In questi giorni, l’attenzione dei media è centrata sul fenomeno delle nuove Brigate Rosse: dall’altra, sappiamo che il governo dovrà affrontare la revisione della legge 30 – o “legge Biagi” – perché aveva preso un preciso impegno in campagna elettorale.
Soprattutto in TV sta andando in onda un’opera di profonda disinformazione: chi è contrario al lavoro che stesero Biagi e D’Antona è un fiancheggiatore dei terroristi. Nota bene: questa inferenza assurda non viene mai esplicitata ma scaltramente sottesa; di qui, le velate accuse al sindacato, le critiche ai ministri del centro-sinistra che vorrebbero metter mano alla legge, e così via.
I due studiosi assassinati dalle BR erano consulenti del governo per le questioni sindacali e del lavoro, e lo fecero con entrambi gli schieramenti politici: furono dunque loro ad emanare le leggi?
Biagi e D’Antona proposero dei nuovi modelli per regolare in modo diverso i rapporti di lavoro: come tutti sanno, dai loro studi nacquero i nuovi contratti cosiddetti “atipici”, ovvero gli impieghi a tempo determinato, ecc.
Bisogna precisare che Biagi stesso rammentava che questo nuovo impianto necessitava di “contrappesi” – ovvero di creare uno specifico welfare per chi lavorava “a singhiozzo”, dovendo coprire i periodi di disoccupazione – mentre il governo Belusconi “prese” dal lavoro di Biagi quello che gli comodava e fece orecchie da mercante sul resto.
Oggi, difatti, lo sviluppo dell’economia italiana è segnato da questo approccio non completato: alle aziende conviene assumere personale a tempo determinato e, anzi, parecchie hanno semplicemente tramutato dei posti di lavoro a tempo indeterminato con pari occupazioni a tempo determinato. Il risultato è un’incertezza che non giova soprattutto alle aziende che innovano, perché in quel caso è il prolungato rapporto di lavoro che genera frutti nel tempo.
Tutto ciò lascia nell’incertezza intere generazioni, che non possono guardare alla vita con sufficiente sicurezza per affrontarla: metter su famiglia, comprare casa e fare dei figli non sono dei semplici optional che – secondo la Conferenza Episcopale Italiana – dovremmo “barrare” come in un documento.
Sono scelte difficili e che coinvolgono la struttura stessa della società: è del tutto evidente che in una nazione come l’Italia – priva di specifici strumenti per affrontare la disoccupazione (si pensi al resto d’Europa ed anche agli USA) – parlare di lavoro a tempo determinato significa automaticamente cadere in altrettanti periodi di disoccupazione senza reddito.
Per questa ragione è necessario metter mano alla legge 30 – cosa che spaventa a morte Confindustria – perché è necessario garantire un futuro alle nuove generazioni, e non “tirarle fuori dal cesto” solo quando si vogliono allungare i tempi della pensione. Quando si pensa di dare loro qualcosa di reale per avere una vita decente?
Come attuarlo? Ci possono essere molte vie: rendere più oneroso per le aziende il lavoro a tempo determinato – così tornerebbe ad assolvere la sua funzione di “motore” iniziale verso l’occupazione – oppure varare finalmente una riforma della disoccupazione, mediante un’apposita cassa da rifornire nei periodi di “vacche grasse”. Già, ma di tutto questo le aziende non vogliono sentir parlare: assumiamo quando ci fa comodo, non ci prendiamo nessuna responsabilità per i lavoratori assunti (che devono campare “a singhiozzo”) e licenziamo come e quando ci pare. Non è una novità: essenzialmente, è quasi schiavitù.
Come si fa ad allontanare il problema? A fare in modo che il governo non lo affronti?
Basta gettare addosso a chi propone una revisione della legge 30 l’etichetta di “terrorista”. Parli male del lavoro di Biagi? Sei un terrorista. Ci si dimentica che Biagi e D’Antona c’entrano poco: sono i governi ad emanare le leggi.
Vorrei ricordare che il terrorismo ha molte facce – palesi e nascoste – perché quando si campa “a singhiozzo” fra un lavoro e l’altro si vive male, con il terrore di non farcela a pagare le rate dell’auto o l’affitto. Meno che mai si pensa a fare dei figli.
Tutto ciò che terrorizza – e non solo gli assassini delle BR – è “terrorismo”, e chi affibbia questi epiteti ad altri dovrebbe guardare prima in casa propria.
Soprattutto in TV sta andando in onda un’opera di profonda disinformazione: chi è contrario al lavoro che stesero Biagi e D’Antona è un fiancheggiatore dei terroristi. Nota bene: questa inferenza assurda non viene mai esplicitata ma scaltramente sottesa; di qui, le velate accuse al sindacato, le critiche ai ministri del centro-sinistra che vorrebbero metter mano alla legge, e così via.
I due studiosi assassinati dalle BR erano consulenti del governo per le questioni sindacali e del lavoro, e lo fecero con entrambi gli schieramenti politici: furono dunque loro ad emanare le leggi?
Biagi e D’Antona proposero dei nuovi modelli per regolare in modo diverso i rapporti di lavoro: come tutti sanno, dai loro studi nacquero i nuovi contratti cosiddetti “atipici”, ovvero gli impieghi a tempo determinato, ecc.
Bisogna precisare che Biagi stesso rammentava che questo nuovo impianto necessitava di “contrappesi” – ovvero di creare uno specifico welfare per chi lavorava “a singhiozzo”, dovendo coprire i periodi di disoccupazione – mentre il governo Belusconi “prese” dal lavoro di Biagi quello che gli comodava e fece orecchie da mercante sul resto.
Oggi, difatti, lo sviluppo dell’economia italiana è segnato da questo approccio non completato: alle aziende conviene assumere personale a tempo determinato e, anzi, parecchie hanno semplicemente tramutato dei posti di lavoro a tempo indeterminato con pari occupazioni a tempo determinato. Il risultato è un’incertezza che non giova soprattutto alle aziende che innovano, perché in quel caso è il prolungato rapporto di lavoro che genera frutti nel tempo.
Tutto ciò lascia nell’incertezza intere generazioni, che non possono guardare alla vita con sufficiente sicurezza per affrontarla: metter su famiglia, comprare casa e fare dei figli non sono dei semplici optional che – secondo la Conferenza Episcopale Italiana – dovremmo “barrare” come in un documento.
Sono scelte difficili e che coinvolgono la struttura stessa della società: è del tutto evidente che in una nazione come l’Italia – priva di specifici strumenti per affrontare la disoccupazione (si pensi al resto d’Europa ed anche agli USA) – parlare di lavoro a tempo determinato significa automaticamente cadere in altrettanti periodi di disoccupazione senza reddito.
Per questa ragione è necessario metter mano alla legge 30 – cosa che spaventa a morte Confindustria – perché è necessario garantire un futuro alle nuove generazioni, e non “tirarle fuori dal cesto” solo quando si vogliono allungare i tempi della pensione. Quando si pensa di dare loro qualcosa di reale per avere una vita decente?
Come attuarlo? Ci possono essere molte vie: rendere più oneroso per le aziende il lavoro a tempo determinato – così tornerebbe ad assolvere la sua funzione di “motore” iniziale verso l’occupazione – oppure varare finalmente una riforma della disoccupazione, mediante un’apposita cassa da rifornire nei periodi di “vacche grasse”. Già, ma di tutto questo le aziende non vogliono sentir parlare: assumiamo quando ci fa comodo, non ci prendiamo nessuna responsabilità per i lavoratori assunti (che devono campare “a singhiozzo”) e licenziamo come e quando ci pare. Non è una novità: essenzialmente, è quasi schiavitù.
Come si fa ad allontanare il problema? A fare in modo che il governo non lo affronti?
Basta gettare addosso a chi propone una revisione della legge 30 l’etichetta di “terrorista”. Parli male del lavoro di Biagi? Sei un terrorista. Ci si dimentica che Biagi e D’Antona c’entrano poco: sono i governi ad emanare le leggi.
Vorrei ricordare che il terrorismo ha molte facce – palesi e nascoste – perché quando si campa “a singhiozzo” fra un lavoro e l’altro si vive male, con il terrore di non farcela a pagare le rate dell’auto o l’affitto. Meno che mai si pensa a fare dei figli.
Tutto ciò che terrorizza – e non solo gli assassini delle BR – è “terrorismo”, e chi affibbia questi epiteti ad altri dovrebbe guardare prima in casa propria.
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