Con l’Autunno, è arrivata la solita sequenza di disgrazie
meteorologiche: in fin dei conti, è piovuto quattro giorni di seguito, e
quattro giorni di pioggia sono
bastati per mettere in crisi il sistema di trasporto italiano.
Una parte di responsabilità l’hanno, ovviamente, i mutamenti
climatici in atto, basti pensare che, nel 2018, la temperatura massima del Mar
Tirreno giunse a 26°, mentre nel 2019 è giunta a 29°, l’Adriatico a 30°.
Come se non bastasse, s’approfondisce lo strato di acqua che
si riscalda – separata dal cosiddetto “termoclino”, che le divide dalle acque
di fondo, che rimangono sempre alla massima densità di 4° – il problema è che
mentre, prima, il termoclino s’assestava intorno ai dieci metri di profondità,
oggi arriva a venti, il doppio.
La quantità di energia che le acque marine contengono, al
termine della stagione estiva, è incommensurabile: sono quantità paragonabili a
circa 50 volte il consumo elettrico annuo nazionale!
Si dà il caso che questa energia sia destinata a giungere in
atmosfera con la fase di omotermia invernale, e allora osserviamo – come nel
2018 – i cicloni oppure, come nel 2019, le piogge “monsoniche”, che devastano
il territorio.
In altre parole, l’energia può avventarsi col vento ed
aumentarne la velocità, oppure sorreggere i fronti ciclonici e sommergerci con
le acque.
In un modo o nell’altro, e qualunque sia la ragione,
dobbiamo farci i conti.
L’altro problema, riguarda la specificità del territorio
italiano.
Fatta salva la situazione della Pianura Padana – che deve,
comunque, fare i conti con le bizzarrie dei vari fiumi che scendono dalle Alpi
– il resto del territorio è tutto collinoso o montagnoso, salvo qualche modesta
pianura costiera. Molto diversa dalla situazione francese – che ha solo
montagne importanti al centro – da quella tedesca – tutta compresa fra la valle
del Reno ed i lontani Carpazi – quella spagnola la quale, a parte la Catalogna, è quasi tutta
un altopiano senza grandi rilievi o quella inglese, che – Scozia a parte (ma
scarsamente abitata) – non possiede rilievi importanti.
Di più, l’Italia deve fare i conti con un’attività sismica
costante e devastante, che ogni due per tre ci mostra segni di distruzione, per
vite umane ed ambiente.
Come può essere armonizzato un simile territorio con il
problema dei trasporti?
Tutte le linee di trasporto che corrono via terra sono
suscettibili di danni, da parte delle piogge, dei cicloni o dei terremoti, sia
per l’aspetto viario che per quello ferroviario.
Germania, Scandinavia, Gran Bretagna, Europa dell’Est,
Francia e Spagna (salvo l’Andalusia meridionale) sono zone non sismiche, e non si ha notizia storica di un terremoto come
quello di Amatrice in tutta l’Europa del centro-Nord, dell’Ovest e dell’Est. Al
contrario, Italia, Grecia ed ex Jugoslavia sono bersagliate quasi ogni anno dai
sismi, talvolta devastanti. Oggi è toccato all’Albania.
Fare presente in sede europea che la situazione italiana è
veramente speciale, per rischi e continue spese di riparazione è giusto e
necessario, ma non risolve il problema,
che ha una soluzione limpida…come l’acqua. Di mare.
I nostri avi non avevano i mezzi per costruire una rete
autostradale, ma finché durò l’Impero Romano le navi – che navigavano solo da
Marzo ad Ottobre per editto imperiale – rifornivano e commerciavano con ogni
parte dell’Impero: le lunghe strade consolari non venivano usate per trasporti
onerosi su lunghe distanze, bensì per il traffico dei militari o per i corrieri
veloci. Dopo, Genova, Pisa, Venezia ed Amalfi continuarono la tradizione di
trasportare sull’acqua, una tradizione che durò fino all’avvento della
ferrovia.
Per questa ragione l’Italia è ricca di una tradizione
marinara quasi ineguagliabile in Europa, basti pensare alla lista dei porti
minori e maggiori:
Imperia, Savona, La Spezia, Piombino, Porto Ercole, Civitavecchia,
Salerno, Augusta, Reggio Calabria, Gela, Porto Empedocle, Trapani, Olbia, Porto
Torres, Alghero, Oristano, Crotone, Taranto, Otranto, Molfetta, Termoli,
Pescara, S. Benedetto del Tronto, Ancona, Porto Garibaldi, Chioggia, Caorle,
Grado…ad essi vanno aggiunti, ovviamente, i grandi porti: Genova, Livorno,
Napoli, Palermo, Cagliari, Brindisi, Bari, Venezia e Trieste.
Tutto questo, ci racconta una realtà inequivocabile: quasi
ovunque, in Italia, si trasportava via mare.
Ebbi un’esperienza illuminante ad Umag (Croazia) alcuni anni
or sono: il porto di Umag è abbastanza grande e non molto utilizzato però,
fuori del porto, c’era un solitario e modesto molo con una gru. A cosa serve?
Chiesi.
Ah, niente… – mi fu risposto – era ai tempi di Tito…sa,
allora le merci arrivavano tutte via mare…
A ben pensarci, era il modo più semplice di rifornire e
trasportare le merci sul lunghissimo litorale dalmata, che comprende circa 900
isole, 100 delle quali abitate. E chi lo aveva inventato quel sistema? I
Veneziani!
E’ pur vero che le grandi città sono distanti dal mare, ma
ciò non toglie che si possa rifornirle via ferrovia o via canale, se qualcuno
si decidesse a costruirli: la tanto vituperata Europa ci ha offerto un miliardo
di euro, sui due complessivi, per terminare il canale che collegherebbe Milano
al Mar Adriatico, ma l’ultimo presidente di Regione che se n’è occupato –
Roberto Maroni – non ha saputo far altro che creare un “tavolo di discussione”.
Saranno ancora là che giocano a scopone.
Si è parlato molto, e a proposito, della svendita del sistema autostradale
pubblico, che ha privato l’ANAS (e, dunque, la collettività) di un cespite di
ricchezza sicuro e continuo, quasi regalato ai privati.
Ora, che il sistema autostradale è molto anziano – dopo
circa sessant’anni dalla sua creazione – riprendersi le autostrade sarebbe il
più bel regalo che si potrebbe fare ai Gavio ed ai Benetton, ossia togliere
loro la concessione. Si potrà anche togliergliela ma – riflettiamo – oggi siamo
di fronte ad un momento critico: la rete autostradale (oltre alle strade di
grande scorrimento) sta giungendo al collasso. Dal 2014, Benetton già sapeva
che il ponte Morandi era a rischio di crollo, ma non fece nulla per evitarlo.
Rimetterlo nelle mani dello Stato – pur giusto per come l’hanno trattato – non sarebbe conveniente perché bisognerebbe
immediatamente varare una serie d’interventi dai costi astronomici. E loro,
zitti zitti, se la sono goduta fino ad oggi. Se, oggi, decidessimo di
riprendere il sistema autostradale in mani pubbliche, dovremmo inserire in Costituzione una norma che
impedisca, dopodomani, di darle in appalto nuovamente.
Perché tutto questo?
In parte per un naturale deterioramento dei manufatti,
dall’altra per la scelta del cemento al posto dell’acciaio, ma anche per il
volume dei traffici, che sono diventati astronomici: tutti noi, che abbiamo
transitato sul ponte di Genova, avvertivamo scosse ogni circa 50 metri e, se avevamo
davanti un camion, lo vedevamo sobbalzare sulle barre di ferro che rinforzavano
la carreggiata.
Il sistema autostradale italiano è stato costruito per le
automobili: all’epoca, circolavano anche i camion, ma non nella misura attuale
e né nelle dimensioni.
Dobbiamo riflettere che sistema autostradale, quando fu
progettato – fra gli anni ’50 e quelli ’60 – non conosceva ancora
l’autosnodato! Il quale entrò in scena soltanto verso la fine degli anni ’60 ma
non nei termini odierni: i grandi e pesanti trasporti sulle lunghe tratte,
avvenivano per ferrovia!
Attualmente, un autoarticolato pesa, a pieno carico, 44
tonnellate, ossia quanto 44 automobili, ma il problema non è che “un camion
vale 44 macchine”, non è questo il problema. Il vero problema è che
l’autoarticolato ha un peso per asse
massimo di 9,5 tonnellate, ossia è
come se passassero, in brevissimo tempo, cinque automobili da 9,5 tonnellate
ciascuna, quando un’automobile pesa all’incirca una sola tonnellata e, dunque,
mezza tonnellata per asse. Il “tu-tun” che avvertite sui viadotti, vale mezza
tonnellata per le auto e 9,5 tonnellate per l’autosnodato.
Lo stress al quale sono sottoposte le strutture è evidente:
un martellamento continuo, indifferente al tempo, alle stagioni ed al clima,
che disarticola le strutture portanti. Difatti, per i carri ferroviari – che
hanno un peso per asse che varia dalle 16
alle 22,5 tonnellate (non molto
distante dalle 9,5 di una autoarticolato) – si prevede una strada ferrata
appositamente costruita. Invece, 9,5
tonnellate “in continuo” sono considerate una “normalità”. La corruzione e i falsi report “consolatori” redatti dagli
ingegneri collusi, hanno poi fatto il resto: difatti, Gavio finanzia la
fondazione di Renzi mentre Benetton quella di Toti.
La scelta del cemento, infine, ha fatto il peggio: all’epoca
di costruzione del sistema autostradale l’Italia non aveva una sufficiente
produzione d’acciaio – difatti, si costruirono ben 4 grandi centri siderurgici
e Gioia Tauro doveva diventare il quinto – e lo stesso ing. Morandi che costruì
il ponte di Genova era perplesso sulla durata del manufatto, che non prevedeva
oltre i cinquant’anni. Ma l’acciaio non c’era e, inoltre, era costoso:
l’industria automobilistica si accaparrava la produzione nazionale e lo
importava anche da altri Paesi.
Solo per citare un esempio, il ponte di Brooklyn – in acciaio e granito – è in piedi dal 1883 e sta benissimo.
Se vogliamo essere impietosi verso quelle classi politiche,
dobbiamo ricordare che il primo, enorme, allucinante fallimento fu la Salerno-Reggio Calabria, del quale nessuno se ne assunse la
paternità. Lasciando per un attimo stare gli evidenti episodi corruttivi che ci
furono, dobbiamo riconoscere che l’uso del cemento armato fu messo a dura prova
nello scenario più difficile che ci fosse nel Paese (Sila ed Aspromonte) – per
l’ardire delle costruzioni e l’evidenza del territorio impervio, più la scarsa
“tenuta” delle rocce e dei sedimenti in genere – portò ad un fallimento
epocale, che ancora oggi non ha trovato soluzione. Lo Stato s’è arreso
togliendo il pedaggio sulla tratta: non
costa niente, arrangiatevi.
Oggi, è inutile che uomini politici come il Presidente della
Liguria – Toti – faccia il verginello, affermando che senza autostrade il porto
di Genova non può continuare a smaltire 4.000
TIR il giorno: inoltre, già che c’era, ha accettato anche i nuovi sbarchi
di Vado Ligure, altri 800 TIR il giorno
della Maersk da sistemare, senza più autostrade. Ma Toti conosceva la
situazione, sapeva che il crollo del Ponte Morandi era stato solo il campanello
d’allarme di una situazione che stava degenerando.
L’Ing. Paolo Forzano,
di Savona, da mesi aveva denunciato lo stato di degrado dei piloni
autostradali liguri, presentando esposti alla Procura savonese, dei quali non
si conoscono gli esiti.
Non si tratta della scoperta dell’ignoto, bensì soltanto del
naturale degrado del cemento armato, che ha una durata di 40-60 anni. Se ci
aggiungiamo un po’ di corruzione negli appalti e nei materiali, ancora meno.
Perché è evidente che con i falsi rapporti non si può andare
avanti, e nemmeno nascondere la testa nella sabbia è la miglior soluzione, parafrasando
Lenin, non ci resta che porci l’annosa domanda: che fare?
Abbiamo di fronte tre strade:
1) Ricostruire gran
parte dei tracciati autostradali: le autostrade liguri – tutte – per uno
sviluppo di centinaia di Km e per un costo di molte decine, forse centinaia di
miliardi. Si tratta, “semplicemente”, di sostituire i viadotti in cemento con
corrispondenti viadotti in acciaio: non ho idea, oltre ai costi, ai tempi necessari
per una simile impresa. Anche l’autostrada adriatica mostra i primi segni di
degrado: è soltanto un po’ “indietro” il livello di usura. E poi c’è la Salerno-Reggio
Calabria l’eterna incompiuta. E manca sempre l’autostrada
ionica, che dovrebbe congiungere Reggio Calabria con Taranto. Come potremo mai
far fronte ad una simile impresa? Con i lacci ed i laccioli che l’UE pone per
gli interventi dello Stato nell’economia?
2) Tornare al
cabotaggio costiero, ossia le grandi portacontainer oceaniche dovranno
smistare i loro carichi su navi più piccole, le quali potrebbero essere dirette
sulla portualità minore e maggiore, in Italia ed all’estero: non sarebbe poi
così difficile inviare le navi a Barcellona, Valencia, ecc…oppure a Napoli,
Bari, Livorno…più tutta la portualità minore. Per attuare un simile progetto
abbiamo a disposizione Fincantieri, una delle massime espressioni mondiali
della cantieristica: un solo neo…è una società pubblica che genera ricchezza e
dividendi azionari…insomma, l’evidenza che il pubblico, a volte, funziona
meglio del privato. E questo no, non piace proprio.
Per lo smistamento dei container, oggi c’è il sistema
informatico Maersk collegato alle gru, in grado di “pescare” i singoli
container con precisione nel carico della nave maggiore e condurli ad un’altra
utenza. Basterebbe sostituire i camion con le navi minori. Attrezzare i porti
minori con qualche nuova gru non sarebbe nemmeno paragonabile, come costo, al
rinnovamento del sistema autostradale.
Il sistema autostradale – rivisto e corretto laddove ci sono
i problemi maggiori – potrebbe continuare a funzionare per il traffico leggero,
ovvero automobili e per il traffico merci minore: la differenza, rispetto a
prima, è che non dovrebbe più essere sottoposto allo stress di migliaia di
camion pesanti il giorno.
Per catalizzare il traffico verso il mare, sarebbe opportuno
aumentare i pedaggi autostradali per i TIR e riversare, l’importo, come sgravio
sui porti e sulle navi minori: questo perché, lo Stato, deve accollarsi una
spesa occulta, quella della manutenzione del sistema autostradale, che i grossi
pesi concorrono ad aumentare. Lo dico, ovviamente, per ricordare che se non lo
fa lo Stato non lo fa nessuno: i privati si mettono i soldi in tasca e,
all’occorrenza, scappano.
3) La ferrovia, in
Italia, è negletta e dimenticata. Nei parchi merci arruginiscono capannoni
e gru mentre la direzione delle FFSS è soltanto diretta a fare concorrenza ad
Alitalia sulle tratte veloci: Frecciarossa! Frecciabianca! Frecciargento! A
cosa serve?
A trascurare proprio dove
servirebbero le Ferrovie, ossia nelle tratte merci minori e nei servizi
all’utenza, con il bel risultato di sottrarre commesse ad Alitalia, che è in
crisi. Mi domando se ci siamo ancora col cervello.
Una volta giunte in porto – sia dalle grandi portacontainer,
e sia dalle navi minori – la ferrovia, ed anche gli autosnodati, dovrebbero
occuparsi della consegna sulle tratte brevi.
Questo era l’obiettivo
europeo da raggiungere nel decennio 2000-2010! “Solo le tratte inferiori ai 50 km dovrebbero essere di
competenza del traffico su gomma”. Non lo dico io, lo dissero loro in
un documento ufficiale!
Poi, iniziò la grande dismissione delle tratte minori, la
soppressione delle linee e, contemporaneamente…il grande assalto (vedi TAV)
alle tratte veloci internazionali. Follia pura, capitanata e gestita da Mauro
Moretti, il quale dichiarò che “Il
settore delle merci nelle Ferrovie dello Stato era identico a quello del 1905
come se i camion non fossero mai esistiti…”, poi condannato a 7 anni di
prigione per la strage di Viareggio ed oggi sindaco in attesa che la Cassazione si pronunci.
Nell’attesa, il settore merci delle FFSS è stato demolito, a
tutto vantaggio dei camion, che oggi esistono, vero Moretti? Ma guarda un po’.
Un grande problema, in Italia, sono le strade minori,
soprattutto le strade provinciali che sono circa il 75% delle tratte: abolite le Province, hanno abolito
anche le strade. Ci doveva essere anche una puntuale e precisa ridistribuzione
dei compiti e dei finanziamenti…ma…osservando le strade, nello stato in cui
sono, vi fate un’idea di com’è andata la faccenda?
Inoltre, i tracciati sono vecchi di secoli, ossia le attuali
strade sono in gran parte le “pronipoti” dei tracciati – decisi nei secoli
della trazione animale – per collegare i centri abitati. Ciò, comportò
all’epoca delle decisioni:
1) Non si potevano affrontare pendenze gravose, perché buoi
e cavalli non ce l’avrebbero fatta.
2) Le strade non dovevano “invadere” troppo le proprietà
private, e allora passavano sui confini della proprietà, per scontentare il
meno possibile gli abitanti.
Questo, duplice problema condusse a strade tortuose e sempre
con un bordo verso valle: proprio le sezioni che oggi cedono e franano e che ci
obbligano ad una costosissima manutenzione. E ci si può fare ben poco: non
certo caricarle del peso degli autosnodati, che aumentano ancora il problema!
Se avete viaggiato in Francia, in Gran Bretagna o in
Germania, vi sarete accorti che le strade affrontano le colline (certo, non le
montagne!) con angoli molto alti,
ossia, le prendono “di petto”, con pendenze piuttosto accentuate, che i mezzi
meccanici, oggi, possono affrontare. Ciò evita l’eterno pericolo di frane (a
monte) e di cedimenti (a valle). Le montagne, poi, vengono attraversate, se
possibile e conveniente, mediante gallerie, mentre fiumi e bracci di mare sono
attraversati da ponti molto arditi in acciaio.
In Italia, probabilmente, si scelse la via meno onerosa –
ossia utilizzare l’esistente – ma, per molti anni, vi furono Comuni, Province e
le Case Cantoniere a pensarci: con l’abbandono di questi “costi” per la collettività, il risultato è che ha piovuto per
quattro giorni, e la Liguria
– ad esempio – ha quasi perso completamente il suo patrimonio viario, non
essendo più in grado di garantire un collegamento
sicuro col Piemonte e la Lombardia. L’unica autostrada
ancora pienamente in efficienza è la vecchia A7, che risale al 1935! E lo è non
solo perché (forse) all’epoca si costruisse meglio, ma perché si preferiva
“seguire” il territorio (con molte curve) piuttosto che lanciarsi nel costruire
viadotti.
L’annosa domanda – che fare? – posta sopra, qualche risposta
l’ha avuta:
1) Dobbiamo eliminare,
il più possibile, il traffico di mezzi
pesanti da strade ed autostrade, per trasferirlo sul mare o sulla ferrovia
per le medie tratte: il camion deve intervenire solo per le tratte fino a 50 km (lo sancì l’UE, nel suo
documento citato, nel 2000, non me lo sono inventato io);
2) Dobbiamo mettere
in cantiere una classe di navi di
medie dimensioni, in grado di caricare/scaricare container nel sistema
della portualità minore. Inoltre, dobbiamo attrezzare con i mezzi adatti una
trentina di porti minori in tutta la Penisola;
3) La ferrovia
deve smettere d’esser pensata come un mezzo in concorrenza con l’aereo. Può
anche farlo, ma non a spese del suo compito precipuo: far viaggiare persone e merci sulle medie distanze.
Una soluzione al problema?
Non me lo sogno neppure. Passata l’emergenza, defluita
l’acqua alta da Venezia, rabberciate le autostrade e le strade alla belle e
meglio, i politici ricominceranno a guardare alle loro belle “fondazioni”,
dalle quali mungono soldi in cambio dei “favori” che elargiscono a lor signori.
Così si completerà il Mose e i viadotti torneranno a marcire, fino al prossimo
“disastro”.
Non fatevi illusioni.