Strana storia questa di un ragazzo della Carnia, nato in un
minuscolo borgo sui confini italiani e morto, ancora molto giovane, a soli 28
anni nella capitale egiziana dove sapere cosa stava facendo è arduo, se non
impossibile. Certo, i genitori non comprendono come quel figlio, così
intelligente e studioso, sia stato barbaramente torturato e infine
ucciso…già…da chi? e perché?
Si fa presto a tirare le somme, giacché il presidente (o
dittatore, o generale, o Gauleiter
messo lì a governare l’Egitto…) si chiama Al Sisi: è il capo di stato (o di
tutta la banda) e, dunque, la responsabilità è sua. Una soluzione che può
acquietare solo un briciolo la famiglia, perché – tanto – nessuno rimuoverà
certamente quel tal Al-Sisi dal trono dei Faraoni, perché su quel trono è
giunto dopo lunghe e concordate riunioni proprio fa quelli che dovrebbero
chiarire la faccenda, ossia italiani, francesi, inglesi, americani, russi e
turchi.
Si dà il fatto che, trascorsi 4 anni dalla morte di Giulio,
le cose stiano esattamente come 4 anni fa: nessuno sa chi lo ha ammazzato,
nessuno sa il perché e, soprattutto, nessuno può sgomitare troppo per sapere la
verità. Ma torniamo al ragazzo, quando ancora viveva.
Di Giulio Regeni tutti concordano nel tratteggiarlo come un
giovane molto intelligente e studioso: aveva proprio il “pallino” per la grande
politica internazionale e la strategia, ossia era un giovane geo-stratega. Ne
abbiamo conosciuti altri, e ci arriveremo. Seguiamo la sua breve biografia:
“…e ancora minorenne si trasferì per studiare allo Armand
Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico, USA) e poi nel Regno
Unito. Vinse due volte il premio "Europa e giovani" (2012 e 2013), al
concorso internazionale organizzato dall'Istituto
regionale studi europei, per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio
Oriente. Dopo aver lavorato presso l'Organizzazione
delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e aver svolto per un anno
ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica,
stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell'Università di Cambridge. (Wikipedia,
Omicidio di Giulio Regeni.) (1)
Ora, se facciamo due semplici calcoli, Giulio vinse i due
premi “Europa e giovani” quando aveva 24 e 25 anni: doveva essere davvero un
genio (era del 1988). Stupisce ancor più apprendere che il giovane se ne andò a
studiare negli USA quando era ancora minorenne: ricordo che gli studi superiori
terminano a 19 anni, e nemmeno alla fine della quarta si è maggiorenni: a meno
che Giulio Regeni sia andato negli USA e terminato là l’ultimo anno, avendo
però fatto la “primina”. Insomma, un percorso assai strano, anche per un genio.
Un genio che, molto giovane, s’innamora del Medio Oriente e
va a studiare nelle università anglosassoni ne rammenta un altro, nato
esattamente 100 anni prima di Giulio e che aveva fatto del Medio Oriente la sua
ragion d’essere.
Nato nel 1888, Thomas Edward Lawrence (il futuro Lawrence
d’Arabia), nel 1907 a
19 anni (pressappoco come Giulio) entra ad Oxford, ma non solo nella celebre
università, bensì nella prestigiosa (e molto misteriosa) Round Table, la “Tavola Rotonda” la quale – reminescenze esoteriche
a parte – è un cenacolo geopolitico, dove si dibatte (soprattutto) sul ruolo
del Medio Oriente nei tortuosi destini dell’Impero Britannico.
Nel 1916 – ad un secolo esatto dall’assassinio di Giulio –
diventa Capitano (nel 1918 sarà già Tenente Colonnello) del British Army e
giunge nella penisola arabica, dove si compirà il suo glorioso destino.
Pressappoco alla stessa età di Giulio sarà catturato dai turchi, torturato e
seviziato, ma riuscì a fuggire.
Ci lascerà una traduzione dell’Odissea dal greco antico e I sette pilastri della saggezza, il
racconto della sua guerra nell’Higiaz, spesso redatta in forma poetica: morirà
in uno strano incidente motociclistico nel 1935, che lascerà non pochi dubbi
sulla sua morte. Tutti gli atti ufficiali della sua vita sono, ancora oggi,
coperti dal segreto di Stato.
Come potrete notare, ci sono molte similitudini nelle due
vite: se si fa la tara sulle differenze storiche dei due vissuti, c’è da
rimanere allibiti. Quasi identici luoghi, nomi, citazioni…Oxford, Cambridge,
Onu-Società delle Nazioni…torturato dai turchi l’uno, dagli egiziani (che,
all’epoca, erano ancora nell’Impero Ottomano) l’altro. E due morti misteriose,
in egual modo sintomatiche di un segreto contorto ma reale, al punto
d’eliminare due vite che potevano guastare qualcosa. A poco meno di un secolo,
non siamo ancora in grado di sapere perché la motocicletta di Lawrence, di
colore verde, avesse dopo l’incidente nitide e corpose striature di vernice
nera, né perché nessuno poté avvicinare Lawrence morente.
Così come il nome di chi torturò ed uccise Regeni è ancora
misterioso: dietro alla sua vicenda non sono mancate altre morti, ma una
risposta non c’è e – a mio parere – come per le tante stragi di Stato italiane,
mai ci sarà. Però, almeno tirando la coda di serpente del cui prodest, qualcosa riusciremo a leggere.
Giulio Regeni, a differenza di Lawrence, fu torturato ed
ucciso: ma, se la morte di Giulio era considerata necessaria per eliminare un
nemico, ben difficilmente avrebbero fatto ritrovare il cadavere. Molto
semplicemente, avrebbero insabbiato tutto e di sabbia, in Egitto, non ne manca
proprio: la sabbia egiziana ha celato discretamente non il frutto di un
delitto, bensì le stragi delle moltitudini per migliaia di anni.
Invece, Giulio viene fatto ritrovare, a due passi dal Cairo,
sulla strada che porta ad Alessandria: da subito viene giudicato, in modo
puerile, un incidente stradale. Proprio il giorno del ritrovamento del cadavere
(3 Febbraio 2016), al Cairo era giunta l’allora ministro per le Attività
Produttive Federica Guidi, alla testa di una delegazione di 60 imprenditori,
per individuare nuovi settori per gli scambi commerciali fra Italia ed Egitto.
Vista la situazione, il ministro torna subito in Italia come atto di protesta
nei confronti del Paese africano.
Non abbiamo elementi probatori per sostenere nessuna tesi:
però, che Al-Sisi avesse tutto quell’interesse nel presentarsi al ministro
italiano con quel cadavere sul gobbo, ci sembra veramente fuori da ogni logica.
Più probabilmente, aveva interesse a farlo chi desiderava che i rapporti fra Italia
ed Egitto precipitassero nel baratro. Torneremo su questo punto, ma cerchiamo
di sapere qualcosa di più su Al-Sisi e, soprattutto, sul suo predecessore,
Mohamed Morsi.
Il Generale (oggi Feldmaresciallo) Abdel Fattah Al-Sisi è
l’ennesimo militare salito al potere dopo un colpo di stato, dopo Nasser, Sadat
e Mubarak.
Il povero Mohamed Morsi, invece, era un ingegnere eletto
democraticamente nelle elezioni del 2012 dal partito della Fratellanza
Musulmana, un partito che è stato fondato da un insegnante, Hasan al-Banna nel
1928, che propugnava la “modernità coniugata all’Islam tradizionale”. Non hanno
mai sostenuto la lotta armata, seppur centinaia di essi siano stato scannati
senza remore da Nasser, Sadat, Mubarak e – oggi – Al-Sisi.
Se nel 2012 gli egiziani elessero democraticamente l’unico
presidente che sia mai esistito, potremmo affermare che nel suo unico anno di
presidenza Morsi si avvicinò un po’ al modello iraniano: appunto, il tentativo
di coniugare l’Islam alla modernità. Il che – ossia un nuovo Iran sulle coste
del Mediterraneo – non andò a genio a molti, in particolare a quelli che
comandano o che vorrebbero (o potrebbero) contare nello scacchiere
mediterraneo. Chi “gioca” la partita mediterranea?
Ci sono attori di primo piano, e solitamente più defilati,
ed altri di livello inferiore, a vari livelli interessati ad alleanze,
territori, giacimenti, contratti…e tutto quello che ruota intorno al
Mediterraneo da più di due millenni.
USA e Russia (erede dell’URSS) sono attori di primo piano,
ed anche quando la Russia
è intervenuta militarmente in Siria, l’ha fatto con il piglio della grande
potenza: poco impegno, ma micidiale e conclusivo. Gli americani non sono molto
interessati al Mediterraneo, poiché hanno già altre gatte da pelare nei Caraibi
e nel Pacifico: si limitano al controllo e, come ha fatto la Russia, se intervengono
sono rapidi e micidiali (vedi la
Libia) mentre, per il resto, si limitano a “consigliare” i
loro alleati. E qui c’è il vero gioco geo-strategico, che coinvolge Francia,
Italia, Gran Bretagna e, ultimamente, la Turchia.
Si veda, ad esempio, come la situazione libica sia tenuta in
stallo da americani ed italiani, a Tripoli, contro francesi, egiziani e russi a
Bengasi: in pratica, osservando l’equilibrio delle potenze in gioco, potremmo
concludere un bilanciamento perfetto. Gli inglesi, da quando hanno perso Malta
ed Alessandria d’Egitto mantengono una scarsa presenza a Gibilterra ed a Cipro:
quel che conta, per gli inglesi, è che la compagnia di bandiera inglese – la BP – sia sempre in gioco.
Ovviamente, nel gioco strategico, sono più vicini agli americani.
La Russia
è ancora molto soddisfatta per i colpi messi a segno in Siria (e con la Turchia) che le consente
basi aeree sulle coste del Mediterraneo e navali (Tartus): di più, non vuole (e
non può) fare, per questa ragione il suo appoggio a Bengasi è più legato alla
vendita di armi che altro. Già l’aver venduto il sistema antiaereo russo S-400
ai turchi (che non permetterà loro d’avere l’F35?) è stato un colpaccio:
vedremo cosa riserveranno i rapporti con la nuova amministrazione americana.
Francia e Italia, invece, meritano un paragrafo più approfondito e, forse,
qualcosa che c’entra con la morte di Giulio Regeni.
Mentre Chernobyl era stata considerata una iattura, Fukushima
è stata la dimostrazione che il sistema nucleare non può essere scevro da
incidenti: insieme ai mille problemi incontrati nella costruzione della
centrale finlandese di Oikiluoto da parte di AREVA (l’ente nucleare francese) la Francia ha compreso che la
sola via nucleare non conduce da nessuna parte, soprattutto per la vicinanza
dei Paesi europei eventualmente coinvolti in un disastro. Ciliegina sulla
torta, è cascata la miriade di problemi che ha incontrato l’apparato motore
(nucleare) della portaerei Charles de
Gaulle, che è praticamente inservibile, o solo utilizzabile nei brevi
periodi fra una rottura e l’altra.
Ma, si sa, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale lo
sciovinismo francese è salito a mille: perché
non costruire una portaerei nucleare che possa navigare a lungo in tutti
i mari della Terra? Ecco com’è finita.
I francesi mormorano a denti stretti epiteti contro la
decisione italiana di una seconda portaerei (la Trieste)
che andrà ad affiancare la Conte di Cavour,
quando la Garibaldi sarà messa
in disarmo o trasformata in semplice portaelicotteri. Portaerei grosso modo
corrispondenti alla tanto osannata Charles
de Gaulle.
Le due portaerei italiane avranno una linea di volo centrata
sul F-35 e ben pochi conosceranno la genesi di questo aereo: molti penseranno
che, dovendo sostituire i Sea Harrier, sarà un derivato dei Sea Harrier. Niente
di più falso.
La concezione dell’F-35 deriva (controllate le immagini se
non ci credete) dai prototipi e dagli studi sullo Yak-141, costruiti nell’URSS
prima della sua caduta – e che avrebbero dovuto fornire la linea di volo per le
4 Kiev, poi vendute o travolte nel
disastro dell’URSS – che i russi hanno “gentilmente” fornito salvo poi, volendo
anch’essi munirsi di un caccia imbarcato, oggi lo stanno riprendendo per
migliorarlo rispetto all’F-35 americano. Chiusa parentesi (scusate).

Dopo l’apoteosi nucleare, la Francia ha dovuto rendersi conto che doveva rientrare – e pure
velocemente – nel gran gioco del gas, che è quello che consente di produrre
energia al minor tasso d’inquinanti: una delle ragioni della guerra libica del
2011 fu proprio questa, non tanto il controllo delle aree fornitrici d’Uranio
del Ciad e del Niger, che già controllavano. Ci fu, anche, una collaborazione
con l’Italia, ossia lo spiegamento di una forza comune nell’area sub-sahariana
per mantenere il controllo del Fezzan e delle aree limitrofe.
Ma, a questo punto, successe qualcosa.
Chi si era avvantaggiato dal parziale abbandono della
ricerca di petrolio e gas della Francia, “drogata” dall’apoteosi nucleare?
Principalmente l’ENI (ma anche la BP) perché l’ENI – negli anni
successivi alla guerra libica – fece il “colpo da maestro” nell’area del
Mediterraneo orientale, scoprendo due giacimenti di gas (Zohr e Noor) dei quali
non si conosce nemmeno, con esattezza, la quantità di metano che contengono: si
sa soltanto che sono i più grandi del Mediterraneo finora scoperti, più altri
minori nelle acque territoriali egiziane ed a terra.
Quando si trovano miliardi e miliardi di risorse fossili, scattano
una serie di accettati ed abbastanza comuni accordi e pianificazioni
giuridico-economiche, accordi che soddisfano le compagnie, gli Stati
proprietari delle compagnie e gli stati limitrofi alle scoperte.
Sinteticamente, le compagnie pagano delle royalties agli Stati, che le
compagnie pagano in metano direttamente allo Stato limitrofo ai giacimenti (in
questo caso l’Egitto), oppure denaro…insomma, ci sono tante “varie ed
eventuali”, ma la sostanza è che, da quei giacimenti, guadagnano l’ENI,
l’Italia (praticamente proprietaria di ENI, grazie alla Golden Share), e
l’Egitto.
Se ci sono collaborazioni in ambito tecnico, vengono
suddivise nell’ambito della resa dei giacimenti: è il caso di BP, che partecipa
al 50% su alcuni giacimenti e della compagnia nazionale egiziana. Se lo avete
notato, Ansaldo ha appena consegnato ad un’azienda di Marghera la più grande
turbina a gas per la produzione elettrica che sia stata mai costruita, con
rendimenti mai raggiunti. E da dove viene il gas? Dai giacimenti egiziani, trasportato
su gasiere nei serbatoi dove rimane allo stato liquido intorno ai -170° e viene
scaricato fra Chioggia e Porto Levante, dove ci sono le piattaforme con gli hub dai quali partono i metanodotti.
E la
Francia?
La Francia
ha ottenuto qualcosa con la guerra in Libia, ma è poco o nulla rispetto ai
risultati italiani. Con il governo Gentiloni scaturì uno strano accordo
mascherato da fumose “revisioni” dei confini marittimi: ossia, la Francia otteneva delle
aree di pesca italiane, mentre l’ENI otteneva libertà assoluta di sondare il
Mediterraneo occidentale, in acque internazionali, ad Ovest di Corsica e
Sardegna. L’accordo abortì con il nuovo governo: forse, non tutti si fidarono
delle assicurazioni francesi su quella “libertà assoluta”.
Mentre in Egitto parecchi pozzi sono affidati ad ENI al 100%,
altri a metà con BP, finalmente nel 2017 compare il primo pozzo suddiviso in
tre parti, la principale (circa il 40%) ad ENI e le altre due a BP e Total. Nel
2020, ad esempio, per la gestione del pozzo di Nor El-Hammad la ripartizione è
stata del 37,5% ad ENI (con il ruolo di Operatore), il 37,5% a BP (GB) ed il
25% a Total (Francia).
Come potrete notare, la situazione libica s’è molto
raffreddata e non ci sono più colonne corazzate che cercano d’entrare a
Tripoli. Sarà avvenuto il miracolo o si è trovato un accordo? Tutti questi
movimenti ricordano parecchio l’accordo Sykes-Picot del 1920, ossia la
necessità di suddividere le “dipendenze” coloniali (od ex-coloniali) fra le
potenze europee, senza dimenticare gli USA ed Israele, che fanno parte
anch’essi della torta del metano egiziano. Lawrence sbatté la porta, a Parigi,
andandosi a sedere con la delegazione araba – ossia quelli che avevano
realmente combattuto nell’Higiaz – ma la “madre” Gran Bretagna lo lasciò
sbattere, dimenticandosi di lui.
E veniamo all’ultimo arrivato, ossia al nuovo Sultano di
Costantinopoli, il quale non vive certo giorni tranquilli: da un lato rischia
d’essere gettato a mare dalla NATO, dopo essere stato rifiutato dall’Unione
Europea e, dopo aver comprato il sistema di difesa aerea da Putin, di Putin si
deve fidare.
Da buon neo-Sultano Ottomano che si rispetti, la butta in
caciara: minaccia di tornare a riprendersi la Libia e si comporta come se in Egitto fosse un
suo dipendente a comandare, com’era nell’Ottocento.
Qualcosa gli danno, tanto per tenerlo tranquillo, ma quando
minaccia con al flotta le piattaforme dell’ENI e le gasiere in transito,
bastano due fregate (una italiana, l’altra francese) per fargli mettere le ali
ai piedi, mettere la coda fra le gambe e passare subito i Dardanelli, per
tornare nel più sicuro Mar Nero.
Possiede uno dei più numerosi eserciti del mondo, ma non ha
strutture all’avanguardia per proteggerle, qualora immaginasse qualche sortita
da qualche parte del Mediterraneo: insomma, tanta pubblicità ad uso interno e
Putin lo usa come “grimaldello” nei confronti della NATO, ma – a mio avviso –
non si fiderebbe di lui manco per comprare un’utilitaria. Perciò, Erdogan in
questa faccenda di morti e petrolio c’entra come il due di coppe, con la
briscola bastoni.
Ora, torniamo a Giulio Regeni ed alla sua sfortunata
vicenda.
Nel 2015, l’ENI scopre Zohr, il primo grande giacimento di
metano in area egiziana: non sappiamo quali siano stati gli accordi
internazionali dell’epoca, sappiamo però che l’Italia è in forte contrasto con la Francia per la nuova
“suddivisione” del petrolio libico, che non la soddisfa affatto. L’Italia
costruisce una flotta di tutto rispetto, non solo portaerei, ma anche
sottomarini (di progetto tedesco) e parecchie navi di superficie. La Francia macina male la
cosa, perché il suo sciovinismo di nazione “vittoriosa” nella Guerra Mondiale
la fa credere onnipotente. Consiglierei i francesi di cercare un pusher
migliore: ciò non toglie, però, che qualche bastardata a livello di servizi la
possano pure immaginare.
Nel 2016 Giulio Regeni va in Egitto e si mette a studiare la
società egiziana partendo da un settore che lo solletica: i venditori
ambulanti, che in Egitto sono almeno 100.000 (la cifra esatta nessuno la
conosce, manco gli egiziani) e che sono la grande distribuzione “porta a porta”
in tutto il Paese. Vuole solo completare la tesi, niente di surreale.
Per le sue esigenze, contatta il segretario del loro
sindacato il quale, in passato, ha creato parecchi grattacapi al potere
politico, al punto che il segretario è attentamente controllato dai servizi
segreti, e lui lo sa benissimo.
Il nemico più difficile da stanare e distruggere, per
Al-Sisi, è sempre la Fratellanza Musulmana,
la quale ne ha ben donde: hanno defenestrato il presidente regolarmente eletto
e poi gli hanno fatto fare la solita “brutta fine”. Non più impiccato come Said
Qubd o i molti ammazzati in mille modi diversi: ufficialmente muore d’infarto,
nel 2019, durante l’ennesimo processo (era stato condannato a morte, poi
avevano deciso di rifare il processo: l’esito non è cambiato).
Ma per Al-Sisi – per quanto ci sia simpatico come Francisco
Franco od Augusto Pinochet – non riusciamo a trovare una logica plausibile per scovare
una ragione per gioire, nel giorno della visita della Guidi in Egitto, a
sbattergli fra i piedi il cadavere di un ragazzo italiano.
Potrebbe mai, la Fratellanza Musulmana,
pensare che l’uccisione di Regeni potesse rappresentare un buon motivo per
liberarsi del sadico persecutore? Mi sembra molto strano, e per due motivi:
Giulio Regeni era una persona sconosciuta alla popolazione egiziana, inoltre la Fratellanza ha sempre
aborrito la via della guerriglia contro il potere. Non ci sembra un valido
motivo.
Al-Sisi ha cercato più volte di “fare giustizia”
all’egiziana per la questione Regeni, perché la cosa è sempre un fastidioso
scoglio nelle relazioni fra i due Paesi. Mi rendo conto che, messa così, la
vicenda assume tinte di cinismo ma, rediamoci conto che da parte egiziana così
viene vista.
Così, fece ritrovare i documenti di Giulio e la Polizia (?) uccise in un
conflitto a fuoco 4 terroristi (?) colpevoli del rapimento e quindi
dell’uccisione di Giulio. Tutto risolto? Per niente, poiché le prove
evidenziate agli inquirenti italiani mostrarono chiaramente che, dai tabulati
telefonici, i 4 “terroristi” si trovavano, la sera del rapimento di Giulio, a
più di 100 chilometri
dalla sua abitazione. Inoltre, i colpi evidenziavano non un conflitto a fuoco,
bensì l’uccisione a freddo e da brevissima distanza dei quattro.
Da questo, però, possiamo ricavare che Al-Sisi è riuscito a
mettere le mani sui veri assassini di Giulio – se aveva i documenti! Scomparsi
per anni! – ma, evidentemente, qualcosa gli impedisce di poterlo chiarire.
Quale può essere la ragione, per la quale non può farlo?
Perché, evidentemente, i mandanti – sapere gli esecutori non
è poi così importante – sono personaggi vicini ad un’altra potenza e, se si
scontenta l’Italia, non si possono scontentare gli altri. Poi, che gli agenti
di una potenza straniera – magari per questioni di energia – abbiano deciso di
uccidere Regeni per avvelenare le relazioni italo-egiziane, non sarebbe per
niente strano. I servizi, spesso, si vendono al miglior offerente: in questo
caso, vengono semplicemente definiti “deviati”. Il “lavoro sporco” in questi
casi, non viene eseguito dai servizi del Paese interessato, bensì pagando
profumatamente settori che si conoscono dei servizi di quel Paese, senza
rischiare che un qualsiasi incidente porti in primo piano personale di Paesi
esteri.
Perciò, la “coda di serpente” del cui prodest ci indica chiaramente che la vicenda è maturata e si è
conclusa nell’ambito del mondo dell’energia e dai sussulti internazionali che
esso provoca. Ovviamente, senza prove non si possono lanciare accuse. Perché non
uccidere, ad esempio, un ministro od un ambasciatore? Troppo pericoloso: storie
del genere difficilmente si concludono senza un lancio di missili, magari con
il palazzo presidenziale come obiettivo. Gli inglesi, ad esempio, non si fecero
problemi a buttare nel cesso Lawrence, dopo che gli aveva consegnato il Medio
Oriente su un piatto d’argento! E, tutto sommato, Giulio Regeni era meno
conosciuto di Thomas Edward Lawrence.
Rimane il dolore di quei due genitori. Potremmo affermare
“la persona giusta nel posto sbagliato”, ma questo non acquieterebbe di certo
il loro dolore.
Se vogliono, possono domandarsi di chi era la voce (era di
un italiano chiaramente del Sud) che alla radio militare – nella concitata sera
che portò al rogo del Moby Prince – con voce tranquilla, disse semplicemente “Mobby Prins, pigghiatelo n’tu culo”. I
familiari di tutti quei morti ancora se lo chiedono.
(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_di_Giulio_Regeni