E’ difficile iniziare questo discorso, però è necessario farlo: altrimenti, fra decenni saremo ancora qui a sbatterci sul muso mille piccole ritorsioni, accuse…tanti mal di pancia dei quali, francamente, potremmo fare a meno. E guadagnarci pure.
Poiché, mentre noi ci ributtiamo addosso i classici “comunista” e “fascista”, altri – che non saprei dire se accomunare ai “comunisti” od ai “fascisti” (basta riflettere su quanti “ex” di tutto ci sono nell’attuale Governo e nella cosiddetta Opposizione…) – ci stanno rubando anche le mutande. Rigorosamente rosse e nere, ovviamente.
Questo non significa affatto abiurare le proprie radici, saltare a piè pari le proprie esperienze, poiché questo siamo ed altro non potremmo essere: io, che mi sono formato nel marxismo ed ho “succhiato” latte rosso sin dalla nascita, male mi troverei ad agitare gagliardetti con i labari littori.
Ciò non significa che non possiamo parlarci – un tempo erano solo botte – e forse è meglio che impariamo a farlo, perché il nostro povero Paese ha bisogno di noi, delle nostre energie, delle nostre risorse, delle nostre idee. Tutte. Perché? Perché, chi dovrebbe averle, è giunto alla frutta e non ne ha proprio più.
Osserviamo cosa sta partorendo l’attuale classe politica: leggi ad personam, finanziamenti ad personas e leggi liberticide come quella che privatizzerà l’acqua potabile. Un settore strategico per l’economia ma anche per la vita non viene nemmeno discusso: sottoposto ad un semplice voto di fiducia! Ma stiamo impazzendo?
Il “Pianeta Acqua” – mi riprometto di tornarci più approfonditamente con un articolo ad hoc – comprende molteplici aspetti: dalle forniture civili a quelle industriali, l’agricoltura, il sistema d’approvvigionamento e la gestione dei corsi d’acqua…e…tutto finisce con un voto di fiducia che regalerà ai soliti noti soldi e mazzette, prelevate ancora una volta dalle nostre magre risorse? Siamo tornati all’esazione delle decime ed alla tassa sul macinato?
Immaginiamo che tutti desidereremmo una scuola che funzioni bene, un lavoro sicuro, una giustizia uguale per tutti che non ci metta vent’anni per una sentenza definitiva: soprattutto, vorremmo vivere in un Paese dove il sopruso non sia la regola, la raccomandazione la prassi e dove chi sbaglia paga, senza però essere ucciso in carcere per banali storie di spinelli o di parchimetri.
Veramente, crediamo che sbatterci sulla faccia i soliti epiteti, aiuti noi tutti? Forse, quegli epiteti sono dei “mantra” che contengono, nella loro essenza, proprio le soluzioni? Ne dubitiamo.
A ben pensarci, l’Italia non è mai stata “comunista”, e nemmeno ha avuto un sistema organizzato di “socialismo reale”: forse ebbe alcune impostazioni che facevano capo a quel tipo di scelta politica, ma ci furono cooperative “bianche” e “rosse”, difficile stabilire se fu una scelta completamente autoctona oppure dettata da aspetti ideologici.
Il Fascismo, invece, governò l’Italia per circa vent’anni, con “l’appendice” della Repubblica Sociale.
Oggi, sinceramente, mi mette in imbarazzo chi si dichiara “fascista”, poiché sottende un’appartenenza che più non esiste. E’ da notare, inoltre, che i vari governi europei di destra dell’epoca non furono assimilabili: nemmeno durante la guerra ebbero, poi, rapporti molto “fraterni”. Quelli fra Italia e Germania rimasero sempre improntati dal sospetto, mentre gli iberici puntarono più discretamente sul “carro” inglese, convinti che ci avrebbero perso di meno.
Ma, ciò che più colpisce, è che in Germania Hitler colpì proprio l’ala del suo movimento (le Camicie Brune) che più si sentiva vicino al “movimentismo” del primo Mussolini. Fatto che, Ernst Röhm, mai nascose.
In buona sostanza, Italia e Germania divennero “regimi” quando accolsero i diktat e s’appiattirono sui dettami del grande capitale e della gerarchia cattolica (la prima), degli junker dell’economia e dell’apparato militare la seconda.
Perciò, accomunarsi in qualche modo a quei regimi – ritenersi “Fascista” o “Nazista” – significa abiurare qualunque forma d’elaborazione politica, poiché furono gli stessi capi dell’epoca a promuovere quelle scelte che negavano l’elaborazione politica, pur mantenendo un aspetto di facciata per mascherarle.
C’è da dire che il “vento” dell’epoca era proprio quello del cosiddetto “Uomo forte”, colui che sarebbe stato in grado di condurre la nazione come un sol uomo: se gli americani avessero potuto, avrebbero eletto Roosevelt per dieci volte. E Stalin? E lo stesso Churchill, non fu accolto come il deus ex machina che tutto avrebbe risolto?
Perciò, se ci riferiamo a quei tempi, a quelle persone, a quelle vicende storiche – e le consideriamo riproducibili, valide, attuabili – stiamo perdendo soltanto del tempo, perché quel mondo non esiste più: sia per gli aspetti culturali e sociali, sia per la tecnologia, siamo di fronte ad un altro Pianeta.
Se, invece, desideriamo esplorare i fondamenti delle dottrine dell’epoca – ma nella loro essenza originaria, ossia il dibattito prima ideale, quindi politico – di cose da raccontare e da dibattere ce ne sono molte; un solo esempio: la Costituzione Italiana (art. 46) riconosce il diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle imprese. Tale principio era già contenuto in due disposizioni (1942, Fascismo e 1944, Repubblica Sociale), anche se si trattava di una legislazione emanata durante la guerra, che aveva – ovviamente – altre priorità.
Oggi è forse inutile cercare lumi da quei provvedimenti del tempo che fu – il Paese è troppo mutato – però capire che già allora ci si poneva il problema, può aiutare soprattutto chi crede che l’assioma dell’attuale liberismo sia inviolabile.
Il “pianeta” comunista è più variegato e più “espanso” nel tempo: non dimentichiamo che la principale economia (oramai, chiamarla emergente…) del Pianeta è la Cina, che mantiene l’impostazione comunista.
La Cina ha certamente – si dai tempi di Deng Xiaoping – assunto un atteggiamento pragmatico nei confronti dell’economia, ammettendo l’importanza del libero mercato temperato, però, dalla presenza dello Stato.
Se ci mettiamo a discettare sulle defaillance dei cinesi ne troveremmo a iosa, ma questo vale probabilmente per l’intero Pianeta: l’importante – parlando di Cina – è capire che in tutti i documenti ufficiali cinesi l’attuale fase è vista, appunto, solo come una “fase”.
Non è facile capire cosa intendano i cinesi per una “fase” capitalista all’interno di un processo che dovrebbe condurre ad una società socialista, ed è arduo soprattutto perché noi non siamo cinesi, non siamo cresciuti leggendo Kong-Fuzi né Lao-Tse, tanto meno Mao o Zhou Enlai.
Se scorriamo le esperienze “comuniste” nel Pianeta ne scoviamo, solo che alcune si trovano in Paesi lontanissimi da noi per cultura, mentre altre (i tentativi centro-sudamericani) sono più vicine (la cultura cattolica ed iberica) ma fanno capo a Paesi piccoli, con apparati produttivi molto diversi dal nostro, sono popolate da gruppi etnici assai variegati, sui quali è stata “sovrapposta” una cultura, ecc…
Insomma, da un lato grandi Paesi con abissi culturali che ci separano, dall’altro piccoli Paesi con i quali possiamo trovare comunanze, ma le realtà sono diversissime. Ne sanno qualcosa i vecchi amministratori emiliani, quando si trovavano a discutere di “socialismo” con i sovietici: non mi riferisco alle elucubrazioni “di facciata” (le “iperboli” di Togliatti ai congressi del PCUS), bensì alle difficoltà spicciole sul commercio, sullo scambio di delegazioni…due mondi che difficilmente riuscivano a capirsi.
Riassumendo, ci rimane ben poco: lontane esperienze della prima metà del Novecento per i governi di Destra, un panorama variegato e di scarsa utilità per quelli di Sinistra, passati ed attuali. Perciò, se desideriamo riprendere in mano i destini del nostro Paese, assegnarci ad una “appartenenza” del tutto ideologica finisce per farci perdere solo del tempo e complicarci la vita.
Ciò non significa che, domani, potranno esistere differenti visioni, approcci diversi ai problemi, alle soluzioni, ma in un quadro completamente diverso sia dalla sterile contrapposizione “E’ Fascista, è Comunista, non voglio nemmeno ascoltarlo”, sia dall’inciucio permanente delle corruttele al quale siamo abituati.
Oggi, invece, l’emergenza nazionale che abbiamo di fronte c’impone di superare le nostre divisioni, poiché qui non ci si divide più fra chi si dice “Fascista” – e poi? Ripristinerebbe il Sabato Fascista ed i Saggi Ginnici? I moschetti? Ma va là… – e chi ancora immagina che, un bel giorno, la salvifica rivoluzione porti alla Repubblica Popolare Italiana dove tutti i mali, d’incanto, spariranno.
Gli utili idioti non mancano da entrambe le parti: gente con le svastiche tatuate che va in giro ad aggredire i gay e, per contrappasso, qualche Strafe Expedition verso i centri sociali di destra. E’ un bel modo di trascorrere “pericolosamente” il nostro tempo, giocando ai Ragazzi della Via Pal mentre gli altri – proprio additando il “pericolo rosso e nero” – ci sfilano l’ultimo paio di mutande rimasto.
Sono dibattiti “culturali” fra chi non ha mai letto una riga di Marx né sa cosa siano i “Canti Pisani”.
La differenza importante, invece, è fra chi ancora crede nell’importanza dello Stato (con varie e diverse accezioni, ma se ne può discutere) e chi, invece, ritiene che l’unica cosa da fare è attendere il bollettino mensile del WTO, quello del FMI, l’ultimo report dell’ambasciata USA e ricopiare. Fedelmente e senza errori ortografici, mi raccomando.
Se, invece, volessimo partire dai nostri problemi, troveremmo probabilmente più punti di contatto che di frizione: non perché gli “opposti estremismi” si toccano! Cavolate! Semplicemente, perché il buon senso accomuna le menti che intendono risolvere, non chiacchierare.
Prendiamo in esame alcuni semplici esempi, non per svolgerli come si dovrebbe – mancherebbe il tempo e lo spazio, e non è lo scopo di questo articolo – ma per renderci conto di quante cose potremmo esigere perché coerenti con una vita migliore, per tutti.
La classe politica giustifica la privatizzazione dell’acqua allargando le braccia: ci vorrebbero 60 miliardi di euro per risistemare la rete degli acquedotti! Non li abbiamo! Li metteranno, ovviamente, i privati. Come no.
Il problema è tappare le troppe falle degli acquedotti italiani?
Al Politecnico di Torino hanno inventato un marchingegno tecnologicamente complesso ma concettualmente semplice: un piccolo “pesce”, che è in grado di rilevare le perdite (poiché emettono suoni riconoscibili dal normale flusso), viene immesso nelle tubazioni degli acquedotti. Quando trova una falla, invia un segnale radio (probabilmente utilizzando il sistema GPS, ma non ne sono certo) e chi deve riparare quella falla va a colpo sicuro: il risparmio di tempo e di denaro è notevole, visto che il 58% dell’acqua va perduta proprio dalle falle delle grandi condotte.
Il congegno inventato a Torino ha già ottenuto importanti riconoscimenti, al punto che in Qatar (là, d’acqua ce n’è poca…) lo hanno premiato con un milione di euro e stanno pensando alla produzione industriale del sistema. E in Italia?
“
Una volta strutturato il progetto, abbiamo provato a proporlo in Italia, ma non abbiamo riscosso immediato interesse. Visto che ci credevamo, ci abbiamo lavorato nei rimasugli di tempo, con materiale di scarto del laboratorio. Forse anche grazie a questo è stato possibile realizzare un oggetto a basso costo[1]”.
Questi bravi ingegneri ci hanno provato ma…ahimè…è mancato “l’interesse”…già: costa poco, poca trippa per gatti e…per tangenti!
Vediamo invece cos’è successo in Finlandia per un’altra scoperta.
Nel 1998, i finlandesi si mettono in testa che sia possibile rilevare la presenza dell’Helicobacter mediante semplici analisi del sangue, evitando così la più invasiva (e costosa) gastroscopia e…ci riescono!
La Biohit Diagnostics mette a punto le procedure d’analisi, che poi sono rivendute all’estero sotto forma di licenza (od altre, simili forme commerciali) in tutto il mondo. Ovviamente, il “ritorno” commerciale per la Biohit (e per la ricerca finlandese) è cospicuo.
Non c’interessa valutare i parallelismi fra le due scoperte sotto l’aspetto economico e scientifico, bensì sottoporre all’attenzione dei lettori i differenti scenari nei quali sono avvenute, che determinano effetti ben diversi.
In Finlandia, ricchezza per i finlandesi, in Italia…non sappiamo: l’acqua continuerà a perdersi dalle tubazioni degli acquedotti e, magari, in Qatar nascerà una joint venture con capitale misto, ma niente che potrà cambiare nulla, o molto poco, per noi italiani.
A questo punto – gli esempi sarebbero tantissimi, potrei continuare per intere pagine – c’è da chiedersi quale sia la differenza: i finlandesi, che so, hanno forse le antennine da marziani?
No: semplicemente, hanno ancora uno Stato, uno Stato che si cura di porre delle regole e di coadiuvare l’economia senza invaderla, semplicemente stabilendo delle priorità, negando dove occorre…insomma, uno Stato che fa semplicemente il suo dovere. Uno Stato autorevole senza essere autoritario.
In Italia, abbiamo uno Stato autoritario e violento – le vicende Cucchi et similia insegnano – che non sa essere autorevole mai, al punto che si merita solo delle pernacchie.
Vi rendete conto che, nel momento stesso nel quale scrivo queste righe, sta per andare in scena la (così spacciata) più “grande” riforma della scuola dai tempi di Gentile? Siamo quasi a Dicembre, gli allievi delle Medie devono scegliere a quale scuole iscriversi e…nessuno lo sa!
Compaiono anticipazioni dei futuri Licei sui giornali e sul Web, ma le scuole – ufficialmente – non sanno nulla! A Novembre, nemmeno i Dirigenti Scolastici sanno a cosa andremo incontro: questo è esser Stato? Autorevole?!? Siamo alla frutta!
Miss Gelmini chiacchiera nei TG, tutti dibattono nei consessi televisivi…sul nulla, perché non c’è niente! Solo qualche tabella sparsa qui e là. Un vero Stato, dovrebbe comunicare con largo anticipo la riforma, sin nei minimi particolari, perché chi deve scegliere per la propria vita ha il diritto di saperlo per tempo!
Nel ridicolo Stato italiano, invece, ci si bea perché in provincia di Brescia le amministrazioni leghiste hanno iniziato la “pulizia di Natale” – sì, l’hanno chiamata proprio così! Mancava solo un “etnica” per condimento! – nei confronti degli immigrati irregolari o con il permesso di soggiorno in scadenza. E l’hanno giustificato con uno slogan: il “White Christmas”
[2], il “Natale dei Bianchi Cristiani”! Contro chi?
Contro il perfido nero immigrato che viene a rubare…ma che cosa viene a rubare, se – cari leghisti
[3] e tutta la pletora politica – i primi ladroni d’Italia siete proprio voi! Non è forse vero che il 30% dei finanziamenti pubblici va “perso” in tangenti? Proprio come l’acqua. Privatizzerete anche la tangente? Ma andate a…
Nei Paesi dove lo Stato è autorevole ma non autoritario, è impossibile essere immigrati senza essere stati precedentemente accettati: altra carenza di uno Stato autoritario ma inefficiente.
Qualcuno potrà pensare che “così è sempre stato in Italia, e non c’è niente da fare: e poi, a me che me ne frega…”: a parte che è falso, perché nel dopoguerra l’Italia ebbe una classe politica decente, ed i risultati ci furono, ma tutti ne siamo coinvolti.
Se la classe politica non fa nulla per catalizzare lo sviluppo di un’economia più efficiente, il sistema produttivo sarà sempre in affanno ed accumulerà scarsi profitti e copiose perdite. Ciò, si tradurrà in due inevitabili e paralleli scenari: aumento della pressione fiscale e restrizioni sui diritti dei lavoratori.
Nel primo scenario saremo tutti a pagare – chi più e chi meno, salvo una ristretta cerchia – mentre nel secondo si dovrà allungare la permanenza al lavoro e rendere lo stesso meno remunerativo e più precario.
In definitiva, siamo all’assurdo: manteniamo al lavoro generazioni che non hanno più nulla da dare – riflettiamo sull’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, un fallimento, nonostante un Brontolo veneziano continui a blaterare c… – mentre rimangono ai margini del vero lavoro (e, quindi, della vera vita intesa come indipendenza e socialità) le giovani generazioni, che svolgono mansioni spesso inutili, “progetti” che non si sa dove conducano, ecc.
In fin dei conti, perché dobbiamo essere tempestati dalle telefonate dei call center che ci vogliono vendere di tutto, anche se non ne abbiamo nessun bisogno? Questo sarebbe “lavoro”?
Ma, la classe politica, ha bisogno di creare delle sacche di ricchezza per calmierare la sua insipienza: dove prendere le risorse per dare quattro soldi ai disoccupati? Dalle casse dell’INPS! E, allora, sempre più tardi in pensione e lavori sempre meno pagati e precari.
L’unico comparto che non viene mai toccato è quello relativo ai loro compensi ed al mondo delle tangenti: lì, i finanziamenti devono continuare, cospicui, altrimenti il perverso sistema s’inceppa.
La stampa ha campato per mesi sulla vicenda dello Zoccoluto che siede a Palazzo Chigi, con toni da romanzo d’appendice, ma pochi hanno scorto il vero vulnus. Personalmente, se a Berlusconi piacciono le puttane, sono affari suoi: diventano affari miei quando a pagargliele è un “faccendiere” della Sanità, che le foraggerà con le tasse che noi tutti paghiamo per la Sanità, di destra e di sinistra.
Ma, in queste vicende, c’è qualcosa di “destra” o di “sinistra”? Qualcuno può essere favorevole o contrario soltanto per un’evanescente appartenenza politica?
Si dirà: la maggioranza degli italiani non è né di destra e nemmeno di sinistra, bensì appartengono al partito trasversale del “Franza o Spagna, basta che se magna”. Verissimo.
Il sistema, però, ogni anno che passa diventa sempre più instabile: i meno attenti pensano che lo “stellone” possa durare all’infinito, ma così non è. Ad ogni Finanziaria sono sudori, si raschia oramai oltre il fondo del barile.
D’altro canto, per invertire la tendenza, poco si può fare per l’industria manifatturiera e per le attività più tradizionali: molto, invece, si potrebbe fare nel comparto dell’agricoltura e della silvicoltura di qualità, nel settore energetico – che, da solo, potrebbe “dirottare” nelle tasche degli italiani decine di miliardi di euro l’anno, come ho spiegato in tanti articoli – bisognerebbe poi metter mano all’irrazionale sistema di trasporto italiano: una penisola che quasi non ha più navigazione di cabotaggio! E la navigazione interna? Il necessario supporto delle reti telematiche a banda larga? Il telelavoro?
In altre parole, è di una diversa pianificazione del vivere sociale che abbiamo bisogno: meno spinta al consumo e maggior produzione di beni durevoli (per rallentare la “corsa” del rifiuto), sperimentazione di nuovi mezzi di locomozione per un diverso futuro energetico, meno treni ad alta velocità e più collegamenti ferroviari precisi e frequenti per le tratte brevi e medie. Recuperare il territorio che stanno abbandonando, perché lì ci sono le vere risorse, non l’aria fritta che spacciano.
Il paradosso dei paradossi, è che abbiamo una classe politica completamente asservita ai potentati internazionali e nazionali, alle lobbies bancarie e dell’energia, alle diplomazie straniere, ai grandi gruppi editoriali la quale – ecco il paradosso – si auto-delimita accuratamente, baluginando “confini” in sedicenti “Destre” e “Sinistre”.
Noi, che siamo i destinatari di tanta scempiaggine, li seguiamo come caproni, riproponendo al nostro interno delle suddivisioni di facciata, inutili, antistoriche e, così facendo, riusciamo a segnare ogni giorno dei clamorosi goal. Nella nostra porta.
E loro se la ridono.
La faccenda è rigorosamente bipartisan: Ferrero (Rifondazione Comunista) blatera a vanvera sui lavoratori, sulla giustizia, bla, bla…e poi intasca – senza fornire spiegazioni! – “contributi elettorali” per 129.500 euro, persino dalle associazioni dei cementieri
[4]!
Qual è il senso dei contributi? Tutte quelle aziende s’erano forse impegnate in un vigoroso piano d’edilizia popolare per i meno abbienti? Ferrero, per favore…
Se a Sparta si piange, ad Atene non si canta vittoria.
Ci chiediamo cosa pensino le persone di “destra” del pietoso teatrino che sta andando in scena fra Berlusconi, Fini, Storace e la signora Garnero, un tempo coniugata Santanché.
Se Fini fa il buono, Storace subisce l’ostracismo: qualora, invece, Fini attenti alla poltrona del capo, ecco che il Capoccione Zoccoluto va a ripescare una tizia (per educazione, limito gli appellativi, anche se la fantasia non mancherebbe…) come la Garnero/Santanché, e fa un bel accordo elettorale
[5].
Sarei curioso di sapere come si sentano rappresentati persone di “destra” da una tizia che si è “fatta le ossa” (politicamente, ovvio) nel Billionaire di Flavio Briatore, la quale altro non sa fare che fomentare disordini per dilemmi che agli italiani stanno veramente a cuore – ossia questioni di burka: tutte le italiane, mentre si recano al lavoro (o lo cercano) non pensano ad altro… – sa inoltre mostrare le gambe dall’Insetto ed affermare che, lei, al “capo non gliela dà”. Perché, è d’obbligo dargliela?
Se queste sono le persone per le quali, chi si ritiene di “destra” crede che valga la pena di lottare, beh…s’accomodi alla pernacchia.
Tutto quello che abbiamo raccontato potrebbe apparire scontato e retorico, e invece non lo è nella misura della consapevolezza – tutti compresi, anche chi si dà delle arie e crede che commentare sul Web lo estragga automaticamente dall’inganno – che si ha delle cosiddette “istituzioni” e della cosiddetta “politica”.
Gira e rigira, salta sempre fuori che uno certe cose le dice perché è di “sinistra” oppure di “destra”: siamo noi i primi a cercare confini e demarcazioni e loro, semplicemente, le sfruttano!
Se, invece, cerchiamo qualche fondamento meno evanescente e più “radicato” sul terreno della politica e della sociologia, potremmo chiederci quanto le posizioni di un De Benoist (è di destra? Possiamo inchiodarlo con le puntine da disegno nel tabellone di destra?) sul comunitarismo, sul radicamento sociale (e reale) delle comunità sul territorio sia ancora accomunabile a posizioni “fasciste”. Oppure, se le iperboli del pensiero di Rifkin, l’immaginazione di un mondo paritario e paritetico, unito dalle reti peer-to-peer telematiche e dell’energia sia “di sinistra”. Di quale sinistra, quella che è sepolta nell’Europa manifatturiera di stampo ottocentesco?
Oppure, se l’incedere del nuovo pensiero underground – perché veramente nascosto e sotterraneo, confinato nelle “riserve indiane” del Web – non abbia definitivamente sepolto queste categorie oramai obsolete. Guardiamo avanti, con coraggio, non indietro.
Sappiamo perfettamente che il vero potere economico e politico risiede nei tanti Mister X che siedono nelle lobby e nelle fondazioni, ma non possiamo chiedere conto del disastro a quei signori perché – furbescamente – rimangono dietro le quinte. Mandano avanti i loro lacchè, la casta politica: con questi, però, possiamo prendercela, eccome. Iniziare, almeno, ad allargare la frattura delle loro contraddizioni.
Il 5 Dicembre è stato indetta una manifestazione detta “No B day”, che vorrebbe manifestare il rifiuto verso l’attuale modo di (s)governare dell’attuale Presidente del Consiglio. Non che quelli che lo hanno preceduto facessero cose assai diverse, ma Berlusconi riesce a metterci un certo “valore aggiunto” che, francamente, disgusta.
Qualcuno s’è già lanciato “a pesce” sulla manifestazione – Di Pietro, che è dappertutto, come la gramigna e Ferrero, che farebbe meglio a raccontare cosa ne ha fatto dei soldi ricevuti dai cementieri – ma lo spirito del raduno è nato dal Web, da un tam tam sui social network, da un passaparola telematico.
By-passando chi già cerca di “metterci il cappello” (questa gente sempre ci sarà: Di Pietro, meglio farebbe a spiegarci come mai suo figlio è già incorso in problemi di corruttele…sembra un pessimo film, “Mastella 2: la vendetta”…), questa manifestazione è importante perché è la prima che non è stata indetta da apparati di potere legati ai partiti
[6]. Difatti, ci sarà libera partecipazione con esposizione di simboli, ma nessuno dei leader politici potrà salire sul palco
[7] ed il PD – spocchioso, “o lo organizzo io, altrimenti non ci vado” – ignorerà l’evento. Tanto meglio: stiano pure con Mister B ed il fallito Mister PESC, questa gente ci è più d’impiccio che d’aiuto.
Il leitmotiv della manifestazione sarà la difesa della Costituzione – dei valori della Costituzione Repubblicana – e della Presidenza della Repubblica come simbolo che la conserva.
In altre parole, si va oltre le persone per giungere ai simboli, al richiamo di quella Carta Costituzionale fra le migliori del Pianeta, e mai attuata. E si chiede anche la non privatizzazione dell’acqua, il no al nucleare (che significa cercare altre strade per l’energia, un nuovo modello di sviluppo, lontano dalle “iperboli” liberiste, ecc): insomma, quel coacervo d’idee – spesso tumultuose, sono il primo a riconoscerlo – che da anni discutiamo sul Web.
Non c’aspettiamo chissà quali risultati – siamo coscienti della potenza delle lobbies internazionali, palesi ed occulte – però è un gran bel momento quando tanta gente scende in piazza, democraticamente, per affermare che desidererebbe un’altra politica, un’altra economia, un altro modo di vivere. Un mondo migliore e per tutti: di destra e di sinistra.