20 giugno 2018

Quando mostri la realtà dell’Africa, l’imbecille guarda il dito. Sul grilletto


“La pacchia è finita.”
“I porti italiani rimarranno chiusi.”
“Non parteciperemo più al business dei migranti.”
“I migranti ci rubano il lavoro.”
“Aiutiamoli a casa loro.”

La pacchia è finita
Che in Africa ci fosse quella gran “pacchia”, nessuno degli africani se n’era accorto. Anche raccogliere pomodori per 5-20 euro/giorno (dipende dalla magnanimità del padrone) non è certo il paese del Bengodi, e dei 36 euro stanziati dal governo italiano per migrante/giorno, in tasca loro non ne arriva nessuno, o ben pochi. Difatti, c’era la fila delle ONG e dei gestori dei centri d’accoglienza, che non aspettano altro che d’avere una concessione. Schiavisti di Stato, ecco cosa sono e, da quando mondo è mondo, gli schiavisti hanno sempre lavorato per il loro tornaconto personale.
Perciò, inviare nell’etere queste roboanti dichiarazioni è pura disinformazione, che ho sempre combattuto da qualsiasi parte giungesse.

I porti italiani rimarranno chiusi
Qui ci sono due argomenti in uno: la chiusura dei porti come atto giuridico e la destinazione dei migranti come soluzione pratica del problema.
La chiusura dei porti selettiva (ossia per bandiere di nazionalità) è, giuridicamente, quasi un atto di guerra. In altre parole: richiede prima un dialogo diplomatico, o meglio, sta a significare un dialogo diplomatico che s’è arenato. O che non c’è mai stato. In tempi passati, o la cosa si risolveva diplomaticamente, oppure il più forte li riapriva a suon di cannoniere.
Siccome il mare è un elemento molto pericoloso – e ve lo dice uno che lo conosce – quando si hanno delle persone a circa 20 miglia dalla costa – e dunque in mare aperto – se le imbarcazioni sono in condizioni di creare pericolo per la vita, il soccorso in mare è obbligatorio. Se non avviene, è codificato come omissione di soccorso e il comandante, allo sbarco, viene chiamato a risponderne.

Non voglio fare la figura dell’ingenuo: so benissimo che queste persone si mettono in mare per essere “salvate”: perciò, il problema è la loro destinazione definitiva, non dove sbarcano. A tal riguardo – forse comprendendo che l’Europa si sta giocando parecchio su questa vicenda, e non volendo essere ricordata nella Storia come la “liquidatrice” dell’UE – Angela Merkel ha mangiato la foglia, ingoiando anche il picciolo: “E’ un problema europeo”, non facile da digerire anche per Angelona, che ha vicini abbastanza riottosi in materia (Austria ed Ungheria, tanto per cominciare) ed oppositori interni che basano il loro futuro politico proprio sul perdurare del problema: tanti migranti, tanti voti in più per i partiti che cavalcano il problema, senza riflettere che – dopo – dovranno risolverlo.

Non parteciperemo più al business dei migranti
Questa è un’affermazione che mi sento di sposare in toto e senza riserve, perché la tratta dei migranti (o schiavi) perdura da circa mezzo millennio e, in un mondo così “compenetrato” come oggi avviene (reti telematiche, trasporti veloci, ecc), rischia veramente d’essere il detonatore che fa scoppiare la bomba sottostante, che ha sempre il solito nome: sperequazione nella ripartizione della ricchezza planetaria.

L’Europa è un continente di circa mezzo milione d’abitanti, che nel volgere di un paio di generazioni si ridurrà alla metà dei suoi abitanti, causa il deteriorarsi delle condizioni di vita (lavoro, sicurezza, speranza, infelicità, giustizia, ambiente, violenza, malgoverno, pessima alimentazione, ecc, ecc, ecc) è giunta al punto che la fertilità del maschio europeo si è abbassata notevolmente. Ricerche mediche raccontano proprio questo: meno spermatozoi attivi e validi. La donna europea ha un tasso di natalità di poco superiore ad 1.

L’Africa, intorno al 1960, aveva 250 milioni d’abitanti. Oggi, ne conta circa 2,2 miliardi. Il tasso di natalità delle donne africane è pari a 4,4. Tre volte quello europeo.

Non vorrei che qualcuno prendesse per partigianeria quanto scrivo: sto soltanto esponendo dei dati, numeri che tutti potrete trovare sul Web e che sono di pubblico dominio ed universalmente riconosciuti.
Abbiamo un problema? Direi di sì.

Un identico problema esiste fra Israele e la cosiddetta “striscia di Gaza”, laddove le donne israeliane superano a fatica (con enormi aiuti di Stato) i 2 figli per donna (popolazione costante), mentre dall’altra parte la natalità supera i 4 figli per donna. Come risolvono il problema gli israeliani? Bombardandoli, massacrandoli, imprigionandoli, deportandoli.

Il problema dei cosiddetti “più forti” è soltanto per quanto tempo riusciranno a risultare tali: i Latini ci riuscirono fino al 476 d. C. , ma già dal 300 le cose si erano messe male. Durò ancora più di un secolo prima che un Goto disarcionasse dal trono un fanciullo Romano e spandesse le sue larghe chiappe sul trono dei Cesari.

Le pressioni migratorie non hanno soluzioni (pensiamo quanto protesse la Cina dai Mongoli la Grande Muraglia) e le uniche alternative possibili sono due: opporsi oppure trattare. Finché si può farlo.
In fin dei conti, la fine della tratta negriera che dura da 5 secoli non farà che portare all’esplosione violenta il continente africano: anche perché qualcuno – scelleratamente – ha pensato bene d’aprire il vaso di Pandora e spezzarlo a terra in cocci, ossia la distruzione dell’Africa Settentrionale come entità statuali abbastanza solide.

Tirando le somme, potremmo affermare che è giusto “eticamente” mettere fine alla tratta, ma capirne anche le inevitabili conseguenze.

I migranti ci rubano il lavoro
Se qualcuno ritiene valida questa affermazione, mi scriva. Non conosco più tanta gente in giro per lo Stivale, ma una raccomandazione per andare a raccogliere arance, pomodori, olive, uva od altri prodotti agricoli mi sento di poterla promettere senza temere d’essere smentito. Ovviamente, dai 5 ai 20 euro/giorno, per 10-12 ore di lavoro, sotto la torrida canicola od al gelo invernale.
L’ultima notizia, tanto per informare, me l’ha data un amico di Acqui Terme e riguarda la potatura dei vigneti, che si esegue in Inverno. Un agricoltore è stato “impalato” – ossia legato ad un palo e lasciato lì – poiché aveva disatteso la parola data a dei migranti: al termine del lavoro, dai sette euro/giorno era sceso a 5, unilateralmente. Per fortuna, quegli slavi non osarono mettere in pratica l’impalamento rituale, così come lo descrive Ivo Andric ne “Il ponte sulla Drina”.

Ci ho provato io stesso con mio figlio: perché non metti a coltura i terreni della famiglia? Con tutto l’aiuto possibile da parte della famiglia stessa, in termini d’investimenti e – per qual che si può a questa età – di aiuto materiale. Oggi lavora con un’azienda informatica e si è scordato di quella proposta.
Le canne crescono, lungo le strade, rigogliose come non mai. Negli stessi, identici posti, 40 anni fa dovevi quasi litigare per tagliarne un fascio per legarci i pomodori, per metterle ai fagioli…insomma, per tutte le esigenze dell’orto. Oggi, le giovani generazioni italiane osservano le zappe lasciate nella rimessa da padri e nonni, e non hanno la minima curiosità nei loro confronti.
Perciò, non stiamo a raccontare queste frottole: se qualcuno vuole andare ad accudire animali oppure sgobbare in un cantiere edile, il posto lo trova. Ma non si può rispondere al cellulare e messaggiare ogni 5 minuti, no, non si può proprio.

Aiutiamoli a casa loro
Quando sento questa bella litania, mi saltano nella mente antiche e linde parrocchie con preti sorridenti da pubblicità dell’8 per mille, oppure eleganti librerie con ben in vista i libri di Marx che circondano divani soft e luci soffuse, o ancora collezioni di fotografie coloniali che spiegano quanto “bene” hanno fatto gli italiani all’Africa. A quel punto, non so se per noia o per disperazione, mi monta veramente il sangue alla testa.
Ma chi spapera in giro queste fregnacce, sa cos’è l’Africa?

L’Africa, dal punto di vista agricolo, è soltanto secondo all’Antartide per sfiga campestre. Tolti gli enormi deserti, rimangono soltanto le valli del Nilo, del Niger e del Congo, più qualche arido altipiano (come quello dove vivono i Masai e le loro magre vacche) e qualche sterpaglia che onoriamo del nome di “savana”.
Quando giunsero gli europei per “destinare” loro terre migliori in altri continenti – il ben noto “Triangolo degli schiavi”, durato circa 4 secoli nella sua forma arcaica – erano giunti pressappoco al termine del loro Neolitico ed iniziavano, probabilmente, una fase pre-imperiale, intendendo qualcosa di simile agli Assiri od ai Sumeri.
Testimonianze di questo genere sorgono in Ciad, in Niger e in altri Paesi della parte Nord dell’Africa sub-sahariana. Ma arrivarono gli assatanati portoghesi, poi spagnoli, olandesi, inglesi, francesi, italiani…
Perché i nostri avi andarono in Africa?

Dapprima per semplice rapina: oro, sempre lui. Poi schiavi per il nuovo business del cotone, infine scoprirono le miniere, e fu la fine dell’Africa.
Il più forte mangia il più debole? Vero. Però, gli statunitensi hanno completato il “lavoro”: privati i Nativi del loro habitat, sono stati confinati nei vari lager tipo Pine Ridge, dove alcol e droghe completano il lavoro del glorioso Winchester 32. Indi, per acquietare la loro coscienza, hanno persino creato l’Università dei Nativi (che si trova in Minnesota) e girato il film Balla coi lupi. Adesso siamo tutti a posto: crepate in pace, amen.
In questo, dobbiamo riconoscere che anche gli israeliani si stanno difendendo bene con le loro fortificazioni impenetrabili dalle quali, in ben protetti bunker sotterranei, le bionde soldatesse di Tzahal puntano il joystick e premono: alè, un altro palestinese ammazzato. Era di qua del confine (tracciato da chi?)…o forse un po’ più in là…ma che importa…tanto, nella Bibbia è scritto che Cam sarà solo il servitore di Sem e di Japhet…
Nelle versioni più “soft” e senza indicare la nazionalità, lo stesso software lo venderanno come videogioco: ne ho visti mille che gli assomigliano.

L’ultimo anello di questa infamia senza fine ci porta al mondo dei trapianti, al loro commercio, ai tanti minori che scompaiono. Non ci credete? Mettete in ricerca i termini “migranti” e “trapianti”, poi cliccate, se avete stomaco e coraggio, quello d’osservare cadaverini di bambini (i più richiesti, ancora non infettati dall’AIDS e dalle epatiti) squartati e legati come salami dopo il prelievo.

Ma veniamo ai rimedi, ossia “come” aiutarli a casa loro.
I missionari comboniani provarono a “saltare” alcuni millenni di Storia e fecero arrivare trattori e motozappe. Per un po’ funzionò, però quando cominciarono a rompersi non si trovò nessuno che li sapesse riparare: fine dell’antropologia “creativa”.
Provarono ad insegnare loro ad addomesticare i bufali, ma la biologia può essere sperimentale solo in laboratorio: impossibilitati ad usare buoi a cavalli (clima) o zebre (debolezza del piede, già tentato dagli europei). Forse, oggi, qualcuno corre ancora dietro a dei riottosi bufali, con scarsi risultati.
I più hanno scelto un animale più docile da ammansire, che viene dalla lontana Russia: si chiama Kalashnikov, e basta spostare una levetta perché partano colpo singolo, tre colpi oppure la raffica. Facile da usare, robustissimo, è ciò che fa per l’Africa. E per i soliti padroni.

Perché, gli africani, e per cosa combattono fra di loro? Per le banane, i manghi, le antilopi?
No, svolgono in conto terzi la guerra delle miniere.
Perché – e forse questa storia non la conoscerete – dopo lunghe trattative sul commercio internazionale dei metalli/minerali non ferrosi – ossia, Oro, Argento, Platino, Wolframio, Tantalio, Rame, Selenio, Vanadio, Uranio, petrolio, gas naturale, Piombo, Stagno, Mercurio, Nichel, Litio (sali), Cadmio, Cromo e cromite, Manganese, ecc,ecc – si giunse ad una regolamentazione, ossia al concetto di “tracciabilità” dei minerali commerciati.
Le ragioni?
Per obbligare le aziende a pagare prezzi di mercato (di per sé già bassi: pensiamo al prezzo del Rame (1), che negli ultimi 100 anni ha subito una diminuzione reale del 50%) e per tassare alla fonte queste importazioni. Un trattato rispettato dagli USA, da parecchi Paesi africani ma non da…l’UE!
L’UE preferisce che la dichiarazione di tracciabilità sia “facoltativa”, insomma…come vuoi, quanto vuoi, come ti fa comodo…
Ovvio che, se si compra in “nero”, i conti si regolano come qualsiasi mercato illegale, ossia a colpi di mitra. Avete capito chi finanzia le varie milizie africane?

Ma un medico africano (2), il dott. Mukwege, decide di porre fine a questo disgusto e sale in Europa, viene accolto a Strasburgo e parla di fronte al Parlamento Europeo (che gli consegna il premio Sakarov per l’informazione). Le reazioni dei parlamentari – di fronte allo stillicidio di prove (il medico è un ginecologo, e parla soprattutto di violenza sulle donne da parte delle varie milizie) – è drammatica: qualcuno, addirittura, piange.
Poi, però, vota. Sarà stato un miracolo, ma il titubante Parlamento Comunitario trova la forza del leone e vota una legge che obbliga – tout court – le aziende europee alla tracciabilità dei loro acquisti internazionali. Sembra fatta. E invece.
Il commissario delegato al problema sospende la seduta ed invoca “tempo” per “mediare” all’interno della Commissione – non eletta da nessuno, terra felix per le varie lobbies – e, d’incanto, il Partito Popolare si ricompatta: si decide (il voto cambia) che la questione sarà appannaggio di una “trattativa” fra il pronunciamento del Parlamento e la Commissione. Ossia, si discuterà ancora…qualcuno di voi immagina come andrà a finire?

Era un buon passo per iniziare a riconoscere agli africani, almeno, la “proprietà” di quelle risorse minerarie – un modo per “aiutarli a casa loro” – ma non è stato fatto. Il secondo, inevitabile, riguarda la democrazia in quei Paesi: guarda a caso è stata “messa in atto” per sovvertire l’Africa del Nord, ma a nessuno salta in testa d’andare a mettere a posto le cose nell’Africa sub-sahariana, dove i vari “capataz” regnano indisturbati, protetti dalle milizie pagate, pagate…da chi?
Un aneddoto, abbastanza noto in Africa, recita che ad un nuovo “presidente” venga portata una valigia piena di dollari. A lato, una pistola: scelga.

Ultima domanda, che mi pongo e vi pongo, è: cosa ci fanno 800 militari italiani in Niger? La missione, approvata nella scorsa legislatura, ebbe i voti della Lega ma non quelli del M5S. E, partita in sordina con minimi finanziamenti, a conti fatti ci costerà più di un miliardo l’anno. Cosa fanno laggiù?

Una speranza, però, c’è. Una soluzione può arrivare.
Nel Sudafrica dell’apartheid (alleato storico di Israele) Mandela prospettò cosa sarebbe successo dopo pochi decenni: milioni di bantu contro migliaia di bianchi. Fu grande saggezza compiere quelle scelte, anche se molti non furono d’accordo. La soluzione opposta? Un bagno di sangue, e le risorse auree del Sudafrica completamente in mano ai neri. Oggi, De Beer è quasi monopolista dei diamanti in quelle terre, ma le transazioni sono tutte tracciate, diversamente da come avviene in Congo. E i sudafricani, pur vivendo ancora in condizioni di lavoro pessime, non emigrano.

Le strade facili terminano, alla fine, per sfociare in demagogia e in disinformazione: si prendono voti, si guadagnano consensi, ma è come puntare sulla sopravvivenza dell’Impero Romano ai tempi di Costantino.
Léopold Sédar Shengor – presidente del Senegal e poeta – già disse in anni lontani che “il futuro dell’Africa riposa nel ventre delle donne africane, non negli occhi dell’uomo bianco, quegli occhi da dio, azzurri come il cielo”.
Meditate, gente, meditate.

(2) https://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2015/05/20/guerra-dei-minerali-in-africa-lue-sfida-le-lobby/148611/

08 giugno 2018

Caro Ministro Toninelli


Chi l’avrebbe mai detto che, dopo una lunga carriera di militante nel M5S, le sarebbe toccato in dote il Ministero dei Trasporti? Gli altri si prendono Interni, Esteri, Giustizia e via cantando…a me, rimane il ministero delle ferrovie scassate, della sempre in perdita Alitalia, dei sempre in deficit trasporti urbani…un posto di lavoro di seconda linea, nel quale non si mietono allori sul fronte del grande gioco strategico internazionale. E si rischiano solo critiche, tante critiche e pure qualche “vaffa”.
Si faccia coraggio: le è toccato un pane duro, com’è dura la pagnotta dei tanti che faticano scorrazzando sulle autostrade, su treni sgangherati, a bordo di navi lente come lumache che devono attraversare oceani infiniti e noiosi. “E il porto d’attracco non dà segno di sé” come cantava un genovese in altri tempi, il grande Fossati.

Non le mancheranno i nemici (ma di questo sono convinto che già ne è cosciente): piuttosto, dovrà vedersela con progetti oramai “storici” che non vogliono passare alla Storia, con relativi succosi contratti che pretendono penali astronomiche. In tutta la situazione domina un solo assioma: l’Europa che non è stata – travolta dagli egoismi dei singoli Stati e dalla pretesa della Finanza di governare anche gli affari politici – si sveglia oramai soltanto per reclamare il pattuito in anni lontani, quando di quel progetto non resta più nulla.
Se vogliamo, nulla di nuovo.

L’Italia Fascista, nella 2GM, si affidò corpo e beni ad un caccia biplano prodotto dalla FIAT – il CR-42 – che, ovviamente, era desueto già all’inizio della guerra. Ma i contratti per migliaia d’aerei erano stati firmati: di conseguenza, nel 1945, la FIAT chiese al nuovo governo italiano di rispettare gli accordi (cioè di costruire biplani!). Non so come andò a finire: forse, un po’ di buon senso – viste la condizioni del Paese nel 1945 – ebbe il sopravvento sui biplani.
Qui, ci ritroviamo in una situazione analoga.

Negli anni ’90 del secolo scorso, nei grandi progetti pensati per creare l’area economica europea modernizzando le tratte ferroviarie dei singoli Paesi, c’era anche la TAV, la Torino-Lione, che poteva avere un senso se ci fossero stati traffici su quelle direttrici, se l’economia fosse stata sempre in crescita, se il Paesi Mediterranei avessero creato nuovi poli industriali, se, se…insomma, una progetto basato su troppi “se”, che la Storia ha smentito: come dicono in Toscana, il se ed il ma sono il pane dei grulli.

In ogni modo, questo era il tracciato previsto per il corridoio 5:



Come si nota, l’impresa era veramente molto ambiziosa (rectius: pretenziosa) e finì ben presto: ognuno s’arrangiò per sé e Dio (petrolio/gomma) per tutti.
I singoli Paesi, ad uno ad uno, si smarcarono ad iniziare dal Portogallo e dalla Spagna che non progettarono nemmeno il nuovo valico ferroviario dei Pirenei, privilegiando la rete autostradale che dall’Andalusia corre, nei pressi del Mediterraneo, fino a Barcellona. Poi l’Ucraina precipitò in una guerra infinita…insomma, quel progetto morì con la sua grande sostenitrice, la commissaria spagnola Loyola de Palacio, scomparsa nel 2006. Per chi vuole più informazioni, c’è un breve articolo del 2013 che condensa abbastanza bene la vicenda (1).
I problemi di trasporto, però, restano.

Se si aggiunge che Svizzera ed Austria sono molto restie a concedere il transito su gomma sulle loro strade/autostrade, si nota che non rimane che l’Italia, poiché “salire” fino in Ungheria per accedere all’Est d’Europa è fuori discussione (questioni di costi).
La questione TAV, dunque, non è un problema di tipo legale, di contratti, di penali…bensì è stato un colossale abbaglio europeo – ho usato il termine “abbaglio” e non “errore” poiché all’epoca si poteva anche pensare che un’Europa più integrata nelle vie di trasporto fosse un obiettivo da perseguire – ma, oggi, non è nemmeno pensabile andare a discutere le cose nei vari tribunali europei.
In altre parole: ancora una volta dovrebbe essere il primato della politica ad avere la meglio sui desideri delle varie lobbies del trasporto, altrimenti si finisce con un’autostrada che ti taglia in due il giardino e con un tunnel nel garage.

Anni fa, scrissi per le edizioni Macro un libro sui trasporti (2) che venne pubblicato solo in formato pdf poiché l’argomento, di sé, non richiama molti lettori: perciò, qualche consiglio mi sento di poterlo dare. Mi sa che qui, ad essere relegati in un angolo, sono sia i ministri e sia gli scrittori.

Ciò che rimane del “Corridoio 5” europeo è una triste realtà per l’Italia: gli autotreni partono dalla Spagna diretti in Ungheria, Romania, ecc (e viceversa) e finiscono per transitare su una delle autostrade più neglette d’Italia: la Ventimiglia Genova.
Progettata negli anni ’50 del Novecento per un traffico prevalentemente turistico, oggi è giunta al parossismo: vista l’impossibilità d’allargarla (corre in mezzo alle case per 30 chilometri in area urbana a Genova) spesso la sicurezza è solo un optional: nel tratto urbano di Genova mancano addirittura le piazzole per la sosta d’emergenza. Basta un’automobile che si rompe e capita il finimondo.

Ma i veri “finimondi” succedono ogni due per tre con il traffico degli autosnodati che non rispettano minimamente i limiti di velocità: la soluzione sarebbe semplice. Copiando dai vicini francesi, sistemare degli autovelox uguali a quelli d’oltralpe: 80 Km orari, senza tolleranza, ossia ad 81 sei già “beccato”.
Questo perché gli autotreni hanno (obbligatorio per legge) un limitatore che tiene automaticamente il mezzo sotto gli 80 Km/h: il problema è che, gli stessi elettrauto che lo installano, sistemano pure un pulsante nascosto per bypassarlo. Solita storia di corruzione all’italiana: gli autisti (in maggior parte stranieri: rumeni, moldavi, lituani, ecc) semplicemente ne approfittano.
Alla prima multa non pagata dall’azienda, il mezzo verrebbe bloccato (sempre con sistemi automatici, ossia partirebbe una telefonata che avvisa l’azienda, con riferimenti al mezzo interessato) alla frontiera e se ne torna da dove è venuto: vedrà che si daranno una calmata e diminuiranno anche i numerosi incidenti – spesso mortali per gli stessi autisti e per il personale della Società Autostrade – che avvengono con una frequenza impressionante.
Questo per la fase d’emergenza, ossia per far rientrare nella legge chi della legge se ne fa un baffo.
Ci sono altre soluzioni?

Ricordo che l’ultimo progetto di un “passante” dietro a Genova – da costruire tutto in zona impervia e problematico sia per le lunghe gallerie e sia per i numerosi corsi d’acqua a regime torrentizio da attraversare – da Genova-Voltri a Genova-Nervi fu del governo Craxi (anni ’80) ed il costo mi pare di ricordare intorno ai 5 miliardi di lire: poi giunse Tangentopoli, e tutto passò in cavalleria.
Per ovviare alla costruzione di una siffatta opera – anche perché l’intero tratto, fino al confine francese, fu pensato per il traffico turistico e la comune viabilità (dell’epoca), ed oggi è chiaramente insufficiente – da alcuni anni è possibile imbarcare i camion in un porto della costa spagnola (in genere, Barcellona) fino al porto di Genova (e, ovviamente, viceversa).
Si tratta della soluzione migliore, a patto d’imbarcare solo i semirimorchi e non l’intero autosnodato: perché far viaggiare un trattore sulla tratta marittima? A dormire nella stiva di una nave? Con gli autisti, anch’essi, ospitati a bordo? I semirimorchi, giunti a destinazione, verrebbero presi in consegna da altri conducenti che li condurrebbero a destinazione.

I pro ed i contro di questa soluzione?
I contrari sono, ovviamente, le compagnie di trasporto su gomma, le quali affermano che il trasporto interamente su gomma è più veloce: certo, però se si rispettassero i limiti di velocità non sarebbe poi così conveniente. Per questa ragione li osserviamo correre ben oltre i 100 Km/h.
I costi sono grosso modo equivalenti: anzi, se si considera che i motori dei camion non sono in funzione durante la tratta marittima, forse la nave conviene. Se si spedissero i soli semirimorchi sarebbe probabilmente ancor più conveniente.
Una soluzione del genere risolverebbe il problema dell’affollamento autostradale, restituirebbe l’autostrada al traffico locale/turistico senza apocalittici ingorghi ogni volta che accade il seppur minimo incidente.
L’Italia non dovrebbe accollarsi il costo d’ammodernamento di un tracciato autostradale – non pensiamo alla ferrovia, la Savona Ventimiglia è quasi tutta a binario unico! – e s’ovvierebbe ai pericoli del traffico incontrollabile che oggi si registra.

In fin dei conti, il Corridoio 5 – mai decollato – ha lasciato questa pesante eredità: è pur vero che il volume di traffico è quasi inesistente sulla tratta Lione-Torino (e viceversa), anche perché i trasporti corrono più a Sud, sull’autostrada spagnola e francese meridionale e poi sull’autostrada italiana. Ma esistono, e sono andati ad infagottarsi su un’autostrada pensata e costruita solo per il traffico locale e turistico.

Sinceramente, ho sempre pensato che la TAV fosse un’opera inutile: serviva solo ad acchiappare fondi europei ed a creare tangenti con il solito sistema delle aziende che prendono i soldi e poi svaniscono in un fallimento. Già programmato dall’inizio.
Ci vorrebbe una legge come quella danese, che stabilisce costi e tempi già nella gara d’appalto e prevede un carico penale (ossia galera) per chi non rispetta i termini? Aziende italiane hanno partecipato alla costruzione del ponte che collega la Danimarca alla Svezia e nessuno ha avuto problemi: quando qualche alto dirigente deve consegnare il passaporto negli ultimi sei mesi prima della scadenza dei termini di consegna, ci si pensa due ed anche tre volte ad invocare il solito “incremento dei costi d’opera e l’allungamento dei tempi di consegna”.

Prima di salutarla, mi sono ricordato che lei è cremonese. Il nome “Pizzighettone” non le dice nulla? Lo so, non può non sapere. E’ proprio dalle sue parti.
Pizzighettone, ad una dozzina di chilometri da Cremona, è il luogo dove s’è arrestato il canale navigabile Cremona-Milano, che doveva collegare la grande zona industriale lombarda con il mare Adriatico. Un’impresa che era riuscita agli austro-ungarici nel 1829, quando inaugurarono il collegamento fluviale da Locarno, via Milano, a Venezia.
Certo: altri tempi, diverse necessità, altre navi, differenti obiettivi. In nota, la cronistoria dei fallimenti italiani (3).
Oggi, una nave fluviale europea del tipo V porta l’equivalente di 84 autotreni, che toglie dalle sempre intasate autostrade: navi che oggi sono spinte dai diesel, ma è già prevista la transizione a metano, domani addirittura elettrica.

Abbiamo tutto: il grande fiume, il canale (50 Km da completare), Fincantieri (azienda pubblica, fra le migliori al mondo) che può costruire tutte le navi che desideriamo. L’UE è disposta ad accollarsi la metà della spesa per terminare il canale, che ammonta a due miliardi.
E’ mai possibile che riusciamo a costruire “pezzi” di canale (come l’idrovia Padova-Mestre) per poi abbandonarli al loro destino e lasciarli alle società di pesca sportiva?!? C’è da darsi i pizzicotti. Ovvio: terminati gli appalti – e le relative tangenti – s’abbandona il canale e si passa alle tangenziali.

Spero che lei possa farci qualcosa: vedrà che fare il Ministro dei Trasporti non è poi così male, ci sono anche i progetti di dirigibili – che consumano 1/6 degli aerei per carico commerciale pagante, e che domani (con moduli fotovoltaici flessibili sull’involucro esterno) saranno praticamente autosufficienti dal punto di vista energetico – che aspettano qualcuno che s’interessi a loro.

Il M5S s’è battuto per anni su queste tematiche: oggi è il momento d’attuarle. Forza, ragazzi!