Non è elegante citare sé stessi – tutti lo sanno – ma a volte è necessario farlo per riannodare i fili di un discorso lasciato in sospeso.
Osservo la strabiliante rivoluzione copernicana (e Gattopardesca) degli ultimi giorni e mi chiedo: era tutto così inaspettato?
Sono andato a rileggere un articolo che scrissi all’indomani delle ultime elezioni politiche – Aprile 2006 – dal titolo “La domanda delle cento pistole”, che potrete trovare facilmente sul Web. Sono circa 18 mesi or sono, ma allora tanti si cullavano nell’illusione di un “governo delle sinistre”, oppure in un pronto “ritorno delle destre”. Gli scenari, invece, già allora erano evidenti.
Ecco cosa scrivevo:
Fra cinque anni Berlusconi avrà circa 75 anni: non è più l’età nella quale si combattono le grandi battaglie elettorali; ci vuole un Delfino, che però non c’è, perché l’unico successore di Berlusconi – vista l’impostazione “aziendale” di un partito come Forza Italia – potrebbe essere solo il suo clone. Se il centro destra può affondare sotto i colpi di una eventuale (e molto probabile) sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale – giacché la Lega Nord non potrà superare un simile schianto, anche perché priva del suo leader storico – la base sociale che lo sostiene continuerà ad esistere.
Questa base sociale è quella di un paese che non è mai giunto alla maturità, che ancora non fa parte dell’Europa: sono i boiardi ed i parvenu di regime (d’entrambi gli schieramenti) che fra la sana competizione sul merito – associata ad un serio stato sociale – e le “combine” di regime scelgono senz’altro queste ultime. In altre parole, l’anticamera di un sottosegretario è senz’altro più affollata di una missione industriale in Oriente.
Anche se la corruzione tocca tutto l’arco politico, le responsabilità della borghesia sono più estese, giacché sono i ceti che dispongono di capitali a dare l’imprinting economico: questi ceti sono da sempre rappresentati dalle forze politiche di centro, dai tempi del “pentapartito” alla Casa delle Libertà. La quale, oggi è “implosa” non perché Prodi è riuscito ad approvare una Finanziaria, bensì perché era scoccata la sua ora. E chi sono i becchini/arabe fenici della situazione? Torniamo al vecchio articolo:
Una “riserva di caccia” della destra priva di Berlusconi e di Bossi è ciò che attendono il Gatto e la Volpe, ossia Casini e Fini, per rifondare un impianto politico basato sulle loro forze (molto radicate sul territorio), più un nuovo partito d’ispirazione liberale e gollista che potrà nascere dalle ceneri di Forza Italia. In definitiva, quindi, Prodi è oggi necessario anche al centro destra per il suo carisma in Europa – per cercare di sanare le astruse acrobazie di un tributarista che ha giocato a fare l’economista, un certo Giulio Tremonti – e rimettere in sesto l’economia per avere in futuro maggiori margini di manovra (e di spesa).
Il disegno di un “grande centro”, senza più l’ingombrante fantasma di Berlusconi, era da tempo nell’aria: Fini e Casini mordevano il freno da tempo e, oggi, il definitivo approdo al centro del Partito Democratico rende possibile quella prospettiva. I due non aspettavano Berlusconi, bensì Veltroni e Rutelli! E Berlusconi? Vediamo cosa sostenevo:
In fin dei conti, il Cavaliere da Arcore lavorava pro domo sua ed in questi anni lo ha dimostrato ampiamente: c’è da credere che cambi proprio adesso impostazione?
Il liberismo sfrenato della piccola e media impresa fa a pugni con qualsiasi tipo d’associazionismo: perché mai Berlusconi dovrebbe “associarsi” ad interessi perdenti quando può salvare sé stesso? La solidarietà non ha mai illuminato a giorno i salotti del capitalismo italiano.
La mossa di Berlusconi, quella di fondare un partito di destra, è disperata: allo scoccare delle nuove alleanze – puntualmente – è stata divulgata la gran scoperta dell’acqua calda: Rai e Mediaset erano un solo corpo bicipite! Questo è un vero e proprio “pizzino” nei confronti del Cavaliere: attento, Berluscon da Arcore, poiché questa volta stai rischiando non un partito od un futuro politico, ma le tue aziende! Consiglieremmo a Berlusconi ampi periodi di riposo in Sardegna: famiglia, nipotini e nulla più.
Chi è stato il gran regista occulto dell’operazione? Forse più di uno, ma qualche indicazione – già 18 mesi or sono – la fornivo:
Lo scontro interno a Confindustria condurrà inevitabilmente al rafforzamento di Luca Cordero di Montezemolo – che rappresenta l’altra faccia dell’imprenditoria, ossia i grandi gruppi – perché ha dimostrato d’aver puntato sul cavallo vincente: gli incentivi per la ricerca saranno appannaggio dei grandi gruppi industriali e non certo dei piccoli, che vedranno scomparire la loro ancora di salvezza, ossia la legge Tremonti sulla de-fiscalizzazione degli utili.
Lo scontro interno a Confindustria vide il suo apice al meeting di Vicenza, che avvenne pochi giorni prima delle elezioni del 2006: chi non ricorda la “platea” di piccoli e medi imprenditori che applaudiva Berlusconi, mentre la grande impresa era giunta lì solo per incoronare Prodi?
Qui va aperta una parentesi, che riguarda i rapporti interni alla borghesia: mi rendo conto d’usare un linguaggio che può sembrare “demodè”, ma è l’unico che può spiegare con semplicità il fenomeno.
C’è un aspetto unitario della borghesia – che potremmo riassumere nella pratica di rimanere classe sociale dominante – ma la borghesia possiede anche aspetti contradditori al suo interno, che la conducono a frantumarsi per competere sul piano economico e finanziario.
Così, gli interessi del grande capitale – attento agli sviluppi internazionali – possono non coincidere con quelli di chi produce beni per il mercato interno, oppure dei commercianti che sono in qualche modo legati alla potenzialità di spesa dei ceti meno abbienti.
La situazione internazionale – negli ultimi due anni – è sostanzialmente mutata: due anni fa Bush non era ancora “l’anatra zoppa”, non aveva un Congresso in grado di mettergli bastoni fra le ruote. In altre parole, doveva mediare molto di meno.
Oggi, invece, è chiaro a tutti che l’avventura neocon statunitense è fallita, ed è franata miseramente: i dati economici sugli USA e sulla divisa americana preannunciano scenari da brivido. Le avventure neocoloniali sono agli sgoccioli: la guerra in Libano del 2006 – a mio avviso – fu il giro di boa, quando s’accorsero con costernazione che Israele (con l’appoggio USA) non era in grado di raggiungere il Litani. Altro che guerra in Iran.
Tutto ciò non mette al riparo da nuove guerre (ricordiamoci di Clinton…) oppure da nuove alleanze nello scacchiere internazionale (le “aperture” della Francia a Washington…), ma il quadro futuro annuncia nuovamente scenari multipolari, laddove sarà necessario contrattare ogni mossa. Paradossalmente, Teheran e Caracas potrebbero correre più rischi dal prossimo inquilino della Casa Bianca che da un Bush “bollito”.
Questi mutamenti possono interessare poco alle piccole imprese – più attente a competere sulla qualità, oppure a trovare “santi in paradiso” per sopravvivere – mentre sono la principale preoccupazione del grande capitale: future commesse internazionali, grandi opere da realizzare in posti lontani, dopo il passaggio delle truppe.
In questo scenario, a chi affidarsi?
Come sempre, la poltrona più elevata di Confindustria coincide con quella della più grande azienda italiana: il signor FIAT del momento è anche signore di Confindustria, ed è anche deus ex machina degli equilibri politici, poiché oggi la grande borghesia – prospettandosi lo sblocco di una serie di “nodi” internazionali (Balcani, Vicino e Medio Oriente, Europa dell’Est, Caucaso) – già pregusta stratosferici affari.
Come si può notare, Berluscon da Arcore è una figura secondaria, utile al momento, oppure da gettare nella spazzatura quando non serve più. Andiamo a rileggere un’altra frase del precedente articolo:
Ciò spiega anche la strana “dimenticanza” del varo di una legge sul conflitto d’interesse fra il 1996 ed il 2001: in quel caso Berlusconi doveva essere lo spauracchio da presentare agli elettori del centro sinistra per far loro ingoiare anche i bocconi meno gradevoli. Oggi, invece, anche il “babau” non fa più paura perché cotto e stracotto soprattutto dai suoi stessi alleati, e dunque Romano Prodi potrà governare anche se avrà un solo voto di margine.
Puntualmente, Prodi se la cava per il rotto della cuffia ad ogni votazione al Senato: non è un miracolo? No, signori miei, è soltanto il prodotto dell’abile orchestrazione che i poteri forti – bancari ed imprenditoriali – azionano dietro le quinte. Qualcuno ancora crede che il Parlamento sia il luogo dove si sceglie la politica italiana? Torniamo ancora una volta al passato:
Nel momento stesso che il centro destra riuscisse a rifondare sé stesso, lì inizierebbe il campo minato per il professore, ma a quel punto – con i conti pubblici in ordine – il capitalismo italiano tornerebbe a “sdoganare” una destra divenuta “europea” e senza l’ingombro di un Berlusconi di troppo. Ah, dimenticavo: che c’entriamo noi? Niente, la “carne da cannone”, la fanteria, non ha mai interrotto il sonno dei generali.
La prova del nove finale? Osserviamo le dichiarazioni di voto che s’annunciano per la fiducia sul decreto del welfare: Rifondazione Comunista s’è vista sbattere la porta in faccia, nemmeno qualche misero emendamento per una legge che consegnerà generazioni di giovani alla schiavitù, non al lavoro. I Comunisti Italiani “ci penseranno”: meno male che c’è qualcuno che “pensa”, mentre gli altri finiscono a 90 gradi.
Entrambi, hanno annunciato che voteranno la fiducia. Poi, l’hanno “messa giù dura” per Gennaio: ci vorrà un “ripensamento”! Bisognerà “rifondare” l’alleanza! Secondo voi, qualcuno li sta a sentire? Se non li invitarono nemmeno alla riunione del 23 Luglio sul welfare!
In realtà, questi signori sono i peggiori traditori dei lavoratori – che ingenuamente, in molti, li hanno eletti – poiché sanno benissimo che la nuova “Santa Alleanza” fra Fini, Casini, Veltroni & Rottami Vari non li prevede. I loro voti sono serviti per ripianare i deficit di bilancio lasciati da Tremonti, per avere un po’ di fiducia dall’Europa, per tranquillizzare i banchieri.
Nessuno di loro ha nemmeno tentato di chiedere qualcosa (che era nel programma) sulla tassazione delle rendite: Prodi ha semplicemente risposto loro che non era “all’ordine del giorno”, un eufemismo che cela un “vaffanculo” istituzionale.
Eppure, non demordono. Perché? Poiché sanno che troveranno sempre uno scranno a 20.000 euro il mese, comode poltrone in TV, benefici a pioggia per i loro silenzi e le loro omissioni. Nessuno di loro ha il coraggio di comunicare la verità: terminata una stagione politica, si serrano le fila e si torna all’antico, ossia a contrattare le alleanze in Parlamento, alla conta delle preferenze truccate, ai “penta” ed “esa” partiti, al blocco di centro che ha addormentato il paese per decenni.
Giordano e Diliberto sono proprio indefinibili: ingenui o venduti? La borghesia, una volta concluso l’affare, liquida la manovalanza con pochi spiccioli.
Osservo la strabiliante rivoluzione copernicana (e Gattopardesca) degli ultimi giorni e mi chiedo: era tutto così inaspettato?
Sono andato a rileggere un articolo che scrissi all’indomani delle ultime elezioni politiche – Aprile 2006 – dal titolo “La domanda delle cento pistole”, che potrete trovare facilmente sul Web. Sono circa 18 mesi or sono, ma allora tanti si cullavano nell’illusione di un “governo delle sinistre”, oppure in un pronto “ritorno delle destre”. Gli scenari, invece, già allora erano evidenti.
Ecco cosa scrivevo:
Fra cinque anni Berlusconi avrà circa 75 anni: non è più l’età nella quale si combattono le grandi battaglie elettorali; ci vuole un Delfino, che però non c’è, perché l’unico successore di Berlusconi – vista l’impostazione “aziendale” di un partito come Forza Italia – potrebbe essere solo il suo clone. Se il centro destra può affondare sotto i colpi di una eventuale (e molto probabile) sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale – giacché la Lega Nord non potrà superare un simile schianto, anche perché priva del suo leader storico – la base sociale che lo sostiene continuerà ad esistere.
Questa base sociale è quella di un paese che non è mai giunto alla maturità, che ancora non fa parte dell’Europa: sono i boiardi ed i parvenu di regime (d’entrambi gli schieramenti) che fra la sana competizione sul merito – associata ad un serio stato sociale – e le “combine” di regime scelgono senz’altro queste ultime. In altre parole, l’anticamera di un sottosegretario è senz’altro più affollata di una missione industriale in Oriente.
Anche se la corruzione tocca tutto l’arco politico, le responsabilità della borghesia sono più estese, giacché sono i ceti che dispongono di capitali a dare l’imprinting economico: questi ceti sono da sempre rappresentati dalle forze politiche di centro, dai tempi del “pentapartito” alla Casa delle Libertà. La quale, oggi è “implosa” non perché Prodi è riuscito ad approvare una Finanziaria, bensì perché era scoccata la sua ora. E chi sono i becchini/arabe fenici della situazione? Torniamo al vecchio articolo:
Una “riserva di caccia” della destra priva di Berlusconi e di Bossi è ciò che attendono il Gatto e la Volpe, ossia Casini e Fini, per rifondare un impianto politico basato sulle loro forze (molto radicate sul territorio), più un nuovo partito d’ispirazione liberale e gollista che potrà nascere dalle ceneri di Forza Italia. In definitiva, quindi, Prodi è oggi necessario anche al centro destra per il suo carisma in Europa – per cercare di sanare le astruse acrobazie di un tributarista che ha giocato a fare l’economista, un certo Giulio Tremonti – e rimettere in sesto l’economia per avere in futuro maggiori margini di manovra (e di spesa).
Il disegno di un “grande centro”, senza più l’ingombrante fantasma di Berlusconi, era da tempo nell’aria: Fini e Casini mordevano il freno da tempo e, oggi, il definitivo approdo al centro del Partito Democratico rende possibile quella prospettiva. I due non aspettavano Berlusconi, bensì Veltroni e Rutelli! E Berlusconi? Vediamo cosa sostenevo:
In fin dei conti, il Cavaliere da Arcore lavorava pro domo sua ed in questi anni lo ha dimostrato ampiamente: c’è da credere che cambi proprio adesso impostazione?
Il liberismo sfrenato della piccola e media impresa fa a pugni con qualsiasi tipo d’associazionismo: perché mai Berlusconi dovrebbe “associarsi” ad interessi perdenti quando può salvare sé stesso? La solidarietà non ha mai illuminato a giorno i salotti del capitalismo italiano.
La mossa di Berlusconi, quella di fondare un partito di destra, è disperata: allo scoccare delle nuove alleanze – puntualmente – è stata divulgata la gran scoperta dell’acqua calda: Rai e Mediaset erano un solo corpo bicipite! Questo è un vero e proprio “pizzino” nei confronti del Cavaliere: attento, Berluscon da Arcore, poiché questa volta stai rischiando non un partito od un futuro politico, ma le tue aziende! Consiglieremmo a Berlusconi ampi periodi di riposo in Sardegna: famiglia, nipotini e nulla più.
Chi è stato il gran regista occulto dell’operazione? Forse più di uno, ma qualche indicazione – già 18 mesi or sono – la fornivo:
Lo scontro interno a Confindustria condurrà inevitabilmente al rafforzamento di Luca Cordero di Montezemolo – che rappresenta l’altra faccia dell’imprenditoria, ossia i grandi gruppi – perché ha dimostrato d’aver puntato sul cavallo vincente: gli incentivi per la ricerca saranno appannaggio dei grandi gruppi industriali e non certo dei piccoli, che vedranno scomparire la loro ancora di salvezza, ossia la legge Tremonti sulla de-fiscalizzazione degli utili.
Lo scontro interno a Confindustria vide il suo apice al meeting di Vicenza, che avvenne pochi giorni prima delle elezioni del 2006: chi non ricorda la “platea” di piccoli e medi imprenditori che applaudiva Berlusconi, mentre la grande impresa era giunta lì solo per incoronare Prodi?
Qui va aperta una parentesi, che riguarda i rapporti interni alla borghesia: mi rendo conto d’usare un linguaggio che può sembrare “demodè”, ma è l’unico che può spiegare con semplicità il fenomeno.
C’è un aspetto unitario della borghesia – che potremmo riassumere nella pratica di rimanere classe sociale dominante – ma la borghesia possiede anche aspetti contradditori al suo interno, che la conducono a frantumarsi per competere sul piano economico e finanziario.
Così, gli interessi del grande capitale – attento agli sviluppi internazionali – possono non coincidere con quelli di chi produce beni per il mercato interno, oppure dei commercianti che sono in qualche modo legati alla potenzialità di spesa dei ceti meno abbienti.
La situazione internazionale – negli ultimi due anni – è sostanzialmente mutata: due anni fa Bush non era ancora “l’anatra zoppa”, non aveva un Congresso in grado di mettergli bastoni fra le ruote. In altre parole, doveva mediare molto di meno.
Oggi, invece, è chiaro a tutti che l’avventura neocon statunitense è fallita, ed è franata miseramente: i dati economici sugli USA e sulla divisa americana preannunciano scenari da brivido. Le avventure neocoloniali sono agli sgoccioli: la guerra in Libano del 2006 – a mio avviso – fu il giro di boa, quando s’accorsero con costernazione che Israele (con l’appoggio USA) non era in grado di raggiungere il Litani. Altro che guerra in Iran.
Tutto ciò non mette al riparo da nuove guerre (ricordiamoci di Clinton…) oppure da nuove alleanze nello scacchiere internazionale (le “aperture” della Francia a Washington…), ma il quadro futuro annuncia nuovamente scenari multipolari, laddove sarà necessario contrattare ogni mossa. Paradossalmente, Teheran e Caracas potrebbero correre più rischi dal prossimo inquilino della Casa Bianca che da un Bush “bollito”.
Questi mutamenti possono interessare poco alle piccole imprese – più attente a competere sulla qualità, oppure a trovare “santi in paradiso” per sopravvivere – mentre sono la principale preoccupazione del grande capitale: future commesse internazionali, grandi opere da realizzare in posti lontani, dopo il passaggio delle truppe.
In questo scenario, a chi affidarsi?
Come sempre, la poltrona più elevata di Confindustria coincide con quella della più grande azienda italiana: il signor FIAT del momento è anche signore di Confindustria, ed è anche deus ex machina degli equilibri politici, poiché oggi la grande borghesia – prospettandosi lo sblocco di una serie di “nodi” internazionali (Balcani, Vicino e Medio Oriente, Europa dell’Est, Caucaso) – già pregusta stratosferici affari.
Come si può notare, Berluscon da Arcore è una figura secondaria, utile al momento, oppure da gettare nella spazzatura quando non serve più. Andiamo a rileggere un’altra frase del precedente articolo:
Ciò spiega anche la strana “dimenticanza” del varo di una legge sul conflitto d’interesse fra il 1996 ed il 2001: in quel caso Berlusconi doveva essere lo spauracchio da presentare agli elettori del centro sinistra per far loro ingoiare anche i bocconi meno gradevoli. Oggi, invece, anche il “babau” non fa più paura perché cotto e stracotto soprattutto dai suoi stessi alleati, e dunque Romano Prodi potrà governare anche se avrà un solo voto di margine.
Puntualmente, Prodi se la cava per il rotto della cuffia ad ogni votazione al Senato: non è un miracolo? No, signori miei, è soltanto il prodotto dell’abile orchestrazione che i poteri forti – bancari ed imprenditoriali – azionano dietro le quinte. Qualcuno ancora crede che il Parlamento sia il luogo dove si sceglie la politica italiana? Torniamo ancora una volta al passato:
Nel momento stesso che il centro destra riuscisse a rifondare sé stesso, lì inizierebbe il campo minato per il professore, ma a quel punto – con i conti pubblici in ordine – il capitalismo italiano tornerebbe a “sdoganare” una destra divenuta “europea” e senza l’ingombro di un Berlusconi di troppo. Ah, dimenticavo: che c’entriamo noi? Niente, la “carne da cannone”, la fanteria, non ha mai interrotto il sonno dei generali.
La prova del nove finale? Osserviamo le dichiarazioni di voto che s’annunciano per la fiducia sul decreto del welfare: Rifondazione Comunista s’è vista sbattere la porta in faccia, nemmeno qualche misero emendamento per una legge che consegnerà generazioni di giovani alla schiavitù, non al lavoro. I Comunisti Italiani “ci penseranno”: meno male che c’è qualcuno che “pensa”, mentre gli altri finiscono a 90 gradi.
Entrambi, hanno annunciato che voteranno la fiducia. Poi, l’hanno “messa giù dura” per Gennaio: ci vorrà un “ripensamento”! Bisognerà “rifondare” l’alleanza! Secondo voi, qualcuno li sta a sentire? Se non li invitarono nemmeno alla riunione del 23 Luglio sul welfare!
In realtà, questi signori sono i peggiori traditori dei lavoratori – che ingenuamente, in molti, li hanno eletti – poiché sanno benissimo che la nuova “Santa Alleanza” fra Fini, Casini, Veltroni & Rottami Vari non li prevede. I loro voti sono serviti per ripianare i deficit di bilancio lasciati da Tremonti, per avere un po’ di fiducia dall’Europa, per tranquillizzare i banchieri.
Nessuno di loro ha nemmeno tentato di chiedere qualcosa (che era nel programma) sulla tassazione delle rendite: Prodi ha semplicemente risposto loro che non era “all’ordine del giorno”, un eufemismo che cela un “vaffanculo” istituzionale.
Eppure, non demordono. Perché? Poiché sanno che troveranno sempre uno scranno a 20.000 euro il mese, comode poltrone in TV, benefici a pioggia per i loro silenzi e le loro omissioni. Nessuno di loro ha il coraggio di comunicare la verità: terminata una stagione politica, si serrano le fila e si torna all’antico, ossia a contrattare le alleanze in Parlamento, alla conta delle preferenze truccate, ai “penta” ed “esa” partiti, al blocco di centro che ha addormentato il paese per decenni.
Giordano e Diliberto sono proprio indefinibili: ingenui o venduti? La borghesia, una volta concluso l’affare, liquida la manovalanza con pochi spiccioli.