“Ogni minuto muore un imbecille, e ne nascono due.”
Eduardo De Filippo
L’Italia è il Paese delle sorprese: non passa giorno senza che ne giunga una nuova. Tutti siamo drammaticamente attanagliati dal dubbio sulla costituzionalità dei vari “lodi”, riforme della Giustizia, della Scuola, della Pubblica Amministrazione…e non passa giorno che non ci sia l’uovo di giornata, fresco da stampare sulle prime pagine dei quotidiani. Ci si scanna per battaglie “politiche” per scoprire l’acqua calda: chi gode di posizioni di privilegio, ne approfitta per gabbare le leggi che lui stesso scrive.
Mai che qualcuno titoli: “30.000 italiani fregati da Tizio”, “50.000 dimenticati dalla legge di Caio”. Mai. Ci toccherà farlo.
La sorpresa, di giornata, avviene quando mi presento al CAF per chiedere fin quando dovrò lavorare: il malloppo che ho riordinato, prelevandolo da vecchie cartelle di finta pelle anni ’70, polverose e rovinate dal tempo, è corposo.
Secondo i miei calcoli, dovrei essere oramai intorno a “quota” 35: non vorrei finire come un mio cugino il quale, in ospedale per un intervento chirurgico, s’accorse che sarebbe già potuto andare in pensione. Glielo disse un’infermiera: era vero.
A dire il vero, gli anni sarebbero 36 o forse 37, ma già so che periodi di lavoro molto lontani non potranno mai essere conteggiati: qualcuno ha sentito parlare di lavoro nero?
Uno di quei periodi, però, era un “nero” un po’ speciale e bisogna raccontarlo: il datore di lavoro era niente meno che il Ministero dell’Agricoltura, Ufficio Repressione Frodi, sede di Torino.
Con altri 5 “fortunati” lavorai circa 8 mesi in quell’ufficio modernissimo sito nella “Via del Campo” torinese dell’epoca, via Ormea, abituale ritrovo per l’amore a pagamento.
Il nostro compito era quello di controllare le ricevute dei pagamenti e le bollette di transito delle merci da/per il Piemonte. Era curioso constatare come dalle cantine sociali pugliesi, all’epoca, giungessero carovane d’autobotti che scaricavano sempre nelle cantine sociali dell’astigiano e del cuneese. Era tutto regolare, per carità, anche il vino “doc” che poi era venduto.
Il lavoro era massacrante: in cinque, bisognava – nell’intera mattinata! – aprire, suddividere e visionare circa 300 buste e relativo contenuto: il più delle volte, alle 9 avevamo già finito.
Fiorirono, attorno a quelle scrivanie, amicizie che durano tuttora, storie incredibili sulla lunghezza dell’Anaconda – il record fu di metri 17 e 50 centimetri, poi ritirato dallo stesso autore, visto che il serpentone iniziava già a vedersela con il mostro di Loch Ness – racconti di paesini meridionali, abbandonati per emigrazione, che nulla avevano da invidiare ad Amarcord, storie di ragazze, di politica…
Per molti anni mi fu oscura la ragione che aveva condotto noi, scapestrati di quegli anni, a godere di un così gioioso trattamento: lo scoprii solo molti anni dopo, quando uno di noi riuscì a sapere la verità.
Per tutto quel periodo non fummo mai pagati: solo alla fine degli otto mesi ci fu pagato l’intero periodo, e neppure male.
Nelle stanze accanto alla nostra lavoravano gli impiegati “regolari”; gente con cravatte sgargianti e capelli “stirati”, giovani signore con gonne appena un po’ sopra il ginocchio che volevano imitare, nelle parure, la Regina: donna Marella Agnelli, sempre lei.
In fondo al corridoio c’era l’ufficio del gran capo, ampio come una palestra, irrorato di luce ed ossigenato da una selva di piante da appartamento, tutte con un altezzoso portamento ministeriale, ovvio.
Il gran capo c’era poco in ufficio e quel poco che c’era lo trascorreva sempre al telefono: importanti chiamate da Roma, sempre da Roma. E da Ferrara. Perché?
Poiché lui, e probabilmente qualche capoccione suo pari, avevano trovato un buon intrallazzo: chiedevano fondi per il “controllo della documentazione” – quelle 300 buste da suddividere – il Ministero li concedeva ma…tardavano ad arrivare. La scusa, quando chiedevamo almeno un anticipo, era sempre quella: allargava le braccia «se il Ministero non accredita i fondi…»
E le telefonate a Ferrara?
Quei soldi, in realtà, erano già arrivati da tempo, ma non erano stati trasformati in stipendi: no, c’è tempo, che aspettino.
Il “gioco” era quello dei Ferruzzi: quei soldi – quanti uffici periferici? chi mai lo saprà… – diventavano un fondo per acquistare grano in Canada, Argentina, ecc, a prezzi bassissimi e poi rivenderlo in Europa a prezzi europei, facendo lo slalom sui dazi, le stagioni, ecc…
Per anni, almeno fin quando Gardini non si mise in testa di diventare la Chimica italiana, la ricchezza della holding ferrarese fu proprio quella, la furbizia – un po’ contadina – del vecchio Serafino Ferruzzi.
Non sappiamo quanti soldi lucrarono in quel modo: cinque persone, per otto mesi di stipendio…probabilmente raddoppiavano o quasi il capitale, e questo ogni anno, poiché ogni anno arrivavano altri cinque ad aprir buste. Mai gli stessi: troppo pericoloso.
Sorrido fra me e me, pensando a quante cose i giovani d’oggi non sanno: le mille truffe che l’Italia dei ricchi e dei raccomandati, da sempre, ha intessuto per fregare la parte più povera. Eh, 600 miliardi di euro nei Paradisi Fiscali mica si mettono insieme in quattro e quattr’otto…poi paghi il 5% di tasse con lo “Scudo Fiscale” di Tremonti…sono il risultato di ladrocini che durano anni, decenni. Sempre da parte della stessa gente, al più cambiano le generazioni: oggi si parla dei Tanzi e dei Cragnotti, ma la lista si perde nella notte dei tempi.
Poi, quando le cose vanno male, chiedono “sacrifici” nel nome del “comune interesse”: l’ultimo interesse veramente “comune” che ricordo furono le terre comuni, la sparizione delle quali catalizzò ben due rivoluzioni, quella inglese e quella francese. Alla faccia di Cromwell e Robespierre che vi fanno studiare a scuola.
Sono ancora tutto preso dalla lunghezza dell’Anaconda – cavolo, 17 e cinquanta, ma come faceva Bruno a sparare simili cavolate? – quando l’impiegata del Centro d’Assistenza Fiscale mi riconsegna una carta: “Questa no, non serve.”
Come non serve?
Lavorai due anni come Agente di Commercio, la Cassa dei Rappresentanti era l’ENASARCO…ci sono solo 700.000 lire dell’epoca sul mio conto, non saranno tante, ma posso sempre riscattare quegli anni di lavoro…
No, non può. E non dà spiegazioni.
Già m’incavolo una riga pensando che 700.000 lire, dopo 35 anni, non sono 350 euro: quanto saranno? Mah…non è quello che m’interessa: quel che voglio è il riconoscimento dei due anni di lavoro. C’è tutto, guardi qui: fogli ingialliti dal tempo testimoniano lontane iscrizioni a Camere di Commercio, Partite IVA…la donna sembra non essere minimamente toccata da quel che racconto.
Addirittura, nel 1993 – quando insegnavo già da molti anni – mi fecero correre (200 km!) il 27 Dicembre perché non avevo rinnovato la partita IVA…poi, quando s’accorsero dell’errore, diedero tutta la colpa ai computer. E’ sempre colpa del computer, poveraccio.
A quel punto, infastidita dalle mie insistenze, trae dal cassetto un foglio e me lo porge: «qui c’è l’elenco di tutte le Casse Pensionistiche che possono essere riscattate.» Punto.
Lo scorro: ci sono tutti, ma proprio tutti…figuriamoci se non c’è l’ENASARCO…Geometri, Chimici, Ingegneri, Ragionieri, Profumieri…fra un po’ ci trovo anche l’Associazione dei Commercianti di Corni di Rinoceronte…i Sacrestani del Nono Giorno…la lista finisce. L’ENASARCO non c’è.
Perdinci: ma quanti milioni d’italiani hanno fatto i rappresentanti? Magari per pochi anni, ma hanno lavorato…
«Perché non ha pagato l’INPS?» chiede a bruciapelo la vicina di scrivania. Al posto di un CAF mi sembra d’esser finito, come D’Artagnan, sulle mura di una scalcinato castello in rovina, e mi tocca menare fendenti a destra ed a manca per difendermi.
«Non lo so» rispondo «avevo forse 25 anni…mi dissero che quella era la cassa degli Agenti di Commercio e quella pagai…così disse il mio commercialista…»
«Fu mal consigliato.» Stoccata giunta a segno. Riparto.
«Ma, scusi: quelle 700.000 lire cosa sono, una mia invenzione?» Non tocco ma riesco, almeno, a farle perdere l’equilibrio.
«No, fu un sua scelta di pagare quella cassa di previdenza». Il fendente è stato portato troppo male, e dunque riesco ad imbastire un saracino che la mette in difficoltà.
«Ah, già: io e le aziende per le quali lavoravo ci divertivamo a pagare casse di previdenza, certo, come no…»
Siccome il mio vantaggio è evidente, a quel punto le due Guardie del Cardinale chiamano rinforzi: giunge un drappello di cavalleggeri e finisco nei sotterranei della Bastiglia. Non c’è niente da fare: manca le legge, la legge che consenta di ricongiungere i periodi lavorativi.
Flebilmente, dalla mia cella, ancora domando: ma il decreto Bersani, non diceva qualcosa…
«No, parbleu, non dice niente in merito» il carceriere sbatte l’inferriata della cella.
Mi ritrovo fuori, con il telefonino che squilla: è una radio che mi chiede un’intervista sul traffico d’organi. Riesco, malinconicamente, a complimentarmi con me stesso poiché – nonostante l’amarezza della sentenza appena calata – ce la faccio a rispondere decentemente a qualche domanda. Che professionista – mi dico – ma professionista un bel c… di niente! Qui ti hanno fregato, ma alla grande!
Provo a riflettere: chi potrà trarmi fuori dalla fortezza?
Monsier d’Armagnac! Come ho fatto a non pensarci prima! Ha sposato quella milady di mia cugina e lavora all’INPS!
Scartabello. Vecchi numeri di telefono, questo no…finalmente quello giusto…
Monsieur d’Armagnac e milady – guarda a caso – hanno vinto un viaggio premio in Riviera e passeranno a trovarmi, così parleremo della questione.
Quella sera, monsieur d’Armagnac conferma la sentenza: è vero, per l’ENASARCO non si può far niente…è imbarazzato, si vede «ma come, non lo sai? Con i soldi dell’ENASARCO hanno comprato le case per i politici…»
«Come per i politici?!? Credevo che avessero anch’essi la GESCAL…ma tu, all’INPS…»
Monsieru d’Armagnac non si scompone, appena sorride quando mi dice «Sì, potrei controllare ma…io, oramai, sono in pensione…». Eh già, penso: figuriamoci se lui non è riuscito ad andarci…
La carrozza degli ospiti parte e mi ritrovo solo, a dover sopportare due anni di lavoro in più, che diventano tre per i benemeriti “aggiustamenti” sull’età pensionabile di quel grand’uomo di sinistra che porta il nome di Cesare Damiano, il quale s’avvalse del precedente “lavoro” di quella santa anima di Maroni. Richelieu e Mazzarino: mai più entrerò in un seggio elettorale – rinnovo la promessa a me stesso – anche se dovesse diventare Primo Ministro Brunetta e lo sfidante fosse Fidel in persona.
Scopro così che, con i soldi delle contribuzioni, l’ENASARCO acquistò, negli anni, un “patrimonio immobiliare popolare, sito nella città di Roma”. Il “patrimonio immobiliare popolare” è quasi tutto in zone di gran pregio: quando mai, nelle zone dei ricchi, abita il “popolo”?
Poi giunge la confidenza di una collega “romana de Roma”: «Eh, riuscire ad affittare una casa dell’ENASARCO – l’espressione è sfingea, pare la Monaca di Monza alla quale chiedono un consiglio sui contraccettivi – mica è roba da poco. Per gli altri enti…qualcosa, se conosci qualcuno, si può trovare ma…con l’ENASARCO mica si riesce, lì ci stanno di mezzo i politici, le loro famiglie, c’hanno gli studi nel centro di Roma e pagano pochissimo, ovvio…»
Già, ovvio, mi rimane soltanto il dubbio di sapere in quali di queste “tasche” siano finite le mie 700.000 lire:
Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, inquilino dell’Enasarco, 1400 euro mensili per un appartamento di 120 metri quadrati in zona Farnesina. Il “murena” (così è chiamato per il suo violento interloquire) ha addentato la presa…pardon, la casa…
Roberto Castelli, ex ministro legaiolo, affitta per 700 euro il mese 97 metri quadrati a Monteverde vecchio. Roma Ladrona!
Girolamo Sirchia, ex ministro della Sanità, si gode un attico di 190 metri quadri sulla Nomentana. Alla salute!
Pio Pompa, ex 007 e l’ex patron del Perugia calcio, Luciano Gaucci, se la spassano in zona Ardeatina (dove abitano anche i dirigenti dell’Ente). La pompa che fa girare il calcio.
Donato Bonanni, figlio del segretario della CISL (forza lavoratori: lavorate!) e il senatore del PD Benedetto Adragna (e se aggiungessimo un undicesimo “comandamento”, ossia essere onesti?) abitano invece in uno dei quartieri più belli di Roma, il Delle Vittorie.
L’ex ministro Giuseppe Fioroni del PD ha invece “già fatto”, comperando per 94mila euro (quale esborso!) un appartamento di 3,4 vani catastali quando l’ENASARCO nel 2003 alienò il complesso “Tomba di Nerone”, sulla Cassia. Che velocità! Poverino: da viale Trastevere ad una tomba…
Cosimo Torlo, portavoce dell’ex ministro Damiano, ha ricevuto un appartamento all’Aurelio come Barbara Ronchetti, segretaria dell’ex ministro Damiano (ancora lui! Ma quando la smettono di fare i moralisti questi venduti del PD!): il bello è che era ed è il Ministero del Lavoro (di sinistra e di destra) a dover “vegliare” sull’operazione!
Antonio Manganelli, capo della Polizia di Stato, paga 1.100 euro al mese per 165 mq ai Parioli, Sempre ai Parioli, Francesco De Gennaro, figlio di Gianni De Gennaro ex capo della Polizia, paga 1.000 euro per 132 mq. Evviva i manganellatori di Genova!
Francesco Amoruso, (senatore PdL) per 145 mq ai Parioli paga 1.000 euro al mese. Dalla Puglia con furore.
C’è poi una “frattaglia” di personaggi minori, come Massimo Liofredi, (capostruttura RAI) che paga 750 euro per 93 MQ sul Lungotevere e Mario Palombo, ex parlamentare e generale dei carabinieri a riposo, 190 mq nella zona Portuense…
Queste sono tutte persone[1] che[2] potranno acquistare, a prezzi dimezzati rispetto a quelli di mercato, i loro appartamenti costruiti con i soldi miei e di tanti altri truffati, ai quali oggi impediscono addirittura di pagare di tasca propria la differenza sui contributi previdenziali.
A quel punto, decido di fare un po’ di ricerca sulla vicenda, sulla storia dell’ENASARCO, ed è una vicenda vomitevole, di quelle che fanno salire il voltastomaco, la rabbia.
A presiederlo, per anni, solo personaggi dubbi – qualcuno inquisito per le solite faccende, poi prosciolto, oppure la santissima prescrizione – il solito schifo. Donato Porreca, ad esempio, finì nella famosa inchiesta Billé/Ricucci dei “furbetti del quartierino”. Giovanni Garofoli, invece, fu già indagato nel 1996 per le assegnazioni di case ai politici…insomma, qui non è nemmeno il caso di citare le fonti: basta infilare un paio di parole su Google che questi personaggi saltano fuori come rane da una risaia. D’altra parte, è tutta gente che – se presa con le mani nel sacco – salta fuori dalla galera come un grillo: che abbiano una molla appiccicata al sedere?
A poco a poco, mi rendo conto del motivo che ha condotto a non fare mai una legge per la conversione ed il ricongiungimento di quei contributi, pagati in anni lontani da tantissimi italiani: quei soldi, sono soltanto più sulla carta.
L’ENASARCO, da parte sua, riconosce la pensione solo a chi ha versato 20 anni di contribuzione! Ma cos’è, questa, se non una truffa? Come si fa a chiedere soldi per una cassa previdenziale e poi non riconoscere i periodi inferiori a 20 anni? Oh: vent’anni! Un tizio può iniziare a lavorare, sposarsi, fare figli e poi crepare e…per la Previdenza non è mai esistito! Sarebbe questo lo stato di diritto?
Se qualcuno ha dei dubbi, prenda atto di come funzionano le cose nei Paesi dove vige lo stato di diritto. Uno zio di mia moglie lavorò, durante la Seconda Guerra Mondiale, in una miniera sui Pirenei Francesi, praticamente sotto falsa identità. A dire il vero, una vera identità non l’ebbe nemmeno poiché, per nascondere che era un disertore italiano – tutti i suoi compagni di reparto finirono nell’Organizzazione Todt tedesca, quella che costruì il Vallo di Normandia, e parecchi perirono di stenti – si finse muto.
Ebbene, quando oramai era parecchio anziano, alcuni vecchi amici francesi fecero presente la vicenda alle autorità di quel Paese: negli ultimi anni della sua vita, lo zio Vittorio si vide recapitare, dallo Stato francese, qualche decina di euro il mese, per un servizio lavorativo prestato nella Francia occupata, in guerra, senza che mai avesse detto una parola, né un nome!
Un caro amico, che per tutta la vita lavorò come Agente di Commercio, conferma: la pensione ENASARCO è risibile, anche per chi ha versato per 35 anni, e deve continuare a lavorare, altrimenti non ce la fa.
Dopo aver goduto per decenni di questo scandalo, la classe politica attuale ha deciso di metter fine allo scempio: il Governo ha deciso che il patrimonio immobiliare ENASARCO sarà messo sul mercato. E le pensioni? Mah…
Per questa ragione, ha nominato un apposito commissario ad acta, il quale dovrà collocare “nel miglior modo” per l’erario i beni, al fine d’ottenere il massimo per l’erario stesso. Oh, finalmente: così è sulla carta e dovrebbe essere in qualsiasi Paese normale.
La scelta è caduta su una donna: benissimo!
Si chiama Gabriella Alemanno[3].
Non abbiamo elementi, per sostenere che Gabriella Alemanno sia persona incompetente per gestire la “transizione”, ma – guarda a caso – è la sorella del sindaco della capitale. E non dimentichiamo mai la “massima” di Andreotti: che a pensar male, spesso, ci si azzecca.
Ecco l’ultima trovata, quella dei furbetti del quartierino 2.0: chi possiede le “chiavi” del piano regolatore? Il fratello.
Ora sì che il patrimonio immobiliare potrà essere (s)venduto! Si tratta di un patrimonio immobiliare “popolare”, non dimentichiamolo, e quindi sarà alienato – ai soliti noti – a prezzi popolari.
Poi, magari, l’appartamentino presso Piazza di Spagna – tutto può succedere in un piano regolatore – verrà riclassificato come attico o chissà che altro, e quadruplicherà il suo valore. I tempi dei “furbetti del quartierino” non finiscono mai, come gli esami di Eduardo.
E tu continua a lavorare: parola di Roberto Maroni e di Cesare Damiano, uniti nella lotta. E poi, dovremmo pure stare ad ascoltarli?
Eduardo De Filippo
L’Italia è il Paese delle sorprese: non passa giorno senza che ne giunga una nuova. Tutti siamo drammaticamente attanagliati dal dubbio sulla costituzionalità dei vari “lodi”, riforme della Giustizia, della Scuola, della Pubblica Amministrazione…e non passa giorno che non ci sia l’uovo di giornata, fresco da stampare sulle prime pagine dei quotidiani. Ci si scanna per battaglie “politiche” per scoprire l’acqua calda: chi gode di posizioni di privilegio, ne approfitta per gabbare le leggi che lui stesso scrive.
Mai che qualcuno titoli: “30.000 italiani fregati da Tizio”, “50.000 dimenticati dalla legge di Caio”. Mai. Ci toccherà farlo.
La sorpresa, di giornata, avviene quando mi presento al CAF per chiedere fin quando dovrò lavorare: il malloppo che ho riordinato, prelevandolo da vecchie cartelle di finta pelle anni ’70, polverose e rovinate dal tempo, è corposo.
Secondo i miei calcoli, dovrei essere oramai intorno a “quota” 35: non vorrei finire come un mio cugino il quale, in ospedale per un intervento chirurgico, s’accorse che sarebbe già potuto andare in pensione. Glielo disse un’infermiera: era vero.
A dire il vero, gli anni sarebbero 36 o forse 37, ma già so che periodi di lavoro molto lontani non potranno mai essere conteggiati: qualcuno ha sentito parlare di lavoro nero?
Uno di quei periodi, però, era un “nero” un po’ speciale e bisogna raccontarlo: il datore di lavoro era niente meno che il Ministero dell’Agricoltura, Ufficio Repressione Frodi, sede di Torino.
Con altri 5 “fortunati” lavorai circa 8 mesi in quell’ufficio modernissimo sito nella “Via del Campo” torinese dell’epoca, via Ormea, abituale ritrovo per l’amore a pagamento.
Il nostro compito era quello di controllare le ricevute dei pagamenti e le bollette di transito delle merci da/per il Piemonte. Era curioso constatare come dalle cantine sociali pugliesi, all’epoca, giungessero carovane d’autobotti che scaricavano sempre nelle cantine sociali dell’astigiano e del cuneese. Era tutto regolare, per carità, anche il vino “doc” che poi era venduto.
Il lavoro era massacrante: in cinque, bisognava – nell’intera mattinata! – aprire, suddividere e visionare circa 300 buste e relativo contenuto: il più delle volte, alle 9 avevamo già finito.
Fiorirono, attorno a quelle scrivanie, amicizie che durano tuttora, storie incredibili sulla lunghezza dell’Anaconda – il record fu di metri 17 e 50 centimetri, poi ritirato dallo stesso autore, visto che il serpentone iniziava già a vedersela con il mostro di Loch Ness – racconti di paesini meridionali, abbandonati per emigrazione, che nulla avevano da invidiare ad Amarcord, storie di ragazze, di politica…
Per molti anni mi fu oscura la ragione che aveva condotto noi, scapestrati di quegli anni, a godere di un così gioioso trattamento: lo scoprii solo molti anni dopo, quando uno di noi riuscì a sapere la verità.
Per tutto quel periodo non fummo mai pagati: solo alla fine degli otto mesi ci fu pagato l’intero periodo, e neppure male.
Nelle stanze accanto alla nostra lavoravano gli impiegati “regolari”; gente con cravatte sgargianti e capelli “stirati”, giovani signore con gonne appena un po’ sopra il ginocchio che volevano imitare, nelle parure, la Regina: donna Marella Agnelli, sempre lei.
In fondo al corridoio c’era l’ufficio del gran capo, ampio come una palestra, irrorato di luce ed ossigenato da una selva di piante da appartamento, tutte con un altezzoso portamento ministeriale, ovvio.
Il gran capo c’era poco in ufficio e quel poco che c’era lo trascorreva sempre al telefono: importanti chiamate da Roma, sempre da Roma. E da Ferrara. Perché?
Poiché lui, e probabilmente qualche capoccione suo pari, avevano trovato un buon intrallazzo: chiedevano fondi per il “controllo della documentazione” – quelle 300 buste da suddividere – il Ministero li concedeva ma…tardavano ad arrivare. La scusa, quando chiedevamo almeno un anticipo, era sempre quella: allargava le braccia «se il Ministero non accredita i fondi…»
E le telefonate a Ferrara?
Quei soldi, in realtà, erano già arrivati da tempo, ma non erano stati trasformati in stipendi: no, c’è tempo, che aspettino.
Il “gioco” era quello dei Ferruzzi: quei soldi – quanti uffici periferici? chi mai lo saprà… – diventavano un fondo per acquistare grano in Canada, Argentina, ecc, a prezzi bassissimi e poi rivenderlo in Europa a prezzi europei, facendo lo slalom sui dazi, le stagioni, ecc…
Per anni, almeno fin quando Gardini non si mise in testa di diventare la Chimica italiana, la ricchezza della holding ferrarese fu proprio quella, la furbizia – un po’ contadina – del vecchio Serafino Ferruzzi.
Non sappiamo quanti soldi lucrarono in quel modo: cinque persone, per otto mesi di stipendio…probabilmente raddoppiavano o quasi il capitale, e questo ogni anno, poiché ogni anno arrivavano altri cinque ad aprir buste. Mai gli stessi: troppo pericoloso.
Sorrido fra me e me, pensando a quante cose i giovani d’oggi non sanno: le mille truffe che l’Italia dei ricchi e dei raccomandati, da sempre, ha intessuto per fregare la parte più povera. Eh, 600 miliardi di euro nei Paradisi Fiscali mica si mettono insieme in quattro e quattr’otto…poi paghi il 5% di tasse con lo “Scudo Fiscale” di Tremonti…sono il risultato di ladrocini che durano anni, decenni. Sempre da parte della stessa gente, al più cambiano le generazioni: oggi si parla dei Tanzi e dei Cragnotti, ma la lista si perde nella notte dei tempi.
Poi, quando le cose vanno male, chiedono “sacrifici” nel nome del “comune interesse”: l’ultimo interesse veramente “comune” che ricordo furono le terre comuni, la sparizione delle quali catalizzò ben due rivoluzioni, quella inglese e quella francese. Alla faccia di Cromwell e Robespierre che vi fanno studiare a scuola.
Sono ancora tutto preso dalla lunghezza dell’Anaconda – cavolo, 17 e cinquanta, ma come faceva Bruno a sparare simili cavolate? – quando l’impiegata del Centro d’Assistenza Fiscale mi riconsegna una carta: “Questa no, non serve.”
Come non serve?
Lavorai due anni come Agente di Commercio, la Cassa dei Rappresentanti era l’ENASARCO…ci sono solo 700.000 lire dell’epoca sul mio conto, non saranno tante, ma posso sempre riscattare quegli anni di lavoro…
No, non può. E non dà spiegazioni.
Già m’incavolo una riga pensando che 700.000 lire, dopo 35 anni, non sono 350 euro: quanto saranno? Mah…non è quello che m’interessa: quel che voglio è il riconoscimento dei due anni di lavoro. C’è tutto, guardi qui: fogli ingialliti dal tempo testimoniano lontane iscrizioni a Camere di Commercio, Partite IVA…la donna sembra non essere minimamente toccata da quel che racconto.
Addirittura, nel 1993 – quando insegnavo già da molti anni – mi fecero correre (200 km!) il 27 Dicembre perché non avevo rinnovato la partita IVA…poi, quando s’accorsero dell’errore, diedero tutta la colpa ai computer. E’ sempre colpa del computer, poveraccio.
A quel punto, infastidita dalle mie insistenze, trae dal cassetto un foglio e me lo porge: «qui c’è l’elenco di tutte le Casse Pensionistiche che possono essere riscattate.» Punto.
Lo scorro: ci sono tutti, ma proprio tutti…figuriamoci se non c’è l’ENASARCO…Geometri, Chimici, Ingegneri, Ragionieri, Profumieri…fra un po’ ci trovo anche l’Associazione dei Commercianti di Corni di Rinoceronte…i Sacrestani del Nono Giorno…la lista finisce. L’ENASARCO non c’è.
Perdinci: ma quanti milioni d’italiani hanno fatto i rappresentanti? Magari per pochi anni, ma hanno lavorato…
«Perché non ha pagato l’INPS?» chiede a bruciapelo la vicina di scrivania. Al posto di un CAF mi sembra d’esser finito, come D’Artagnan, sulle mura di una scalcinato castello in rovina, e mi tocca menare fendenti a destra ed a manca per difendermi.
«Non lo so» rispondo «avevo forse 25 anni…mi dissero che quella era la cassa degli Agenti di Commercio e quella pagai…così disse il mio commercialista…»
«Fu mal consigliato.» Stoccata giunta a segno. Riparto.
«Ma, scusi: quelle 700.000 lire cosa sono, una mia invenzione?» Non tocco ma riesco, almeno, a farle perdere l’equilibrio.
«No, fu un sua scelta di pagare quella cassa di previdenza». Il fendente è stato portato troppo male, e dunque riesco ad imbastire un saracino che la mette in difficoltà.
«Ah, già: io e le aziende per le quali lavoravo ci divertivamo a pagare casse di previdenza, certo, come no…»
Siccome il mio vantaggio è evidente, a quel punto le due Guardie del Cardinale chiamano rinforzi: giunge un drappello di cavalleggeri e finisco nei sotterranei della Bastiglia. Non c’è niente da fare: manca le legge, la legge che consenta di ricongiungere i periodi lavorativi.
Flebilmente, dalla mia cella, ancora domando: ma il decreto Bersani, non diceva qualcosa…
«No, parbleu, non dice niente in merito» il carceriere sbatte l’inferriata della cella.
Mi ritrovo fuori, con il telefonino che squilla: è una radio che mi chiede un’intervista sul traffico d’organi. Riesco, malinconicamente, a complimentarmi con me stesso poiché – nonostante l’amarezza della sentenza appena calata – ce la faccio a rispondere decentemente a qualche domanda. Che professionista – mi dico – ma professionista un bel c… di niente! Qui ti hanno fregato, ma alla grande!
Provo a riflettere: chi potrà trarmi fuori dalla fortezza?
Monsier d’Armagnac! Come ho fatto a non pensarci prima! Ha sposato quella milady di mia cugina e lavora all’INPS!
Scartabello. Vecchi numeri di telefono, questo no…finalmente quello giusto…
Monsieur d’Armagnac e milady – guarda a caso – hanno vinto un viaggio premio in Riviera e passeranno a trovarmi, così parleremo della questione.
Quella sera, monsieur d’Armagnac conferma la sentenza: è vero, per l’ENASARCO non si può far niente…è imbarazzato, si vede «ma come, non lo sai? Con i soldi dell’ENASARCO hanno comprato le case per i politici…»
«Come per i politici?!? Credevo che avessero anch’essi la GESCAL…ma tu, all’INPS…»
Monsieru d’Armagnac non si scompone, appena sorride quando mi dice «Sì, potrei controllare ma…io, oramai, sono in pensione…». Eh già, penso: figuriamoci se lui non è riuscito ad andarci…
La carrozza degli ospiti parte e mi ritrovo solo, a dover sopportare due anni di lavoro in più, che diventano tre per i benemeriti “aggiustamenti” sull’età pensionabile di quel grand’uomo di sinistra che porta il nome di Cesare Damiano, il quale s’avvalse del precedente “lavoro” di quella santa anima di Maroni. Richelieu e Mazzarino: mai più entrerò in un seggio elettorale – rinnovo la promessa a me stesso – anche se dovesse diventare Primo Ministro Brunetta e lo sfidante fosse Fidel in persona.
Scopro così che, con i soldi delle contribuzioni, l’ENASARCO acquistò, negli anni, un “patrimonio immobiliare popolare, sito nella città di Roma”. Il “patrimonio immobiliare popolare” è quasi tutto in zone di gran pregio: quando mai, nelle zone dei ricchi, abita il “popolo”?
Poi giunge la confidenza di una collega “romana de Roma”: «Eh, riuscire ad affittare una casa dell’ENASARCO – l’espressione è sfingea, pare la Monaca di Monza alla quale chiedono un consiglio sui contraccettivi – mica è roba da poco. Per gli altri enti…qualcosa, se conosci qualcuno, si può trovare ma…con l’ENASARCO mica si riesce, lì ci stanno di mezzo i politici, le loro famiglie, c’hanno gli studi nel centro di Roma e pagano pochissimo, ovvio…»
Già, ovvio, mi rimane soltanto il dubbio di sapere in quali di queste “tasche” siano finite le mie 700.000 lire:
Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, inquilino dell’Enasarco, 1400 euro mensili per un appartamento di 120 metri quadrati in zona Farnesina. Il “murena” (così è chiamato per il suo violento interloquire) ha addentato la presa…pardon, la casa…
Roberto Castelli, ex ministro legaiolo, affitta per 700 euro il mese 97 metri quadrati a Monteverde vecchio. Roma Ladrona!
Girolamo Sirchia, ex ministro della Sanità, si gode un attico di 190 metri quadri sulla Nomentana. Alla salute!
Pio Pompa, ex 007 e l’ex patron del Perugia calcio, Luciano Gaucci, se la spassano in zona Ardeatina (dove abitano anche i dirigenti dell’Ente). La pompa che fa girare il calcio.
Donato Bonanni, figlio del segretario della CISL (forza lavoratori: lavorate!) e il senatore del PD Benedetto Adragna (e se aggiungessimo un undicesimo “comandamento”, ossia essere onesti?) abitano invece in uno dei quartieri più belli di Roma, il Delle Vittorie.
L’ex ministro Giuseppe Fioroni del PD ha invece “già fatto”, comperando per 94mila euro (quale esborso!) un appartamento di 3,4 vani catastali quando l’ENASARCO nel 2003 alienò il complesso “Tomba di Nerone”, sulla Cassia. Che velocità! Poverino: da viale Trastevere ad una tomba…
Cosimo Torlo, portavoce dell’ex ministro Damiano, ha ricevuto un appartamento all’Aurelio come Barbara Ronchetti, segretaria dell’ex ministro Damiano (ancora lui! Ma quando la smettono di fare i moralisti questi venduti del PD!): il bello è che era ed è il Ministero del Lavoro (di sinistra e di destra) a dover “vegliare” sull’operazione!
Antonio Manganelli, capo della Polizia di Stato, paga 1.100 euro al mese per 165 mq ai Parioli, Sempre ai Parioli, Francesco De Gennaro, figlio di Gianni De Gennaro ex capo della Polizia, paga 1.000 euro per 132 mq. Evviva i manganellatori di Genova!
Francesco Amoruso, (senatore PdL) per 145 mq ai Parioli paga 1.000 euro al mese. Dalla Puglia con furore.
C’è poi una “frattaglia” di personaggi minori, come Massimo Liofredi, (capostruttura RAI) che paga 750 euro per 93 MQ sul Lungotevere e Mario Palombo, ex parlamentare e generale dei carabinieri a riposo, 190 mq nella zona Portuense…
Queste sono tutte persone[1] che[2] potranno acquistare, a prezzi dimezzati rispetto a quelli di mercato, i loro appartamenti costruiti con i soldi miei e di tanti altri truffati, ai quali oggi impediscono addirittura di pagare di tasca propria la differenza sui contributi previdenziali.
A quel punto, decido di fare un po’ di ricerca sulla vicenda, sulla storia dell’ENASARCO, ed è una vicenda vomitevole, di quelle che fanno salire il voltastomaco, la rabbia.
A presiederlo, per anni, solo personaggi dubbi – qualcuno inquisito per le solite faccende, poi prosciolto, oppure la santissima prescrizione – il solito schifo. Donato Porreca, ad esempio, finì nella famosa inchiesta Billé/Ricucci dei “furbetti del quartierino”. Giovanni Garofoli, invece, fu già indagato nel 1996 per le assegnazioni di case ai politici…insomma, qui non è nemmeno il caso di citare le fonti: basta infilare un paio di parole su Google che questi personaggi saltano fuori come rane da una risaia. D’altra parte, è tutta gente che – se presa con le mani nel sacco – salta fuori dalla galera come un grillo: che abbiano una molla appiccicata al sedere?
A poco a poco, mi rendo conto del motivo che ha condotto a non fare mai una legge per la conversione ed il ricongiungimento di quei contributi, pagati in anni lontani da tantissimi italiani: quei soldi, sono soltanto più sulla carta.
L’ENASARCO, da parte sua, riconosce la pensione solo a chi ha versato 20 anni di contribuzione! Ma cos’è, questa, se non una truffa? Come si fa a chiedere soldi per una cassa previdenziale e poi non riconoscere i periodi inferiori a 20 anni? Oh: vent’anni! Un tizio può iniziare a lavorare, sposarsi, fare figli e poi crepare e…per la Previdenza non è mai esistito! Sarebbe questo lo stato di diritto?
Se qualcuno ha dei dubbi, prenda atto di come funzionano le cose nei Paesi dove vige lo stato di diritto. Uno zio di mia moglie lavorò, durante la Seconda Guerra Mondiale, in una miniera sui Pirenei Francesi, praticamente sotto falsa identità. A dire il vero, una vera identità non l’ebbe nemmeno poiché, per nascondere che era un disertore italiano – tutti i suoi compagni di reparto finirono nell’Organizzazione Todt tedesca, quella che costruì il Vallo di Normandia, e parecchi perirono di stenti – si finse muto.
Ebbene, quando oramai era parecchio anziano, alcuni vecchi amici francesi fecero presente la vicenda alle autorità di quel Paese: negli ultimi anni della sua vita, lo zio Vittorio si vide recapitare, dallo Stato francese, qualche decina di euro il mese, per un servizio lavorativo prestato nella Francia occupata, in guerra, senza che mai avesse detto una parola, né un nome!
Un caro amico, che per tutta la vita lavorò come Agente di Commercio, conferma: la pensione ENASARCO è risibile, anche per chi ha versato per 35 anni, e deve continuare a lavorare, altrimenti non ce la fa.
Dopo aver goduto per decenni di questo scandalo, la classe politica attuale ha deciso di metter fine allo scempio: il Governo ha deciso che il patrimonio immobiliare ENASARCO sarà messo sul mercato. E le pensioni? Mah…
Per questa ragione, ha nominato un apposito commissario ad acta, il quale dovrà collocare “nel miglior modo” per l’erario i beni, al fine d’ottenere il massimo per l’erario stesso. Oh, finalmente: così è sulla carta e dovrebbe essere in qualsiasi Paese normale.
La scelta è caduta su una donna: benissimo!
Si chiama Gabriella Alemanno[3].
Non abbiamo elementi, per sostenere che Gabriella Alemanno sia persona incompetente per gestire la “transizione”, ma – guarda a caso – è la sorella del sindaco della capitale. E non dimentichiamo mai la “massima” di Andreotti: che a pensar male, spesso, ci si azzecca.
Ecco l’ultima trovata, quella dei furbetti del quartierino 2.0: chi possiede le “chiavi” del piano regolatore? Il fratello.
Ora sì che il patrimonio immobiliare potrà essere (s)venduto! Si tratta di un patrimonio immobiliare “popolare”, non dimentichiamolo, e quindi sarà alienato – ai soliti noti – a prezzi popolari.
Poi, magari, l’appartamentino presso Piazza di Spagna – tutto può succedere in un piano regolatore – verrà riclassificato come attico o chissà che altro, e quadruplicherà il suo valore. I tempi dei “furbetti del quartierino” non finiscono mai, come gli esami di Eduardo.
E tu continua a lavorare: parola di Roberto Maroni e di Cesare Damiano, uniti nella lotta. E poi, dovremmo pure stare ad ascoltarli?
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Fonte : http://www.fainotizia.it/2009/04/21/la-casta-colpisce-ancora-il-caso-degli-appartamenti-enasarco-su-cui-non-caso-nessuno-fiat
[2] Fonte : http://associazionedirittinmovimento.iobloggo.com/56/nomi-politici-inquilini-enasarco
[3] Fonte: http://www.enasarco.it/eol2004/notizie/Comunicato_stampa_20090722.pdf