“La pacchia è finita.”
“I porti italiani rimarranno chiusi.”
“Non parteciperemo più al business dei migranti.”
“I migranti ci rubano il lavoro.”
“Aiutiamoli a casa loro.”
La pacchia è finita
Che in Africa ci fosse quella gran “pacchia”, nessuno degli
africani se n’era accorto. Anche raccogliere pomodori per 5-20 euro/giorno
(dipende dalla magnanimità del padrone) non è certo il paese del Bengodi, e dei
36 euro stanziati dal governo italiano per migrante/giorno, in tasca loro non
ne arriva nessuno, o ben pochi. Difatti, c’era la fila delle ONG e dei gestori dei
centri d’accoglienza, che non aspettano altro che d’avere una concessione. Schiavisti
di Stato, ecco cosa sono e, da quando mondo è mondo, gli schiavisti hanno
sempre lavorato per il loro tornaconto personale.
Perciò, inviare nell’etere queste roboanti dichiarazioni è
pura disinformazione, che ho sempre combattuto da qualsiasi parte giungesse.
I porti italiani
rimarranno chiusi
Qui ci sono due argomenti in uno: la chiusura dei porti come
atto giuridico e la destinazione dei migranti come soluzione pratica del
problema.
La chiusura dei porti selettiva (ossia per bandiere di
nazionalità) è, giuridicamente, quasi un atto di guerra. In altre parole:
richiede prima un dialogo diplomatico, o meglio, sta a significare un dialogo
diplomatico che s’è arenato. O che non c’è mai stato. In tempi passati, o la
cosa si risolveva diplomaticamente, oppure il più forte li riapriva a suon di
cannoniere.
Siccome il mare è un elemento molto pericoloso – e ve lo
dice uno che lo conosce – quando si hanno delle persone a circa 20 miglia dalla costa – e
dunque in mare aperto – se le imbarcazioni sono in condizioni di creare
pericolo per la vita, il soccorso in mare è obbligatorio. Se non avviene, è
codificato come omissione di soccorso e il comandante, allo sbarco, viene
chiamato a risponderne.
Non voglio fare la figura dell’ingenuo: so benissimo che
queste persone si mettono in mare per essere “salvate”: perciò, il problema è
la loro destinazione definitiva, non dove sbarcano. A tal riguardo – forse
comprendendo che l’Europa si sta giocando parecchio su questa vicenda, e non
volendo essere ricordata nella Storia come la “liquidatrice” dell’UE – Angela
Merkel ha mangiato la foglia, ingoiando anche il picciolo: “E’ un problema europeo”, non facile da
digerire anche per Angelona, che ha vicini abbastanza riottosi in materia
(Austria ed Ungheria, tanto per cominciare) ed oppositori interni che basano il
loro futuro politico proprio sul perdurare del problema: tanti migranti, tanti
voti in più per i partiti che cavalcano il problema, senza riflettere che –
dopo – dovranno risolverlo.
Non parteciperemo più
al business dei migranti
Questa è un’affermazione che mi sento di sposare in toto e
senza riserve, perché la tratta dei migranti (o schiavi) perdura da circa mezzo
millennio e, in un mondo così “compenetrato” come oggi avviene (reti
telematiche, trasporti veloci, ecc), rischia veramente d’essere il detonatore
che fa scoppiare la bomba sottostante, che ha sempre il solito nome:
sperequazione nella ripartizione della ricchezza planetaria.
L’Europa è un continente di circa mezzo milione d’abitanti,
che nel volgere di un paio di generazioni si ridurrà alla metà dei suoi
abitanti, causa il deteriorarsi delle condizioni di vita (lavoro, sicurezza,
speranza, infelicità, giustizia, ambiente, violenza, malgoverno, pessima
alimentazione, ecc, ecc, ecc) è giunta al punto che la fertilità del maschio
europeo si è abbassata notevolmente. Ricerche mediche raccontano proprio
questo: meno spermatozoi attivi e validi. La donna europea ha un tasso di
natalità di poco superiore ad 1.
L’Africa, intorno al 1960, aveva 250 milioni d’abitanti.
Oggi, ne conta circa 2,2 miliardi. Il tasso di natalità delle donne africane è
pari a 4,4. Tre volte quello europeo.
Non vorrei che qualcuno prendesse per partigianeria quanto
scrivo: sto soltanto esponendo dei dati, numeri che tutti potrete trovare sul
Web e che sono di pubblico dominio ed universalmente riconosciuti.
Abbiamo un problema? Direi di sì.
Un identico problema esiste fra Israele e la cosiddetta
“striscia di Gaza”, laddove le donne israeliane superano a fatica (con enormi
aiuti di Stato) i 2 figli per donna (popolazione costante), mentre dall’altra
parte la natalità supera i 4 figli per donna. Come risolvono il problema gli
israeliani? Bombardandoli, massacrandoli, imprigionandoli, deportandoli.
Il problema dei cosiddetti “più forti” è soltanto per quanto
tempo riusciranno a risultare tali: i Latini ci riuscirono fino al 476 d. C. ,
ma già dal 300 le cose si erano messe male. Durò ancora più di un secolo prima
che un Goto disarcionasse dal trono un fanciullo Romano e spandesse le sue
larghe chiappe sul trono dei Cesari.
Le pressioni migratorie non hanno soluzioni (pensiamo quanto
protesse la Cina
dai Mongoli la Grande Muraglia)
e le uniche alternative possibili sono due: opporsi oppure trattare. Finché si
può farlo.
In fin dei conti, la fine della tratta negriera che dura da
5 secoli non farà che portare all’esplosione violenta il continente africano:
anche perché qualcuno – scelleratamente – ha pensato bene d’aprire il vaso di
Pandora e spezzarlo a terra in cocci, ossia la distruzione dell’Africa
Settentrionale come entità statuali abbastanza solide.
Tirando le somme, potremmo affermare che è giusto
“eticamente” mettere fine alla tratta, ma capirne anche le inevitabili
conseguenze.
I migranti ci rubano
il lavoro
Se qualcuno ritiene valida questa affermazione, mi scriva.
Non conosco più tanta gente in giro per lo Stivale, ma una raccomandazione per
andare a raccogliere arance, pomodori, olive, uva od altri prodotti agricoli mi
sento di poterla promettere senza temere d’essere smentito. Ovviamente, dai 5
ai 20 euro/giorno, per 10-12 ore di lavoro, sotto la torrida canicola od al
gelo invernale.
L’ultima notizia, tanto per informare, me l’ha data un amico
di Acqui Terme e riguarda la potatura dei vigneti, che si esegue in Inverno. Un
agricoltore è stato “impalato” – ossia legato ad un palo e lasciato lì – poiché
aveva disatteso la parola data a dei migranti: al termine del lavoro, dai sette
euro/giorno era sceso a 5, unilateralmente. Per fortuna, quegli slavi non
osarono mettere in pratica l’impalamento rituale, così come lo descrive Ivo
Andric ne “Il ponte sulla Drina”.
Ci ho provato io stesso con mio figlio: perché non metti a
coltura i terreni della famiglia? Con tutto l’aiuto possibile da parte della
famiglia stessa, in termini d’investimenti e – per qual che si può a questa età
– di aiuto materiale. Oggi lavora con un’azienda informatica e si è scordato di
quella proposta.
Le canne crescono, lungo le strade, rigogliose come non mai.
Negli stessi, identici posti, 40 anni fa dovevi quasi litigare per tagliarne un
fascio per legarci i pomodori, per metterle ai fagioli…insomma, per tutte le
esigenze dell’orto. Oggi, le giovani generazioni italiane osservano le zappe
lasciate nella rimessa da padri e nonni, e non hanno la minima curiosità nei
loro confronti.
Perciò, non stiamo a raccontare queste frottole: se qualcuno
vuole andare ad accudire animali oppure sgobbare in un cantiere edile, il posto
lo trova. Ma non si può rispondere al cellulare e messaggiare ogni 5 minuti,
no, non si può proprio.
Aiutiamoli a casa
loro
Quando sento questa bella litania, mi saltano nella mente antiche
e linde parrocchie con preti sorridenti da pubblicità dell’8 per mille, oppure eleganti
librerie con ben in vista i libri di Marx che circondano divani soft e luci
soffuse, o ancora collezioni di fotografie coloniali che spiegano quanto “bene”
hanno fatto gli italiani all’Africa. A quel punto, non so se per noia o per
disperazione, mi monta veramente il sangue alla testa.
Ma chi spapera in giro queste fregnacce, sa cos’è l’Africa?
L’Africa, dal punto di vista agricolo, è soltanto secondo
all’Antartide per sfiga campestre. Tolti gli enormi deserti, rimangono soltanto
le valli del Nilo, del Niger e del Congo, più qualche arido altipiano (come
quello dove vivono i Masai e le loro magre vacche) e qualche sterpaglia che
onoriamo del nome di “savana”.
Quando giunsero gli europei per “destinare” loro terre
migliori in altri continenti – il ben noto “Triangolo degli schiavi”, durato
circa 4 secoli nella sua forma arcaica – erano giunti pressappoco al termine
del loro Neolitico ed iniziavano, probabilmente, una fase pre-imperiale,
intendendo qualcosa di simile agli Assiri od ai Sumeri.
Testimonianze di questo genere sorgono in Ciad, in Niger e
in altri Paesi della parte Nord dell’Africa sub-sahariana. Ma arrivarono gli
assatanati portoghesi, poi spagnoli, olandesi, inglesi, francesi, italiani…
Perché i nostri avi andarono in Africa?
Dapprima per semplice rapina: oro, sempre lui. Poi schiavi
per il nuovo business del cotone, infine scoprirono le miniere, e fu la fine dell’Africa.
Il più forte mangia il più debole? Vero. Però, gli
statunitensi hanno completato il “lavoro”: privati i Nativi del loro habitat,
sono stati confinati nei vari lager tipo Pine Ridge, dove alcol e droghe
completano il lavoro del glorioso Winchester 32. Indi, per acquietare la loro
coscienza, hanno persino creato l’Università dei Nativi (che si trova in
Minnesota) e girato il film Balla coi
lupi. Adesso siamo tutti a posto: crepate in pace, amen.
In questo, dobbiamo riconoscere che anche gli israeliani si
stanno difendendo bene con le loro fortificazioni impenetrabili dalle quali, in
ben protetti bunker sotterranei, le bionde soldatesse di Tzahal puntano il
joystick e premono: alè, un altro palestinese ammazzato. Era di qua del confine
(tracciato da chi?)…o forse un po’ più in là…ma che importa…tanto, nella Bibbia
è scritto che Cam sarà solo il servitore di Sem e di Japhet…
Nelle versioni più “soft” e senza indicare la nazionalità,
lo stesso software lo venderanno come videogioco: ne ho visti mille che gli
assomigliano.
L’ultimo anello di questa infamia senza fine ci porta al
mondo dei trapianti, al loro commercio, ai tanti minori che scompaiono. Non ci
credete? Mettete in ricerca i termini “migranti” e “trapianti”, poi cliccate,
se avete stomaco e coraggio, quello d’osservare cadaverini di bambini (i più
richiesti, ancora non infettati dall’AIDS e dalle epatiti) squartati e legati
come salami dopo il prelievo.
Ma veniamo ai rimedi, ossia “come” aiutarli a casa loro.
I missionari comboniani provarono a “saltare” alcuni
millenni di Storia e fecero arrivare trattori e motozappe. Per un po’ funzionò,
però quando cominciarono a rompersi non si trovò nessuno che li sapesse
riparare: fine dell’antropologia “creativa”.
Provarono ad insegnare loro ad addomesticare i bufali, ma la
biologia può essere sperimentale solo in laboratorio: impossibilitati ad usare
buoi a cavalli (clima) o zebre (debolezza del piede, già tentato dagli europei).
Forse, oggi, qualcuno corre ancora dietro a dei riottosi bufali, con scarsi
risultati.
I più hanno scelto un animale più docile da ammansire, che
viene dalla lontana Russia: si chiama Kalashnikov, e basta spostare una levetta
perché partano colpo singolo, tre colpi oppure la raffica. Facile da usare,
robustissimo, è ciò che fa per l’Africa. E per i soliti padroni.
Perché, gli africani, e per cosa combattono fra di loro? Per
le banane, i manghi, le antilopi?
No, svolgono in conto terzi la guerra delle miniere.
Perché – e forse questa storia non la conoscerete – dopo
lunghe trattative sul commercio internazionale dei metalli/minerali non ferrosi
– ossia, Oro, Argento, Platino, Wolframio, Tantalio, Rame, Selenio, Vanadio,
Uranio, petrolio, gas naturale, Piombo, Stagno, Mercurio, Nichel, Litio (sali),
Cadmio, Cromo e cromite, Manganese, ecc,ecc – si giunse ad una
regolamentazione, ossia al concetto di “tracciabilità” dei minerali
commerciati.
Le ragioni?
Per obbligare le aziende a pagare prezzi di mercato (di per
sé già bassi: pensiamo al prezzo del Rame (1), che negli ultimi 100 anni ha
subito una diminuzione reale del 50%)
e per tassare alla fonte queste importazioni. Un trattato rispettato dagli USA,
da parecchi Paesi africani ma non da…l’UE!
L’UE preferisce che la dichiarazione di tracciabilità sia
“facoltativa”, insomma…come vuoi, quanto vuoi, come ti fa comodo…
Ovvio che, se si compra in “nero”, i conti si regolano come
qualsiasi mercato illegale, ossia a colpi di mitra. Avete capito chi finanzia
le varie milizie africane?
Ma un medico africano (2), il dott. Mukwege, decide di porre
fine a questo disgusto e sale in Europa, viene accolto a Strasburgo e parla di
fronte al Parlamento Europeo (che gli consegna il premio Sakarov per
l’informazione). Le reazioni dei parlamentari – di fronte allo stillicidio di
prove (il medico è un ginecologo, e parla soprattutto di violenza sulle donne
da parte delle varie milizie) – è drammatica: qualcuno, addirittura, piange.
Poi, però, vota. Sarà stato un miracolo, ma il titubante
Parlamento Comunitario trova la forza del leone e vota una legge che obbliga –
tout court – le aziende europee alla tracciabilità dei loro acquisti
internazionali. Sembra fatta. E invece.
Il commissario delegato al problema sospende la seduta ed
invoca “tempo” per “mediare” all’interno della Commissione – non eletta da
nessuno, terra felix per le varie lobbies – e, d’incanto, il Partito Popolare
si ricompatta: si decide (il voto cambia) che la questione sarà appannaggio di
una “trattativa” fra il pronunciamento del Parlamento e la Commissione. Ossia,
si discuterà ancora…qualcuno di voi immagina come andrà a finire?
Era un buon passo per iniziare a riconoscere agli africani,
almeno, la “proprietà” di quelle risorse minerarie – un modo per “aiutarli a
casa loro” – ma non è stato fatto. Il secondo, inevitabile, riguarda la democrazia
in quei Paesi: guarda a caso è stata “messa in atto” per sovvertire l’Africa
del Nord, ma a nessuno salta in testa d’andare a mettere a posto le cose
nell’Africa sub-sahariana, dove i vari “capataz” regnano indisturbati, protetti
dalle milizie pagate, pagate…da chi?
Un aneddoto, abbastanza noto in Africa, recita che ad un
nuovo “presidente” venga portata una valigia piena di dollari. A lato, una
pistola: scelga.
Ultima domanda, che mi pongo e vi pongo, è: cosa ci fanno
800 militari italiani in Niger? La missione, approvata nella scorsa
legislatura, ebbe i voti della Lega ma non quelli del M5S. E, partita in
sordina con minimi finanziamenti, a conti fatti ci costerà più di un miliardo
l’anno. Cosa fanno laggiù?
Una speranza, però, c’è. Una soluzione può arrivare.
Nel Sudafrica dell’apartheid (alleato storico di Israele)
Mandela prospettò cosa sarebbe successo dopo pochi decenni: milioni di bantu
contro migliaia di bianchi. Fu grande saggezza compiere quelle scelte, anche se
molti non furono d’accordo. La soluzione opposta? Un bagno di sangue, e le
risorse auree del Sudafrica completamente in mano ai neri. Oggi, De Beer è
quasi monopolista dei diamanti in quelle terre, ma le transazioni sono tutte
tracciate, diversamente da come avviene in Congo. E i sudafricani, pur vivendo
ancora in condizioni di lavoro pessime, non emigrano.
Le strade facili terminano, alla fine, per sfociare in
demagogia e in disinformazione: si prendono voti, si guadagnano consensi, ma è
come puntare sulla sopravvivenza dell’Impero Romano ai tempi di Costantino.
Léopold Sédar Shengor – presidente del Senegal e poeta – già
disse in anni lontani che “il futuro
dell’Africa riposa nel ventre delle donne africane, non negli occhi dell’uomo
bianco, quegli occhi da dio, azzurri come il cielo”.
Meditate, gente, meditate.