E’ la solita storia di errori ed omissioni, che deve essere
presentata alla popolazione con molti tweet accorati: tutti pensano alla nave
in fiamme in mezzo all’Adriatico, tutti se ne occupano, tutti si sforzano,
tutti chiedono che si faccia presto, tutti s’impegnano. Tutti si chiedono se la
vicenda, politicamente, non li toccherà.
La storia marittima italiana è costellata di queste vicende
assurde, a partire dalla Tito Campanella per giungere, passando per il Moby
Prince e la Haven (due disastri a 12 ore di distanza ed un centinaio di miglia
l’uno dall’altro!), poi lo sfregio della Concordia con il suo comandante
“guappo” – che non rispetta le più antiche regole della marineria – per
giungere oggi alla Norman Atlantic.
Sorvolando che – nello stesso giorno, il 28 Dicembre 2014 –
una mercantile turco, il Gokbel, è stato speronato a tre miglia dal porto di
Ravenna (praticamente, in rada) da un altro mercantile, il Lady Aziza, battente
bandiera del Belize: due navi modeste, così come modesti sono stati i risultati
dell’impatto. Il Gokbel è colato a picco all’istante, portando negli abissi sei
marinai (1). La ragione? Una tempesta di neve mista a nebbia. A tre miglia
dalla costa: tre ore dopo – come si nota dalle foto scattate dai soccorritori –
non c’era più traccia di neve e di nebbia: certo, il tempo in mare è
balzano...però...
La condizione in cui vive la marineria italiana è oggi,
prevalentemente, un incubo.
Tutto è soltanto una questione d’immagine – ricordiamo la
drammatica telefonata fra Schettino e De Falco, dove il militare gli ordinava
di risalire a bordo – che è stato solo uno scoop mediatico: dalla sua posizione
– a Grosseto – l’ufficiale militare non era in grado di giudicare quale fosse
la miglior posizione per coordinare i soccorsi. Schettino aveva già mostrato
tutta la sua incapacità, come marinaio, prima: quando aveva condotto il suo
“bestione”, che pescava 8
metri, in un “campo” di scogli dove non s’avventurano
neanche le barche a vela (che pescano 1,5 – 2,5 metri).
La corruzione imperversa anche in mare o, perlomeno, fra
coloro che dovrebbero controllare le condizioni delle navi: ricordiamo che una
nave come la Haven – definita, dopo il naufragio (unica superstite della sua
classe di quattro unità, tutte naufragate) “un colabrodo galleggiante” – aveva
appena superato i collaudi di rito. E sì che aveva appena preso un missile
Exocet in pancia: quello a Genova, fu l’ultimo viaggio dopo l’assalto della
marina iraniana e le (sbrigative?) riparazioni eseguite a Singapore.
Ma veniamo all’ultima tragedia.
La Norman Atlantic era partita a notte fonda da Igoumenitsa,
sulla rotta Patrasso – Igoumenitsa – Ancona: le condizioni del mare erano
proibitive, forza 8-9, vento a 50 nodi (quasi 100 Km orari) ed onde alte
più di sei metri.
La nave però, almeno all’inizio della traversata, gode di un
vantaggio: naviga nel canale fra l’isola di Corfù e la terraferma, che dona un
po’ di requie e maggior riparo. La pratica di navigare fra le isole e la costa
è molto attuata in Adriatico in caso di tempeste: spesso, le navi “entrano” nel
canale fra le isole a Dubrovnik (Ragusa) e ne escono a Split (Spalato).
Alle prime ore del giorno, però, la Norman Atlantic esce dal
riparo naturale e viene presa in pieno dalla tempesta: qui, bisogna analizzare
attentamente il comportamento del comandante – Argilio Giacomazzi, 62 anni
della Spezia – perché qui nasce la tragedia, non dopo.
Fatto salvo che Giacomazzi ha dimostrato d’essere un
comandante serio (i paragoni con Schettino si sprecano, sulla stampa e sui
media), c’è da dire che la responsabilità della tragedia di qualcuno deve
essere, e non vale un’assoluzione generale consolatoria, né un’inchiesta che
condurrà ad un processo chissà dove e chissà quando. Sempre che il magistrato
conceda, e non decida per un “non luogo a procedere”.
Perché di responsabilità, Giacomazzi, ne ha: ricordiamo che
il comandante, sulla sua nave, è padre e padrone, Dio ed Imperatore. Con tutto
ciò che ne consegue.
Il primo punto: la nave non era in buone condizioni, lo
dimostra il rapporto (2) conseguente all’ultima ispezione (eseguita a Patrasso
il 19 Dicembre scorso), dove si parla di porte “taglia fuoco malfunzionanti”, “mancanza
di alcuni sistemi di sicurezza” e di problemi strutturali (fatto assai grave)
che non sono ritenuti all’altezza degli standard vigenti. Nonostante ciò, la
nave non viene fermata e di tutto ciò Giacomazzi era al corrente.
Secondo punto: avvisato per tempo delle proibitive
condizioni meteorologiche, il comandante decide comunque di gettarsi in mare
aperto puntando direttamente su Ancona.
A tal riguardo, vorrei ricordare un fatto del quale ho
serbato ricordo.
A Novembre 2012, ci fu una forte tempesta sul Tirreno
Settentrionale e nel porto di Savona si rifugiarono tre navi della Costa
Crociere. Una delle tre navi ricevette dalla compagnia l’ordine di prendere il
mare per la consueta crociera, ma il comandante si rifiutò e la nave rimase in
porto: nulla smosse il comandante dell’unità dalla sua decisione. Questo per
ricordare che è solo il comandante a decidere e, se non teme ritorsioni da
parte dell’armatore, la sua decisione è legge. Sempre che abbia le palle.
Le due cause primigenie s’uniscono quando inizia l’incendio,
che narrano sia stato generato dallo sfregamento d’alcuni camion carichi d’olio
contro le paratie o contro il soffitto dell’apposito locale. Una
giustificazione che appare assai strana: qui, qualcosa non torna.
Gli autoveicoli, nel ponte hangar, vengono attentamente
fissati al ponte mediante catene: è stato eseguito a regola d’arte? Per una traversata
con mare forza 9?
Altro capitolo: nell’hangar c’erano alcuni camion
frigoriferi i quali, durante la traversata, affidano l’alimentazione di detti
frigo alla nave, nel senso che utilizzano energia elettrica della nave
trasformata a 24 V da specie di caricabatteria. Fin qui, tutto regolare.
I caricabatteria sono sistemati in appositi alloggiamenti ai
lati dell’hangar – in modo che non vadano a sbattere – però, talvolta, i cavi
per l’alimentazione non sono abbastanza lunghi. Che si fa se il camion ha
l’attacco dalla parte opposta del caricabatteria? Si toglie l’aggeggio dalla
sua sede protetta e lo si mette sul ponte, mediante una semplice prolunga:
ovvio che è una pratica proibita, perché col moto ondoso potrebbe rovesciarsi,
però...
Sulla Norman Atlantic erano presenti camion carichi d’olio
(od olive), i quali perdono sempre un po’ di materiale, trafilano olio un po’
dappertutto...accanto ai camion frigoriferi col pesce con l’alimentazione esterna...tutto
regolare? Forse: se, però, qualcuno degli alimentatori era fuori posto e s’è
rovesciato, ecco che il cortocircuito è stato quasi sicuro, con scintille
sull’olio, che è infiammabile. Altro che sfregamento contro il soffitto.
E i sistemi di sicurezza?
Posto che in mare, particolarmente durante una tempesta, la
Legge di Murphy (3) funziona al quadrato, le immagini che sono state diramate
indicavano un incendio grave, difficilmente domabile.
Come avevamo già indicato, le porte tagliafuoco avevano dei
problemi ma, per fortuna, esistono altri sistemi antincendio sulle navi.
Il più semplice è rappresentato da estintori e schiumogeni,
poi si passa alle “doccette" che si azionano automaticamente al
rilevamento di un calore eccessivo ma, la vera arma antincendio, è l’anidride
carbonica.
I ponti inferiori, soprattutto – se l’incendio è grave –
vengono evacuati e inondati di anidride carbonica, fino a riempire
completamente i locali: in questo modo, l’incendio si spegne per mancanza
d’Ossigeno.
Il prerequisito, però, è che i ponti siano sgombri: i
giornali hanno riportato che molte persone dormivano – fuori dalle norme
vigenti – sui loro mezzi, il che potrebbe aver impedito l’uso della CO2,
della quale la nave (di soli 5 anni!) doveva essere provvista.
Questo è un altro mistero che devono spiegare: quelle lingue
di fuoco che uscivano dallo scafo, a molte ore dall’inizio dell’incendio,
testimonierebbero che la CO2 non sarebbe stata usata.
E i soccorsi?
Se l’incendio è scoppiato alle prime luci dell’alba del 28,
il “MAYDAY” – la chiamata di soccorso – dovrebbe essere stata immediata: come
mai nave San Giorgio prese il mare solo nel pomeriggio, dopo le 16?
La vicenda è zeppa di non sense e suscita dubbi: da ultimo,
perché una nave in difficoltà che dista 13 miglia da Valona
(Vlore, Albania) e 45 da Brindisi deve essere rimorchiata proprio a Brindisi
traversando l’Adriatico in tempesta? Salendo a Valona, la nave avrebbe avuto il
vento in prora, favorevole per la visibilità e la stabilità della nave.
L’ultimissimo “scoop” è che gli albanesi – sempre in pieno
accordo con la magistratura italiana? – prendono a rimorchio la nave al prezzo
della vita di due loro marinai (una cima di rimorchio che si spezza è peggio di
un colpo di sciabola) per portarla in Albania. Perché adesso va bene in
Albania? Quanti sono i morti del fallimento nella strategia di gestione della
tragedia? Da undici a novantotto? Vi pare una cosa seria? Cosa va “ripulito” in
Albania?
Renzi, illuminaci: twitta qualcosa.
(3) Semplificando: “Se qualcosa si può rompere, state pure
sicuri che si romperà”.