità, nel settore energetico – che, da solo, potrebbe “dirottare” nelle tasche degli italiani decine di miliardi di euro l’anno, come ho spiegato in tanti articoli – bisognerebbe poi metter mano all’irrazionale sistema di trasporto italiano: una penisola che quasi non ha più navigazione di cabotaggio! E la navigazione interna? Il necessario supporto delle reti telematiche a banda larga? Il telelavoro?
In altre parole, è di una diversa pianificazione del vivere sociale che abbiamo bisogno: meno spinta al consumo e maggior produzione di beni durevoli (per rallentare la “corsa” del rifiuto), sperimentazione di nuovi mezzi di locomozione per un diverso futuro energetico, meno treni ad alta velocità e più collegamenti ferroviari precisi e frequenti per le tratte brevi e medie. Recuperare il territorio che stanno abbandonando, perché lì ci sono le vere risorse, non l’aria fritta che spacciano.

Il paradosso dei paradossi, è che abbiamo una classe politica completamente asservita ai potentati internazionali e nazionali, alle lobbies bancarie e dell’energia, alle diplomazie straniere, ai grandi gruppi editoriali la quale – ecco il paradosso – si auto-delimita accuratamente, baluginando “confini” in sedicenti “Destre” e “Sinistre”.
Noi, che siamo i destinatari di tanta scempiaggine, li seguiamo come caproni, riproponendo al nostro interno delle suddivisioni di facciata, inutili, antistoriche e, così facendo, riusciamo a segnare ogni giorno dei clamorosi goal. Nella nostra porta.
E loro se la ridono.

La faccenda è rigorosamente bipartisan: Ferrero (Rifondazione Comunista) blatera a vanvera sui lavoratori, sulla giustizia, bla, bla…e poi intasca – senza fornire spiegazioni! – “contributi elettorali” per 129.500 euro, persino dalle associazioni dei cementieri[4]!
Qual è il senso dei contributi? Tutte quelle aziende s’erano forse impegnate in un vigoroso piano d’edilizia popolare per i meno abbienti? Ferrero, per favore…

Se a Sparta si piange, ad Atene non si canta vittoria.
Ci chiediamo cosa pensino le persone di “destra” del pietoso teatrino che sta andando in scena fra Berlusconi, Fini, Storace e la signora Garnero, un tempo coniugata Santanché.
Se Fini fa il buono, Storace subisce l’ostracismo: qualora, invece, Fini attenti alla poltrona del capo, ecco che il Capoccione Zoccoluto va a ripescare una tizia (per educazione, limito gli appellativi, anche se la fantasia non mancherebbe…) come la Garnero/Santanché, e fa un bel accordo elettorale[5].
Sarei curioso di sapere come si sentano rappresentati persone di “destra” da una tizia che si è “fatta le ossa” (politicamente, ovvio) nel Billionaire di Flavio Briatore, la quale altro non sa fare che fomentare disordini per dilemmi che agli italiani stanno veramente a cuore – ossia questioni di burka: tutte le italiane, mentre si recano al lavoro (o lo cercano) non pensano ad altro… – sa inoltre mostrare le gambe dall’Insetto ed affermare che, lei, al “capo non gliela dà”. Perché, è d’obbligo dargliela?
Se queste sono le persone per le quali, chi si ritiene di “destra” crede che valga la pena di lottare, beh…s’accomodi alla pernacchia.

Tutto quello che abbiamo raccontato potrebbe apparire scontato e retorico, e invece non lo è nella misura della consapevolezza – tutti compresi, anche chi si dà delle arie e crede che commentare sul Web lo estragga automaticamente dall’inganno – che si ha delle cosiddette “istituzioni” e della cosiddetta “politica”.
Gira e rigira, salta sempre fuori che uno certe cose le dice perché è di “sinistra” oppure di “destra”: siamo noi i primi a cercare confini e demarcazioni e loro, semplicemente, le sfruttano!
Se, invece, cerchiamo qualche fondamento meno evanescente e più “radicato” sul terreno della politica e della sociologia, potremmo chiederci quanto le posizioni di un De Benoist (è di destra? Possiamo inchiodarlo con le puntine da disegno nel tabellone di destra?) sul comunitarismo, sul radicamento sociale (e reale) delle comunità sul territorio sia ancora accomunabile a posizioni “fasciste”. Oppure, se le iperboli del pensiero di Rifkin, l’immaginazione di un mondo paritario e paritetico, unito dalle reti peer-to-peer telematiche e dell’energia sia “di sinistra”. Di quale sinistra, quella che è sepolta nell’Europa manifatturiera di stampo ottocentesco?
Oppure, se l’incedere del nuovo pensiero underground – perché veramente nascosto e sotterraneo, confinato nelle “riserve indiane” del Web – non abbia definitivamente sepolto queste categorie oramai obsolete. Guardiamo avanti, con coraggio, non indietro.
Sappiamo perfettamente che il vero potere economico e politico risiede nei tanti Mister X che siedono nelle lobby e nelle fondazioni, ma non possiamo chiedere conto del disastro a quei signori perché – furbescamente – rimangono dietro le quinte. Mandano avanti i loro lacchè, la casta politica: con questi, però, possiamo prendercela, eccome. Iniziare, almeno, ad allargare la frattura delle loro contraddizioni.

Il 5 Dicembre è stato indetta una manifestazione detta “No B day”, che vorrebbe manifestare il rifiuto verso l’attuale modo di (s)governare dell’attuale Presidente del Consiglio. Non che quelli che lo hanno preceduto facessero cose assai diverse, ma Berlusconi riesce a metterci un certo “valore aggiunto” che, francamente, disgusta.
Qualcuno s’è già lanciato “a pesce” sulla manifestazione – Di Pietro, che è dappertutto, come la gramigna e Ferrero, che farebbe meglio a raccontare cosa ne ha fatto dei soldi ricevuti dai cementieri – ma lo spirito del raduno è nato dal Web, da un tam tam sui social network, da un passaparola telematico.
By-passando chi già cerca di “metterci il cappello” (questa gente sempre ci sarà: Di Pietro, meglio farebbe a spiegarci come mai suo figlio è già incorso in problemi di corruttele…sembra un pessimo film, “Mastella 2: la vendetta”…), questa manifestazione è importante perché è la prima che non è stata indetta da apparati di potere legati ai partiti[6]. Difatti, ci sarà libera partecipazione con esposizione di simboli, ma nessuno dei leader politici potrà salire sul palco[7] ed il PD – spocchioso, “o lo organizzo io, altrimenti non ci vado” – ignorerà l’evento. Tanto meglio: stiano pure con Mister B ed il fallito Mister PESC, questa gente ci è più d’impiccio che d’aiuto.

Il leitmotiv della manifestazione sarà la difesa della Costituzione – dei valori della Costituzione Repubblicana – e della Presidenza della Repubblica come simbolo che la conserva.
In altre parole, si va oltre le persone per giungere ai simboli, al richiamo di quella Carta Costituzionale fra le migliori del Pianeta, e mai attuata. E si chiede anche la non privatizzazione dell’acqua, il no al nucleare (che significa cercare altre strade per l’energia, un nuovo modello di sviluppo, lontano dalle “iperboli” liberiste, ecc): insomma, quel coacervo d’idee – spesso tumultuose, sono il primo a riconoscerlo – che da anni discutiamo sul Web.
Non c’aspettiamo chissà quali risultati – siamo coscienti della potenza delle lobbies internazionali, palesi ed occulte – però è un gran bel momento quando tanta gente scende in piazza, democraticamente, per affermare che desidererebbe un’altra politica, un’altra economia, un altro modo di vivere. Un mondo migliore e per tutti: di destra e di sinistra.
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09 novembre 2009

Carlo Giovanardi detto “il Terminator”


Osservate bene il viso di quest’uomo: costui è un “Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche per la famiglia, al contrasto delle tossicodipendenze e al servizio civile”, come si può leggere sul sito del Governo[1].
E’ la stessa persona che appena commentato la morte di Stefano Cucchi con le seguenti parole:

Stefano Cucchi è morto perché “anoressico, drogato e sieropositivo. Era in carcere perché era uno spacciatore abituale. La verità verrà fuori, e si capirà che è morto soprattutto perché era di 42 chili. (E’ la droga N d. A.) che ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, poi c'è il fatto che in cinque giorni sia peggiorato, certo bisogna vedere come i medici l'hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così.[2]

Aggiungo l’audio in una differente nota[3], perché è difficile credere che un personaggio che ha responsabilità di governo possa pronunciare simili castronerie.

Terminator/Giovanardi è per prima cosa un mendace, poiché afferma che Stefano era sieropositivo – la famiglia ha sempre ammesso la tossicodipendenza, ma sempre smentito la sieropositività – e dunque il Conan da Modena dovrebbe per lo meno citare le fonti. Se le ha.

Per seconda cosa è un pagano nel senso spregiativo del termine, perché pronunciando quelle parole ha abiurato non solo la (sedicente) religione alla quale appartiene, bensì dimostra di nemmeno conoscere i Vangeli, la vita del Cristo, la Pietas, la Carità, la Misericordia. E neppure mostra un po’ di comprensione per il dolore dei genitori.

Per terza cosa, Giovanardi riteniamo che abbia molte difficoltà nell’attività politica, come le ha qualsiasi non vedente. Non ci può essere altra spiegazione: Giovanardi è orbo, non ha visto sul viso di Stefano i segni delle botte, né il pietoso stato del suo corpo dopo la morte. Attenzione, sono immagini crude[4].

Per quarta cosa, ci sovviene il dubbio che Giovanardi millanti una Laurea in Legge, che non comprendiamo come possa aver conseguito, giacché quel corso di Laurea prevede un esame d’Italiano, e Giovanardi non sa leggere. Se sapesse leggere, avrebbe letto i referti medici dell’autopsia sul povero Stefano[5], nella quale sono state rilevate “lesioni ed ecchimosi nella regione palpebrale bilaterale…la rottura di alcune vertebre…presenza di sangue nello stomaco e nell’uretra”. Tutte causate dagli spinelli, ovviamente.

Fine dell’ironia.
Le affermazioni di Giovanardi sono di una gravità incommensurabile, di una tristezza intellettuale senza limiti, sono un vulnus che – in qualsiasi Paese civile – condurrebbero immediatamente alle dimissioni.
Non stiamo eccedendo né estremizzando: le uniche affermazioni che possiamo accomunare a quelle di Giovanardi sono le esternazioni dei Generali argentini e cileni, le quali tentavano di giustificare le pratiche dei vari “Squadroni della Morte” sudamericani.

Ma c’è un precedente ancor più sinistro e terribile: se, come si può evincere dalle parole di Giovanardi, Stefano è morto in quanto “drogato”, quindi “fragile”, “ineluttabilmente destinato” – non pensiamo di travisare il Giovanard-pensiero, perché altro non si può concludere dalle sue parole – Carlo Giovanardi s’affratella ad un altro individuo che sancì l’indegnità di vivere per i debilitati, i gracili, gli psicolabili. Era Adolf Hitler.

Buona famiglia, buon contrasto alle tossicodipendenze e buon servizio civile a tutti: siete in buone mani.


Articolo liberamente riproducibile nella sua integrità, ovvia la citazione della fonte.


06 novembre 2009

Niente paura: è tutta opera dello Spirito Santo

“…e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato,
ci costringe a sognare in un giardino incantato.”
Fabrizio de André – Un blasfemo – dall’album Non al denaro non all'amore né al cielo – 1971.

La recente sentenza della Corte Europea – la vicenda di “crocifissi negati”, per le reazioni che ha generato – è una di quelle storie vomitevoli, da paese sottosviluppato, il quale non riesce a comprendere non il Diritto, ma soltanto i principi che lo sottendono, i quali sono la base della convivenza.
Anche il tono di chi commenta, a volte, fa arrossire: ma, davvero, nel 2009 – con tutti i guai che ci circondano – dobbiamo perderci in una guerra di religione? Sono questi i termini della vicenda?
Se una Corte Europea ha emanato quella sentenza, la prima cosa da fare è mettere sotto processo la Corte e l’Europa in genere? Gente che fino al giorno prima si sperticava in elogi per questo o quel trattato, improvvisamente nega tutto? Oppure, all’opposto, chi nega l’Europa per altri (e validissimi) motivi, per quale ragione non riesce a separare una vicenda dalle altre? Dobbiamo forse ricordare che, una delle principali conquiste civili, è stata quella di bruciare solo il libro, e non (insieme) l’autore?

Ovviamente, si possono avere le più disparate opinioni sui crocifissi ed altri simboli religiosi, ma non si può omettere – né nascondere dietro ad un dito – ciò che significano.
Da più parti, si solleva il vulnus dell’identità europea tradita: è una colossale falsità.
Per prima cosa, la strenua difesa in trincea del crocifisso non appartiene alla cristianità europea, bensì al solo cattolicesimo europeo, che è altra cosa. Solo che, chi vive in un angolo d’Europa e non alza mai la testa, difficilmente riesce a rendersene conto, accecato dal proprio provincialismo.
Salvo quattro Paesi – Italia, Spagna, Portogallo e Polonia – tutte le altre nazioni europee sono realmente multi-religiose, senza sconti: provate ad affermare, in Germania, la presunta “superiorità” di un culto e vedrete come vi risponderanno. Con un’alzata di spalle che sa tanto di commiserazione.
Se questi quattro Paesi desiderano vivere all’interno di un quadro comunitario, devono accettare delle regole che siano di garanzia per tutti, regole libertarie, che concedono la piena libertà di culto per tutti e, parallelamente, nessun accenno di supremazia nei confronti d’altre fedi.

E’ proprio così difficile immaginare un posto, nazione, continente o pianeta dove chiunque ha un credo – rispettando, ovviamente, la legge (inchiodare i gatti alle porte delle chiese non può essere accettato, perché offende le norme che riguardano gli animali e la salvaguardia degli edifici) – lo professa in piena libertà, senza pretendere che alcuni simboli – solo i suoi! – campeggino negli edifici pubblici, ossia nei luoghi che appartengono alla collettività?
Perché, avendo specifici luoghi di culto – garantiti proprio dalla legge – i simboli di un solo credo devono pervadere tutti gli ambienti? Perché questa è l’identità europea? Altra balla colossale, sia per l’oggi, sia per il passato.

Per chi non se ne fosse accorto, l’Italia – sono parole di Giovanni Paolo II, non mie – è “terra di missione”, tanto la religione cattolica è vissuta e praticata da una minoranza della popolazione. A parte le tradizionali presenze (Ebraismo e Protestantesimo), ci sono circa 20.000 italiani convertiti all’Islam: italiani, non africani.
Quanti sono i buddisti? Decine di migliaia, che seguono differenti aspetti della dottrina.
Ciò che però stupisce, è che tantissimi italiani oramai credono nella reincarnazione, s’identificano con principi animisti, rispolverano gli antichi Pantheon greco-romani. Quanti? Tantissimi, basta ascoltare qualche confidenza: se non basta, leggere le rilevazioni statistiche di fonte “non sospetta”[1]: il 30%!
Se un italiano su tre è cattolico praticante, uno su tre crede nella reincarnazione, altri si definiscono agnostici, induisti, buddisti, musulmani, ecc – a volte in un quadro di “credere senza appartenere”, come giustamente afferma Pier Luigi Zoccatelli, l’autore citato in nota – si può ancora affermare l’omogeneità e la completa sovrapponibilità di un credo religioso in una nazione?

Ma, ribaltiamo la domanda al religioso: è assolutamente necessario appartenere per credere? Oppure il credere senza appartenenza, il vagare cercando, lo sperimentare con fatica, l’assaporare gioie e disillusioni nella propria ricerca interiore, è valore infimo rispetto all’appartenenza, con o senza condizioni?
Perché mai – mi domando – dovrei percepire come “inferiore”, “incompiuto” od altro chi, semplicemente, dichiara d’essere alla ricerca di quella coerenza interiore che è stata – per millenni! – l’avventura filosofica?
Oppure, solo la Scolastica è da assaporare come scuola di pensiero?
Il respiro della libertà – tante volte citato a sproposito, per meri scopi di bottega – non dovrebbe comprendere tutti, al punto d’ascoltare chi riteniamo possa portare conoscenza, indicarci una via, avvalorare una tesi? Senza chiedere, prima, a quale appartenenza esso appartenga?
E veniamo alla Storia, spesso citata a sproposito per avvalorare tesi che non stanno in piedi.

Quando comincia la Storia?
Sotto Augusto, quando nacque il Cristo? Oppure la storia europea ha inizio con i Carolingi? Con l’avvento degli stati nazionali? Quando? Perché ciascuno di questi periodi contiene in sé aperte contraddizioni con l’Europa “giudaico-cristiana”.
Quando nacque il Cristo, l’Europa era Pagana. Poi divenne cristiana, ma con il Cristianesimo iniziò l’Eresia: vogliamo parlare dei Catari, di Dolcino, dei Giansenisti…di Pietro Valdo, di Savonarola…del Nicolaismo, della Simonia…
Nessuna contraddizione? Solo la Chiesa di Roma, che ordinava Cardinali – a 12 anni! – i rampolli delle famiglie nobiliari romane, non sbagliava?
Si giunse ad un cattolicissimo re di Spagna, protettore della Santa Sede come Imperatore del Sacro Romano Impero – ovviamente – il quale, nella tempesta della Riforma, per meri scopi dinastici permise ad un’armata protestante d’attraversare l’Italia e mettere al sacco Roma. Era Carlo V.
Fino al XV secolo, l’Andalusia era musulmana ed ebrea – e vissero in pace, fino all’arrivo d’Isabella la Cattolica – mentre gran parte dell’Europa Orientale fu Ottomana almeno fino all’Ottocento. E gli ortodossi greci e balcanici?
Certo che ci sono delle radici giudaiche e cristiane, ma ne esistono altre: la presenza musulmana, nell’est, durò secoli. Se queste radici esistono, perché sono i soli cattolici a reclamarne l’eredità? Perché i Luterani non sembrano molto interessati a queste vicende? Tanto meno gli Ortodossi?

E veniamo all’oggi.
Attualmente, il 5% della popolazione che risiede in Italia è composta da immigrati, in maggioranza musulmani, ma anche ortodossi, induisti, ecc: nelle altre nazioni europee, sono ancor più.
Nessuno si sogna, in Gran Bretagna, di discriminare una persona perché Buddista o Sikh: al massimo, ci fanno pure un divertente film come “Sognando Beckam”.
Chi sogna improbabili “paradisi razziali”, si metta il cuore in pace: che ci piaccia oppure no, senza un costante afflusso di “sangue fresco” l’Italia deperirebbe come una pera rinsecchita. La migrazione, nella Storia, è la normalità, non l’eccezione.
La natalità è soltanto retta dai figli degli immigrati (che, difatti, a fronte del 5% della popolazione, sono il 10% della popolazione scolastica) e, senza di loro, gli apparati produttivi non funzionerebbero. Quale giovane italiano, oggi, sa allevare un vitello? Dobbiamo importare anche i falegnami, perché i ragazzi italiani non vogliono più aver a che fare con segatura e trucioli: l’aspetto curioso, è che importiamo anche suore e preti da Paesi di tradizione non cattolica e poi…vogliamo discettare sui crocifissi?

Personalmente, nessun crocifisso mi ha mai disturbato, però mi è sempre parsa una stupidaggine imporre dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, giacché non tutti li riconoscono come tali, e dunque si possono generare reazioni negative proprio nei confronti di figure che – volendo essere veicoli di fratellanza e di pace – finiscono per dividere invece d’unire. Fra l’altro, l’icona di un uomo inchiodato ad una croce di legno non sempre viene compresa e necessita di spiegazioni, soprattutto per i bambini.
A mio avviso, la soluzione francese di negare qualsiasi simbolo religioso nelle strutture pubbliche è una conquista di civiltà giuridica: nessuno impone qualcosa, nessuno può vantare primogeniture, tutti i diritti d’appartenenza religiosa sono egualmente riconosciuti.
Di là del semplice principio giuridico, però, dovremmo chiederci quale sia lo scopo del simbolo religioso, mettendo da parte tutte le diatribe su Paesi che impongono questo e quello…altri che invece…
A cosa serve?

Oggi, siccome ho un’ora libera, scrivo in un laboratorio informatico, a scuola; ho cercato il crocifisso, ma non c’è: che abbiano già applicato le sentenza europea? Dubito: più semplicemente, qualcuno avrà dimenticato di metterlo e colgo quindi l’occasione per informare il ministro Gelmini della defaillance.
Il bello è che nessuno se n’è mai accorto, nessuno mai lo ha cercato, come in tutte le aule della scuola: dove c’è e dove non c’è. Penso che la stessa cosa avvenga in tutti gli edifici pubblici dello Stivale.
In ospedale è diverso; talvolta, ci sono malati che si portano da casa una Madonnina e la pongono sul comodino: trepidano per la loro salute, temono, cercano conforto.
In quel caso, il simbolo assume un senso: per il credente, diventa un mezzo di preghiera. Solo un mezzo, nulla più: ciò che veramente conta, è l’afflato di fede che scaturisce dalla persona, non il simbolo. Ma, quel sistemare il simbolo sul comodino, intesse una relazione: cosa assai diversa dal medesimo simbolo imposto de iure.
La stessa cosa avviene per le mille icone stradali, soprattutto le tantissime Madonnine incastonate nei palazzi o protette nelle modeste cappelle agresti. Purtroppo, talvolta diventano preda di un mercato antiquario becero e senza scrupoli.

Pur non essendo cristiano, mi ha sempre addolorato osservare lo stato d’abbandono nel quale versano queste modeste opere d’artigianato popolare, poiché furono testimonianze di una fede vera e convinta, non lo spettacolo che osservo all’uscita della chiesa di fronte alla mia abitazione: sguardi che osservano più il cappotto di Armani o la borsa di Gucci che l’icona di un Santo.
Non lontano dalla mia abitazione c’è un’edicola, che segna il crocevia d’antichi sentieri: la ricordavo cadente, polverosa, dimenticata. Poi, improvvisamente, il miracolo: passando, notai che era stata ripulita, c’erano dei fiori freschi…insomma, si notava che il vento era mutato. Chiesi lumi a mia moglie.
«Sono le ucraine, le badanti: prova ad andarci un giorno qualsiasi, al tramonto». Così feci, cercando di non farmi notare.
Ecco, al calar del sole, che una modesta ed informale processione di donne bionde e grassottelle scende la strada e s’avvicina. Sono le badanti, ex infermiere sovietiche, che ora si prendono cura di una società sempre più vecchia e rincagnata, tanto sospettosa verso lo straniero quanto edonista e permissiva verso se stessa.
Anche a distanza, notai che – mentre con gesti misurati cambiavano i fiori, pulivano l’inferriata, toglievano qualche erbaccia – non smettevano di parlare fra di loro e, probabilmente, con la Madonnina. Fui colto dalla commozione.
Quelle donne lontane da casa, che avevano probabilmente dovuto lasciare mariti e figli a casa per procurare il pane negato dagli architetti della globalizzazione, avevano ritrovato una Madonnina alla quale parlare, alla quale confessare i loro timori per i familiari lontani, le loro paure per il futuro. Una donna fra altre donne, che rimaneva lì, in silenzio, ad ascoltarle e che diveniva trasposizione, sublimazione dei loro fragili esseri, accomunati dall’angoscia di chi vive lontano dalle proprie certezze, in luoghi stranieri e talvolta ostili.
Posti molto “cristiani”, dove si recita nelle piazze la “Bibbia” di Giancarlo Gentilini: il Vangelo del razzismo e del rifiuto[2].

Da quel giorno, quando passo di fronte all’icona – anche se non sono cristiano – non manco mai d’inviare con il pensiero un saluto alla Madonnina. Non è più un tozzo di creta verniciato: è diventata un coagulo di sentimenti corrisposti, partiti da una fredda terra lontana, che in quel luogo si sono ricongiunti con secoli d’antiche preghiere e richieste, timori e pianti d’altre donne, d’altre generazioni, d’altri mondi. Quella Madonnina è sacra: le badanti ucraine l’hanno nuovamente consacrata, non la fredda benedizione di un prete o di un vescovo.

Mi tornano allora alla mente i poveri crocifissi dimenticati, che sopportano l’ignavia degli studenti, le maledizioni dei giudicati, i poveri chiacchiericci degli uffici pubblici. Chissà, se a qualche povero Cristo tocca pure ascoltare l’ultima puntata del Grande Fratello? No, a tanto non potrebbe reggere…
Forse, se potesse, sarebbe proprio il povero Gesù a chiedere d’andarsene. Seguendo i pensieri, ho avuto un’Epifania dello spirito, un’Illuminazione in pieno stile agostiniano.
Visto che nulla dovrebbe sfuggire all’occhio di Dio – pur nella temperanza del libero arbitrio – c’è da chiedersi se quella sentenza europea non sia stata emanata ex cathedra, con l’approvazione dello Spirito Santo.
In altre parole, potrebbe essere stato accolto, nell’Empireo, l’antico grido di dolore – Eloì! Eloì! Lamà sabactàni![3] – questa volta urlato in coro da una moltitudine di poveri Cristi abbandonati e polverosi, inchiodati ancora una volta in posti dove nessuno s’accorge di loro. Così in alto, nei Golgota scolastici, che manco i bidelli tolgono loro la polvere.

Un grido di dolore finalmente accolto, per abbandonare una terra dove lo spregio del Creato è lampante: chi ha massacrato Stefano Cucchi, si recava in Chiesa? Ci piacerebbe sapere se s’inginocchiava di fronte al Cristo e cos’aveva il coraggio di chiedere e di raccontare. Chi ha affondato le navi dei veleni, ha sotterrato il Cromo presso le fonti o nei fiumi, si riteneva un credente? Chi scavalca, volgendo lo sguardo, il corpo di un suicida sul marciapiede, chi non soccorre un ferito a morte nella metropolitana di Napoli (solo perché rumeno?) si può ancora considerare un credente? E in che cosa?
Certo, c’è il peccato e c’è la confessione, la redenzione dal peccato. Ma la traccia resta. Mille, migliaia, milioni, miliardi di tracce che ogni giorno s’accumulano e s’affastellano, in un mondo che ha smarrito la sacralità dell’essere e della natura, che al posto degli altari a cielo aperto dei Black Hills ha costruito miniere ed immondezzai, seppellito missili e scavato gallerie. Gente che militarizza le periferie per sotterrare rifiuti, altra che impesta l’aria bruciandoli, altri ancora che li versano su spiagge lontane.

Dov’è finita la sacralità dell’Uomo? Dov’è finita la ritualità dei gesti, la comunione empatica con il Creato?
Il povero uomo tecnologico, morso dal senso di colpa, si lancia nel volontariato per calmierare la fornace interiore la quale, inconscia ma presente, lo avverte della sua incompiutezza, del suo inutile vagare senza cercare, proseguire su dubbi sentieri senza direzione né meta.
Forse, la prima azione di volontariato – inteso come soccorso – l’Uomo dovrebbe compierla mettendosi di fronte ad uno specchio e non temere d’osservarsi: in silenzio, per lunghi, interminabili minuti. Non lo fa: troppo pericoloso.
Sì, siamo sempre più convinti che lo Spirito Santo si sia manifestato: questa volta non a Roma, bensì a Bruxelles.

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