Fra pochi giorni, sarà celebrato l’ultimo atto della vicenda
Costa Concordia e per Francesco Schettino sarà veramente l’ultima spiaggia: se
verrà confermata la sentenza d’Appello saranno 16 anni di carcere, ma il P.G.
della Cassazione ha già anticipato che chiederà 27 anni. Una pena troppo
pesante per un omicidio colposo, seppure plurimo? La pena per l’omicidio
volontario è di 22 anni. Tutta la vicenda ha un sapore assai strano: a
Schettino non è stato ritirato il passaporto, e l’interdizione al comando –
guarda a caso – è stata comminata per soli 5 anni.
Recentemente, Schettino ha pubblicato su Youtube un breve
filmato intitolato “L’onore del marinaio” (1) e non ci sentiamo di dargli
completamente torto.
Sarà perché tante volte ho visto la Concordia
entrare in porto, a Savona, proprio mentre mi recavo a scuola, magari proprio
al Nautico e ricordo l’imponente massa che, talvolta, suonava i rituali 5 colpi
di sirena rivolta a barche, pescherecci e quant’altro: 5 colpi significano “non
capisco cosa cazzo vuoi fare”. Ricordo che sorridevo, pensando al pilota
occupato a seguire magari 3 o 4 bersagli mentre conduceva in porto un albergo
galleggiante con 5.000 anime sopra.
Voglio precisare subito: per come sono andate le cose,
Schettino doveva essere degradato a mozzo senza ripensamenti. Mai più doveva
salire in plancia in comando: questo mi stupisce della sentenza di primo grado,
sostanzialmente confermata in appello, perché girando attorno alle vicende
processuali ci sono troppe cose che non tornano: gente che ha ricevuto medaglie
e, poi, s’è trovata a dover patteggiare le pene, altri che hanno fatto la parte
del leone e poi sono stati trasferiti, ma andiamo con ordine.
Nel 1974
mi trovavo al Giglio, accampato “sotto le stelle” proprio
sulla punta delle Scole, che separa Giglio Porto dalla baia delle Cannelle.
Nella baia, era ancorata una pilotina del New England di proprietà della
contessa Agusta (quella che sposò un calciatore nero, ricordate?). Non fatevi
fuorviare da quel “pilotina”: la “barca” in questione era un tre alberi di 100 piedi di lunghezza,
equipaggio in divisa, ottoni lucidi e tutto il resto…se ne stavano lì, a fare i
bagni.
Un giorno, probabilmente per rifornirsi di carburante, si
recarono a Giglio Porto (a motore, ovvio) e fui stupito perché la rotta, vista
da lassù, puntava dritta sull’Argentario (pressappoco per 90°): fecero un lungo
bordo – circa un miglio – prima di virare di 180° circa ed entrare a Giglio
Porto. Perché?
Poiché dal mio punto di osservazione, in alto, si notava
chiaramente il “campo minato” di scogli che, dalla battigia, continuavano per
centinaia di metri: manco con un gommone – pensai – sarei andato a cacciarmi lì
dentro! Saggio, il comandate della pilotina – perché cercarsi grane? – mentre
Schettino fu proprio tutto meno che avveduto.
E’ vero che lo spettacolo del Giglio con poche luci, nel
buio invernale era atteso dai passeggeri, ma c’è modo e modo di farlo!
Osservate, nella cartina, l’angolo fra la rotta della
Concordia e la costa Est dell’isola: troppo ampio. Pare quasi una rotta per
entrare in porto al Giglio (se mai fosse possibile, con un simile “bestione”!)
Chi tracciò quella rotta? Non lo sappiamo. Chi doveva approvarla? Il
comandante. Per questa ragione affermo che Schettino non dovrebbe più comandare
nulla, manco un pattino. Toglietegli anche la patente nautica.
Con una rotta più verso Nord, una correzione di rotta
sarebbe stata più agevole: ma dove ha imparato, Schettino, a condurre una nave?
E la velocità? Oltre 16 nodi! Non facciamoci proprio mancare niente per
combinare un bel disastro!
Come è avvenuto? Colpa della globalizzazione, anche in quel
caso.
La legge, oggi, impone la lingua inglese nei comandi in
plancia. Così, invece di “timone a dritta” bisogna dire “on the starboard” e per
timone a sinistra “on the port”. Immaginate…onthestarboard…ontheport…ditelo in
fretta: com’è? Confusione? Pensate un po’…con un timoniere indonesiano che
mastica poco l’inglese…
Così, con una bella accostata a dritta (invece che a
mancina) per allontanare la poppa dagli scogli, si è giocato con la vita di 32
persone: bisognava pensarci prima, con una diversa rotta ed una velocità più
bassa.
Un naufragio è una tragedia: anche quando finisci in mare da
una piccola deriva a vela…ti viene una paura irrazionale…anche se sai nuotare,
se è giorno, piena Estate…ti viene un terrore inconsulto e cerchi d’aggrapparti
a qualsiasi cosa, anche se basterebbero poche bracciate per giungere a terra.
Un naufragio di 5000 persone, di notte, d’Inverno, nel
volgere di un’ora…è una cosa che non riesco nemmeno ad immaginare: pur
comprendendo le procedure, non penso che ci sia essere umano in grado
d’affrontarlo. l’Andrea Doria, tanto
per essere chiari, rimase a galla ancora per quasi un giorno: per certi versi,
il naufragio della Concordia ricorda
quello del Titanic: notte, freddo,
stesso “taglio” delle lamiere per più compartimenti, inabissamento repentino.
Se non bastassero i prodromi – e qui Schettino ce l’ha messa
proprio tutta – quando la nave, già da un’ora, è adagiata sugli scogli del
Giglio, si fa vivo un certo De Falco – Capitano di Fregata della Capitaneria di
Grosseto – che completa l’opera: dalla tragedia al teatro dei pupi.
Da cento chilometri di distanza, senza aver chiara la
situazione, senza sapere niente – in pratica – fa una bella lavata di capo a
Schettino, diventando un eroe nazionale. Successivamente, De Falco, sarà
trasferito (non dietro sua richiesta) ad un incarico amministrativo (non
operativo), proprio per aver aggiunto, per pura insolenza (tipicamente militare),
un po’ di pepe sulla ferita: oh, come godono i media di mezzo mondo quando un
“vero uomo” sale alla ribalta!
Prima d’andare avanti, bisogna ricordare che una nave, nel
momento che viene dato il comando d’abbandonarla, diventa un relitto: da quel momento
in poi, il comandante cessa d’esser tale e la competenza passa alla Marina,
tramite le Capitanerie di Porto. Schettino, giuridicamente, era un naufrago
come tutti gli altri.
Senza ricordarsi che il comandante Calamai (Andrea Doria) si salvò – ma anche l’amm.
Nagumo sopravvisse all’affondamento dell’Akagi
(Midway, 1942) come il comandante dell’Indianapolis
Mac Vay e tanti altri – chiede a Schettino (non può chiedergli perché non è
morto da eroe in plancia! Così fanno i veri uomini!) di risalire su un relitto
senza corrente elettrica, buio come il fondo dell’inferno per dirigere le
operazioni di sbarco. Che, all’ora in cui ci fu la famosa telefonata, erano
pressoché concluse: alcune navi, deviate dalla rotta per soccorrere la Concordia,
stavano allontanandosi perché oramai erano in troppi.
Schettino dirigeva, a quell’ora, le operazioni dalla
scogliera insieme ai suoi ufficiali: s’avverte, nel colloquio, che Schettino
non ha tempo né voglia di stare a sentire la ramanzina del solito capitano
rompicoglioni, tant’è che ha già chiamato Roma, ossia il superiore di De Falco,
per narrargli l’accaduto. Che, ad essere onesti, non ha mai negato: “Ho
combinato ‘nu grosso guaio”, esordisce nel primo messaggio con la Costa Crociere, a Genova.
Poco prima aveva abbandonato la nave con l’ultima scialuppa
disponibile, disincastrandola dalla gru che, per l’inclinazione della nave,
minacciava di portarla a fondo. Nel momento nel quale lasciava la nave con gli
ultimi naufraghi, Schettino era fermamente convinto che tutti gli occupanti
avessero lasciato il relitto, perché non era lui a doversi occupare della
questione. E chi, allora?
Quando si parla di naufragi e di responsabilità, sono sempre
storie infinite: per questa ragione, Charles Butler McVay III (comandante dell’Indianapolis) si stufò e, nel 1968 –
dopo 23 anni di avanti e indietro, sentenze di colpevolezza seguite da
assoluzioni e tante scuse – si stese sul prato di casa e si sparò un colpo con
la pistola d’ordinanza.
Schettino non rischia questi “avanti e indietro” – è
responsabile e colpevole dell’affondamento – però ci sono altri che non hanno
eseguito i loro compiti: primo fra tutti, il capo commissario di bordo Manrico
Giampedroni, rimasto ferito (una gamba rotta) durante le operazioni di
evacuazione e dimenticato sul relitto per un giorno e mezzo – per questa
ragione ha ricevuto una medaglia al valore dal Senato – ma…quali erano i suoi
compiti? Quella sera, dove si trovava?
Era sull’aletta di plancia, a sinistra, e si godeva lo
“spettacolo” del “inchino” al Giglio, mai eseguito (sic!) così vicino alla
costa dell’isola.
Così, ha patteggiato una pena a 2 anni, perché:
“…non avrebbe fatto
evacuare i passeggeri dalle cabine della Costa
Concordia e non li avrebbe fatti radunare nei punti di raccolta per
avviarli alle lance di salvataggio, e non avrebbe coordinato l'emergenza in
base ai prescritti protocolli.”
Insomma, l’uomo che aveva la responsabilità “alberghiera”
della nave, in quel momento, stava in plancia (dove non doveva essere) e si
trastullava. Disse anche: “Oh, ma quegli
scogli li prendiamo in pieno!”. E scomparve, rimanendo poi ferito in un
ponte inferiore, da qui la medaglia del Senato. Concessa con troppa fretta?
Beh…similis similia solvitur…sappiamo
bene che i senatori non perdono tempo per unirsi al coro dei media ed apparire
in Tv…
Anche a Schettino è stato dato un riconoscimento – insieme a
tutto l’equipaggio – nientedimeno che dai Lloyd's di Londra, per il
comportamento tenuto durante il naufragio e per il salvataggio dei passeggeri.
Perché?
Poiché tutto il naufragio, dall’impatto a “nave ferma”
semiaffondata, è durato circa 63 minuti e, in quei 63 minuti, il mondo si è capovolto
per le persone sulla Concordia: dai
brindisi al sapore, amaro, dell’acqua salsa.
La manovra tentata e riuscita, eseguita dagli ufficiali
della nave – senza poter contare sulle macchine! – è stata da manuale (il
plauso dei Lloyd's non giunge a casaccio): filando le ancore in sequenza, a
tempo debito, sono riusciti ad accostare la nave alla costa. Cosa sarebbe
successo se la Concordia fosse
affondata – in 63 minuti! – nel canale? Quante centinaia di morti?
Insomma, tutta la faccenda è stata vissuta su due piani,
quello reale (terribile) e quello mediatico, che deve essere spettacolare e che
ha i suoi ruoli – il mattatore, il vile, l’eroe, l’amante, ecc – come recitano
i canoni della commedia dell’arte. E servono, ancora una volta, ad acchiappare
ed a condizionare il pubblico, a portarlo dove si vuole. Quante persone, nei
giorni successivi alla tragedia – anche fra le gente di mare! – avrebbero
voluto impiccare Schettino all’albero di maestra!
Il giudizio sul governo della nave, da parte del comandante
Francesco Schettino, deve essere completo e la pena pesante, non c’è dubbio.
Una manovra pericolosissima, senza tener conto che la cartografia GPS contiene
un errore di 25-50 metri
(per ragioni di terrorismo), ma 50 metri non sono niente in mare, difatti, la
gomena, che è la misura corrente per le piccole distanze, è di 80 metri, e non vengono
usate altre unità minori. Una gerarchia di comando e controllo molto
approssimativa – quando mai un comandante non approva la rotta anzitempo? –
l’assenza in plancia (sappiamo perché…) in un momento cruciale, la diffidenza
con i suoi più diretti sottoposti, denotano un temperamento sbruffone ed
orgoglioso, un comportamento superficiale e guascone. La compagnia è
responsabile, per aver conferito il comando ad un uomo simile.
Per le vicende successive all’impatto, però, non ci sono
elementi che aggravino la sua posizione nella vicenda: ha fatto quel che doveva
fare, da bordo o da terra, la cosa non cambiava.
I giudici giudicheranno: vedremo se la sentenza sarà
mediatica o basata sui fatti. Schettino è libero d’andare dove vuole: lo farà?
Andrà in carcere?