31 agosto 2010

Un carrozzone chiamato ENASARCO

Ogni minuto muore un imbecille, e ne nascono due.”
Eduardo De Filippo

L’Italia è il Paese delle sorprese: non passa giorno senza che ne giunga una nuova. Tutti siamo drammaticamente attanagliati dal dubbio sulla costituzionalità dei vari “lodi”, riforme della Giustizia, della Scuola, della Pubblica Amministrazione…e non passa giorno che non ci sia l’uovo di giornata, fresco da stampare sulle prime pagine dei quotidiani. Ci si scanna per battaglie “politiche” per scoprire l’acqua calda: chi gode di posizioni di privilegio, ne approfitta per gabbare le leggi che lui stesso scrive.
Mai che qualcuno titoli: “30.000 italiani fregati da Tizio”, “50.000 dimenticati dalla legge di Caio”. Mai. Ci toccherà farlo.
La sorpresa, di giornata, avviene quando mi presento al CAF per chiedere fin quando dovrò lavorare: il malloppo che ho riordinato, prelevandolo da vecchie cartelle di finta pelle anni ’70, polverose e rovinate dal tempo, è corposo.
Secondo i miei calcoli, dovrei essere oramai intorno a “quota” 35: non vorrei finire come un mio cugino il quale, in ospedale per un intervento chirurgico, s’accorse che sarebbe già potuto andare in pensione. Glielo disse un’infermiera: era vero.
A dire il vero, gli anni sarebbero 36 o forse 37, ma già so che periodi di lavoro molto lontani non potranno mai essere conteggiati: qualcuno ha sentito parlare di lavoro nero?

Uno di quei periodi, però, era un “nero” un po’ speciale e bisogna raccontarlo: il datore di lavoro era niente meno che il Ministero dell’Agricoltura, Ufficio Repressione Frodi, sede di Torino.
Con altri 5 “fortunati” lavorai circa 8 mesi in quell’ufficio modernissimo sito nella “Via del Campo” torinese dell’epoca, via Ormea, abituale ritrovo per l’amore a pagamento.
Il nostro compito era quello di controllare le ricevute dei pagamenti e le bollette di transito delle merci da/per il Piemonte. Era curioso constatare come dalle cantine sociali pugliesi, all’epoca, giungessero carovane d’autobotti che scaricavano sempre nelle cantine sociali dell’astigiano e del cuneese. Era tutto regolare, per carità, anche il vino “doc” che poi era venduto.

Il lavoro era massacrante: in cinque, bisognava – nell’intera mattinata! – aprire, suddividere e visionare circa 300 buste e relativo contenuto: il più delle volte, alle 9 avevamo già finito.
Fiorirono, attorno a quelle scrivanie, amicizie che durano tuttora, storie incredibili sulla lunghezza dell’Anaconda – il record fu di metri 17 e 50 centimetri, poi ritirato dallo stesso autore, visto che il serpentone iniziava già a vedersela con il mostro di Loch Ness – racconti di paesini meridionali, abbandonati per emigrazione, che nulla avevano da invidiare ad Amarcord, storie di ragazze, di politica…
Per molti anni mi fu oscura la ragione che aveva condotto noi, scapestrati di quegli anni, a godere di un così gioioso trattamento: lo scoprii solo molti anni dopo, quando uno di noi riuscì a sapere la verità.

Per tutto quel periodo non fummo mai pagati: solo alla fine degli otto mesi ci fu pagato l’intero periodo, e neppure male.
Nelle stanze accanto alla nostra lavoravano gli impiegati “regolari”; gente con cravatte sgargianti e capelli “stirati”, giovani signore con gonne appena un po’ sopra il ginocchio che volevano imitare, nelle parure, la Regina: donna Marella Agnelli, sempre lei.
In fondo al corridoio c’era l’ufficio del gran capo, ampio come una palestra, irrorato di luce ed ossigenato da una selva di piante da appartamento, tutte con un altezzoso portamento ministeriale, ovvio.
Il gran capo c’era poco in ufficio e quel poco che c’era lo trascorreva sempre al telefono: importanti chiamate da Roma, sempre da Roma. E da Ferrara. Perché?
Poiché lui, e probabilmente qualche capoccione suo pari, avevano trovato un buon intrallazzo: chiedevano fondi per il “controllo della documentazione” – quelle 300 buste da suddividere – il Ministero li concedeva ma…tardavano ad arrivare. La scusa, quando chiedevamo almeno un anticipo, era sempre quella: allargava le braccia «se il Ministero non accredita i fondi…»
E le telefonate a Ferrara?
Quei soldi, in realtà, erano già arrivati da tempo, ma non erano stati trasformati in stipendi: no, c’è tempo, che aspettino.

Il “gioco” era quello dei Ferruzzi: quei soldi – quanti uffici periferici? chi mai lo saprà… – diventavano un fondo per acquistare grano in Canada, Argentina, ecc, a prezzi bassissimi e poi rivenderlo in Europa a prezzi europei, facendo lo slalom sui dazi, le stagioni, ecc…
Per anni, almeno fin quando Gardini non si mise in testa di diventare la Chimica italiana, la ricchezza della holding ferrarese fu proprio quella, la furbizia – un po’ contadina – del vecchio Serafino Ferruzzi.
Non sappiamo quanti soldi lucrarono in quel modo: cinque persone, per otto mesi di stipendio…probabilmente raddoppiavano o quasi il capitale, e questo ogni anno, poiché ogni anno arrivavano altri cinque ad aprir buste. Mai gli stessi: troppo pericoloso.

Sorrido fra me e me, pensando a quante cose i giovani d’oggi non sanno: le mille truffe che l’Italia dei ricchi e dei raccomandati, da sempre, ha intessuto per fregare la parte più povera. Eh, 600 miliardi di euro nei Paradisi Fiscali mica si mettono insieme in quattro e quattr’otto…poi paghi il 5% di tasse con lo “Scudo Fiscale” di Tremonti…sono il risultato di ladrocini che durano anni, decenni. Sempre da parte della stessa gente, al più cambiano le generazioni: oggi si parla dei Tanzi e dei Cragnotti, ma la lista si perde nella notte dei tempi.
Poi, quando le cose vanno male, chiedono “sacrifici” nel nome del “comune interesse”: l’ultimo interesse veramente “comune” che ricordo furono le terre comuni, la sparizione delle quali catalizzò ben due rivoluzioni, quella inglese e quella francese. Alla faccia di Cromwell e Robespierre che vi fanno studiare a scuola.

Sono ancora tutto preso dalla lunghezza dell’Anaconda – cavolo, 17 e cinquanta, ma come faceva Bruno a sparare simili cavolate? – quando l’impiegata del Centro d’Assistenza Fiscale mi riconsegna una carta: “Questa no, non serve.”
Come non serve?

Lavorai due anni come Agente di Commercio, la Cassa dei Rappresentanti era l’ENASARCO…ci sono solo 700.000 lire dell’epoca sul mio conto, non saranno tante, ma posso sempre riscattare quegli anni di lavoro…
No, non può. E non dà spiegazioni.
Già m’incavolo una riga pensando che 700.000 lire, dopo 35 anni, non sono 350 euro: quanto saranno? Mah…non è quello che m’interessa: quel che voglio è il riconoscimento dei due anni di lavoro. C’è tutto, guardi qui: fogli ingialliti dal tempo testimoniano lontane iscrizioni a Camere di Commercio, Partite IVA…la donna sembra non essere minimamente toccata da quel che racconto.
Addirittura, nel 1993 – quando insegnavo già da molti anni – mi fecero correre (200 km!) il 27 Dicembre perché non avevo rinnovato la partita IVA…poi, quando s’accorsero dell’errore, diedero tutta la colpa ai computer. E’ sempre colpa del computer, poveraccio.

A quel punto, infastidita dalle mie insistenze, trae dal cassetto un foglio e me lo porge: «qui c’è l’elenco di tutte le Casse Pensionistiche che possono essere riscattate.» Punto.
Lo scorro: ci sono tutti, ma proprio tutti…figuriamoci se non c’è l’ENASARCO…Geometri, Chimici, Ingegneri, Ragionieri, Profumieri…fra un po’ ci trovo anche l’Associazione dei Commercianti di Corni di Rinoceronte…i Sacrestani del Nono Giorno…la lista finisce. L’ENASARCO non c’è.
Perdinci: ma quanti milioni d’italiani hanno fatto i rappresentanti? Magari per pochi anni, ma hanno lavorato…

«Perché non ha pagato l’INPS?» chiede a bruciapelo la vicina di scrivania. Al posto di un CAF mi sembra d’esser finito, come D’Artagnan, sulle mura di una scalcinato castello in rovina, e mi tocca menare fendenti a destra ed a manca per difendermi.
«Non lo so» rispondo «avevo forse 25 anni…mi dissero che quella era la cassa degli Agenti di Commercio e quella pagai…così disse il mio commercialista…»
«Fu mal consigliato.» Stoccata giunta a segno. Riparto.
«Ma, scusi: quelle 700.000 lire cosa sono, una mia invenzione?» Non tocco ma riesco, almeno, a farle perdere l’equilibrio.
«No, fu un sua scelta di pagare quella cassa di previdenza». Il fendente è stato portato troppo male, e dunque riesco ad imbastire un saracino che la mette in difficoltà.
«Ah, già: io e le aziende per le quali lavoravo ci divertivamo a pagare casse di previdenza, certo, come no…»
Siccome il mio vantaggio è evidente, a quel punto le due Guardie del Cardinale chiamano rinforzi: giunge un drappello di cavalleggeri e finisco nei sotterranei della Bastiglia. Non c’è niente da fare: manca le legge, la legge che consenta di ricongiungere i periodi lavorativi.
Flebilmente, dalla mia cella, ancora domando: ma il decreto Bersani, non diceva qualcosa…
«No, parbleu, non dice niente in merito» il carceriere sbatte l’inferriata della cella.

Mi ritrovo fuori, con il telefonino che squilla: è una radio che mi chiede un’intervista sul traffico d’organi. Riesco, malinconicamente, a complimentarmi con me stesso poiché – nonostante l’amarezza della sentenza appena calata – ce la faccio a rispondere decentemente a qualche domanda. Che professionista – mi dico – ma professionista un bel c… di niente! Qui ti hanno fregato, ma alla grande!
Provo a riflettere: chi potrà trarmi fuori dalla fortezza?
Monsier d’Armagnac! Come ho fatto a non pensarci prima! Ha sposato quella milady di mia cugina e lavora all’INPS!
Scartabello. Vecchi numeri di telefono, questo no…finalmente quello giusto…
Monsieur d’Armagnac e milady – guarda a caso – hanno vinto un viaggio premio in Riviera e passeranno a trovarmi, così parleremo della questione.
Quella sera, monsieur d’Armagnac conferma la sentenza: è vero, per l’ENASARCO non si può far niente…è imbarazzato, si vede «ma come, non lo sai? Con i soldi dell’ENASARCO hanno comprato le case per i politici…»
«Come per i politici?!? Credevo che avessero anch’essi la GESCAL…ma tu, all’INPS…»
Monsieru d’Armagnac non si scompone, appena sorride quando mi dice «Sì, potrei controllare ma…io, oramai, sono in pensione…». Eh già, penso: figuriamoci se lui non è riuscito ad andarci…

La carrozza degli ospiti parte e mi ritrovo solo, a dover sopportare due anni di lavoro in più, che diventano tre per i benemeriti “aggiustamenti” sull’età pensionabile di quel grand’uomo di sinistra che porta il nome di Cesare Damiano, il quale s’avvalse del precedente “lavoro” di quella santa anima di Maroni. Richelieu e Mazzarino: mai più entrerò in un seggio elettorale – rinnovo la promessa a me stesso – anche se dovesse diventare Primo Ministro Brunetta e lo sfidante fosse Fidel in persona.
Scopro così che, con i soldi delle contribuzioni, l’ENASARCO acquistò, negli anni, un “patrimonio immobiliare popolare, sito nella città di Roma”. Il “patrimonio immobiliare popolare” è quasi tutto in zone di gran pregio: quando mai, nelle zone dei ricchi, abita il “popolo”?
Poi giunge la confidenza di una collega “romana de Roma”: «Eh, riuscire ad affittare una casa dell’ENASARCO – l’espressione è sfingea, pare la Monaca di Monza alla quale chiedono un consiglio sui contraccettivi – mica è roba da poco. Per gli altri enti…qualcosa, se conosci qualcuno, si può trovare ma…con l’ENASARCO mica si riesce, lì ci stanno di mezzo i politici, le loro famiglie, c’hanno gli studi nel centro di Roma e pagano pochissimo, ovvio…»
Già, ovvio, mi rimane soltanto il dubbio di sapere in quali di queste “tasche” siano finite le mie 700.000 lire:

Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, inquilino dell’Enasarco, 1400 euro mensili per un appartamento di 120 metri quadrati in zona Farnesina. Il “murena” (così è chiamato per il suo violento interloquire) ha addentato la presa…pardon, la casa…
Roberto Castelli, ex ministro legaiolo, affitta per 700 euro il mese 97 metri quadrati a Monteverde vecchio. Roma Ladrona!
Girolamo Sirchia, ex ministro della Sanità, si gode un attico di 190 metri quadri sulla Nomentana. Alla salute!
Pio Pompa, ex 007 e l’ex patron del Perugia calcio, Luciano Gaucci, se la spassano in zona Ardeatina (dove abitano anche i dirigenti dell’Ente). La pompa che fa girare il calcio.
Donato Bonanni, figlio del segretario della CISL (forza lavoratori: lavorate!) e il senatore del PD Benedetto Adragna (e se aggiungessimo un undicesimo “comandamento”, ossia essere onesti?) abitano invece in uno dei quartieri più belli di Roma, il Delle Vittorie.
L’ex ministro Giuseppe Fioroni del PD ha invece “già fatto”, comperando per 94mila euro (quale esborso!) un appartamento di 3,4 vani catastali quando l’ENASARCO nel 2003 alienò il complesso “Tomba di Nerone”, sulla Cassia. Che velocità! Poverino: da viale Trastevere ad una tomba…
Cosimo Torlo, portavoce dell’ex ministro Damiano, ha ricevuto un appartamento all’Aurelio come Barbara Ronchetti, segretaria dell’ex ministro Damiano (ancora lui! Ma quando la smettono di fare i moralisti questi venduti del PD!): il bello è che era ed è il Ministero del Lavoro (di sinistra e di destra) a dover “vegliare” sull’operazione!
Antonio Manganelli, capo della Polizia di Stato, paga 1.100 euro al mese per 165 mq ai Parioli, Sempre ai Parioli, Francesco De Gennaro, figlio di Gianni De Gennaro ex capo della Polizia, paga 1.000 euro per 132 mq. Evviva i manganellatori di Genova!
Francesco Amoruso, (senatore PdL) per 145 mq ai Parioli paga 1.000 euro al mese. Dalla Puglia con furore.
C’è poi una “frattaglia” di personaggi minori, come Massimo Liofredi, (capostruttura RAI) che paga 750 euro per 93 MQ sul Lungotevere e Mario Palombo, ex parlamentare e generale dei carabinieri a riposo, 190 mq nella zona Portuense…

Queste sono tutte persone[1] che[2] potranno acquistare, a prezzi dimezzati rispetto a quelli di mercato, i loro appartamenti costruiti con i soldi miei e di tanti altri truffati, ai quali oggi impediscono addirittura di pagare di tasca propria la differenza sui contributi previdenziali.

A quel punto, decido di fare un po’ di ricerca sulla vicenda, sulla storia dell’ENASARCO, ed è una vicenda vomitevole, di quelle che fanno salire il voltastomaco, la rabbia.
A presiederlo, per anni, solo personaggi dubbi – qualcuno inquisito per le solite faccende, poi prosciolto, oppure la santissima prescrizione – il solito schifo. Donato Porreca, ad esempio, finì nella famosa inchiesta Billé/Ricucci dei “furbetti del quartierino”. Giovanni Garofoli, invece, fu già indagato nel 1996 per le assegnazioni di case ai politici…insomma, qui non è nemmeno il caso di citare le fonti: basta infilare un paio di parole su Google che questi personaggi saltano fuori come rane da una risaia. D’altra parte, è tutta gente che – se presa con le mani nel sacco – salta fuori dalla galera come un grillo: che abbiano una molla appiccicata al sedere?

A poco a poco, mi rendo conto del motivo che ha condotto a non fare mai una legge per la conversione ed il ricongiungimento di quei contributi, pagati in anni lontani da tantissimi italiani: quei soldi, sono soltanto più sulla carta.
L’ENASARCO, da parte sua, riconosce la pensione solo a chi ha versato 20 anni di contribuzione! Ma cos’è, questa, se non una truffa? Come si fa a chiedere soldi per una cassa previdenziale e poi non riconoscere i periodi inferiori a 20 anni? Oh: vent’anni! Un tizio può iniziare a lavorare, sposarsi, fare figli e poi crepare e…per la Previdenza non è mai esistito! Sarebbe questo lo stato di diritto?

Se qualcuno ha dei dubbi, prenda atto di come funzionano le cose nei Paesi dove vige lo stato di diritto. Uno zio di mia moglie lavorò, durante la Seconda Guerra Mondiale, in una miniera sui Pirenei Francesi, praticamente sotto falsa identità. A dire il vero, una vera identità non l’ebbe nemmeno poiché, per nascondere che era un disertore italiano – tutti i suoi compagni di reparto finirono nell’Organizzazione Todt tedesca, quella che costruì il Vallo di Normandia, e parecchi perirono di stenti – si finse muto.
Ebbene, quando oramai era parecchio anziano, alcuni vecchi amici francesi fecero presente la vicenda alle autorità di quel Paese: negli ultimi anni della sua vita, lo zio Vittorio si vide recapitare, dallo Stato francese, qualche decina di euro il mese, per un servizio lavorativo prestato nella Francia occupata, in guerra, senza che mai avesse detto una parola, né un nome!

Un caro amico, che per tutta la vita lavorò come Agente di Commercio, conferma: la pensione ENASARCO è risibile, anche per chi ha versato per 35 anni, e deve continuare a lavorare, altrimenti non ce la fa.

Dopo aver goduto per decenni di questo scandalo, la classe politica attuale ha deciso di metter fine allo scempio: il Governo ha deciso che il patrimonio immobiliare ENASARCO sarà messo sul mercato. E le pensioni? Mah…
Per questa ragione, ha nominato un apposito commissario ad acta, il quale dovrà collocare “nel miglior modo” per l’erario i beni, al fine d’ottenere il massimo per l’erario stesso. Oh, finalmente: così è sulla carta e dovrebbe essere in qualsiasi Paese normale.
La scelta è caduta su una donna: benissimo!
Si chiama Gabriella Alemanno[3].

Non abbiamo elementi, per sostenere che Gabriella Alemanno sia persona incompetente per gestire la “transizione”, ma – guarda a caso – è la sorella del sindaco della capitale. E non dimentichiamo mai la “massima” di Andreotti: che a pensar male, spesso, ci si azzecca.
Ecco l’ultima trovata, quella dei furbetti del quartierino 2.0: chi possiede le “chiavi” del piano regolatore? Il fratello.
Ora sì che il patrimonio immobiliare potrà essere (s)venduto! Si tratta di un patrimonio immobiliare “popolare”, non dimentichiamolo, e quindi sarà alienato – ai soliti noti – a prezzi popolari.
Poi, magari, l’appartamentino presso Piazza di Spagna – tutto può succedere in un piano regolatore – verrà riclassificato come attico o chissà che altro, e quadruplicherà il suo valore. I tempi dei “furbetti del quartierino” non finiscono mai, come gli esami di Eduardo.
E tu continua a lavorare: parola di Roberto Maroni e di Cesare Damiano, uniti nella lotta. E poi, dovremmo pure stare ad ascoltarli?
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

28 agosto 2010

L’uomo copia/incolla



E’ incredibile quanti Giulio Tremonti esistano: uno per ogni giorno, per ogni situazione, per tutti i luoghi, perfettamente personalizzabili, riducibile ad icona, spedibili e spendibili, scaricabili (in tutti i sensi…) e caricabili (in tutti i sensi…) secondo le esigenze.
Giulio Tremonti può essere considerato alla stregua di Dio: in ogni luogo, ma lo supera in quanto polimorfo, moltiplicabile per qualsiasi cifra, intera o decimale. L’unica cosa che nella vita certamente non ha fatto, è stata leggere Pirandello: ne sarebbe uscito sconvolto.
In una sola giornata, è riuscito ad essere empatico fratello di un Berlusconi claudicante e, allo stesso tempo, il suo più temibile concorrente. Sarà sempre la stessa persona? Vengono dei dubbi.

Il successo di Giulio Tremonti è dovuto ad un’attenta strategia di comunicazione, rivolta a persone sempre meno attente: oggi – rivolto agli uomini – affermerà che la “foca” è la sola cosa che conti. Domani – rivolto alle donne – dirà che la fedeltà dei mariti è essenziale.
Ciascuno riceverà la sua dose di conforto, come una mail pubblicitaria e, prima di metterla nel cestino, sospirerà: eh sì, ha proprio ragione…

Ma Giulio Tremonti sa fare anche di meglio, citare Berlinguer di fronte alla platea dei ciellini – può sembrare un po’ trash, mentre il messaggio era che “anche il grande Enrico, in fondo, era un ciellino” – per sentenziare che è giunto il momento di finire con i litigi e di mettersi tutti d’accordo per fare le riforme che miglioreranno il Paese. Oh, meno male, era ora che qualcuno lo dicesse.
Subito dopo, sale su un aereo, un’auto od un treno e si reca a Bergamo – pardon, a Berghemstadt, dove c’è la Berghemfest e dove il nostro subito va a fare il Berghemfess – poiché, candidamente, afferma che non abbiamo bisogno di una legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, perché altrimenti non riusciamo più a lavorare.
Dunque, ehm…il sillogismo sembra un po’ contraddittorio…se accettiamo delle regole sul lavoro non si può lavorare? Bisognerebbe lavorare senza regole, certo, forse è questo il sunto.
Siccome siamo un poco pignoli e reduci da una mattinata d’esami di riparazione…eh sì, il periodo, le concordanze…siamo andati a leggere[1] cosa s’è immaginato il buon Giulio questa volta. Per carità: mica perché sia necessario prenderlo sul serio, tanto per vedere cos’era riuscito ad inventarsi.

Dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili: siamo in un mondo dove tutto è vietato tranne quello che è concesso dallo Stato…robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci. Sono l'Unione europea e l'Italia che si devono adeguare al mondo.”

A parte l’ovvia considerazione che l’Italia e l’UE non sono fuori del mondo, bensì ne fanno parte, dovremmo chiedere a Tremonti a quale “mondo” egli si riferisse. Siccome il nostro crea – naturalmente – una sequenza d’avatar che sbalordisce – il lavoro sicuro è un “valore”, ma va benissimo incrementare quello “a singhiozzo”, le banche sono dei vampiri, ma io stesso ne creerò subito una nuova, tutta mia, per il Mezzogiorno, ecc, ecc, ecc – molto probabilmente Giulietto si riferiva al mondo che in quel preciso istante, l’avatar del momento, prefigurava. Niente di serio, dunque: il solito Vitangelo Moscarda in fieri, nulla che preoccupi.

Per un Giulietto che s’arrovella fra gl’incessanti avatar che la sua mente crea, ecco una Romea che tenta di porre un freno, di fermare per un istante il caleidoscopio delle personalità in continua mutazione, la quale prende forma nella sua portavoce.

Tremonti si riferiva alla giurisdizione europea e alla sua estensione eccessiva rispetto all'obiettivo sulla sicurezza del lavoro, che resta invece essenziale.”

A parte la considerazione che, una persona dotata di voce, non si comprende perché debba avere un portavoce – potremmo accettare il portavoce di un muto – forse il compito del “portavoce” non è quello di “riportare” (con tutto quel bailamme d’avatar che sbraitano, da mane a sera!) bensì di giungere all’esegesi. La sintesi no, nemmeno il caso d’azzardarla.

Ma, la signorina Romea – e Giulietto e Romea nel loro complesso – non sembrano fornire lumi.
L’Italia, per gli incidenti sul lavoro – proprio nei confronti dell’Europa – è veramente “fuori controllo”:

L’Italia, nel decennio 1996-2005, è risultato il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa.”[2]

Dunque, secondo la “voce primaria”, l’Italia e l’UE dovrebbero svendere una parte della sicurezza del lavoro per poter lavorare e produrre, cosicché la quantità di merci gettate sul mercato aumenti e l’economia (eufemismo di “profitti”) cresca. Subito dopo, quelle merci dovranno degradarsi rapidamente per far posto a nuove merci da un lato, ed a sistemi per lo smaltimento della monnezza dall’altro, che saranno altri profitti.
Questo è l’avatar tremontiano globalizzatore che parla, mentre nei suoi libri è l’avatar antiglobalizzatore che scrive. In pieno “format” pirandelliano, che il nostro – ripetiamo, con maggior certezza – non ha certamente letto.

Anche Romea, però – la “portavoce” o “voce dell’avatar 287” – non scherza affatto e la sua logica ci pare vissuta all’ombra dei troppi avatar ai quali deve fornire la sua opera. Romea, probabilmente, odia Second Life: la sua vita, accanto a Giulietto, deve essere una Second, Third, Fourth…Life in continua metamorfosi. Perché?

Poiché, se il resto d’Europa ha un trend di diminuzione degli infortuni sul lavoro ben diverso dall’Italia, logica vorrebbe che sarebbe utile accettare quelle norme europee, anziché considerarle inutili. Sarebbe a dire: “Sì, qui da noi s’annega ma no, grazie, non ci servono dei salvagente”? E’ questo il senso della “precisazione” di Romea? Forse che a Berghemstadt, quest’anno, la birra è d’elevato tasso alcolico?

Vogliamo precisare che non abbiamo mai considerato la legge 626 la panacea d’ogni male, ma lo affermiamo in senso proprio opposto rispetto al Berghemstadt-avatar tremontiano. Non è certo affiggendo sequele di cartelli all’ingresso dei cantieri o nelle fabbriche che si possono sconfiggere le “morti bianche”.
Due sono gli elementi essenziali per contrastare il fenomeno: i ritmi di lavoro e l’informazione.

Sul primo punto c’è poco da dire: se ogni “inutile orpello”, destinato a salvare la vita ad un elemento privo di valore intrinseco nella formazione del profitto – il lavoratore e la sua vita, non a caso definito “risorsa umana” – intacca un quid del profitto che l’imprenditore può ricavare a fine anno, è inevitabilmente da eliminare.
Così, poi, i profitti potranno essere esportati clandestinamente alle Cayman per poi farli tornare in Italia grazie agli “Scudi Fiscali”, ossia pagando il 5% di tasse invece del 40% (come prevedrebbe la legge), ma le leggi – nell’universo tremontiano – variano anch’esse secondo l’avatar dell’istante.
Curiosa, poi, l’elasticità con la quale viene usato il termine “clandestinità”: da aborrire in ingresso (i negher!) e da tollerare in uscita (schei, sghei, palanche, “grano”, dané, ecc).

In seconda battuta, il lavoratore – lasciando “anzitempo” il lavoro – partecipa attivamente alla costruzione di “fondi” da destinare, secondo le esigenze ed i desiderata dell’avatar di riferimento, al mantenimento di:
puttane di palazzo, alla costruzione di palazzi, al sostentamento di una sequela di scagnozzi che occupano i palazzi, i quali destinano i proventi delle “cagnotte” a pupari e pupazze.
Così, il fondo TFR aumenta – chi crepa lascia i soldi del “piatto” – e l’avatar di giornata può prelevarli impunemente ed inserirli a bilancio. 3,5 miliardi dal fondo INPS alla spesa corrente, solo quest’anno.

Sul secondo punto, posso portare un contributo personale anzi, personalissimo.
Solo pochi giorni or sono, decisi di “aggredire” le sentine della mia barca: nelle sentine, negli anni, finisce di tutto e, quando bisogna pulirle, son dolori.
Così, munito di raschietto, spazzola e secchio dei rifiuti, grattavo antiche incrostazioni di ruggine, vernici ancestrali e sempre lui, il sempiterno gasolio che si spande ovunque ed impesta le sentine.
Gratta gratta, butta via la schifezza…il lavoro ti “prende”, mille pensieri ti tengono compagnia mentre respiri sul fondo, in fin dei conti, di un bidone di metallo. Ma i gesti rallentano, i pensieri no. E non te ne accorgi.
Arriva la nausea – avrò mangiato qualcosa che non riesco a digerire – e continui. La nausea aumenta.
Ad un certo punto, “fora” i pensieri e compare in primo piano.
A quel punto, l’informazione e la consapevolezza fanno la differenza: non c’è tanto tempo per rifletterci sopra.
Notizie, articoli, testimonianze.

Il ricordo dei cinque uccisi dalle esalazioni, in Puglia, sul fondo di una cisterna: la memoria che anche i soccorritori erano rimasti intrappolati per aver sottovalutato la situazione.
Allora, esco fuori verso il pozzetto – una fatica boia a salire, i muscoli rispondono oramai male! – e mi lascio andare, di brutto, sulla seduta del pozzetto.
Respiro profondamente, perché ho capito che quel miscuglio mi stava intossicando: devo “far fuori” quei veleni.
Alle 11 di sera – dopo quattro ore di nausea – riesco finalmente a mangiare un piatto di patate bollite.

Accendo il computer e leggo le notizie: Antonio Della Pietra, 51 anni, disoccupato di Cerignola, è appena morto sul fondo di una cisterna che stava ripulendo. Lavorava “anche per 2 euro l’ora”, pur di riuscire a campare[3].
E leggo la Berghem-cazzat dell’avatar tremontiano.
Antonio non puliva, come me, una sentina per la sua barca: cercava di guadagnare qualcosa per campare, in quest’Italia di lenoni e puttanieri di regime che si spartiscono mazzette a milioni.
La sua è una morte che definirei “eroica”, perché non c’è eroismo più grande di chi rischia la propria vita per consentire ai propri familiari di vivere. Un evento sì eroico, che mai – però – dovrebbe presentarsi nella vita d’ognuno.
E, purtroppo, Antonio non ha avuto il tempo e la possibilità – presumiamo – d’informarsi, di comprendere per tempo cosa stava succedendo.

Riguardo al Berghem-schif, possiamo solo ricordare i versi di Guccini: “Ma che piccola storia ignobile, mi vieni a raccontare…” Onore e rispetto a te, Antonio. Amen.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

24 agosto 2010

Il tepee perduto



Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell’abitudine alla libertà, c’è un momento in cui gli uomini non sanno più cogliere lo stretto legame tra il benessere di ciascuno e la prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri. Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento, troverà la porta aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po’ di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Non è raro allora vedere pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, e agiscono in mezzo all’universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo.”
Alexis de Tocqueville (Verneuil-sur-Seine, 1805 – Cannes, 1859)

E’ qualcosa di tipico, lo specchio di ciò che è successo nei Paesi dell' Est. Si proclama la democrazia, ma quello che si fa veramente è una democratura. Con la democratura, questo regime autoritario e dittatoriale ammantato di vesti democratiche, non si può andare da nessuna parte. E gli intellettuali non possono che restare stretti tra le accuse di tradimento e quelle di oltraggio…Nelle democrature, ogni parola critica contro il proprio Paese viene presa per tradimento…E ogni parola critica contro i Paesi vicini…viene vista come un oltraggio. Lo spazio si fa sempre più stretto. Del resto, come succedeva nell' URSS ai dissidenti, vivere da traditore poteva diventare un atteggiamento morale.”
Predrag Matvejević (Mostar, 1932 -)

Io, da telespettatore, la sera prima e un' infinità di sere prima – le mie sere di malato – ho visto sfilare, in quel video in cui essi erano ora...un'infinità di personaggi: la corte dei miracoli d'Italia – e si tratta di uomini politici di primo piano...Ebbene, la televisione faceva e fa, di tutti loro, dei buffoni: riassume i loro discorsi facendoli passare per idioti – col loro sempre tacito beneplacito? – oppure, anziché esprimere le loro idee, legge i loro interminabili telegrammi: non riassunti, evidentemente, ma ugualmente idioti: idioti come ogni espressione ufficiale. Il video è una terribile gabbia che tiene prigioniera dell'Opinione Pubblica – servilmente servita per ottenere il totale servilismo – l'intera classe dirigente italiana.”
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975)

Forse ce n’è abbastanza per trascorrere più serate di riflessioni, forse è già troppo.
Due intellettuali diversissimi per tradizione – un aristocratico francese che percorre la sua esistenza mentre l’aristocrazia perde, addirittura, senso nella Francia di “Philippe-égalité” – guarda al futuro con pessimismo.
Emile Zola doveva ancora lanciare il suo “j’accuse” che già Tocqueville s’interrogava sul venefico pudding che l’abitudine materialista avrebbe generato, liquefacendo come burro d’Agosto due cardini vividi sin dalla Grecia di Pericle: civiltà e libertà.

Dall’Ovest all’Est: alla Francia ufficialmente monarchica ma già, praticamente, repubblicana risponde Matvejević, l’uomo che in gioventù era stato orgoglioso di partecipare – con la locale gioventù universitaria – ai campi estivi per la costruzione di tratti ferroviari, nella Bosnia che arrancava per seguire un processo di “modernità” che non le appartiene per tradizione.
Civiltà e libertà si fondono, per Matvejević, nel concetto di democrazia che il bosniaco, però, subito snatura: scapuzzato dalla delusione, dal dolore d’aver visto precipitare i suoi ideali in una fornace da 100.000 morti, lo scrittore di Mostar ne storpia la parola. Non ha più senso né onore quel termine, dopo le fosse comuni e le fucilazioni di massa.
Ecco allora farsi avanti il surrogato – democratura – dalla desinenza incerta, poiché nasconde non più il naturale fondersi della civis e della libertas nel loro naturale connubio, bensì la incrina ponendola come un evento attivo: creato, preparato, forzato.

Da una Francia che sta per elevare la ragione illuminista a ragion di Stato, ad una Bosnia che ha sempre osservato con curiosità l’Illuminismo ma non l’ha mai fatto suo, la sentenza si completa.
E non potrebbero trovare – i due, così lontani nel tempo e nello spazio, l’Ovest immaginifico di nuovi ideali e l’Est che fiammeggia d’immagini tradizionali – miglior sintesi che quella di un Pasolini straordinariamente ispirato, proiettato in futuro che sembra già conoscere. E che pare quasi confessare che non vedrà.
La cultura della televisione è una “corte dei miracoli”, le analisi dei politici “telegrammi”.

Ora lasciamo quel mondo e, già che ci siamo, by-passiamo anche le precisazioni di Kant e le polemiche di Vittorini e di Togliatti. Domandiamoci: ha ancora senso, in questa Italia, parlare di un ruolo per gli intellettuali?
Attenzione: per e non degli. Poiché, in quello che è il loro ruolo tradizionale, sono estinti da decenni.
Potremmo accennare all’acqua calda: con la morte di Pasolini e di Sciascia, la luce dell’intellettualismo italiano si spense. Seguirono poi quelle di Carmelo Bene e di Fabrizio de André a coprire qualche timido riverbero con pesanti, luttuose coltri nere. Lasciandoci soli.

Nessuno ha elevato pianti al cielo degli Dei, non ci sono stati sacrifici propiziatori: “una pace terrificante” tutto ha avvolto e coperto.
Se, un tempo, le “analisi” televisive dei politici erano “telegrammi”, oggi sono diventate “pizzini”.
Una locuzione forbita non serve più per dipingere un concetto differentemente non esprimibile, bensì per far comprendere che si sa quello che non si dovrebbe sapere, che la guerra dei dossier è sempre in agguato.
Si passa così dal “potere che logora chi non ce l’ha” di Andreotti ai “tacchi a spillo che logorano chi non li ha” della Santanché. Le dietrologie già s’ammantano con il sapore della vendetta, Dagospia impera e detta l’agenda della futura “rivelazione”, cui seguirà l’inevitabile querela.
Eppure, eppure.

Eppure l’albero non è completamente seccato, anche se non ha più foglie e non genera più frutti da tempo, poiché nel sotterraneo di umide zolle qualche radice agguanta un’oncia di terra e la strizza, per ricavarne tutto il succo che ancora contiene.
Avvizzito – come ben chiarisce Matvejević – l’intellettuale alla luce del sole, stretto com’è fra “le accuse di tradimento e quelle di oltraggio”, una modesta cultura underground sopravvive nel profondo, come sempre quando le epoche buie spadroneggiano come i cavalieri dell’Apocalisse.
Dobbiamo chiederci cosa farne.

Non sono più teorie bensì aneliti, non c’è costrutto perché manca il legante: tutti i giornali sono stati occupati dalla pulizia politica, tutte le case editrici disinfettate con l’acido muriatico. Ogni denaro, financo pochi centesimi che si raschiano dal barile, destinati all’avanspettacolo.

Eppure, ogni epoca ha avuto i suoi condottieri ed i suoi intellettuali, fossero anche un Giovannino dé Medici ed un Machiavelli. Se mancano i primi, è perché i secondi si sono dileguati: cattedre vuote non possono coltivare menti selvagge, ma potenzialmente prolifiche.
Per questa ragione, crediamo che porre oggi un problema di rappresentanza politica sia prematuro, pericoloso e fuorviante. Sappiamo d’ingenerare qualche sconforto e non pochi patemi fra chi, tra un mutuo da pagare ed una pensione che non s’intravede più, cerca disperatamente un abbrivio per condurre la sua mente fuori delle secche. Ma così è.

Non potrebbero, d’altro canto, esistere chela senza guru e fiori senza steli: come potrebbero, oggi, nascere veri “condottieri” dell’azione politica se il campo che doveva generali è arido da decenni?
Si finisce così per ascoltare infinite diatribe sulla moneta, mentre il silenzio sulle teorie del valore assorda.
Né ci si può inventare d’essere quel che non si è: da molto tempo, la classe politica viene tratta dai ruoli delle amministrazioni oppure dai quadri dello spettacolo. Le prime ruffiane e corrotte, il secondo deprimente nei contenuti. Cosa potrebbero generare?
Moro mai pensò di fare il sindaco, ma ci furono ottimi sindaci che ressero grandi Comuni per decenni, e lo fecero molto bene. Sordi dipinse vizi e virtù italiane come forse nessuno era mai stato in grado di fare: non per questo, gli passò mai per la testa d’andare a presentare quell’evidenza fra i banchi del Parlamento. Oggi, la scelta rimane fra barbari e Barbareschi.
Perché?

Lo chiarisce Pasolini: “Ebbene, la televisione faceva e fa, di tutti loro, dei buffoni”.
Chi non s’adatta al format buffonesco, non viene più compreso: Beppe Grillo, istrione per natura e per mestiere, ha ben compreso che il meccanismo che s’è instaurato lo facilita. Magari in buonissima fede: il problema è un altro.
A ben vedere, il percorso era già iniziato allora: Moro stupì e lasciò attonito l’uditorio democristiano, al congresso del 1969, quando affermò che “I giovani chiedono un vero ordine nuovo, una vita sociale che non soffochi, ma offra liberi spazi, una prospettiva politica non conservatrice o meramente stabilizzatrice, la lievitazione di valori umani.” Quale mercede gli fu resa, ben sappiamo.

Se la nostra società (o civiltà?) mostra segni di pericolosissimi scricchiolii, non tanto nelle comuni previsioni di disastri economici e nel decadere dei redditi, quanto nello “spappolamento” sociale d’ogni valore, come si può pensare d’invertire la tendenza trovando “santi, poeti e navigatori” i quali, magicamente, schioccando le dita, risolvano ogni cosa? Sarebbe come pretendere di curare la dissenteria con i tappi.
Come si può ricostruire un pensiero economico, se prima non s’affrontano i cardini della morale? Come si può considerare moralmente accettabile la miseria, quando i cassonetti traboccano di cibi ed abiti gettati?

Dobbiamo allora, più che cercare soluzioni che siano al bordo del sentiero, inoltrarci nel folto, nel buio del bosco ed affrontare compiti e rischi: altrimenti, la cestina rimarrà vuota e non ci sarà nessun risotto con i funghi.
Paradossalmente, già indicava quel percorso Alce Nero quando affermava che, l’unica condizione per far “rinascere” il Popolo degli Uomini, era quella di ritrovare dove la vie sacre s’intersecavano, quel “centro del mondo” che è ovunque, giacché soltanto dentro di noi possiamo cercarlo.

Alce Nero era un intellettuale del suo tempo e della sua cultura, il quale si rendeva conto che la sottomissione della grande cultura “del cavallo e del bisonte” avrebbe tranciato la linfa che nutriva le meditazioni nei tepee, l’incontro fra i giovani guerrieri e gli Uomini della Medicina. Frantumando non solo l’esistenza, bensì la memoria.
Siamo stati anche noi, con metodi più melliflui e suadenti, colonizzati e schiavizzati, privati del nostro sentirci italiani – ancorché dipinti dalle mille, impietose facce di Sordi – ma in ogni modo definiti e definibili. Una landa senza volto, che agguanta solo più offerte commerciali, ne ha preso il posto.

La nostra memoria – almeno quella! – però sopravvive, perché siamo una cultura che utilizza la stampa da cinque secoli e da qualche lustro abbiamo a disposizione il potente mezzo informatico. Cosa da non sottovalutare.
Qualsiasi “ripartenza” deve quindi basarsi non su velleitarie “chiamate alle armi” contro i pericoli incombenti, e nemmeno credere che sia possibile creare tout court organizzazioni territoriali. Almeno: non adesso, non subito.
Se qualche forma d’intellettualismo, d’elaborazione critica della realtà ancora sopravvive lo dobbiamo allo straordinario evento che – pensato come catalizzatore commerciale o come “valvola di sfogo” per i delusi, poco importa – è apparso nella sua forma più evoluta da pochi anni.
Le “tribù” sono tornate ad esistere nel gelido scorrere dei fiumi d’elettroni, fra le invisibili onde che volano in cielo: sono “tribù” veramente sui generis, chissà se Alce Nero potrebbe mai immaginarsele. Sono migliaia di blog.

La tentazione “d’unire”, a ben vedere, appartiene all’universo globalizzatore: si nutre del medesimo, vampiresco sangue. Sarebbe un grave errore: per nostra fortuna, nemmeno ipotizzabile perché non si possono “assommare” le menti. Questo è il meccanismo che ben funziona nel calderone mediatico così ben descritto da Pasolini: nel Web – nonostante i tentativi dei tanti troll e debunker di “deviare” le pulsioni verso il “format” coerente al potere – fallisce perché la gente si ribella. Io mi sono ribellato.
Le menti non possono essere “sommate”, bensì messe in contatto: un tempo, quando gli intellettuali ancora esistevano, trovavano nelle riviste un terreno fertile, che rispettava la loro indipendenza cementando però – ecco la novità importante! – nel comune sentire dei valori condivisi il loro lavoro.
Sursum corda, verrebbe da dire.

Non è la soluzione, ma la via verso la soluzione.
Questa fu l’idea che nacque nel breve incontro di Bologna: tradizionale e rivoluzionaria al tempo stesso, poiché ricavata pari pari dai canoni dell’intellettualismo classico, ma interpretata alla luce delle nuove istanze e dei nuovi mezzi.
La forma, a questo punto, è di secondaria importanza: l’aspetto pregnante è comprendere che, se esistono mille e mille blog che cantano con diversi accenti le mille note di un melodramma, quelle mille voci sono quel melodramma. Sono gli attori del melodramma, l’orchestra ed il pubblico: tutti insieme. Basterà riconoscerlo, e l’atto sarà di per sé rivoluzionario.

Perciò – è l’invito e la riflessione che lancio – iniziamo a riflettere sul percorso: la meta verrà da sola. Potrebbe essere una sorta di “marchio di qualità” al quale si aderisce, il quale contenga un codice etico da rispettare, ma domani potrebbero nascere iniziative comuni più incisive e benefiche per il futuro della Nazione. Sempre nel rispetto della diversità, vera ricchezza, ma con migliorate condizioni di scambio e d’interconnessione. Ovviamente, rivolto a coloro che sono nella condizione evidenziata da Matvejević, “stretti tra le accuse di tradimento e quelle di oltraggio.”
L’intellettuale “organico”, la ruota di scorta del multiforme regime, ha già mille voci che lo amplificano: ci sembra, però, che la sua figura ultimamente stia perdendo smalto.

Se le “corazzate” di regime come Libero – alla fine dei conti – riescono a vendere 90.000 copie il giorno (e magari tante sono regalate e mascherate da vendite, al punto che sono sempre in forte perdita economica), il mondo dei blog attizza senz’altro un pubblico maggiore.
Si tratta soltanto d’averne coscienza e di lasciare tentazioni egemonizzanti, per concentrare l’attenzione su forme di collaborazione fra pari le quali, però, moltiplicherebbero la visibilità dei mille “orchestrali”.
Pensando, magari, ad un servizio collettivo di protezione legale – con i tempi che corrono, potremmo averne presto bisogno – oppure la consulenza informatica. E perché no: invece di tradurre gli autori stranieri in italiano, tradurre i nostri articoli per i blog esteri. Compiendo un’inversione di tendenza, facendo capolino fuori dalla vulgata imperante per l’Europa dell’Italia: un popolo spento, azzerato, prono.

Ammettendo che la cenere tutto ricopre, ma che milioni di faville, tuttora, urlano il loro disgusto.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

20 agosto 2010

Fuga da Alcatraz

Non me ne vogliano i gestori di Comedonchisciotte.org per l’accostamento ma, il titolo scelto per comunicare ai lettori del mio blog che non troveranno più i miei articoli su CDC, era troppo invitante: solluccherava lo spirito, titillava i sensi, inspirava tranquillità ed espirava veleni.
La decisione è giunta dopo l’ennesimo articolo nel quale i commentatori si sono lasciati andare non solo all’insulto (abituale), bensì alla diffamazione: sarei uno scrittore prezzolato.
Lasciamo però nel dimenticatoio le nefandezze, poiché il problema è altro e coinvolge proprio la comunicazione, il senso del nostro agire – scrittori e commentatori – nello sconvolto panorama di quest’Italia da bassissimo impero.

Come ho scritto nella lettera di commiato a CDC (non so se la pubblicheranno), forse la radice del problema va cercata nella crescita di “ascolti” dell’informazione Web non codificata né soggetta a controllo politico da parte di chicchessia. In altre parole, non si può paragonare CDC alle fondazioni che oggi vanno per la maggiore: FareFuturo, ad esempio.
Le varie fondazioni che sono salite alla ribalta nell’agone politico dipendono (soprattutto per questioni di soldi!) da partiti, gruppi politici od economici, lobbies varie. Sono strumenti organizzati di pressione politica, finanziati col preciso scopo d’ottenere vantaggi per qualcuno a scapito d’altri. I quali, per rispondere, creeranno le loro fondazioni.
Quasi unico nel suo genere, CDC rappresenta l’esempio lampante che il lavoro ben fatto premia.

Partito anni fa come tentativo spontaneo di proporre articoli per offrirli al commento dei lettori, ha visto crescere esponenzialmente i suoi “ascolti”, per l’oculato e silente lavoro di pochissimi gestori, coadiuvati da scrittori e traduttori che lavoravano e lavorano gratuitamente.
Insomma, la botteguccia artigiana che, lentamente, ha visto salire “ordini” e “fatturato”. Ovviamente, con gran soddisfazione dei gestori, degli scrittori e dei traduttori: quando si lavora gratis, vedere – almeno – che il proprio lavoro serve ed è gradito, “dà la carica”.

Già, ma, col trascorrere del tempo, le cose si complicano e – ricordando Fabrizio “Ma il bosco era scuro, l'erba già verde, lì venne Sally con un tamburello” – qualcuno è attratto dall’erba così verde di CDC e teme che gli armenti diventino mandria, un fiume di bisonti che attraversa la prateria. Procediamo con calma.

Casualmente, tempo fa, da un collegamento aprii un vecchio articolo di CDC dei tempi “epici”, quando era agli inizi: che sorpresa!
Il tono dei commentatori era permeato d’educazione e di comprensione per l’altro, nel sincero tentativo di giungere ad una sintesi condivisa. Cose del tipo: “Mi permetto di ricordarle…Certo, giusto quel che dici, ma il Ministero, l’anno seguente…Grazie per avermi segnalato il link: proprio non sapevo…” e via discorrendo. Pareva d’essere al cenacolo di madame de Warens.
Nella botteguccia artigiana, i pochi che ne conoscono l’esistenza si riuniscono per discutere dei rudimenti dell’arte: business is usual.

Ma – “come la freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca” – la notizia che c’è una minuscola bottega artigiana, la quale produce arte di buona fattura ed accetta anche “garzoni” per criticare le opere appena create, s’espande e tanti trovano invitante incontrarsi in quelle pagine: sempre soli di fronte al monitor, ma soli “in compagnia”.
Fra i tanti che passano, però, c’è probabilmente qualcuno che già lavora in qualche “stabilimento” dove si producono beni di “largo consumo”, spesso finanziati con le tasse dei contribuenti (a loro insaputa) per mantenerli, appunto, “contribuenti” e basta. Mai attori.
E, durante una “pausa caffè”, ne parla con altri, finché la notizia non sale su negli uffici, dove ci sono i dirigenti. Parte allora un ordine: “Un giorno come un altro, passa da quella botteguccia in via Cervantes e dai un’occhiata: poi, vieni a riferire. Ti pagheremo lo straordinario: preferisci una tessera Mediaset Premium od un abbonamento al Milan?”
Detto fatto. Il nostro gironzola per via Cervantes, beve un caffè al bar all’angolo, poi entra.
Resta stupito dal valore delle tesi (anche contrapposte), dalla velocità con la quale le sintesi prendono forma mentre, con sempre maggior cadenza, arrivano corrispondenze da tutto il mondo, tradotte e messe a disposizione dei lettori.

Perbacco baccone! Esclamano i dirigenti – ascoltando la relazione dell’inviato – qui, se la gente s’accorge che la qualità è superiore, a chi venderemo la nostra paccottiglia? E, se non la vendiamo, addio dollari a profusione!
Le contromisure vengono prese dopo attente meditazioni su un classico della letteratura, “Asterix e la zizzania”: la prima decisione è d’inviare con regolarità emissari presso la bottega. Per ora, ci sono ancora abbondanti tessere Mediaset Premium da distribuire, e pare che saranno presto disponibili anche abbonamenti all’Inter.
Spulcia tu che spulcio anch’io, un giorno trovano – nascosto nei commenti del forum (che sarebbe come dire nel retrobottega del retrobottega) – un commento dove si cita la parola “ebreo”. Viene subito contattato uno specialista di questioni ebraiche – onomatopeico nel cognome – il quale provvede a diffondere la notizia negli altri stabilimenti del Sistema Industriale Unico, condendola a profusione con salse rigidamente kasher.
Gli esiti, però, non sono quelli sperati poiché presto la cosa viene dimenticata.

Prima che vengano a mancare le tessere e gli abbonamenti da distribuire – riflettono i dirigenti dello stabilimento industriale “Stamponi, Stampati, Stampini & Co” – bisogna provvedere. La cosa migliore, assicurano gli specialisti maltusiani, è abbattere la natalità: insomma, ammazzarli prima che crescano, dopo sono gran casini e si finisce col dover mandare un segretario di Stato all’ONU con una falsa fialetta d’antrace.
Rileggendo meglio l’opera di Goscinny e Uderzo, s’accorgono dell’enorme potenziale di Tullius Detritus, meglio della Sesta Legione e dei carri armati “Patton”.

Prende così forma un attacco subdolo e concentrico: appena compare un articolo (talvolta, pochi secondi dopo!), c’è subito il primo commento: basta con queste ca..ate!
Poi, i “commentatori” si coordinano e fanno seguire le loro “critiche ragionate”, le quali si concentrano sempre su alcuni filoni.
Se l’articolo è di politica italiana si può far ben poco, poiché la politica italiana (ed il governo in carica) non reggono nemmeno come saltimbanchi. Che fare?
Deviare l’attenzione.
La responsabilità per un pessimo provvedimento – poniamo sulla scuola o sull’energia – non appartiene più agli autori delle leggi, bensì ad un coacervo di questioni internazionali che escludono qualsiasi loro colpevolezza in materia. Mica vorranno dare la colpa alla “Stamponi & Co”?

Il panorama è variegato: il più battuto è senz’altro il Bilderberg (ultimamente, un po’ desueto), poi gli “Illuminati” (più fosco, attira), poi la FED e la BCE (banche maledette! Risultato assicurato), quindi Il FMI (ha sede in America, tanto basta), poi la finanza ebraica (qui, nessuno s’offende, chissà perché?). La Massoneria internazionale, ovviamente, la fa da padrone mentre restano “in panchina” i Nashville Agrarians e gli Skull & Bones. Ci sarà gloria anche per loro.

Se, invece, si tratta di politica internazionale, basta ricordare che tutte le colpe sono dei governi precedenti – Prodi e Goldman & Sachs, fino alla nausea – e, se non si può dire che Silvio I da Arcore è un gran benefattore, almeno lo si salva dagli strali confondendo la “piazza” con mille commenti discordanti e confusi. Peccato che non si possa più citare il “complotto delle democrazie plutocratiche” – ci si scoprirebbe – ed allora viene sostituito dal più moderno “complotto delle multinazionali”. Anche per i cassonetti bruciati sotto casa tua.

Ad uno ad uno, gli scrittori che prestano gratuitamente la loro opera si stufano d’esser insultati e diffamati: affittano a loro volta una botteguccia e ripartono in proprio: almeno, a casa propria, sono liberi d’escludere chi vogliono. La “Stamponi & Stampini” prospera, gli abbonamenti a disposizione per il “lavoro” in via Cervantes crescono ed i “commentatori” affollano la sala di chiamata per ricevere gli abbonamenti.
That’s communication, my friend.

Usciamo di metafora, perché è giunta l’ora di parlare dell’incontro di Bologna dello scorso Maggio.
In quell’incontro si parlò poco d’energia, poiché la richiesta dei partecipanti, in sintesi, fu questa: “Le cose già le sappiamo: come possiamo organizzarci?”
Come sempre, quando si parla d’organizzazione, casca l’asino poiché le bottegucce sono distanti, non ricevono finanziamenti da nessuno e gli artigiani devono fare altri lavori per campare. Mica hanno le risorse della “Stamponi”!

In quel caso – felicissimo! – giunse una proposta, se vogliamo “minimalista”, la quale – però – avevi buoni semi per prosperare.
Il ragionamento, di per sé semplice, partiva da una constatazione: la “fronda” parte dalle mille botteghe della piccola informazione, le quali sono tutte distanti e, talvolta, manco si conoscono.
L’errore, sarebbe puntare tutto sulla diffusione nel territorio: si può tentare, ma le risorse sono poche e la fatica tanta.

Prima di pensare ad organizzazioni territoriali – fu la partenza – perché non iniziare un percorso di “federazione” fra le mille botteghe? Un “marchio qualità”, una sorta di “Coop” delle mille botteghe, il quale poteva anche comprendere un servizio di difesa legale e d’assistenza informatica.
In ogni modo, un punto di partenza per “legare” le mille realtà dell’informazione slegata dai finanziamenti e dalle camarille politiche: qualcosa che le rendesse visibili con un marchio comune.
Il “marchio” – ovviamente – sarebbe stato concesso solo accettando un codice etico (non grandi cose, in pratica l’indipendenza da ogni potentato), da stendere in una successiva riunione.
Ne parlai con i gestori di CDC, e sono ancora qui che aspetto. E mi dispiace.

Forse “presi” dalla constatazione che gli “ascolti” restavano alti, qualcuno ha iniziato a confondere la quantità con la qualità, senza riflettere che gran parte della “quantità” era rappresentata dai dipendenti della “Stamponi” che facevano gli straordinari.
Qualcuno dei “vecchi” – ogni tanto – iniziava a lamentarsi: ma cosa sta diventando questo sito? Nessuna risposta, all’interrogativo più importante.

L’unica alternativa, per un piccolo artigiano come me, è rimasta quella di ripartire da quello che ho (abbiamo): un modesto blog, nel quale – però – la qualità è sopraffina.
Se qualcuno gradisce la prospettiva del “marchio qualità” si faccia avanti: senza più l’assillo dei “commentatori della Stamponi”, si lavorerà meglio e più proficuamente.
Rimane il dispiacere delle occasioni gettate al vento ma, si sa, questo fa parte della vita: se c’è bonaccia, manovrare col poco vento che arriva per cercare quello migliore.
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15 agosto 2010

E dopo il post-berlusconismo?

Tirannide: indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.
Vittorio Alfieri – Della Tirannide

E’ oramai evidente che la parabola di Silvio Berlusconi è terminata: potranno esserci ancora fuochi d’artificio a Settembre, roboanti affermazioni, distinguo ed embrassons-nous, chiamate alle armi e grida d’arrembaggio, ma la storia che va avanti dal 1994 – almeno, nei termini nei quali la conosciamo – finirà nell’Autunno del 2010. Poi, se le elezioni saranno indette ad Ottobre od a Marzo, se ci sarà un governo tecnico di transizione od altre “fantasie” istituzionali, sono soltanto dettagli: il dato politico è altro.
Per comprendere una funzione non basta osservarne un breve tratto: lo studio deve comprendere tutto l’intervallo, e la “funzione Berlusconi”, come uomo politico, inizia con le vittoriose elezioni del 1994.

Quelle elezioni sancirono l’inizio dell’era “post”: post-democristiani s’aggregarono e si distinsero da post-comunisti e da post-fascisti, in un caleidoscopio senza fine al punto che – se osserviamo la storia politica di molti uomini politici attuali – c’è da stupire.
Rutelli ex radicale, Cicchitto ex sinistra lombardiana del PSI, Bondi ex sindaco comunista, Capezzone (ma, questo, è solo un “giovane di studio”, non a caso nato l’8 Settembre) ex tutto, la Santanché ex Billionaire…e si potrebbe continuare.
Torniamo dunque al 1994.

La nascita di Forza Italia scompigliò le carte ad un Achille Occhetto convinto di vincere la partita facilmente, per knock-out tecnico alla prima ripresa: qualcuno ricorda la “gioiosa macchina da guerra”? Subito dopo, però, la vendetta non si fece attendere ed il Cavaliere restò in sella solo sei mesi.
La domanda che ci si deve porre, allora, è un’altra: non tanto quale sarà il futuro di Berlusconi e del suo partito, quanto come sia stato possibile che un personaggio come Silvio Berlusconi sia potuto diventare Presidente del Consiglio in barba a tutte le norme. Ricordiamo, una per tutte, la sua ineleggibilità giacché fruitore di concessioni statali[1]: suvvia, togliamoci le pelli di salame dagli occhi.

In nessun Paese al mondo s’era mai visto nulla del genere: il principale imprenditore nel mondo della comunicazione – TV, giornali, riviste, ossia pubblicità – che sale al comando di una nazione! Negli USA ed in qualunque Paese europeo, fare una simile affermazione ha il valore di una barzelletta.
Gli unici esempi, in qualche modo avvicinabili a Berlusconi, sono la Thailandia[2] (esperimento già concluso da tempo) ed il Cile[3], dove era necessario “sdoganare” gli ex sostenitori di Pinochet, ossia infilare in guanti bianchi le mani insanguinate dei discendenti del generale. Inquietante parallelismo.

Secondo la cronaca politica ufficiale del Paese, ci fu uno scontro-confronto elettorale per molti anni, fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, concluso come ben sappiamo. Procediamo con i piedi di piombo.
Il primo governo Prodi fu affossato da un tal Bertinotti – sedicente comunista – per una questione che non aveva poi chissà quale rilevanza: l’orario settimanale massimo di lavoro a 35 ore, cosa che – parallelamente – veniva abbondantemente falcidiata proprio dalle proposte “innovative” sul lavoro “flessibile” da Tiziano Treu, con il determinante contributo dei voti “comunisti”.
Chi non ha memoria corta, ricorderà che Fausto Bertinotti – in quei giorni – sulle reti Mediaset aveva più spazio del Milan e della Juventus.

Il gran teatrino del voto dopo la caduta di Prodi, la “chiamata alle urne” del solito Berlusconi, doveva nascondere il vero obiettivo (Giuliano Ferrara, vecchia volpe, lo scrisse con largo anticipo): l’ascesa di Massimo D’Alema al trono, sicuramente gradita da Berlusconi e, soprattutto, dai poteri forti. La prima visita di D’Alema, come premier, fu alla city di Londra.
Giovanni Agnelli – “con quella bocca può dire ciò che vuole” – glielo disse apertamente a Torino, all’inaugurazione della Fiera del Libro: non c’è niente di meglio che un governo di “sinistra” per mettere “a posto” i lavoratori.
Dopo aver concluso il suo breve compito – nel quale bruciò consapevolmente ogni sua credibilità con la guerra alla Serbia – Massimo D’Alema si ritirò dalla politica attiva e prese possesso della sua nuova barca da un milione di euro. Non prima, però, d’aver lasciato il testimone a Giuliano Amato, colui che avrebbe ammesso – anni dopo – d’esser stato chiamato a scrivere il Trattato di Lisbona in modo così contorto da renderlo inaccessibile ai più. Non approvate la Costituzione europea? Beccatevi ‘sto trattato.

“Purificato” da tentazioni di sultanato dal “pizzino” di Bossi del 1994, Silvio Berlusconi si mise – siamo al 2001 – diligentemente al lavoro per distruggere il poco di socialità, solidarietà e consapevolezza che ancora esisteva nella società italiana. Ossia, quello che era sopravvissuto a vent’anni del suo rullo compressore televisivo: il suo primo intervento legislativo fu cancellare la figura del socio lavoratore nelle piccole cooperative. Come si può notare, nulla che toccasse le grandi cooperative “rosse”, mentre affossava i veri impianti cooperativi con valenza sociale.
Si noti una particolarità (per niente insignificante): le “riforme” di Berlusconi – a parte le leggi ad personam, ad personas, ad aziendam, ecc – erano tutte “a futura memoria”. La riforma della scuola della Moratti fu lasciata in eredità come una bomba ad orologeria, e si dovette assistere alle penose contorsioni di un ancor più penoso Ministro come Fioroni. La stessa cosa avvenne con la riforma previdenziale Maroni – lasciata ai posteri – che fu variata in modo ancor peggiorativo da Cesare Damiano (62/37 al posto degli originari 61/36).
In buona sostanza, Berlusconi sapeva che condurre a termine quelle “riforme” gli sarebbe costato parecchio sotto l’aspetto del consenso e le lasciò così, come mela avvelenata, a Prodi.

Le elezioni del 2006 furono invece organizzate con un profilo giuridico innovativo: la novità fu determinata dal nuovo concetto di “elezione sub condicione”.
L’anello centrale di quella strategia – poi sacrificato – fu un oscuro ex democristiano, Giuseppe Pisanu, a detta di molti uno dei migliori Ministri dell’Interno degli ultimi decenni. Ma il Ministro dell’Interno è quello che ha in mano la macchina elettorale, perbacco.
E, Beppe Pisanu, non ci sta a regalare la vittoria a Berlusconi – solo i gonzi possono credere che i sondaggi che danno una differenza d’oltre il 5% svaniscano in una notte – e “circoscrive” ad un “limite tendente a zero” il vantaggio di Prodi. Tutte ipotesi, vero? Come mai, per Beppe Pisanu, nell’attuale governo non è stato nemmeno trovato un posto da lustrascarpe? E il sardo sembra avere più di un “dente avvelenato” per Berlusconi?

A questo punto – continuiamo a parlare come gonzi – fra le tante personalità che può candidare il Masaniello Di Pietro (la nuova legge elettorale gli consente di fare ciò che vuole) c’è un tal De Gregorio: personaggio incomprensibile, indebitato, con frequentazioni a dir poco “sospette” per un partito come quello del “rivoluzionario” Di Pietro.
Comprando De Gregorio, poi qualche senatore con i favori alle attricette, infine facendo balenare a Dini e Mastella qualche “posto al sole”, il gioco è fatto.
L’atto seguente è l’inevitabile scissione di quello che fu l’Ulivo – per non fornire un’arma in più alla corazzata mediatica berlusconiana – un’operazione che non dà nessun frutto e, anzi, conduce il neonato PD ad una gazzarra senza fine.

Cooptando Fini in un’alleanza vincente per Berlusconi e perdente per il presidente di AN, nasce finalmente il “sultanato” berlusconiano, e questo è il tranello nel quale cadono tutti i dittatori: l’illusione dell’immortalità politica.
La cosa può anche funzionare in qualche vero sultanato, oppure in uno dei tanti scatoloni di sabbia petroliferi, ma non in uno dei Paesi più importanti d’Europa. Se sopravvive, è perché è tollerato.
Il potere berlusconiano, però, deve essere temperato, altrimenti Berlusconi fa paura: prima Bossi, poi Casini, da ultimo Fini, sono gli attori che salgono in scena per limitare la “deriva” del Cavaliere, che è tollerato come il male minore, in nessuna occasione completamente accettato.

Da più parti si è gridato al complotto internazionale nei suoi confronti, dalla Casa Bianca all’Europa, fino alla grande finanza internazionale od alla concorrenza in campo mediatico. Sicuramente esistono aspetti di politica internazionale, ma non ci sembrano – in queste settimane – così determinanti da causarne la caduta.
L’appoggio di Berlusconi al South Stream – il gasdotto meridionale che consegna alla Russia il controllo di gran parte del tracciato, in alternativa al Nabucco, che prevedrebbe invece un maggior controllo occidentale, tramite la Turchia – cozza contro alcune evidenze.
La prima è che la Turchia, oggi – dopo lo “strappo” con Israele – è forse l’ultimo posto al mondo dove far passare un’arteria strategica come il Nabucco: è meglio trattare con Putin o con Erdogan? Riflettiamo che una trattativa con Erdogan includerebbe l’ingresso nell’UE di Ankara, dove è saldamente al potere un partito d’ispirazione islamica.
In seconda battuta, il North Stream – il gasdotto che transita sul fondo del Baltico per approdare sulle coste tedesche, il quale esclude dal controllo del gas russo l’Ucraina, la Polonia, il Belarus e le ex repubbliche baltiche sovietiche – sarà una realtà già il prossimo anno, al massimo nel 2012. Una volta ottenuto un gasdotto che riposa nelle ferree mani del duopolio russo-tedesco, ancora conviene scatenare le diplomazie in una lotta senza quartiere per il gasdotto meridionale? Nessuno nega la sua utilità ma, se riflettiamo sulla sua importanza dal punto di vista russo, “pesa” come la possibile apertura di una nuova arteria energetica verso Pechino?
Una volta seduto – metaforicamente – nei pressi dei due “rubinetti strategici” Est-Ovest, Putin ha ancora così bisogno di Berlusconi per fermare il Nabucco? Teme il gas dell’Azerbaijan?

Sul fronte della guerra afgana, il governo Berlusconi ha accettato tutti i diktat di Washington, mentre le minacce d’abbandonare gli affari dell’ENI in Iran – pressioni israeliane? – sono solo l’ennesima chimera per allocchi: è più probabile lo scenario di un Berlusconi che scappa alle Cayman, piuttosto che quello di uno Scaroni che sbatte la porta a Teheran. Difatti, il sottosegretario Saglia – ex AN – che ha la delega per l’energia, è rimasto fedele a Berlusconi: una “fedeltà” che, ai piani alti del grattacielo dell’ENI, non è certo senza limiti e senza contropartite. Che vanno oltre le schermaglie parlamentari.
In altre parole, le vicende internazionali sono più da osservare alla luce dei possibili “sponsor” per future alleanze e posizioni di governo, piuttosto che nell’attuale querelle fra Berlusconi e Fini. Non dimentichiamo che, in fin dei conti, questa gente dovrà venire a patti con l’elettorato italiano, che di gasdotti sa poco o nulla.

Sul piano della politica interna, il governo Berlusconi è un completo fallimento, non ci vuole tanto per dimostrarlo: il debito pubblico che avanza verso la “quota di rottura” del 120% sul PIL, la disoccupazione ufficiale a livelli massimi, quella reale ancora peggio, giacché molti manco più s’iscrivono alle liste.
Prospettive di rilancio economico pari a zero, Paese dilaniato da una insulsa querelle fra Nord e Sud, fra lavoratori dipendenti ed autonomi, spaccatura in Confindustria sui contratti di lavoro, sindacato diviso. Bei risultati.
La domanda che dobbiamo porci è: chi ha consentito per molti anni a Berlusconi di condurre l’Italia allo sfascio? Non dimentichiamo che, nei confronti di presidenti “scomodi”, c’è sempre il “pazzo” che li avvicina – ma senza statuette del Duomo di Milano – oppure gli aerei cadono. Quanti ne sono caduti, da Hammarskjöld in poi?

Se è probabilmente vero che non ci sono stati, finora, fatti esiziali per “licenziare” Berlusconi, è altrettanto vero che un’Italia supina fa comodo a tanti.
Se la Germania può vantare lusinghieri traguardi sull’energia rinnovabile, è soltanto perché l’Italia non ha mai deciso di mettere a frutto il suo enorme potenziale, soprattutto il solare termodinamico nel Sud, ma anche l’eolico off-shore.
Chissà perché, invece, le centrali termodinamiche si costruiscono in Spagna, Paese – sotto l’aspetto dei capitali investiti – sotto “tutela” germanica.
Torna così comodo raccontare frottole su fumose centrali nucleari, da costruire con la collaborazione francese (e i soldi, chi li tira fuori?), un appoggio concreto e certo perché garantito da Sarkozy. Ma, se Berlusconi sta male, Sarkò non sta certo “tanto bene”: i sondaggi, in Francia, lo danno in caduta libera.
C’è poi la “frottola libera”, ovvero il Ponte sullo Stretto e le altre facezie: ma dove li trova, l’Italia, tanti dobloni per fare tutte queste cose, se non abbiamo più un soldo a bilancio?!? L’unica cosa che s’è vista è stato un branco di rubagalline, che gioivano perché speravano di “far tangenti” su un terremoto.

La realtà, che dovremmo iniziare ad osservare – abbandonando i piagnistei e le liti da cortile di periferia ai quali siamo stati abituati – è che questo è un Paese ricchissimo, basterebbe averne coscienza.
Nonostante tutte le sciagure che ci hanno precipitato addosso, l’Italia è un Paese dove la gente sa ancora risparmiare (a differenza degli Angli, ad esempio) e lavorare: per certi versi, siamo più simili ai cinesi che agli americani.
Osserviamo cosa è successo in Puglia: era così scontato che un politico come Vendola fosse rieletto alla Regione, facendo una pernacchia non solo a Berlusconi, ma anche al suo compare D’Alema?
E non si venga a dire che nessuno ha avuto il coraggio di sfidarlo veramente, perché le ragioni sono altre.

Quando ci fu da varare il piano energetico regionale, Nichi Vendola – forse con un piglio un poco “staliniano”, bisogna ammetterlo – suddivise semplicemente i MW eolici da installare fra i comuni pugliesi, suscitando non pochi mal di pancia.
Quando, però, iniziarono ad arrivare i soldini della produzione eolica, gli amministratori s’accorsero della ricchezza che era piovuto loro in mano: l’hanno gestita bene? Non abbiamo elementi per suffragare una tesi oppure l’altra, sta di fatto che Vendola è stato rieletto contro tutto e contro tutti, e questo è un fatto, non una fanfaluca. E che la Puglia viva una realtà mooolto diversa dalla Campania o dalla Calabria, è innegabile.
Di certo, non grazie al “navigatore” D’Alema: un elettore del PD scrisse, in un commento su un quotidiano, «Se ho qualcosa da raccontare ad uno dei principali esponenti del mio partito, dove posso trovarlo, ad una regata?»

L’Italia poverella, disgraziata, incapace, è una favoletta per allocchi: è il Paese che ha le più vaste possibilità turistiche del Pianeta, praticamente senza concorrenti per il patrimonio artistico, è il Paese che ha saputo costruire di tutto nel Pianeta. Strade, dighe, ponti…portano ancora il sigillo italiano, quando le grandi imprese – private e pubbliche – erano una concorrenza temibile. L’Italia è il Paese che, ancora oggi, costruisce il 50% del tonnellaggio delle grandi navi da crociera e preoccupa, non poco, la cantieristica francese.
Quando ascoltiamo le infinite querelle sul Nord e sul Sud, ci torna alla mente la storia di un Paese unificato dal potere britannico per essere usato in versione anti-francese nel Mediterraneo, usato nella Prima Guerra Mondiale per abbattere la nascente potenza germanica, abbattuto nella Seconda perché rischiava (di là dei regimi e degli uomini) d’uscire dal novero delle Cenerentole di serie A ed assumere ruoli che i potentati degli Angli non erano disposti a concedere.

Ma, la fortunata congiunzione astrale denominata “guerra fredda”, pone nuovamente l’Italia in una posizione strategica importantissima, al centro del Mediterraneo: crocevia di mille commerci e traffici, soprattutto il nuovo impulso petrolifero. Si giunge così a tollerare che possieda addirittura una compagnia petrolifera nazionale.
Però, come tutte le congiunzioni astrali, anche la guerra fredda termina e l’Italia non ha più rilevanza strategica: le basi americane perdono importanza, partono i sommergibili nucleari dalla Maddalena, la “rendita di posizione” termina. Ed inizia l’avventura europea.
Se i meridionali sono i terroni d’Italia, non scordiamo che gli italiani sono i terroni d’Europa: se non riusciamo a sistemare la questione dei rifiuti, chi ci guadagna? La Germania. Se non produciamo sufficiente energia, da chi la importiamo? Dalla Francia.

Nell’Europa del Novecento la guerra è tassativamente proibita – si concedono i centomila morti jugoslavi solo perché non si sa come risolvere altrimenti – ma, non per questo, la competizione è bandita.
Senza la discesa in campo di Silvio Berlusconi, ci sarebbe stata probabilmente un’evoluzione in senso bipolare del quadro politico, ma fra una sinistra socialdemocratica di stampo europeo ed una destra liberale e gollista, anch’essa di stampo europeo. E invece.
Invece, arriva questo bizzarro presidente di società di calcio e di società off-shore, palazzinaro, che acquista casa truffando un’orfana grazie all’amicizia con il curatore fallimentare, il quale sarà anni dopo condannato perché comprava i giudici all’asta.
E, in questi giorni della paura, Berlusconi torna a far visita a Previti a Piazza Farnese. Che caso.
Non si sa dove abbia preso i soldi per comprare il suo impero, non si capisce chi saranno gli uomini politici che lo sorreggeranno: nell’ultima tornata, solo più nani e ballerine.

Eppure, nonostante se ne freghi persino delle sentenze europee che lo condannano per questioni relative al suo impero televisivo (Rete4), l’Europa lo tollera tranquillamente, e fa pagare agli italiani le multe che nascono soltanto dall’incredibile commistione che nasce dal suo essere padre padrone di tutto, infastidito soltanto dalla Costituzione, al punto d’anteporgli una fumosa “Costituzione materiale”. Cos’è una “Costituzione materiale”?

Il problema italiano non è dunque quello della sua debolezza, bensì quello della sua potenziale forza in molti campi: va benissimo se Rubbia fa le centrali in Spagna, basta che non le faccia in Italia.
Se l’agricoltura italiana non riesce a produrre i pomodori in Primavera, s’importano dall’Olanda, se in Italia s’abbandonano gli oliveti, s’importa olio da mezzo Mediterraneo, e così via: il Paese s’indebita? Benissimo, i certificati del debito pubblico italiano sono un altro cespite di ricchezza per gli investitori stranieri, se va male ci sono le assicurazioni sugli stessi.
L’Italia potrebbe superare tutti i Paesi europei per le presenze turistiche? Basta nominare ai dicasteri competenti gente come la Brambilla e Bondi ed il gioco è fatto. Spagna, Francia e Croazia sentitamente ringraziano.
Un tempo sapevamo far di tutto, e meglio di tanti altri? Basta mettere nel posto giusto un tizio che non sa nemmeno chi gli ha comprato casa: poi, dimessosi Scajola, sembra non esserci più nessuno in grado sedere in quel posto.
Il Meridione d’Italia potrebbe rinascere con un’agricoltura di qualità, sfruttando il clima favorevole (la Sicilia è alla latitudine del Libano!)? Il posto di Ministro dell’Agricoltura è un sedile a rotazione: serve per metterci gli ex Presidenti di Regione che non hanno trovato una sedia.
Insomma, che l’Italia vada male economicamente è un buon affare per molti, basta che sia sempre un malato cronico e mai terminale.

L’esperimento Berlusconi, per le diplomazie europee, è quindi riuscito, ma solo in parte: l’ago della bilancia è giunto troppo pericolosamente verso il rosso. Che fare?
Qui – fatto assai strano e con pochi precedenti, un’intervista ad un giornale! – s’inserisce il Presidente della Repubblica, il quale lascia trasparire la sua contrarietà ad una tornata elettorale a breve termine: dopo Berlusconi, ecco avanzare il post-berlusconismo.
Dopo tanti anni di martellamento – dalle televisioni alle istituzioni – il Paese è completamente bloccato: tutti contro tutti. Piccoli imprenditori contro grandi imprenditori, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, lavoratori autonomi contro Guardia di Finanza, Nord contro Sud…

L’esperimento berlusconiano è riuscito nell’anestetizzare ogni pulsione civile: l’italiano medio, oggi, non crede soltanto più che essere un semplice cittadino di un Paese normale – ossia una persona con diritti e doveri codificati – in Italia sia impossibile. Peggio: crede che sia ingiusto, un’inutile anticaglia da togliersi in fretta di torno.
I diritti si acquisiscono con l’astuzia, la forza o la genuflessione, i doveri si evitano con gli stessi mezzi: che bisogno c’è di codificarli? Questo è il risultato “positivo” del berlusconismo.
La faccia “negativa” della medaglia è che una società così strutturata non sta in piedi, perché la moltiplicazione esponenziale dei conflitti genera un complessivo disinteresse per quello che è chiamato “il bene comune”.
Ora, se il bene comune rompe le scatole agli oligarchi, ben venga il berlusconismo ma, quando il fragoroso crollo delle istituzioni mette a repentaglio la tenuta dell’aspetto anche soltanto formale della Repubblica – quando si giunge, nella lotta politica, a spulciare il Catasto ed i mobilifici per inchiodare l’avversario si è proprio alla frutta… – inizia a serpeggiare il timore che la Nazione precipiti in un gorgo senza fine, al fondo del quale ci potrebbero essere sorprese non gradite. Come, sull’esempio argentino, una sorta di consolidamento del debito o simili, disperate risposte.
Questo no, non va proprio bene: bisogna riportare le lancette della disperazione italiana un pochino indietro – non troppo, per carità! – quel tanto che basta.

Per farlo, serve riprendere in mano la situazione e mettere l’Italia sotto tutela: le “conquiste” del berlusconismo dovranno essere mantenute – con tutta la fatica che ci sono costate… – ma temperate. E’ necessario riportare un po’ di sicurezza nelle case degli italiani, farli stare un pochino meglio: potranno così credere di riuscire a pagare quel debito galattico, e continueranno a pagarne gli interessi.
Che bella scelta, fra il matto ed i castigamatti.

Di fronte a future elezioni, quindi, sarà sbagliato schierarsi fra Berlusconi ed anti-berlusconiani, bensì fra sostenitori del berlusconismo sotto varie forme – mentalità repressiva, liberismo in economia, dileggiamento delle istituzioni, ecc – e veri cambiamenti.
Non ci possiamo certo aspettare che offrano su un piatto d’argento una politica di decrescita, sull’energia rinnovabile e sulla moneta, ma alcuni punti fermi è ora di metterli.

La Costituzione afferma, all’art. 53, che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”; la tassazione deve essere quindi progressiva: se si vuole uscire dal berlusconismo, bisognerà dichiarare a chiare lettere che ci dovranno essere sgravi fiscali per i redditi minori, l’invariabilità per quelli medi ed un aumento delle aliquote per i redditi superiori. Inoltre, basterebbe un semplice articolo mutuato dalla Repubblica “socialista” statunitense: chi non paga le tasse, oltre una certa soglia, va in carcere.

Bisognerà chiarire cosa si vuol fare dell’abitudine di rimandare le scelte in campo economico: è troppo facile non affrontare i veri problemi ed aumentare ogni anno l’età pensionabile, oppure fare prelievi dal fondo TFR. Bersani: pensaci due volte – se vuoi che qualcuno ti voti – prima di candidare Tremonti come premier.
Questo è un punto molto importante: se ci si “abbandona” al credere che basti aumentare l’età pensionabile per risolvere i problemi di bilancio, si giungerà alla pensione ad 80 anni ed i problemi rimarranno irrisolti.
Il vero nodo non è la quantità di lavoro, bensì la qualità del lavoro, ossia quanta ricchezza effettivamente viene prodotta: possiamo tenere un tizio seduto sopra una sedia anche per 50 anni e con uno stipendio da fame ma, se quel lavoro non serviva a niente, avrà prodotto di più – nell’intera vita – una persona che ha passato un solo pomeriggio a riparare una staccionata.

L’accettazione di Tremonti da parte del PD – sia pure per un governo di transizione o roba del genere – sottende un errore strategico o la mala fede: non a caso, proprio qui s’evidenzia la dicotomia con Vendola.
Giulio Tremonti non è un economista, bensì un tributarista prestato all’Economia che ha trattato, date le sue origini professionali, soltanto con una visione di bilancio. In questo, erano giuste le critiche di Brunetta salvo poi, nella prassi, dimostrarsi anch’egli un mero esecutore dei dettami liberisti: strano ossimoro il veneziano, un guascone senz’anima.
Gli strumenti utilizzati da Tremonti – dal suo punto di vista “economici” – sono sempre stati meri artifizi di bilancio e null’altro. Le cartolarizzazioni – ossia l’iscrizione a bilancio di somme ancora da esigere, che si presume saranno ricavate da vendite immobiliari – sono strumenti vecchi, che risalgono al “commercio” delle patenti di nobiltà. A Versailles ed a Londra se ne faceva largo uso: il discorso, qui, sarebbe lungo e coinvolgerebbe il destino delle terre comuni (in qualche modo, “cartolarizzate”), e gli stridenti equilibri francesi ed inglesi pre-rivoluzionari[4].

L’operato di Tremonti, nella sua visione puramente di bilancio, è fallimentare poiché ha un inquietante parallelismo proprio con il declino della nobiltà. In sintesi, il Ministro ha sempre privilegiato i “tagli” senza mai porsi il problema degli effetti che avrebbero generato: se si “risparmiano” denari – solo un esempio – abolendo gli sgravi fiscali per il risparmio energetico, dopo non ci si può lamentare se le imprese e l’occupazione in quel settore languono.
L’unica certezza di Tremonti sono le grandi “controllate” di Stato – ENI ed ENEL – ed è pronto a sacrificare tutto nei loro confronti, poiché sa che potrà – in barba agli azionisti – fare prelievi sui loro bilanci. Ricordiamo la “tassa sul tubo”.
Poi, ci sono le continue pressioni per vendere patrimoni dello Stato, fra i quali ci sono “pezzi” sui quali sarebbe meglio compiere una riflessione prima di vendere: ah già, se a “sfruttarli” turisticamente ci sono la Brambilla e Bondi…
In definitiva, Tremonti non propone nulla che possa in qualche modo incrementare la ricchezza degli italiani: sembra quasi un ministro del Re Sole. Quando sopravvengono delle difficoltà, si licenzia parte della servitù (i famosi “tagli”) e si vende l’argenteria (cartolarizzazioni): e questa sarebbe gestione dell’Economia?
Se Tremonti – a detta di Bossi (ma ci vuole poco…) – è veramente un esperto di Storia, dovrebbe conoscere da solo quale fu il destino della nobiltà: un brodino di foglie di rapa, gustato al freddo, in palazzi deserti. Con gran dignità e riccamente agghindati: oh, certo.

Sull’altro versante, il berlusconismo ha trascinato per anni la frottola che il lavoro pubblico non serve a niente: altra pietosa balla. La piccola impresa che cerca un elettricista in grado di risolvere i problemi, mette un annuncio e lo trova: tutto qui?
Per l’impresa è veramente tutto qui, ma cosa c’è dietro a quel tecnico bravo ed efficiente?

Quel lavoratore, vent’anni prima, era un moccioso che se la faceva addosso: per molti anni qualcuno s’è occupato di lui, gli ha insegnato a leggere ed a scrivere, poi le basi del sapere scientifico, infine la Fisica, l’Elettrotecnica e l’Elettronica. Senza dimenticare la capacità di scrivere un curriculum in modo decente e tanto altro.
Mi piacciono le persone che sparano a zero sul lavoro pubblico: mi piace incontrarli al Pronto Soccorso, quando il figlioletto ha 40 di febbre e non sanno più che pesci pigliare. In quei momenti, guarda a caso, il medico di guardia – dipendente pubblico – non sembra poi così inutile.

C’è poi da demolire la “costituzione materiale”, della quale i berluscones si vantano: stupisce ascoltare simili affermazioni da parte del Ministro degli Esteri Frattini, persona che un minimo di cultura parrebbe averla.
Una Costituzione redige i principi generali della convivenza comune e quelli del funzionamento dello Stato: se si ritiene che sia inadeguata ai tempi, la Costituzione stessa (a detta di molti costituzionalisti, quella italiana è fra le migliori al mondo) contiene tutti gli elementi e le prassi necessarie per modificarla.
L’unica incongruenza, a fronte dell’incapacità di cambiare la Costituzione (da come scrivono le leggi i berluscones, cosa potrebbero partorire? Vengono i brividi: prendetevi una “vista” della cosiddetta “riforma Gelmini”…), è sostenere che esista un’altra Costituzione, cosiddetta “materiale”. Ma cosa vuol dire?!? Tutti possiamo averne una? Sono tutte uguali o sono personalizzabili?
Siamo seri: in uno Stato che sia per lo meno decente, chi afferma queste sciocchezze dovrebbe essere immediatamente iscritto nel ruolo degli indagati per attentato alla Costituzione, un reato mica da ridere.
Forse, Frattini preferirebbe vivere in un Paese senza Costituzione come Israele? Si accomodi.

Della stessa serie la posizione sui contratti di lavoro: sono stabiliti e sottoscritti dalle parti ed hanno valore giuridico. Lo Stato (terzo, anche nel caso dei dipendenti pubblici, difatti è l’ARAN a trattare) non ha il diritto di cancellarli strada facendo, e questo vale per i dipendenti pubblici e per i dipendenti privati, Pomigliano docet.
Anche in questo caso, riflettiamo: forse che la FIAT – in una programmazione di medio e lungo periodo – ha qualcosa da guadagnare da quell’accordo? Potrà forse sistemare il bilancio per un anno, forse due, e dopo?
La FIAT manca di progetti innovativi, è rimasta indietro nella ricerca in campo automobilistico di decenni e non ha studi o prototipi per auto elettriche funzionanti: celle a combustibile ed Idrogeno sono illustri sconosciuti in Corso Marconi.
La FIAT tira a campare in questo modo perché dei governi scellerati le concedono tutto e, dopo aver ottenuto lo “stralcio” di qualsiasi contratto (e, magari, aver acchiappato qualche soldo), al primo mutare del “vento” tecnologico sarà in mutande. A quel tempo, nessuno ricorderà gli errori del passato e bisognerà accollare alla collettività tutti i suoi errori. Come sempre è avvenuto.

Come si può notare, il problema non è più Berlusconi, bensì il berlusconismo che è entrato – come un cancro – nelle case degli italiani, dapprima portato dalle sue televisioni, poi da lui stesso e dai suoi sodali.
L’andazzo, era perfettamente tollerato e gradito dalle diplomazie europee: finché sono così gonzi da non capire le possibilità che hanno, c’è più fieno per noi.
L’uomo Silvio Berlusconi sta per finire nel passato: al punto cui è giunta la crisi politica del suo regime, non servirà nemmeno spingerlo con un dito. Basterà il primo refolo di vento e Bossi, che è “animale politico” più di lui, già l’ha capito.
Il vero problema sarà riconoscere chi veramente propone un’inversione rispetto al passato – anche se le proposte che farà non saranno le nostre al 100% – da chi, blaterando soltanto delle litanie senza senso, si proporrà per continuare la sua opera, appena un poco diluita nelle forme.

Quel 40% d’italiani, che non si sono recati alle urne alle ultime elezioni, sono avvertiti: alle prossime elezioni, avranno nelle mani il potere di scegliere una nuova classe dirigente se apparirà, oppure di proseguire – se lo riterranno opportuno – nell’astensione.
Non è una scelta facile: da un lato, il voto “al buio” è uno sport che ci ha annoiati. Sull’altro versante, bisogna riflettere che in qualche modo bisognerà uscire da questi perversi gorghi.
Avremo il tempo di seguire con calma l’evoluzione della situazione e di confrontarci, ma tutto dipenderà dallo “spessore” politico e dalla credibilità di chi se la sentirà di proporsi: altrimenti, non varrà che il vecchio adagio di Tomasi di Lampedusa, “mutare tutto per non cambiare nulla”.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

03 agosto 2010

Il vero trombato



Com’è strana la vita.
Così come, un poveraccio disperato, può vincere alla lotteria o ricevere la famosa eredità “dello zio d’America” (successe ad un mio amico, totalmente ignaro della sua esistenza), capita che – quando ti sembra d’avere in pugno il risultato di una vita di sforzi – con uno sberleffo, il destino ti tolga tutto.
E’ quello che ci viene in mente – in queste giornate di caldo e di afa – quando osserviamo l’effige d’Umberto Bossi.
Riflettendoci un po’, già c’aveva colpito la sicumera di Tremonti quando – a Bruxelles – gongolava, affermando che in Italia (avete visto com’è facile?) si “riforma” il sistema previdenziale, mandando in pensione la gente a 70 anni, senza nemmeno “una voce dissenziente”.
A dire il vero, le voci “dissenzienti” ci sono state – la prima, quella del più grande sindacato italiano, la CGIL – ma il governo, forte di numeri e di consensi, di certezze e d’impunità, aveva tirato diritto. Il Presidente del Consiglio sognava nuovi castelli nei quali invitare nuovi harem, il Gran Visir dell’Economia nuovi fondi previdenziali da saccheggiare, valvassori e valvassini nuovi cespiti di tangenti, da dilapidare nell’Estate da nababbi che li attendeva. E invece.

Avevamo posto all’attenzione dei lettori il risultato del referendum sul nuovo “impianto federale” del 2006, perché troppo presto dimenticato: nell’Italia berlusconizzata, mediasettizzata, briatorizzata, dellutrizzata e bertolasizzata, pochi ricordavano che – di fronte allo spauracchio del “federalismo” di matrice bossiana (in realtà, una secessione mascherata) – s’era levati persino i morti dalle tombe e le truppe verdeazzurre, radunate fra Varese ad Arcore, s’erano ritirate nei loro accampamenti, sconfitte.

Il significato di questi giorni, del “tormentone agostano” della politica e del futuro italiano, è tutto qui: questo dannato Paese ti lascia fare tutto, ti concede ciò che risulta inconcepibile appena oltre qualsiasi frontiera. Poi, ti mette di fronte al fatto compiuto, all’impossibilità di procedere: decreta in un lampo la fine politica di formazioni blasonate. Ed è già un passo avanti rispetto a ciò che avveniva un tempo, quando si bruciavano le persone insieme ai loro libri.
Tutto ciò avviene perché questa bellissimo a maledetto Paese non dialoga nei luoghi deputati al dialogo, non emana sentenze nei luoghi chiamati a sentenziare, non informa nelle redazioni destinate a farlo.
Questo Paese è composto da realtà così sfaccettate – sin dal 1861, abbiamo proprio poco da ricordare e da celebrare – da risultare un Giano polifronte: la realtà dipende soltanto dalla faccia nella quale incappi quel giorno, dal Fato, dal caso. E non c’entra nulla col Nord o col Sud.

Nessuno, qui, starebbe ad ascoltare un Primo Ministro che – mentre piovono bombe – afferma che il programma del suo governo saranno “lacrime e sangue”. Negli stessi anni, in questo Paese, s’eleggeva come successore di Mussolini quello che era stato il suo più importate consigliere militare. Di una guerra persa.
Perciò, questo paese non vive, non reagisce, non decide sulla base del raziocinio ma solo su quella della paura o del sogno, secondo i momenti, le situazioni, le convenienze personali.
Chi ha premuto sull’acceleratore di questa tendenza, da sempre insita nell’animo degli italiani, chi ha esaltato la loro debolezza sugli altari per dominarli, oggi non dovrebbe stupirsi se – di fronte alla paura – una parte d’italiani ha deciso di seguire le poche vie di certezza, di non abbandonarsi ad ulteriori sogni che svaniscono negli incubi dell’alba.
E’ stato facile creare, in tanti anni di TV spazzatura, centinaia di luoghi virtuali nei quali esaltare l’individualità a scapito della collettività, stappare milioni di sogni dai cappelli dei prestigiatori televisivi, rassicurare qualche spirito inquieto con l’apparenza del doppiopetto. Non ci vuole molto: soldi e tecnologia. Il resto, già l’aveva spiegato Pavlov.

Poi, la realtà fa capolino perché non s’era messo in conto un crollo del 30% dei consumi, che fa apparire nella sua crudezza lo scempio delle retribuzioni, fra le più povere d’Europa. La realtà avanza, si fa strada, accompagnata da migliaia di scrittori – chiamati spregiativamente blogger – i quali mettono all’indice le smagliature dei sorrisi, le tette rifatte dei bilanci, i denti cariati delle amministrazioni.
La nave affonderà?

No – rassicurano – sono soltanto onde, onde e ghiaccio che il Polo c’invia per metterci alla prova: continuiamo così, rotta per 270°, sicuri, macchine avanti tutta.
Ma, nei ponti inferiori, l’incertezza prende piede e la cospirazione prende corpo, sospinta a gran voce dal turbinare, minaccioso, delle onde dell’Oceano fattosi nero, cupo, incombente.
Una piccola scialuppa lascia – forse in preda alla paura, forse all’esaltazione – ma prende il coraggio e le cime per farle urlare nei bozzelli, fin quando la chiglia incatramata a dovere non accarezza le acque nere, vorticose, apparentemente senza speranza.
Di là del Mare Oceano, appena sotto l’orizzonte, ci saranno altre navi dove ancora è permessa e gradita l’assemblea dell’equipaggio: basterà vogare ed inviare lampi di segnalazione.
Sembra che siano stati soccorsi: per ora, soccorsi e nulla più.
Ora, sulla grande nave, ci si chiede se l’equipaggio rimasto sarà in grado di mantenere la rotta, oliare i grandi cuscinetti dell’albero dell’elica, se le vedette avranno occhi aguzzi a forare il buio della notte, se la “squadra nera[1]” avrà muscoli ben temprati.
E salgono i dubbi. Fin su, in plancia.

Il comandante spande certezze: che può fare un comandante?
Ma gli ufficiali tentennano, scuotono il capo: cosa succederà quando avremo scapolato questo Capo d’Agosto – quando la fine delle calme equatoriali e lo scatenarsi dei primi uragani metteranno alla prova cime e bozzelli, pennoni e sartie? – quando lasceremo questa “Panama”, che per ora ci protegge nel suo gongolare del nulla, aggraziato solo dal volo solitario degli albatross, e la stasi terminerà?
Qualcuno sorride con scaltro abbrivio del labbro, altri s’accompagnano alla bottiglia di rum, pochi s’addentrano nelle galanterie, normali attività delle lunghe navigazioni.

Fra tutti – quando il comandante lascia intendere di voler “fare del Senato la nuova ridotta della Valtellina” – solo uno comprende che la navigazione sta per terminare, e risponde a dovere “qui, al Nord, sono pronte 20 milioni”. Di persone, di baionette? Quasi in rima con la Valtellina.
Oggi, un personaggio come Umberto Bossi, fa quasi pena.

Dopo aver stampato manifesti con il Nord “gallina dalla uova d’oro”, essersi alleato con Berlusconi, averlo abbandonato insultandolo e dandogli del mafioso, averlo riabbracciato in cambio di un posto a tavola ogni Lunedì in villa, aver persino indicato nel figlio Renzo “Trota” la successione, in un refolo di Zeffiro ha visto volar via bandiera e suggelli di sante alleanze, speranze e sogni coccolati per le vie, umide e scivolose, dei borghi lacustri. Per anni, decenni: una vita.

A sua parziale discolpa, segnaliamo la pochezza della persona in oggetto – ben diversa, per cultura, da suo “maestro” Miglio – che lo ha condotto a seguire una sorta di leninismo da periferia urbana nella ricerca dei menscevichi, che non c’erano, da turlupinare.
Appoggiandosi ora allo zar, ora ai circoli rivoluzionari, ha creduto che quei pochi – i quali lo accompagnavano nelle sue scorribande, dalle sorgenti del Po a Venezia – fossero l’avanguardia dei tanti. Ancora una volta: leggere male e di fretta Lenin può fare brutti scherzi.

Così, oggi, la pattuglia fuggita sulla scialuppa pone come condizione “la revisione del federalismo” pensato da Calderoli e Tremonti, ossia da Bossi Senior, che nel regno di Bossi II Junior, “Trota”, sarebbe dovuto essere un regno illuminato, con qualche immaginario Elettore di Sassonia a proteggere si tanta sagacia. In altre parole: niet.
Infine, di tante energie profuse, rimangono una città lagunare nella quale regna l’opposta fazione mentre, sulle sorgenti del Po, dovrà pronunciarsi un Tribunale.

Mai si sarebbe immaginato che, il regal dettato di Re Lear:

Resti dunque assegnato a te e ai tuoi
in possessione e perpetuo retaggio
questo terzo di tutto il nostro regno…

Si sarebbe tramutato nell’epopea fantastica del Sogno di una notte di mezza Estate:

Mettiti il cuore in pace:
non basta tutto il regno delle fate
a comprare da me quel fanciulletto…

Sic stantibus rebus et…sic tansit gloria mundi…padani!

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[1] Così erano chiamati, nelle navi a carbone, gli addetti a spalare il carbone nei forni delle caldaie.