«…ogni nuovo organismo storico crea una nuova superstruttura, i cui rappresentanti specializzati e portabandiera non possono non essere concepiti anch'essi come "nuovi" intellettuali, sorti dalla nuova situazione e non continuazione della precedente intellettualità.»
Antonio Gramsci – Quaderni del Carcere – 1929-1935.
Lo scorso 24 Ottobre era in programma, a Bologna, un incontro organizzato dall’associazione “Faremondo” (Faremondo.org) sul tema di come “uscire dalla Rete”: l’invito era rivolto ai scrittori, bloggher e gestori di siti Web, fra i quali lo scrivente.
Non sono andato a Bologna anche per motivazioni personali, ma confesso pubblicamente che ero poco convinto dell’iniziativa. Oggi – dopo che Emanuele Montagna m’ha aggiornato sulla “brillante” assenza proprio dei gestori dei siti e dei blog (cosa sulla quale non avevo dubbi, al punto che l’articolo era già scritto) – vorrei sottoporre qualche spunto utile per il futuro, così da poter sviluppare una riflessione collettiva sull’annoso problema dell’organizzazione.
Premessa
L’incontro del 30 Maggio 2010 – “Anticorpi: che facciamo?” – non fu proprio un successo: tanto brigare, per poi trovarsi in una trentina (scarsa) di persone, non giustificava proprio tanto sbattimento. Per tutti: organizzatori ed intervenuti.
Allora, “uscire dalla Rete” non è possibile? Siamo condannati a rimanerci? Probabilmente sì, ma c’è modo e modo di rimanere in Rete e fuori della Rete. Andiamo con ordine.
Quando mi recai a Bologna, era mio preciso intento spiegare con dovizia come l’energia fosse il nodo centrale dei “tempi bui” che stiamo vivendo. Non desideravo affatto rifare da capo la storia di quanto è brutto il nucleare…eccetera…bensì mostrare – calcoli alla mano – che sull’energia si giocherà la partita, soprattutto sociale, nei prossimi decenni.
Tutti blaterano su fonti energetiche e rendimenti, pensando così di trovare la panacea contro ogni male, mentre il vero problema non è la fonte, bensì chi governa tale fonte. Ai più attenti, non sfuggirà che le fonti fossili e l’Uranio sono perfette per l’oligarchia dominante: fonti finite, tecnologia complessa o di grandi dimensioni, completo controllo.
Per iniziare un confronto a tutto campo sul concetto di Economia Sociale Sostenibile – da contrapporre alle velleità “bancarie” di “stralciare” l’economia dal novero degli argomenti politici[1] – è necessario avere un concetto sul quale far leva, e l’energia è perfetto, anche se altri aspetti possono essere ugualmente utilizzati.
Perché l’energia?
Poiché è un argomento sentito, sul quale c’è una vasta convergenza di consensi, dove le realizzazioni sono tangibili e visibili: nonostante tutto il battage pubblicitario della Casta, solo un italiano su tre è disposto ad accettare una centrale nucleare sul suo territorio. Ma c’è un altro aspetto, ancora più importante.
Ogni anno, l’Italia – tributaria verso l’estero di circa il 90% dell’energia che consumiamo – paga la cosiddetta “bolletta energetica”, la quale può variare in una “forbice” fra i 30 ed i 60 miliardi di euro, secondo l’andamento dei prezzi e delle monete. Le nazioni che programmano per la metà del secolo la completa autosufficienza energetica (Danimarca, ad esempio, ma anche parecchie aree tedesche) meditano – oltre alle questioni relative al clima, ai problemi del nucleare, ecc – d’impossessarsi di quel malloppo.
Il quale, è difeso a spada tratta dagli USA per sorreggere il dollaro come moneta di riferimento, dai Paesi produttori di prodotti energetici per ovvi motivi e da numerose “quinte colonne” – lautamente foraggiate da questi “attori protagonisti” – per smontare le tesi sulle rinnovabili (pensiamo al “trattamento Rubbia”), “montare” fantasiosi problemi “estetici”, bistrattare ogni scienziato che sottolinei i rischi ambientali…in altre parole, tutto ciò che incrina il sistema dei fossili e dell’Uranio.
Ecco perché, “mettere le mani” sul “gruzzolo” da decine di miliardi di euro l’anno, sarebbe importante: potrebbe diventare la prima pietra per (ri)costruire un’economia basata sulle produzioni locali, sulle banche locali (come un tempo, senza fini di lucro), sul ritorno dello Stato come attore nei grandi processi industriali, ecc.
Da qui in avanti, sarebbe iniziato il discorso interessante, ma fui quasi zittito da richieste pressanti: “Queste cose già le sappiamo” fu il sentimento comune dei (pochi) intervenuti “il problema è: cosa possiamo fare?”
Capisco perfettamente l’ansia di chi vede la propria vita violentata da una masnada d’incompetenti attacché all’oligarchia dominante – anzi, a ben vedere, dai servi di tale oligarchia – ma non è chiedendo soluzioni salvifiche e messianiche al primo che viene a parlare che si risolvono i problemi, né si creano aggregazioni e strutture.
La responsabilità di quel fallimento non fu però di chi intervenne, bensì mia e di chi organizzò l’evento. Vediamo il perché.
La democrazia assembleare sarebbe una cosa meravigliosa: se funzionasse. L’incontro di Maggio ne fu un esempio, e quello di Ottobre ne ripercorreva i termini.
Dopo Maggio, fui contattato alcune volte da Emanuele Montagna di Faremondo, il quale mi chiese se ero disponibile per incontrarci prima dell’Autunno, insieme a Franco Soldani. Dissi loro, per quella volta, di salire da me e concordarono. Qualche mese dopo fu Truman di Comedonchisciotte a dirmi che “sarebbe probabilmente passato” da me: ancora lo attendo.
Il mio desiderio d’avere, prima d’altre iniziative, incontri ristretti e diretti discendeva – e nel prosieguo dell’articolo apparirà più chiaro – da precise riflessioni sulla prassi da seguire.
Questo per dire che, se si organizza un incontro fra gestori di siti, scrittori, bloggher, ecc i casi sono due: o l’incontro è limitato ai sopraccitati individui, oppure – se si desidera un incontro con il pubblico – quegli stessi individui devono incontrarsi prima per concordare come intervenire. Altrimenti, è il caos: ciascuno chiede e tutti dovrebbero rispondere, su tutto, e non funziona.
E tornano alla mente i versi di Guccini: “chiunque ha un tiramento…”
Spontaneismo od avanguardia?
La mia posizione – non mi nascondo dietro il classico dito – si chiama leninismo perché sono convinto che Lenin seppe ben organizzare la presa del potere in Russia, poiché capì per tempo due assiomi inseparabili: la necessità di un’avanguardia e, proprio per l’elasticità intrinseca del gruppo ristretto, la spregiudicatezza nella prassi.
A prima vista, il Web sembrerebbe l’apoteosi della democrazia e dello spontaneismo, quindi il massimo della libertà d’espressione. Il che, per quanto riguarda il nostro agire all’interno dei siti e dei blog, è anche vero, a parte le ingerenze dei troll e dei debunker. Ma, come viene percepito il Web all’esterno? E’ temuto? E’ consultato? In altre parole: “conta”?
Il Web “conta” come movimento d’opinione facilmente percettibile, sul quale i partiti della Casta “modellano” la serie d’inganni che, ripetutamente, propongono.
La stima, che la Casta ha del Web, potrebbe essere invece così riassunta: un gruppo di galline starnazzanti che urlano ogni giorno centomila diverse canzoni, non omettendo di beccarsi fra di loro quando una cosiddetta “primadonna” passa a tiro. Per loro, significa soltanto tirare le somme su qualche denominatore comune molto sentito – quanti hanno promesso l’abolizione delle Province? – per blaterarlo in televisione e tirare a campare da un’elezione all’altra.
Il Web è il “regno degli orticelli” ben recintati e difesi a spada tratta: ciascuno con il proprio marchio, che va a controllare ogni settimana su Blogbabel per osservare se la freccia è all’insù o all’ingiù.
Ma dove vogliamo andare, agendo in questo modo? Sarà una bellissima democrazia assembleare ma, fra centomila anni (se durassimo tanto), saremmo al medesimo punto.
Gli incontri promossi da Faremondo, nelle sincere intenzioni degli organizzatori, dovevano servire proprio a questo: a “superare” la frammentazione del Web.
Il limite è non accorgersi di riproporre, per “superare” la “dimensione Web”, i suoi stessi difetti: essere lontani, “slegati” e disorganizzati.
Quindi, qualora si dovessero ripetere iniziative di questo tipo, il mio parere sarebbe quello di contattare le principali “testate” Web, bloggher, gruppi politici che agiscono sul Web, ecc e riunirci per trovare, prima d’aprirci al pubblico, almeno l’unità d’intenti su cosa intendiamo fare perché, non nascondiamoci, ciò che la maggior parte delle persone chiede è una formazione politica che corrisponda al plafond di cultura che lo spontaneismo del Web ha creato.
Agendo senza questa prima fase d’incontro e di riflessione, finiremmo per presentarci al pubblico per il nulla che siamo: lo sconcerto e la disillusione non farebbero che aumentare.
Lo stato dell’arte
Veniamo ai punti proposti da Faremondo:
1. La società del capitale: qual è la sua natura, come funziona sotto la superficie e quali sono le sue tendenze;
2. La natura della scienza: gli stereotipi ufficiali, il suo status interno più sofisticato e quel suo modo di ragionare così strettamente imparentato col modo di funzionare proprio del capitale;
3. Megamedia e propaganda: come i dominanti suscitano il consenso dei dominati nel mondo alla rovescia inventato dai loro mille schermi di fumo;
4. 11 settembre 2001: un inside job ad uso e consumo delle élite finanziarie dell'imperialismo USA dentro il big game geopolitico e criminale del mondo multipolare. Perché non possiamo chiedere la verità agli agenti del Potere e perché la consapevolezza di questo può portarci a ragionare diversamente;
5. Lo stato delle cose: come possiamo distinguerci concettualmente e nell'azione dalle opposizioni fittizie e da tutte le loro false piste intellettuali.
Non è chiaro se questi punti erano da considerare un dibattito per una ristretta avanguardia oppure una discussione da proporre al vasto pubblico.
Nel primo caso, appaiono scontati, nel secondo non so – effettivamente – quanto possano essere “sentiti”: una famiglia, che deve campare con 1400 euro e pagare l’affitto ed il mutuo, ha il tempo e la voglia di scoprire – ascoltando, leggendo, informandosi, dibattendo – quali sono gli inganni dell’odierna scienza/religione laica?
In realtà, alcuni di questi punti finiscono per essere scontati addirittura per il grande pubblico: chi legge sui siti d’informazione Web, ha ancora qualche dubbio che il capitale sia un raffinato mezzo d’accentramento della ricchezza verso un’oligarchia? Che tutto l’ambaradan dell’11 Settembre – comunque sia andato – servisse solo ad invadere l’Iraq per impossessarsi delle seconde riserve petrolifere del Pianeta, le quali – sotto Saddam – erano sfruttate per la decima parte rispetto al vicino saudita e, quindi, in breve tempo sarebbero divenute le prime riserve mondiali? Oppure che l’Afghanistan sia la vecchia strategia del controllo del “cuore” dell’Asia? E’ dai tempi di Marco Polo che lo sappiamo.
E ancora: nel Paese di Berlusconia, qualcuno ha ancora dei dubbi sulla funzione dei media?
E veniamo all’ultimo punto: “distinguersi” dalle opposizioni fittizie. Basta osservare un giorno di vita del PD o dell’IDV – le loro colpevoli “assenze” quando ci sono da votare emendamenti “critici”, le loro posizioni ondivaghe sull’energia, sul lavoro, il loro sposalizio con il liberismo…ma quanto bisogna andare avanti? – per capire che, chi sta di là, ci sta perché vuole starci, per raccogliere domani dei cocci sui quali ricostruire una posizione di potere. Basta una battuta: “Dal Bottegone al Botteghino”.
Come organizzare?
Distinguere la propria posizione (presumibilmente, nel “solco” della sinistra, ma ci sono importanti contributi da parte di quella che viene definita la “Nuova Destra”, mi riferisco a De Benoist) da quella dei sinceri sostenitori del capitalismo internazionale – che oggi si presenta con la veste liberista, quindi semplifica di molto la posizione di un marxista: niente “aneliti” socialdemocratici, kautskiani, rooseveltiani o keynesiani da valutare ed analizzare – comporta, semplicemente, chiedere più salario, salute e diritti, meno anni di lavoro ed un “quadro” giuridico certo, basato sulla Costituzione.
In altre parole, quella Economia Sociale Sostenibile che sappia coniugare l’esigenza di certezze (reddito, lavoro, sanità, istruzione, ecc) delle popolazioni e sappia riproporre un concetto di Stato che sia garante della vita delle popolazioni, non della salvaguardia del capitale: a margine, notiamo che il problema dell’attentato in atto alla Costituzione è molto sentito dagli italiani.
Il problema si sposta sul “come” chiederlo, quindi sull’organizzazione.
Ciò che i milioni di lettori del Web chiedono, oggi, è una nuova formazione politica che li rappresenti: non altro. Se circa il 30% degli elettori italiani – consapevolmente – hanno rifiutato la scheda perché non si sentivano rappresentati, lo spazio politico per intervenire esiste, anche considerando la presenza di Grillo o d’altre formazioni minori.
Nel frattempo, cosa fa la Casta?
Noi ci lambicchiamo sulla strategia da seguire, mentre Berlusconi ha già dato ordine alle sue reti televisive di trasmettere la serie di film di “Don Camillo”: lo fa sempre, prima delle elezioni. Perché?
Poiché la metà degli italiani sono oramai anziani e, da giovani o da meno giovani, tutti hanno visto quei film, che sono un mezzo potentissimo per portare alla luce i “buoni sentimenti” che sono presenti nell’animo umano.
Una volta riuniti – metaforicamente – milioni d’italiani sotto l’ombrello della lontana chiesa/partito di Brescello – ed i nostri compatrioti trasuderanno buoni sentimenti ed effluvi “di pancia” – sarà un gioco da ragazzi sovrapporre a quei sentimenti – condivisi/collusi con la maggior parte degli italiani – la propria facciona di uomo semplice, efficiente, devoto alla Madonna e alle puttane, come ogni italiano/italiana approva.
I partiti della cosiddetta sinistra – e lo dice una persona che ha “toccato con mano” i loro sconfortanti livelli di comunicazione – non riescono nemmeno a comprendere che, mentre loro si lambiccano sul fattibile e sul probabile, la destra berlusconiana fiorisce, immaginifica, di Gestalt dirette come uppercut alla “pancia” del Paese. Non a caso, i migliori risultati nella lotta al potere berlusconiano li ottengono i comici – Grillo, Guzzanti, ecc – che usano gli stessi mezzi.
Noi, che rappresentiamo l’altra metà dell’elettorato – confuso, deluso, oramai trasfuso con ogni veleno – invece di presentare pochi e semplici obiettivi, chiediamo riflessioni sui massimi sistemi? E chi ci seguirà mai?
Ripeto, a rischio d’apparire malato “d’aristocrazia politica”: era rivolto ad una ristretta cerchia di persone od era erga omnes?
Come già ricordavo, se il messaggio era rivolto a “chiunque” non poteva sortire altro che una gazzarra senza senso – pensiamo alle mille, sfaccettate posizioni sull’11 Settembre – oppure una noia infinita.
Questo accade perché, a monte, è venuta meno la principale responsabilità dell’intellettuale: quella d’elaborare cultura. Se non si è in grado di presentare una proposta politica coerente, cosa si presenta/chiede alla gente? Non vorremo mica sostenere che sia il Web a riuscirci?!? Sfaccettato, condizionato, svagato, preda dei mille troll e debunker che postano, con nick fantasiosi, dalle segreterie dei partiti al potere?
Gli italiani che non si fanno prendere all’amo di Don Camillo, chiedono qualcosa di più ed è giusto che lo pretendano quando ci si presenta con una prospettiva mica da poco – “uscire dalla Rete” – per ritrovarsi, ovviamente, sul territorio. Ci rendiamo conto di quale responsabilità ci si carica sulle spalle?
Contingenze e furbizie della Casta
Anni fa, ad un incontro promosso da Elio Veltri, gli chiesi come potesse girare l’Italia in quel modo…insomma, non costava mica poco…
Mi rispose che lo poteva fare soltanto perché aveva ancora diritto alla tessera ferroviaria gratuita, retaggio di quand’era parlamentare.
Noi, per spostarci a Bologna, dobbiamo cercare altri per dividere i costi del viaggio, anche perché il treno mica è più economico come un tempo: oggi, spostarsi, costa parecchio. E gli stipendi sono più bassi ed incerti.
La classe politica lo sa benissimo: per questa ragione concede ogni benefit per i viaggi ai suoi accoliti – mentre nega qualsiasi contributo ad altri – perché in quel modo sa benissimo d’inchiodare la gente a casa. Sfogati sulla tastiera.
Lo stesso principio viene applicato all’editoria: se il tuo “agire” ed i tuoi contenuti possono essere accettati dalla Casta – meglio se la sorreggono – allora avrai diritto ai contributi, altrimenti nulla.
Senza contributi per viaggiare – e poi alloggiare, nutrirsi, ecc – e nemmeno una minima copertura dei costi per eventuali pubblicazioni, tutto finisce per diventare puro volontariato, ma un volontariato che richiede energie e si “prende” una parte delle nostre vite.
E’ il tasto che nessuno vuole toccare, quello economico: siamo la parte meno abbiente della popolazione – mettiamocelo in testa – ed impariamo ad agire di conseguenza: altrimenti, con un altro paio d’iniziative di questo genere che vanno praticamente a monte, sarà “tastiera forever”.
Quando il Primo Ministro Tojo chiese all’ammiraglio Yamamoto d’attaccare le flotte USA su tutti i fronti, con tutto ciò che il Giappone aveva a disposizione all’inizio della guerra, Yamamoto versò la tazza di tè che aveva in mano sul pavimento e rispose: “Questa è la nostra forza, ciò che oggi possediamo: se la gettiamo in una sola, grande battaglia, sparirà e non resterà nulla”. Ricordiamoci quelle parole, prima di prendere qualsiasi decisione.
Qualche indicazione operativa
I tempi per grandi adunate non sono maturi, tanto meno se sono spontanee e senza temi ben circoscritti ed obiettivi da raggiungere.
Allora, è meglio essere chiari: è necessario che una serie di persone che da anni scrivono, propongono, pubblicano, “lavorano” sul Web s’incontrino e stendano un plafond d’obiettivi comuni. Non avere il timore d’affermare che lo faranno quasi “a porte chiuse”, perché quello è il ruolo dell’intellettuale, almeno in questa fase.
Questo, da sempre, è il compito degli intellettuali: venire meno a questo principio, non significa prosternarsi in aneliti d’umiltà, bensì fuggire alle proprie responsabilità.
Non è necessario essere degli “scafati” obiettori del sapere scientifico né degli espertissimi tecnici d’aviazione e di demolizioni controllate: basta credere che questo Paese meriti una classe politica diversa, migliore, con l’obiettivo chiaro delle re-distribuzione della ricchezza, della primato del sapere sul potere, del pubblico sul privato.
Qualche traccia operativa?
1. Riportare la tassazione all’originario concetto di progressività;
2. Contrastare le varie riforme “federali” e, anzi, ridurre le amministrazioni intermedie, che sono soltanto cespiti di corruzione per la Casta;
3. Lottare contro il programma nucleare civile italiano e sviluppare un piano per la totale autosufficienza energetica;
4. Separare la previdenza dall’assistenza, iniziando a prevedere forse di sostegno al reddito diverse dalla tradizione, con un occhio attento al reddito di cittadinanza;
5. Contrastare l’inurbamento delle popolazioni, studiando mezzi e prassi che conducano ad una ri-appropriazione del territorio e ad una sua occupazione finalizzata alla gestione delle risorse.
6. Il sapere è il miglior viatico dell’Umanità: abbattere il mostro classista creato nell’istruzione – a tutti i livelli – dalla riforma Bassanini in poi.
7. Altro…
Prima d’incontrarsi, però, bisognerebbe contattare telefonicamente più persone e stabilire con cura la data: affinché, chi deve esserci, ci sia.
Una delle proposte operative era quella di creare una rivista: ottima idea, perché fra migliaia di siti una vera rivista di riflessione politico/sociale manca. Come la facciamo?
Ci si mette viaggio – ammettendo che siano presenti i principali scrittori, bloggher, ecc – per poi scoprire che uno la vuole cartacea, un altro elettronica, aperta ai commenti, chiusa, con forum, senza forum…eccetera? Sarebbe meglio chiarire perché si vuole creare una rivista: obiettivi da raggiungere, prassi, persone, ruoli.
Va da sé che, senza contributi né spazi per una redazione, una simile rivista potrebbe essere soltanto (per ora) elettronica: d’altro canto, anche i grandi quotidiani stanno migrando sul Web.
I costi per una rivista Web sono bassissimi e facilmente sostenibili: più complessa l’organizzazione.
Anzitutto, serve un webmaster, il quale si occupi della gestione tecnica della rivista. Per sollevare il webmaster dal suo lavoro, dovrà essere individuata una figura di caporedattore, con la funzione precipua di programmare gli interventi. A sua volta, una ristretta cerchia di redattori lo coadiuverà presentando i brani (propri, d’altri, traduzioni, ecc, ma originali) pronti per la pubblicazione. Dovrebbe altresì esistere una figura simile all’addetto alle Pubbliche Relazioni, con il compito di ricevere la posta ed eventualmente smistarla. Un grafico per abbellire gli articoli con capacità d’elaborazione e gestione di più formati, grafici e multimediali.
In questo modo, il lavoro sarebbe equamente distribuito e meno gravoso per tutti: personalmente, non avrei remore ad accettare un po’ di pubblicità per coprire qualche costo e concedere qualche modesto rimborso spese per chi dovrebbe assumersi responsabilità (quindi, tempo) maggiori.
Ciò che viene proposto, ritornando all’incipit dell’articolo, è che gli intellettuali ancora presenti e non organici (torna la distinzione gramsciana…) al potere, si diano una sveglia e si rendano conto di quali sono i loro compiti storici all’interno della società che desiderano rivoluzionare.
Altrimenti, se non si è in grado d’assumersi quella responsabilità, è meglio lasciar perdere ed attendere che altri ci riescano, perché solo quella fase rappresenterà la rinascita della cultura (politica e non) italiana.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/10/roba-da-pazzi.html
Antonio Gramsci – Quaderni del Carcere – 1929-1935.
Lo scorso 24 Ottobre era in programma, a Bologna, un incontro organizzato dall’associazione “Faremondo” (Faremondo.org) sul tema di come “uscire dalla Rete”: l’invito era rivolto ai scrittori, bloggher e gestori di siti Web, fra i quali lo scrivente.
Non sono andato a Bologna anche per motivazioni personali, ma confesso pubblicamente che ero poco convinto dell’iniziativa. Oggi – dopo che Emanuele Montagna m’ha aggiornato sulla “brillante” assenza proprio dei gestori dei siti e dei blog (cosa sulla quale non avevo dubbi, al punto che l’articolo era già scritto) – vorrei sottoporre qualche spunto utile per il futuro, così da poter sviluppare una riflessione collettiva sull’annoso problema dell’organizzazione.
Premessa
L’incontro del 30 Maggio 2010 – “Anticorpi: che facciamo?” – non fu proprio un successo: tanto brigare, per poi trovarsi in una trentina (scarsa) di persone, non giustificava proprio tanto sbattimento. Per tutti: organizzatori ed intervenuti.
Allora, “uscire dalla Rete” non è possibile? Siamo condannati a rimanerci? Probabilmente sì, ma c’è modo e modo di rimanere in Rete e fuori della Rete. Andiamo con ordine.
Quando mi recai a Bologna, era mio preciso intento spiegare con dovizia come l’energia fosse il nodo centrale dei “tempi bui” che stiamo vivendo. Non desideravo affatto rifare da capo la storia di quanto è brutto il nucleare…eccetera…bensì mostrare – calcoli alla mano – che sull’energia si giocherà la partita, soprattutto sociale, nei prossimi decenni.
Tutti blaterano su fonti energetiche e rendimenti, pensando così di trovare la panacea contro ogni male, mentre il vero problema non è la fonte, bensì chi governa tale fonte. Ai più attenti, non sfuggirà che le fonti fossili e l’Uranio sono perfette per l’oligarchia dominante: fonti finite, tecnologia complessa o di grandi dimensioni, completo controllo.
Per iniziare un confronto a tutto campo sul concetto di Economia Sociale Sostenibile – da contrapporre alle velleità “bancarie” di “stralciare” l’economia dal novero degli argomenti politici[1] – è necessario avere un concetto sul quale far leva, e l’energia è perfetto, anche se altri aspetti possono essere ugualmente utilizzati.
Perché l’energia?
Poiché è un argomento sentito, sul quale c’è una vasta convergenza di consensi, dove le realizzazioni sono tangibili e visibili: nonostante tutto il battage pubblicitario della Casta, solo un italiano su tre è disposto ad accettare una centrale nucleare sul suo territorio. Ma c’è un altro aspetto, ancora più importante.
Ogni anno, l’Italia – tributaria verso l’estero di circa il 90% dell’energia che consumiamo – paga la cosiddetta “bolletta energetica”, la quale può variare in una “forbice” fra i 30 ed i 60 miliardi di euro, secondo l’andamento dei prezzi e delle monete. Le nazioni che programmano per la metà del secolo la completa autosufficienza energetica (Danimarca, ad esempio, ma anche parecchie aree tedesche) meditano – oltre alle questioni relative al clima, ai problemi del nucleare, ecc – d’impossessarsi di quel malloppo.
Il quale, è difeso a spada tratta dagli USA per sorreggere il dollaro come moneta di riferimento, dai Paesi produttori di prodotti energetici per ovvi motivi e da numerose “quinte colonne” – lautamente foraggiate da questi “attori protagonisti” – per smontare le tesi sulle rinnovabili (pensiamo al “trattamento Rubbia”), “montare” fantasiosi problemi “estetici”, bistrattare ogni scienziato che sottolinei i rischi ambientali…in altre parole, tutto ciò che incrina il sistema dei fossili e dell’Uranio.
Ecco perché, “mettere le mani” sul “gruzzolo” da decine di miliardi di euro l’anno, sarebbe importante: potrebbe diventare la prima pietra per (ri)costruire un’economia basata sulle produzioni locali, sulle banche locali (come un tempo, senza fini di lucro), sul ritorno dello Stato come attore nei grandi processi industriali, ecc.
Da qui in avanti, sarebbe iniziato il discorso interessante, ma fui quasi zittito da richieste pressanti: “Queste cose già le sappiamo” fu il sentimento comune dei (pochi) intervenuti “il problema è: cosa possiamo fare?”
Capisco perfettamente l’ansia di chi vede la propria vita violentata da una masnada d’incompetenti attacché all’oligarchia dominante – anzi, a ben vedere, dai servi di tale oligarchia – ma non è chiedendo soluzioni salvifiche e messianiche al primo che viene a parlare che si risolvono i problemi, né si creano aggregazioni e strutture.
La responsabilità di quel fallimento non fu però di chi intervenne, bensì mia e di chi organizzò l’evento. Vediamo il perché.
La democrazia assembleare sarebbe una cosa meravigliosa: se funzionasse. L’incontro di Maggio ne fu un esempio, e quello di Ottobre ne ripercorreva i termini.
Dopo Maggio, fui contattato alcune volte da Emanuele Montagna di Faremondo, il quale mi chiese se ero disponibile per incontrarci prima dell’Autunno, insieme a Franco Soldani. Dissi loro, per quella volta, di salire da me e concordarono. Qualche mese dopo fu Truman di Comedonchisciotte a dirmi che “sarebbe probabilmente passato” da me: ancora lo attendo.
Il mio desiderio d’avere, prima d’altre iniziative, incontri ristretti e diretti discendeva – e nel prosieguo dell’articolo apparirà più chiaro – da precise riflessioni sulla prassi da seguire.
Questo per dire che, se si organizza un incontro fra gestori di siti, scrittori, bloggher, ecc i casi sono due: o l’incontro è limitato ai sopraccitati individui, oppure – se si desidera un incontro con il pubblico – quegli stessi individui devono incontrarsi prima per concordare come intervenire. Altrimenti, è il caos: ciascuno chiede e tutti dovrebbero rispondere, su tutto, e non funziona.
E tornano alla mente i versi di Guccini: “chiunque ha un tiramento…”
Spontaneismo od avanguardia?
La mia posizione – non mi nascondo dietro il classico dito – si chiama leninismo perché sono convinto che Lenin seppe ben organizzare la presa del potere in Russia, poiché capì per tempo due assiomi inseparabili: la necessità di un’avanguardia e, proprio per l’elasticità intrinseca del gruppo ristretto, la spregiudicatezza nella prassi.
A prima vista, il Web sembrerebbe l’apoteosi della democrazia e dello spontaneismo, quindi il massimo della libertà d’espressione. Il che, per quanto riguarda il nostro agire all’interno dei siti e dei blog, è anche vero, a parte le ingerenze dei troll e dei debunker. Ma, come viene percepito il Web all’esterno? E’ temuto? E’ consultato? In altre parole: “conta”?
Il Web “conta” come movimento d’opinione facilmente percettibile, sul quale i partiti della Casta “modellano” la serie d’inganni che, ripetutamente, propongono.
La stima, che la Casta ha del Web, potrebbe essere invece così riassunta: un gruppo di galline starnazzanti che urlano ogni giorno centomila diverse canzoni, non omettendo di beccarsi fra di loro quando una cosiddetta “primadonna” passa a tiro. Per loro, significa soltanto tirare le somme su qualche denominatore comune molto sentito – quanti hanno promesso l’abolizione delle Province? – per blaterarlo in televisione e tirare a campare da un’elezione all’altra.
Il Web è il “regno degli orticelli” ben recintati e difesi a spada tratta: ciascuno con il proprio marchio, che va a controllare ogni settimana su Blogbabel per osservare se la freccia è all’insù o all’ingiù.
Ma dove vogliamo andare, agendo in questo modo? Sarà una bellissima democrazia assembleare ma, fra centomila anni (se durassimo tanto), saremmo al medesimo punto.
Gli incontri promossi da Faremondo, nelle sincere intenzioni degli organizzatori, dovevano servire proprio a questo: a “superare” la frammentazione del Web.
Il limite è non accorgersi di riproporre, per “superare” la “dimensione Web”, i suoi stessi difetti: essere lontani, “slegati” e disorganizzati.
Quindi, qualora si dovessero ripetere iniziative di questo tipo, il mio parere sarebbe quello di contattare le principali “testate” Web, bloggher, gruppi politici che agiscono sul Web, ecc e riunirci per trovare, prima d’aprirci al pubblico, almeno l’unità d’intenti su cosa intendiamo fare perché, non nascondiamoci, ciò che la maggior parte delle persone chiede è una formazione politica che corrisponda al plafond di cultura che lo spontaneismo del Web ha creato.
Agendo senza questa prima fase d’incontro e di riflessione, finiremmo per presentarci al pubblico per il nulla che siamo: lo sconcerto e la disillusione non farebbero che aumentare.
Lo stato dell’arte
Veniamo ai punti proposti da Faremondo:
1. La società del capitale: qual è la sua natura, come funziona sotto la superficie e quali sono le sue tendenze;
2. La natura della scienza: gli stereotipi ufficiali, il suo status interno più sofisticato e quel suo modo di ragionare così strettamente imparentato col modo di funzionare proprio del capitale;
3. Megamedia e propaganda: come i dominanti suscitano il consenso dei dominati nel mondo alla rovescia inventato dai loro mille schermi di fumo;
4. 11 settembre 2001: un inside job ad uso e consumo delle élite finanziarie dell'imperialismo USA dentro il big game geopolitico e criminale del mondo multipolare. Perché non possiamo chiedere la verità agli agenti del Potere e perché la consapevolezza di questo può portarci a ragionare diversamente;
5. Lo stato delle cose: come possiamo distinguerci concettualmente e nell'azione dalle opposizioni fittizie e da tutte le loro false piste intellettuali.
Non è chiaro se questi punti erano da considerare un dibattito per una ristretta avanguardia oppure una discussione da proporre al vasto pubblico.
Nel primo caso, appaiono scontati, nel secondo non so – effettivamente – quanto possano essere “sentiti”: una famiglia, che deve campare con 1400 euro e pagare l’affitto ed il mutuo, ha il tempo e la voglia di scoprire – ascoltando, leggendo, informandosi, dibattendo – quali sono gli inganni dell’odierna scienza/religione laica?
In realtà, alcuni di questi punti finiscono per essere scontati addirittura per il grande pubblico: chi legge sui siti d’informazione Web, ha ancora qualche dubbio che il capitale sia un raffinato mezzo d’accentramento della ricchezza verso un’oligarchia? Che tutto l’ambaradan dell’11 Settembre – comunque sia andato – servisse solo ad invadere l’Iraq per impossessarsi delle seconde riserve petrolifere del Pianeta, le quali – sotto Saddam – erano sfruttate per la decima parte rispetto al vicino saudita e, quindi, in breve tempo sarebbero divenute le prime riserve mondiali? Oppure che l’Afghanistan sia la vecchia strategia del controllo del “cuore” dell’Asia? E’ dai tempi di Marco Polo che lo sappiamo.
E ancora: nel Paese di Berlusconia, qualcuno ha ancora dei dubbi sulla funzione dei media?
E veniamo all’ultimo punto: “distinguersi” dalle opposizioni fittizie. Basta osservare un giorno di vita del PD o dell’IDV – le loro colpevoli “assenze” quando ci sono da votare emendamenti “critici”, le loro posizioni ondivaghe sull’energia, sul lavoro, il loro sposalizio con il liberismo…ma quanto bisogna andare avanti? – per capire che, chi sta di là, ci sta perché vuole starci, per raccogliere domani dei cocci sui quali ricostruire una posizione di potere. Basta una battuta: “Dal Bottegone al Botteghino”.
Come organizzare?
Distinguere la propria posizione (presumibilmente, nel “solco” della sinistra, ma ci sono importanti contributi da parte di quella che viene definita la “Nuova Destra”, mi riferisco a De Benoist) da quella dei sinceri sostenitori del capitalismo internazionale – che oggi si presenta con la veste liberista, quindi semplifica di molto la posizione di un marxista: niente “aneliti” socialdemocratici, kautskiani, rooseveltiani o keynesiani da valutare ed analizzare – comporta, semplicemente, chiedere più salario, salute e diritti, meno anni di lavoro ed un “quadro” giuridico certo, basato sulla Costituzione.
In altre parole, quella Economia Sociale Sostenibile che sappia coniugare l’esigenza di certezze (reddito, lavoro, sanità, istruzione, ecc) delle popolazioni e sappia riproporre un concetto di Stato che sia garante della vita delle popolazioni, non della salvaguardia del capitale: a margine, notiamo che il problema dell’attentato in atto alla Costituzione è molto sentito dagli italiani.
Il problema si sposta sul “come” chiederlo, quindi sull’organizzazione.
Ciò che i milioni di lettori del Web chiedono, oggi, è una nuova formazione politica che li rappresenti: non altro. Se circa il 30% degli elettori italiani – consapevolmente – hanno rifiutato la scheda perché non si sentivano rappresentati, lo spazio politico per intervenire esiste, anche considerando la presenza di Grillo o d’altre formazioni minori.
Nel frattempo, cosa fa la Casta?
Noi ci lambicchiamo sulla strategia da seguire, mentre Berlusconi ha già dato ordine alle sue reti televisive di trasmettere la serie di film di “Don Camillo”: lo fa sempre, prima delle elezioni. Perché?
Poiché la metà degli italiani sono oramai anziani e, da giovani o da meno giovani, tutti hanno visto quei film, che sono un mezzo potentissimo per portare alla luce i “buoni sentimenti” che sono presenti nell’animo umano.
Una volta riuniti – metaforicamente – milioni d’italiani sotto l’ombrello della lontana chiesa/partito di Brescello – ed i nostri compatrioti trasuderanno buoni sentimenti ed effluvi “di pancia” – sarà un gioco da ragazzi sovrapporre a quei sentimenti – condivisi/collusi con la maggior parte degli italiani – la propria facciona di uomo semplice, efficiente, devoto alla Madonna e alle puttane, come ogni italiano/italiana approva.
I partiti della cosiddetta sinistra – e lo dice una persona che ha “toccato con mano” i loro sconfortanti livelli di comunicazione – non riescono nemmeno a comprendere che, mentre loro si lambiccano sul fattibile e sul probabile, la destra berlusconiana fiorisce, immaginifica, di Gestalt dirette come uppercut alla “pancia” del Paese. Non a caso, i migliori risultati nella lotta al potere berlusconiano li ottengono i comici – Grillo, Guzzanti, ecc – che usano gli stessi mezzi.
Noi, che rappresentiamo l’altra metà dell’elettorato – confuso, deluso, oramai trasfuso con ogni veleno – invece di presentare pochi e semplici obiettivi, chiediamo riflessioni sui massimi sistemi? E chi ci seguirà mai?
Ripeto, a rischio d’apparire malato “d’aristocrazia politica”: era rivolto ad una ristretta cerchia di persone od era erga omnes?
Come già ricordavo, se il messaggio era rivolto a “chiunque” non poteva sortire altro che una gazzarra senza senso – pensiamo alle mille, sfaccettate posizioni sull’11 Settembre – oppure una noia infinita.
Questo accade perché, a monte, è venuta meno la principale responsabilità dell’intellettuale: quella d’elaborare cultura. Se non si è in grado di presentare una proposta politica coerente, cosa si presenta/chiede alla gente? Non vorremo mica sostenere che sia il Web a riuscirci?!? Sfaccettato, condizionato, svagato, preda dei mille troll e debunker che postano, con nick fantasiosi, dalle segreterie dei partiti al potere?
Gli italiani che non si fanno prendere all’amo di Don Camillo, chiedono qualcosa di più ed è giusto che lo pretendano quando ci si presenta con una prospettiva mica da poco – “uscire dalla Rete” – per ritrovarsi, ovviamente, sul territorio. Ci rendiamo conto di quale responsabilità ci si carica sulle spalle?
Contingenze e furbizie della Casta
Anni fa, ad un incontro promosso da Elio Veltri, gli chiesi come potesse girare l’Italia in quel modo…insomma, non costava mica poco…
Mi rispose che lo poteva fare soltanto perché aveva ancora diritto alla tessera ferroviaria gratuita, retaggio di quand’era parlamentare.
Noi, per spostarci a Bologna, dobbiamo cercare altri per dividere i costi del viaggio, anche perché il treno mica è più economico come un tempo: oggi, spostarsi, costa parecchio. E gli stipendi sono più bassi ed incerti.
La classe politica lo sa benissimo: per questa ragione concede ogni benefit per i viaggi ai suoi accoliti – mentre nega qualsiasi contributo ad altri – perché in quel modo sa benissimo d’inchiodare la gente a casa. Sfogati sulla tastiera.
Lo stesso principio viene applicato all’editoria: se il tuo “agire” ed i tuoi contenuti possono essere accettati dalla Casta – meglio se la sorreggono – allora avrai diritto ai contributi, altrimenti nulla.
Senza contributi per viaggiare – e poi alloggiare, nutrirsi, ecc – e nemmeno una minima copertura dei costi per eventuali pubblicazioni, tutto finisce per diventare puro volontariato, ma un volontariato che richiede energie e si “prende” una parte delle nostre vite.
E’ il tasto che nessuno vuole toccare, quello economico: siamo la parte meno abbiente della popolazione – mettiamocelo in testa – ed impariamo ad agire di conseguenza: altrimenti, con un altro paio d’iniziative di questo genere che vanno praticamente a monte, sarà “tastiera forever”.
Quando il Primo Ministro Tojo chiese all’ammiraglio Yamamoto d’attaccare le flotte USA su tutti i fronti, con tutto ciò che il Giappone aveva a disposizione all’inizio della guerra, Yamamoto versò la tazza di tè che aveva in mano sul pavimento e rispose: “Questa è la nostra forza, ciò che oggi possediamo: se la gettiamo in una sola, grande battaglia, sparirà e non resterà nulla”. Ricordiamoci quelle parole, prima di prendere qualsiasi decisione.
Qualche indicazione operativa
I tempi per grandi adunate non sono maturi, tanto meno se sono spontanee e senza temi ben circoscritti ed obiettivi da raggiungere.
Allora, è meglio essere chiari: è necessario che una serie di persone che da anni scrivono, propongono, pubblicano, “lavorano” sul Web s’incontrino e stendano un plafond d’obiettivi comuni. Non avere il timore d’affermare che lo faranno quasi “a porte chiuse”, perché quello è il ruolo dell’intellettuale, almeno in questa fase.
Questo, da sempre, è il compito degli intellettuali: venire meno a questo principio, non significa prosternarsi in aneliti d’umiltà, bensì fuggire alle proprie responsabilità.
Non è necessario essere degli “scafati” obiettori del sapere scientifico né degli espertissimi tecnici d’aviazione e di demolizioni controllate: basta credere che questo Paese meriti una classe politica diversa, migliore, con l’obiettivo chiaro delle re-distribuzione della ricchezza, della primato del sapere sul potere, del pubblico sul privato.
Qualche traccia operativa?
1. Riportare la tassazione all’originario concetto di progressività;
2. Contrastare le varie riforme “federali” e, anzi, ridurre le amministrazioni intermedie, che sono soltanto cespiti di corruzione per la Casta;
3. Lottare contro il programma nucleare civile italiano e sviluppare un piano per la totale autosufficienza energetica;
4. Separare la previdenza dall’assistenza, iniziando a prevedere forse di sostegno al reddito diverse dalla tradizione, con un occhio attento al reddito di cittadinanza;
5. Contrastare l’inurbamento delle popolazioni, studiando mezzi e prassi che conducano ad una ri-appropriazione del territorio e ad una sua occupazione finalizzata alla gestione delle risorse.
6. Il sapere è il miglior viatico dell’Umanità: abbattere il mostro classista creato nell’istruzione – a tutti i livelli – dalla riforma Bassanini in poi.
7. Altro…
Prima d’incontrarsi, però, bisognerebbe contattare telefonicamente più persone e stabilire con cura la data: affinché, chi deve esserci, ci sia.
Una delle proposte operative era quella di creare una rivista: ottima idea, perché fra migliaia di siti una vera rivista di riflessione politico/sociale manca. Come la facciamo?
Ci si mette viaggio – ammettendo che siano presenti i principali scrittori, bloggher, ecc – per poi scoprire che uno la vuole cartacea, un altro elettronica, aperta ai commenti, chiusa, con forum, senza forum…eccetera? Sarebbe meglio chiarire perché si vuole creare una rivista: obiettivi da raggiungere, prassi, persone, ruoli.
Va da sé che, senza contributi né spazi per una redazione, una simile rivista potrebbe essere soltanto (per ora) elettronica: d’altro canto, anche i grandi quotidiani stanno migrando sul Web.
I costi per una rivista Web sono bassissimi e facilmente sostenibili: più complessa l’organizzazione.
Anzitutto, serve un webmaster, il quale si occupi della gestione tecnica della rivista. Per sollevare il webmaster dal suo lavoro, dovrà essere individuata una figura di caporedattore, con la funzione precipua di programmare gli interventi. A sua volta, una ristretta cerchia di redattori lo coadiuverà presentando i brani (propri, d’altri, traduzioni, ecc, ma originali) pronti per la pubblicazione. Dovrebbe altresì esistere una figura simile all’addetto alle Pubbliche Relazioni, con il compito di ricevere la posta ed eventualmente smistarla. Un grafico per abbellire gli articoli con capacità d’elaborazione e gestione di più formati, grafici e multimediali.
In questo modo, il lavoro sarebbe equamente distribuito e meno gravoso per tutti: personalmente, non avrei remore ad accettare un po’ di pubblicità per coprire qualche costo e concedere qualche modesto rimborso spese per chi dovrebbe assumersi responsabilità (quindi, tempo) maggiori.
Ciò che viene proposto, ritornando all’incipit dell’articolo, è che gli intellettuali ancora presenti e non organici (torna la distinzione gramsciana…) al potere, si diano una sveglia e si rendano conto di quali sono i loro compiti storici all’interno della società che desiderano rivoluzionare.
Altrimenti, se non si è in grado d’assumersi quella responsabilità, è meglio lasciar perdere ed attendere che altri ci riescano, perché solo quella fase rappresenterà la rinascita della cultura (politica e non) italiana.
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.
[1] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/10/roba-da-pazzi.html