28 agosto 2018

Il ponte sul fiume Guai


Curiose affinità, a volte, legano i titoli, non scelti per semplice assonanza linguistica, bensì per ben precise somiglianze storiche: la battaglia del Nagaland (per la quale era essenziale, alle truppe nipponiche, proprio il famoso ponte del film) fu combattuta già in territorio indiano, e le truppe giapponesi ebbero l'appoggio di parte degli indipendentisti indiani. Vinta dagli inglesi, viene ricordata come la “Stalingrado orientale”.
Ma torniamo ai nostri ponti dei guai, i quali – se, da una parte, sembrano generare una marea di problemi, sollevando tonnellate di sabbia con la quale erano stati seppelliti veri e propri crimini di stato – dall'altra scoprono nuovi orizzonti: il governo, ha affermato di voler rivedere tutto il sistema delle cessioni in appalto ai privati ed ha speso una parola pesante, “nazionalizzazioni”. Anche se, a voler esser precisi, la proprietà del sistema autostradale è ancora dello Stato italiano.

Non riteniamo che la vicenda possa intralciare, oggi, i piani dei globalisti – proprio come i giapponesi non misero in crisi l’impero inglese – ma, almeno in Italia, il problema sta venendo a galla: difatti, tutto il problema del ponte – come ho ripetuto mille volte – è soltanto, per loro, quello che non esiste più il “corridoio” fra la penisola iberica e l'Est Europa, che transitava tutto su quel macilento ponticello in cemento armato. Come ho già ripetuto, non era stato previsto per simili stress, e il risultato s'è visto. Ma andiamo per gradi, sbucciamo lentamente la mela osservando attentamente ogni strato.

Il problema nei prossimi mesi

Se qualcuno ha ancora dei dubbi sulla fine del ponte, glieli toglierò subito. A meno di farlo saltare in brevissimo tempo, con una demolizione pianificata con l'esplosivo, gran parte del ponte verrà giù da solo.
Però, programmare un simile intervento non è cosa di pochi giorni: ci vuole un progetto preciso, per limitare al minimo i danni conseguenti. Bene ha fatto il Governo a sgombrare le case sottostanti (ma si costruisce un ponte sopra le case?!? Signori ingegneri, dove avevate la testa?) ed a cercare, da subito, una soluzione abitativa definitiva per gli sfollati: chi critica, ha ancora sul gobbo L'Aquila, Amatrice...e tutto il resto, fino al terremoto del Belice del1968: la foto che osservate non è del lontano '68, bensì dei nostri giorni.



Trovare una soluzione abitativa per migliaia di persone, però, non è cosa facile: le case non si costruiscono con la bacchetta magica, e vedremo come se la caveranno l'attuale Governo e le amministrazioni locali, fra le quali – pare di avvertire – ci sono già alcuni screzi, dovuti alle diverse pressioni politiche che sopportano, ma ci torneremo.

Perché il ponte Morandi verrà giù?

Perché il regime dei venti, in Liguria, non è costante ma a raffiche. Ve ne rendete ben conto su una barca a vela.
La potenza che il vento “scarica” su una vela – poniamo 10 metri d’albero – è complessivamente quella di una motocicletta di 250 cc: 20-25 Cv. Già, ma con venti deboli, chiamati brezze, al massimo 10 nodi, e la barca fa 3-4 nodi di velocità.
Quando il vento aumenta, la spinta (e la conseguente potenza) aumenta: e quando arriva una raffica di mezzo minuto a 50 nodi? La vostra, modesta “250” si trasforma in una 1.000 cc da competizione e, se l'equipaggio è esperto, la barca scivola sulle onde a 10 e più nodi, una velocità notevole per una barca a vela.
Torniamo al ponte.

I due spezzoni di ponte non sono più collegati fra di loro: il castello di carte, più o meno fragile, è ora fragilissimo, per la perdita della carta centrale, che ne faceva un corpo unico. Con raffiche a 50 nodi, i piloni vengono sottoposti ad una pressione micidiale, che dura poco, mezzo minuto, un minuto...poi, la pressione del vento cala quasi a zero, e ciò innesca un'oscillazione. Terminata l'oscillazione arriva una nuova raffica, che innesca una seconda oscillazione, che in parte si somma alla prima per l'inerzia stessa (il peso del pilone che oscilla), e la frittata è fatta. Simili situazioni meteorologiche capitano in periodi ben precisi: le cosiddette “tempeste equinoziali”, che avvengono intorno al 20 di Settembre, poi all'inizio di Novembre, come Genova ben sa.
L’esimio prof. Tedeschini – docente di qui e di là – ricorda che l’appalto per la demolizione deve essere dato in “gara europea” giacché non sussistono “situazioni di urgenza e pericolo”. Immaginiamo che l’esimio prof. Tedeschini non viva sotto un ponte, magari vicino ad un ponte, forse sull’Appia Antica. Non sanno proprio più a che santo votarsi.

Il primo passo, dunque, è quello di dare una casa a quella gente...requisirla, fornire fondi per acquistarla, oppure tramite lo IACP...qui non si deve badare a spese, e chissenefrega del 3% sul deficit: vengano signori, vengano da Bruxelles a spiegare ai genovesi perché devono passare l'Inverno nelle baracche o, peggio, nelle tendopoli. Venga, Tajani, venga lei che è italiano: non viene? Ha paura? Ha ragione ad aver paura.

Le decisioni del Governo (e di Atlantia)

 E' normale essere basiti: per fortuna, non capita tutti i giorni che un viadotto autostradale venga giù come un mucchio di ghiaia e il Governo, sulle prime, rimase proprio basito. Ma si risvegliò in fretta: si svegliò un poco incazzato, ma non perché era venuto giù il ponte, quello che li fece più incazzare fu il silenzio dei gestori, ossia dei Benetton.
L'atteggiamento dei Benetton fu possibile circoscriverlo con poche parole “non perdere soldi in questa vicenda”. Perché?
Poiché Atlantia aveva da poco lanciato un’OPA (una proposta di acquisto) per Abertis, l'omologa società spagnola che gestisce le autostrade spagnole più alcuni tratti nelle Americhe: non dimentichiamo che Abertis ha sede a Barcellona, mentre a Santander ha sede una delle banche più potenti del mondo (al 12° posto nella classifica mondiale, quando Intesa San Paolo, la più grande banca italiana, è solo al 35° posto). Questo per dire come l'operazione fosse ardita ed altamente remunerativa (e dunque costosa).
Bisogna ricordare che, nel 2007, Benetton rischiò proprio di farsi portar via “l'osso” delle autostrade italiane da Abertis ma, con “l'aiuto” dell'allora governo Prodi, riuscì ad aggiudicarsi la gara. Meglio che resti in mano italiane, qualcuno pensò: i genovesi non sono proprio d’accordo. Però, il contendente era sempre lì, sul campo e le due società si confrontarono per la gestione di tratti autostradali in America Latina.
Che fare, si pensava a Treviso?

Se non puoi fermare un nemico...trova il modo di fartelo amico...oppure: compralo!
Così, in questi ultimi 10 anni, è iniziato un piano di “risparmio” che doveva condurre ad ammucchiare un “tesoretto” per comprare gli spagnoli. Non a caso furono sempre rinviati i lavori per aggiornare i due piloni privi di stralli esterni (mentre il primo era già stato “aggiornato” dallo Stato nel 1993)...ma sì, non crollerà...compreremo Abertis e poi si vedrà...S'è visto.
Tutta la rete italiana ha bisogno di una colossale manutenzione, poiché, per anni, l'imperativo è stato “un fiorino”, ossia il pedaggio autostradale visto come una tassa, come nel noto film di Benigni e Troisi. I documenti “sensibili” - ossia i piani di manutenzione – segreti!
Date voi uno sguardo, tutte foto recenti:






Si potrebbe continuare per pagine e pagine.


Lo stato delle autostrade italiane (e non parliamo delle strade, da quando l'ANAS non ha più avuto i proventi delle autostrade!) è degenerato: la corruzione, l'assunzione in Atlantia di manager prima statali – la secretazione degli atti!!! - ha fatto il resto.

Così, per anni, abbiamo pagato “un fiorino” affinché Benetton potesse comprare Abertis e…diventare sempre più ricco. Non s’è interessato molto del “problemino” generato a Genova – ai morti, a chi perderà la casa, anche alle difficoltà che la sua “assenza” nella manutenzione ha arrecato al primo porto italiano – no…s’è fatto vivo solo quando le azioni di Atlantia hanno iniziato a crollare in Borsa. Eh no, fate delle “comunicazioni sociali” perverse…così non si fa…mi fate perdere la possibilità d’acchiappare l’odiato rivale e diventare ancora più ricco. Alla fine, ha preferito salpare con il suo yacht: meglio stare fuori dalle acque territoriali…non si sa mai…

Il ripensamento del Governo, a questo punto, è diventato un altro: perché lasciare queste galline dalle uova d'oro in mano ai privati? Ed il ripensamento è totale, giacché qualcuno ha detto: ma...e le frequenze televisive?
Non dimentichiamo che la storia ha qualcosa di grottesco ed una parte inquietante: fra il 1984 ed il 1985 Bettino Craxi firmò la legge Mammì, ricordata da tutti come i “decreti Berlusconi”. Il grottesco è che Berlusconi era un amico e Craxi: fu, addirittura, testimone alle nozze con Veronica Lario. Il tragico è quel che avvenne dopo: un gestore di proprietà statali divenne a sua volta “principe”, e giunse alle più alte cariche dello Stato. Di quella vicenda, Vittorio Feltri ebbe a dire:

Per quattordici anni, diconsi quattordici anni, la Fininvest ha scippato vari privilegi, complici i partiti: la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci con la loro stolida inerzia; e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l'altro la perla denominata 'decreto Berlusconi', cioè la scappatoia che consente all'intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Bettino Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura, in un soprassalto di dignità, e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna.”
(Vittorio Feltri, L'Europeo 11 agosto 1990)

Si noti: Vittorio Feltri dopo pochi anni, gravitava già nell'orbita della stampa dominata dal Cavaliere.

Qui non si tratta di giudicare Berlusconi o chi altro, bensì un principio: fino a che punto può, uno Stato di diritto, recedere ai suoi compiti per affidare settori vitali al privato? Non si discute se, lo Stato, mette sul mercato un'azienda di cioccolatini, bensì beni essenziali in una società moderna: sanità, informazione, trasporti, scuola, difesa, energia, ecc.
Si noti che, nel caso di Berlusconi, non fu stabilito nemmeno un “tetto” o delle regole per le quali, un gestore di televisioni, non poteva possedere giornali: Feltri aveva ragione nel definire quel provvedimento “roba che non capita nemmeno nelle repubbliche delle banane”, poiché – dopo l’ingresso di Berlusconi – il livello dell’informazione italiana è precipitato a livelli da terzo mondo.

E le ferrovie?
Regalate a gente come Montezemolo, con il suo “Italo”, così l’alta velocità funziona bene (finché, anche lì, non capiterà qualcosa) mentre le tratte “popolari” sono diventate carri bestiame, ferrovecchio sul quale non investire un euro. Per fortuna, anche qui il nuovo governo se n’è accorto ed ha azzerato i vertici delle Ferrovie.

E gli ospedali?
Costruiti con i soldi degli italiani e poi…voilà…divenuti “strutture sanitarie” in mano a tutta una pletora di “imprenditori della sanità” che lucrano su tutto, vecchi e bambini compresi.

I risultati di tanto “svendere” quali sono stati?
Il paradosso dei paradossi è che, oggi, uno Stato messo alle corde da questa pletora di “efficienti privati” deve, per forza, rivolgersi per la ricostruzione del ponte all'unica azienda ancora statale (Fincantieri), un antico ricordo dell'IRI e di quando le aziende statali ricostruirono l'Italia. L'alternativa?
Fidarsi di aziende che hanno partecipazioni – a vario titolo – proprio con persone e società legate al gruppo Benetton, o a suoi sodali. Da Impregilo a Gavio.

E, qui, ecco che torna un nodo politico.
La Regione Liguria è governata da un uomo di Berlusconi, il Presidente Toti. Il quale, guarda a caso, nicchia: sì, però...il ponte va bene, però...Benetton ci ha dato dei soldi...
E perché ve li ha dati?
Per la ricostruzione, per le case, per l'enorme danno alla città...
E allora? Non doveva risarcire nulla?

Eh sì, ma...per adesso, fin quando non ci sono le risultanze della magistratura, almeno della commissione parlamentare...

Ecco, la posizione ambigua di Salvini: da un lato al governo con il M5S, dall'altro in “alleanza” con un fumoso centro destra, nel quale Berlusconi impera – non tanto per le percentuali di voto – quanto per il peso dei suoi ramificati rapporti che...da dove provengono?
Da quella cessione di sovranità, dai “decreti Berlusconi” di Craxi.

E' del tutto evidente che la responsabilità del disastro è di Atlantia, ossia di Benetton: certo...concediamogli almeno 10 anni di iter giudiziario, che se la Cassazione (come ha sempre fatto) boccerà diventeranno 20, poi 30 prima di una sentenza definitiva…
E i genovesi? Che si fottano: bisogna rispettare i tempi della magistratura. Questo raccontano dalle parti del PD e da quelle di Berlusconi.
Per ora, i due ragazzi tengono…avranno il coraggio d’andare fino in fondo? Oppure, quel continuo giocherellare con roboanti affermazioni, utili soltanto a spostare qualche numeretto nei sondaggi, li farà andare a fondo?

14 agosto 2018

Perché non ci ascoltano?

Dio lo volesse, che una volta tanto ci dessero ascolto. Invece, ci tocca sempre fare i profeti di sventure annunciate, di pericoli by-passati con un'alzata di spalle, oppure conclusi in chiesa di fronte alle bare.
Non ho mai parlato del “Ponte di Brooklyn” - come lo chiamano a Genova – anziché “Ponte Morandi” ma ho toccato più volte l'argomento in vari articoli, per denunciare la pericolosità delle autostrade liguri. L'ultima volta ponendomi una domanda retorica, ossia: “cosa sarebbe successo se il disastro di Bologna fosse capitato a Genova?” (1) In un'altra occasione, scrivendo una lettera aperta al ministro Toninelli (2), dove spiegavo che non è possibile continuare con le cure ai “pannicelli caldi”: bisogna cambiare radicalmente il nostro sistema di trasporti. Avete capito?!?

Un morto che camminava

Ogni volta che dovevo passarci, sudavo freddo. Avvertivo il tremito che, dall'asfalto, saliva al mio sedile ogni volta che sorpassavo un autotreno: un rumore come di rotaie, che corrispondeva ai rinforzi metallici posati sulla carreggiata. Inutili.
Per anni, sono stato testimone di lavori infiniti – manco gli Egizi ebbero tempi simili per le piramidi – ossia per “aggiungere ferro” (sotto forma di tiranti d'acciaio) per cercare di farlo stare in piedi, ancora un po', ancora un pochino...

Quando lo passavi, tiravi un sospiro di sollievo ma non avevi il tempo di rilassarti poiché, immediatamente, ti trovavi in una galleria poco illuminata con, allo sbocco, l'uscita/ingresso di Genova Aeroporto, poi una chicane degna di Montecarlo in galleria buia, seguita da un discesone che terminava in curva. A quel punto, anche se andavi piano, ringraziavi Dio, Allah, Jeova, la Trimurti e tutti i Buddha. Ancora una volta, il mio buon karma mi ha salvato.

Due parole su cosa può essere successo

La sera di Lunedì 13, osservavo da Savona il cielo verso Genova: dapprima, ho pensato ad uno spettacolo pirotecnico. Era veramente meraviglioso: una sequenza di flash illuminava non solo i nembi, ma anche i cumuli ed i cirri, pareva che Dio si divertisse a scattare in rapida sequenza dal suo comodo sedile, dalle nuvole dell'Olimpo.
Dall'interno della Liguria fino alle propaggini toscane era un continuo baluginare: no, non possono essere fuochi artificiali, questo è un temporale coi fiocchi, un nubifragio che si estende per tre regioni.

Mi sorprende come i “minimizzatori” abbiano la capacità di ridurre tutto ad “improbabile” - non impossibile! - senza considerare le connessioni multiple di causa/effetto. “Di acqua, su Genova, ne è sempre scesa mai tanta...” “di fulmini ne sono caduti...” “eh, il caldo non manca...” 
Quando, però, dopo il gran secco estivo, giunge improvvisamente una marea d'acqua, riempie i torrenti che diventano vere e proprie fiumare imbizzarrite e, guarda a caso, il pilone che ha ceduto aveva proprio i piedi a bagno.
Poi, il gran caldo, seguito da una precipitazione delle temperature di circa 10-12 gradi centigradi: e allora? Beh...una variazione così di temperatura, sui cavi d'acciaio...avrà qualche effetto? Secondo la Fisica sì, dopo un copioso allungamento, di mesi, un'improvvisa “strinata”...poi, a concludere lo spettacolo, un bel fulmine che colpisce il pilone. Magari proprio i cavi d'acciaio?

Sgombriamo subito il campo da ipotesi azzardate: il Ponte di Brooklyn sta ben fermo e ben piantato dal 1883. Ed avrà preso caldo, freddo e fulmini in quantità.
Nel nostro caso, invece, eravamo in presenza di un malato – e, questo, tutti lo sapevano, solo che speravano di passare la patata bollente al successore ed andarsi a godere la lauta pensione – un malato terminale al quale, per uno sbaglio, somministrano il triplo d'insulina destinata al vicino di letto.
Tutti sapevano che il ponte era un malato terminale, ma insistevano a tenere insieme i pezzi che si sfaldavano: pare che la morte c'infastidisca, al punto d'umanizzare anche le strutture.

Un po' di memoria storica

Il primo (ed anche l'ultimo) a rendersi conto che la cosa non poteva funzionare fu Bettino Craxi, nella seconda metà degli anni '80.
Un'autostrada costruita negli anni '50-'60 per il traffico dei turisti (pochi, come i soldi a disposizione) dei pendolari (pochi, le ferrovie funzionavano) e per i trasporti locali (e cosa vuoi portare, i pomodori in Spagna?!? C'avranno ben i loro!) iniziava a dare segni di “terza età”: diamo il merito a Craxi d'essersene accorto. O, almeno, d'aver ascoltato i suoi consiglieri. Oppure per una tangente? Va bene, magari anche per quello.
Craxi pose il problema ed il governo dell'epoca iniziò a studiare i costi per un “passante” che sarebbe dovuto passare alle spalle di Genova, da Voltri a Nervi, quasi tutto in galleria: chi era solo di passaggio (come gran parte dei TIR, che vanno dalla Spagna alla Romania e viceversa), poteva scansare tutti i rallentamenti dovuti ai 7 caselli dell'area urbana di Genova, e non scendere quasi in città a rompere i cosiddetti. Costo, 5,5 miliardi di lire. Poi arrivò Tangentopoli, e tutto passò in cavalleria.
Perché, la realtà di Genova è quella d'esser lunga 30 km e sottilissima, al punto che i viadotti dell'autostrada, oramai, in alcuni punti sono in piena città. Secondariamente, i genovesi sono obbligati ad usare l'autostrada per recarsi al lavoro o, comunque, per non infilarsi nel mortifero traffico cittadino: nel tratto autostradale di Genova, incontri anche autobus del trasporto locale, i camion dell'immondizia, ogni sorta di furgoni, furgonetti e camioncini.

Adesso, siamo al disastro

Maledizione! Avrà sbottato Toninelli: ma tutte a me devono capitare? Avrà telefonato a Beppe, a Genova... per sentirsi dire “belìn, sei proprio in una bella merda adesso...”
Pazienza per i genovesi, che dovranno tornare ad incolonnarsi ordinatamente, in coda, fra la Sopraelevata e l'Aurelia...non si troverà più uno scooter usato nemmeno a peso d'oro...ma il fiume di TIR super-globalizzati che macinano centinaia di chilometri e devono passare da lì?

Saggezza direbbe che, il primo lavoro da compiere, è sgombrare i due “mozziconi” del fu-ponte: non verrà mica, a qualcuno, l'idea di ripararlo?!?
Poi, andarsi a rileggere quello che il fu-governo Craxi aveva progettato di fare, oramai 30 anni fa.
Va da sé che dovranno collegare le due sponde del torrente Polcevera e, quindi, dovranno costruire un ponte provvisorio, per “cucire” insieme i due lembi d'autostrada interrotti.

Ma...non vorranno mica incanalarci, su quel ponte provvisorio, tutto il traffico dalla penisola iberica all'Est Europa?!? Dovranno deportare, per il casino che si creerà, una bella fetta di genovesi: va beh, ci sono le strutture lasciate libere dai migranti...prima gli italiani, giusto...
Perché, poi, bisognerà ricostruire il ponte, usando però l'autostrada come via di comunicazione quasi solo urbana: nello stato attuale, mi meraviglio che quel tratto autostradale abbia l'ok per la viabilità: mancano addirittura le piazzole per la sosta!!! Due corsie, gallerie strette, buie e macilente...e...fattele andare bene! Zitto e mosca! Ci vogliamo ributtare quei volumi di traffico, con sequele d'incidenti al seguito?

Datemi ascolto, almeno per una volta: obbligate i TIR in transito attraverso l'Italia ad imbarcarsi in un porto della costa spagnola ed a sbarcare a Genova, Marsiglia, Livorno, Napoli, Spalato, Patrasso...andata e ritorno...smettiamola di creare dolore, disastri, incidenti, morti, feriti, invalidi...solo perché i signori della “gomma” devono dettar legge?
La soluzione studiata per l'”emergenza” è brodo di giuggiole per i gestori delle autostrade: deviazione da Genova-Voltri ad Ovada, poi verso Milano, infine la vecchia Milano-Genova, fino al casello di Genova Ovest. In tutto, a spanne, un centinaio di chilometri in più: Benetton e Gavio ringraziano! Capiamo l'emergenza di qualche giorno, già meno quella di qualche mese...se poi sono anni, allora...è “compartecipazione ai dividendi”.
La vera soluzione si chiama: cabotaggio marittimo, ossia i traghetti,  perché il mare è enorme, non si pestano i piedi a nessuno, si risparmia carburante e gli autisti si possono riposare. I traghetti, oggi, superano i 20 nodi: in una notte ti portano da Barcellona a Genova, in 30 ore a Patrasso.

Se vi definite “sovranisti” o “populisti” dovrete comportarvi di conseguenza: dovrete scegliere se stare dalla parte della popolazione oppure con i Gavio ed i Benetton. Nel secondo caso, troverete come compagni “di cordata” anche Renzi, Berlusconi, Del Rio e tutta quella bella gente.

Le scelte politiche non sono proclami su Facebook: chi cerca solo il consenso elettorale può continuare così, a sbraitare sul Web. Ma, una persona ineccepibile come De Gasperi, ricordò: “un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”. Ricordatelo anche voi, ogni tanto.

(2) http://carlobertani.blogspot.com/2018/06/caro-ministro-toninelli.html

09 agosto 2018

A quando il prossimo disastro?

L'Italia importa, ogni anno, circa 60 milioni di tonnellate di petrolio greggio, senza conteggiare la produzione interna né l'apporto di gas metano: è un mare di petrolio, l'equivalente di 150 enormi petroliere da 400.000 tonnellate l'una. Una ogni due-tre giorni attracca ai terminal delle grandi raffinerie e, da lì, il greggio riparte tramite oleodotti per altre destinazioni, oppure viene raffinato.
Quando pensiamo “petrolio” la mente corre al distributore di carburanti, ma il 5% del greggio prende un'altra via: quella dell'industria petrolchimica. 3 milioni di tonnellate sono trasformate in migliaia di prodotti diversi i quali, se trasportati su gomma, si trasformano in circa 150.000 autocisterne che corrono lungo la rete autostradale: qui è il problema.

Il problema è più complesso, e il lettore esperto del settore scuserà le semplificazioni necessarie per affrontare un simile guazzabuglio in un articolo: pur tuttavia, qualche nozione per chi è “fuori” da questo mondo bisogna pur darla, altrimenti è del tutto inutile informare.
Scoprirà, al termine della lettura, che queste tragedie vengono sfiorate ogni giorno: ha ragione il premier Conte ad affermare che “siamo stati ancora fortunati”, perché poteva andare molto peggio, e tutti i giorni può andare molto, molto peggio.
Come saprete, ho pubblicato libri sul mondo dell'energia e dei trasporti e, per un caso della vita, ho un parente che per decenni ha condotto autocisterne con prodotti pericolosi, con la regolare certificazione ADR per il trasporto di queste sostanze: ritengo d'avere titolo per parlarne con cognizione di causa.

Sgombriamo subito il campo dalla vicenda di Bologna: l'autista s'è distratto per pochi attimi, niente di così trascendentale, aveva già 10 ore di lavoro sulle spalle al momento dell'incidente, e le ore massime di guida sono 9: per giungere a destinazione ne mancavano ancora tre-quattro. 13 ore di guida? E le norme del Codice? Ah, già...ma i dischi “taroccati” sono la regola, non l'eccezione, se non c'è anche la corruzione...
Sapere se è stata una chiamata, un video su Wathsapp od altro ancora non serve: una attimo di distrazione può capitare a tutti ed a lui, poveraccio, è costato la vita.
Nel caso dell'incidente ferroviario di Viareggio, invece, la causa fu identificata in un difetto di fusione (una “bolla” d'aria) presente nell'assale che aveva ceduto, innescando così il deragliamento del treno.
Paradossalmente, il carico (del camion e del treno) era di GPL – e dunque non rientrava nel novero dei derivati del petrolio destinati all'industria chimica, giacché il Gas Petrolifero Liquefatto è un semplice prodotto della distillazione frazionata – mentre il camion tamponato era carico di un solvente (non meglio precisato), il quale s'è infiammato nell'impatto, innescando poi la vera e propria “bomba” del GPL.

L'industria petrolchimica può fornire sia prodotti semplici (gas, benzina, kerosene, gasolio, ecc) oppure prodotti omogenei per singola molecola (ad es. n-propano, isobutano, ecc) e questi ultimi prendono il nome di “intermedi”, poiché – in genere – destinati all'industria chimica generale, dalle vernici alle materie plastiche, dai medicinali al sacchetto di plastica che usate al supermercato.

Semplificando, il petrolio greggio è molto simile ad una complessa costruzione con il comune gioco del Lego: compito delle raffinerie petrolchimiche è di separare i pezzi da due, da quattro, da otto, rettangolari o quadrati, circolari oppure ellittici. I quali, raggruppati così in universali omogenei, prendono il via verso l'industria chimica generale. Il paradosso, è che – magari – un'industria farmaceutica compra la stessa sostanza (intermedio) di un'industria delle resine e, ovviamente, il prodotto finale – dopo differenti reazioni -  è diverso.
Questa è la “forza” dell'industria moderna: produrre, in modo prevalentemente automatizzato, da sostanze uguali una panoplia infinita di prodotti, soltanto mutando le quantità ed i tipi di reattivi (intermedi) usati.

E le industrie sono disposte sul territorio come una manciata di coriandoli gettata al vento, collegate fra di loro con lunghe “stelle filanti”, ossia le vie di comunicazione: terrestri, marittime, aeree: per l'Italia, è un problema disperante.

Perché Conte ha detto “ci è ancora andata bene”? Poiché l'incidente si è verificato in un'area con grandi spazi – anche se già parzialmente urbanizzata – che ha consentito lo “sfogo” delle enormi pressioni e temperature registrate nell'incidente.
E se fosse capitato fra Genova-Voltri e Genova-Nervi? Trenta chilometri d'autostrada che corre in galleria oppure in mezzo alle case? Proprio accanto agli enormi silos petrolchimici del retroporto di Genova? A quanto si sarebbe fermata l'asticella dei morti: decine, centinaia di migliaia? Mezza Genova sarebbe bruciata: ma anche a Napoli non si scherza, a Venezia-Marghera, nella stessa Milano ed in mille altri luoghi.

La via più sicura per simili trasporti è quella marittima e fluviale: corrono lontano dai centri abitati e sono circondate dall'acqua.
In Germania, circa il 30% dei trasporti interni è su via fluviale: in Italia, nel primo dopoguerra, il trasporto fluviale era di 16 milioni di tonnellate, oggi raggiunge a malapena il milione di tonnellate, un'inezia.

Il problema – agghiacciante – è come far circolare 150.000 autocisterne ogni anno sulla rete autostradale, oppure sulla ferrovia, o ancora (meglio) da un porto all'altro. Attenzione: quelle 150.000 autocisterne non comprendono il normale rifornimento di benzina e gasolio, poiché quelli non sono intermedi, bensì prodotti diretti della distillazione frazionata!
E il fuoco, l'esplosione, non sono l'unico rischio: circolano sulle autocisterne milioni di tonnellate di prodotti altamente tossici o velenosissimi – pensiamo ai derivati cianidrici, usati nell'industria delle materie plastiche, dei collanti e delle vernici – i quali, se liberati al suolo, evaporano e possono uccidere in silenzio, senza che ce ne rendiamo conto.

Il Governo sta riflettendo se estendere la normativa dei trasporti eccezionali anche ai prodotti chimici pericolosi, ma è proponibile?
Come ben saprete, un serio trasporto eccezionale non può essere una burletta con semplici limiti di velocità: deve essere preceduto e seguito da un'autovettura che lo segnali. Vi immaginate non solo l'incremento dei costi, ma il conseguente intralcio alla circolazione? Con, in aggiunta, l'innescarsi di mille sorpassi con relativi pericoli?

Il Governo si trova alle prese con un problema enorme: da un lato le pressioni delle lobbies del trasporto su gomma, dall'altro il pericolo, sempre incombente, di disastri di queste proporzioni.
Ci sono soluzioni?

Le soluzioni sono di breve, medio e lungo periodo, non può essere diverso, giacché troppi anni di ritardi ci hanno portati a questo punto morto.

Il breve periodo

Un primo, semplice mezzo per diradare gli incidenti sulle autostrade risiede sugli interventi in materia di velocità e di tempi, poiché il trasporto su gomma deve il suo grande successo al non rispetto di tutte le normative: dal Codice della Strada ai contratti di lavoro, fino alle normative sull'immigrazione, soprattutto in termini di comprensione della lingua italiana ed inglese.
Ci vogliono autovelox che registrino la velocità effettuata ed inviino, automaticamente, un sms all'azienda interessata con la sanzione comminata: se la sanzione non viene pagata telematicamente nel volgere di 5 giorni lavorativi, scatta il fermo del mezzo. Per i mezzi esteri, nel medesimo caso, il fermo scatterebbe all'ingresso del territorio italiano: se possibile, anche prima, per non creare inutili aggravi all'azienda.

Ogni mezzo che trasporta simili sostanze deve essere munito di GPS (credo che già lo sia) il quale dovrebbe essere inviato alla centrale nazionale del traffico, unitamente al codice/i relativo all'autista/i.
In questo modo, se immesso nella rete satellitare, allo scadere delle 9 ore di guida il sistema fornirebbe automaticamente un allarme su quel mezzo, con l'ordine (via sms) di fermarsi nel volgere di 15 minuti, pena sanzione pecuniaria e sulla patente di guida: sono certo che gli autisti sarebbero più attenti nel fermarsi per tempo, in un luogo non deserto come una piazzola autostradale. Partenza, una volta trascorse le ore necessarie al riposo: in genere, il giorno seguente.
In caso di comportamenti truffaldini – invio di dati falsi, ad esempio – la sanzione sarebbe penale e comminata alla dirigenza dell'azienda.

Altro, nel breve periodo, non si potrebbe fare: però, almeno l'emergenza, sarebbe superata. In egual modo, si dovrebbero controllare i tempi di lavoro del personale ferroviario.

Il medio periodo

Nel medio periodo si dovrebbe agire su tre direttrici:

a) accelerare la transizione verso la trazione elettrica, perché questo comporterebbe una sensibile diminuzione dei rifornimenti di prodotti petroliferi, che sono pur sempre infiammabili e/o esplosivi. Una “stagione” d'alcuni anni di “rottamazioni” veramente convenienti per chi compra un'auto elettrica (costi, risparmi sulla tassazione, ecc) che potrebbero essere finanziati anche con contributi europei. Parallelamente, accelerare la posa di condotte elettriche più consone per il rifornimento elettrico sulle autostrade.

b) rivedere le scelte politiche degli ultimi anni per quanto riguarda gli standard di sicurezza ferroviari, per poter fare affidamento su un sistema su rotaia che, se attentamente e regolarmente attuato, abbassa notevolmente il rischio di incidenti: assali che si spezzano perché non sono stati debitamente controllati, oppure rotaie rabberciate col fil di ferro non devono più esistere. Perché la grande officina di Foligno è stata quasi rottamata? Perché i treni “comuni” ed i merci sono oramai dei ferrivecchi ambulanti?

c) Allo stesso modo, porre sotto la lente d'ingrandimento la rete degli ispettori del Registro Navale (RINA) e della Guardia Costiera, i quali – anche se con solerzia ti fanno la multa su una barca da diporto per una lampadina bruciata – chissà perché, quando si tratta di grandi navi (e grandi lavori, grandi costi...ecc...capito mi hai?) non sempre risultano all'altezza. Perché le grandi navi comportano anche grandi rischi: vedi la Haven, bruciata ed affondata nel 1991 al largo di Genova, che poco prima di giungere a Genova aveva ricevuto l'assenso alla navigazione (la “revisione”)  dal RINA, mi pare a Messina.

Una volta rimesso ordine in questa materia, si potrebbero “accorciare” le tratte su gomma/ferro creando degli hub per lo scarico di queste sostanze più vicini alla consegna od al consumo. Anche i porti di media grandezza potrebbero entrare in questo “circuito” di cabotaggio costiero, il quale solo all'apparenza può apparire complesso, perché le economie di scala che si otterrebbero limitando al minimo le tratte terrestri compenserebbero ampiamente qualche incremento di rotta. E consentirebbero una forte riduzione dei rischi.

Il lungo periodo

Come si fa a pensare in termini di “lungo periodo”, in un Paese dove le maggioranze parlamentari si formano sulla base di vaghe comunità d’intenti e, spesso (in passato), condizionate da piccoli ed agguerriti partitini formatisi “alla bisogna”, ossia espressioni del lobbismo più deciso a farsi valere?
Questo è il vero problema, inutile girarci attorno: poi, le soluzioni ci sono.

La soluzione principale è togliere gran parte del trasporto su gomma e deviarlo sulla ferrovia o, meglio, sull’acqua.
A questo proposito, perché non porre fine all’infinito tormentone (iniziato da Mussolini nel 1941) del canale navigabile di Milano? Ad oggi, ne sono stati costruiti circa 12 Km (da Cremona) poi…tutto si è fermato, in un tripudio di liti e di carte bollate. Quindi un nuovo progetto: costo, 2 miliardi dei quali la metà finanziata dall’UE.
Ma, in Italia – nella stessa Italia dove ti seppelliscono interi camion di rifiuti e poi ci piantano sopra l’insalata – se progetti di scavare il letto di un fiume per consentire alle navi fluviali di passarci, ti saltano addosso le associazioni degli agricoltori, poi cacciatori e pescatori, quindi i cicloturisti, le associazioni ambientaliste, Province, Regioni…per terminare un canale che toglierebbe, con una sola nave fluviale, 84 TIR la volta dalle strade? C’è da darsi i pizzicotti. Da non credere.
Non aggiungo altro: il canale è lì, basta terminarlo: potrebbe giungere, oltre che a Milano, fino a Pavia, a breve distanza dal sistema produttivo piemontese. Con la risistemazione del canali veneti, il Nord Italia sarebbe servito da un’infrastruttura non inquinante (le navi, già oggi, possono andare a metano e, in futuro, con i motori elettrici), che passerebbe lontano dalle case e che scodellerebbe – molto vicino ai luoghi di produzione/consumo – una serie infinita di prodotti, fra i quali quelli pericolosi. L’Italia peninsulare potrebbe utilizzare una cinquantina di porti secondari – da Imperia a Monfalcone – per i quali basterebbe costruire un terminal nelle acque territoriali, a poche miglia dalla costa, mediante il quale caricare/scaricare liquidi e gas. Troppo difficile? Oneroso? Per niente: anzi, alla fine ci sarebbero anche dei risparmi di scala.

La “vulgata” dei dirigibili, poi, è tutt’altro che una “vulgata”: è un sistema serio, pensato una ventina d’anni fa dai tedeschi, proprio per le consegne di materiali molto ingombranti e pesanti – i carichi eccezionali, ma anche quelli pericolosi – direttamente dal “cortile” di uno stabilimento ad un altro.
C’era il progetto del Cargolifter – che poteva sollevare 160 tonnellate (il carico di 5 TIR) – ma il progetto non andò avanti per la mancanza di fondi, segno che “qualcuno” aveva premuto sulle banche affinché stringessero i cordoni della borsa.

Premettendo che la tecnologia odierna si basa sull’Elio – e non sull’infiammabile Idrogeno – è stupefacente notare come questa tecnologia nacque proprio in Italia e in Germania: il dirigibile norvegese Norge – che conquistò il Polo Nord – era, in realtà, l’ex dirigibile N1 di proprietà della Regia Marina, venduto ai norvegesi.
Oggi, con le attuali tecnologie, non sto a dilungarmi su cosa si potrebbe fare: addirittura, un simile aeromobile non necessiterebbe nemmeno di pilotaggio, giacché potrebbe essere radiocomandato (con le precauzioni del caso) direttamente da terra. Rivestito di pannelli fotovoltaici flessibili, non necessiterebbe nemmeno d’essere rifornito.
Qualcosa si fa, alcune piccole aziende producono piccoli dirigibili per la videosorveglianza – e, per questi compiti, sono economici, sia per i costi e sia per la manutenzione – ma, per passare al trasporto di merci vero e proprio, ci vorrebbero investimenti. Che “qualcuno” blocca.

Come potrete notare, in sole cinque pagine ho riassunto un vademecum per ovviare ad una serie di problemi, attualizzati dal disastro di Bologna. Ovviamente, già oggi (dopo soli 3 giorni), una vicenda che poteva diventare una strage di ben altre proporzioni è scomparsa da tutti i giornali mainstream,  ma state tranquilli: se si continuerà a non fare nulla, un giorno non molto lontano tornerà a materializzarsi sotto i nostri occhi. Speriamo non troppo vicino.

01 agosto 2018

Ritorno al passato

Macchina volante di Leonardo (1485 circa)
Sarà solo un governo in fase “balneare” ma, se il buon giorno si vede dal mattino, i temporali stanno per scoppiare in concomitanza con le prime tempeste autunnali, che – di norma – avvengono a cavallo dell'equinozio.
I due partiti di maggioranza stanno benissimo: rappresentano – secondo i sondaggi – il 60% dei votanti: segno che il gradimento c'è, però è un consenso sofferto da entrambe le formazioni e, in più, sofferto poiché limitati da ministri che non si sa chi abbia voluto. Oddio, si sa da dove vengono Tria e Moavero, ma se i due alfieri giallo/verdi continueranno su questa strada, andranno a ramengo nel volgere di un annetto o poco di più. Ci possono essere altre soluzioni? Vediamo.

 La questione TAV

Nel cosiddetto “contratto di governo” i due leader sottoscrissero:

Con riguardo alla Linea ad Alta Velocità Torino-Lione, nell'applicazione dell'accordo tra Italia e Francia, ci impegniamo a sospendere i lavori esecutivi e ridiscuterne integralmente il progetto.”

Oggi, Salvini (forse pressato da ambienti imprenditoriali del centro destra) fa orecchie da mercante e vuole assolutamente completare la TAV: i sondaggi gli hanno dato alla testa, ed il povero ragazzo di campagna si sente Napoleone. Quello che non sa (anche controllando la RAI) è che, un'ora dopo aver sotterrato l'esperimento con i 5S, partirebbe una campagna a tre reti unificate (Mediaset) che lo distruggerebbe nel volgere di poche settimane. A che pro, Berlusconi dovrebbe tenersi un alleato infedele? Il satrapo di Arcore vuole dipendenti, non delfini.
Perciò, se vuole sopravvivere politicamente, si tenga stretto Di Maio, perché altro il convento non passa.
Come risolvere la faccenda salvando le capre della Val di Susa ed i cavoli europei?

Oddio, Toninelli, non si consumi in studi apocalittici, non cerchi di generare l'acqua dal deserto...non serve niente di tutto questo: basta una semplice constatazione, affidandosi alla realtà.

I traffici lungo la tratta incriminata toccarono il loro apice nel 1997, raggiungendo i 10 milioni di tonnellate: oggi, sono precipitati a 3, mentre le previsioni dei soloni delle gallerie ne prevedevano, per il 2018, ben 12. Sono fonti del Governo Gentiloni del Febbraio 2018 che tutti possono consultare in rete.
Vogliamo condurre a termine il “ripensamento”, Toninelli?

Il pomo della discordia, il tratto da completare, è soltanto quello di montagna, fra Susa e Saint Jean de la Maurienne, in Francia, un'ottantina di chilometri. Ma la linea ferroviaria già esiste: ha una velocità massima media, sul percorso, di 60 Km/h: con qualche lavoro d'ammodernamento, potrebbe arrivare ad 80 Km/h.
3 milioni di tonnellate sono, all'incirca, 3.000 treni merci l'anno: meno di 10 treni il giorno. 5 che salgono verso la Francia e 5 che scendono in Italia.
Ma, veramente, vogliamo dissanguarci di polemiche per 10 treni?!? Avevo due amici capistazione, negli anni '70, proprio addetti ai treni che scendevano dalla val di Susa, a Torino-Smistamento.
Mi parlarono del loro lavoro, del coordinamento di “decine” di treni che andavano e venivano dalla Francia (soprattutto di notte) ma non c'era nessuna atmosfera di tregenda: era lavoro, un lavoro di grande responsabilità, ma nient'altro. Per quel che ricordo, non ci furono gravi incidenti su quella linea.

E, adesso, per un “errore” di previsione sui traffici fatto dalle sempre solerti burocrazie europee, vogliamo scatenare un'atmosfera da guerra civile?
Ma per favore, Toninelli: dirotti gli scarsissimi volumi di traffico sulla vecchia linea, utilizziamo i tratti di TAV di fondovalle già costruiti e finiamola lì. Ma mettiamoci un punto, veramente.

La questione F-35

Il ministro Trenta ha senz'altro un buon curriculum per fare il suo dovere: ha il grado di capitano della Riserva, ha partecipato a numerose missioni all'estero ed ha una coerente preparazione universitaria.
Forse, dovrebbe fermarsi un momentino a riflettere sulla nostra Storia militare, sulle nostre capacità belliche e sulle nostre, attuali, necessità.
Questo, perché sulla questione F-35 mi è sembrata più una “Pinotti 2” che un ministro 5S. E non è una mera questione di schieramento od elettorale.

La nostra, giovane, nazione ha vissuto due guerre: una mezza vittoria di Pirro – leggetevi qualcosa su Caporetto: come avvenne, quali furono le contromisure, ecc – ed una cocente sconfitta. In entrambe le situazioni fu chiaro che il corpo dirigente delle Forze Armate era inadeguato ed impreparato a svolgere i compiti di una guerra moderna, fortemente interconnessa fra i vari corpi.
L'art. 11 della Costituzione mise parzialmente una pietra miliare sulla questione della difesa: “L'Italia ripudia la guerra”, anche se poi si concede la partecipazione alle alleanze internazionali.
Ma, il punto focale, è che l'Italia provvede alla sua difesa. Non ad altro.

Fino al 1980 le nostre forze armate erano (forse) in grado di difendere il confine orientale, almeno per qualche tempo: dopo, avvenne il mutamento.
La forza di Marina ed Aviazione fu incrementata, com'era coerente con lo sviluppo tecnologico, la difesa fu portata all'area esterna di difesa, non al semplice territorio: ogni minaccia che si manifesta nel Mediterraneo centrale è da considerarsi, potenzialmente, come una minaccia all'Italia. E questo è giusto.
Perciò, la Marina si dotò di portaerei: per la dissuasione nei confronti delle potenze nord-africane e come “veicolo” di protezione nei confronti dell'espansione degli interessi nazionali in quelle aree. L'ENI in primis.
Giusto o sbagliato che sia questo assioma, quali possono essere le minacce?

Se le minacce sono portate da grandi potenze munite d'armi atomiche, spendere dei soldi in navi ed aerei è completamente inutile: è solo ferraglia destinata ai pesci. Leggermente diverso per missili, droni e sottomarini: almeno, c'è la speranza di dissuadere qualche avventuriero, che rischierebbe di pagarla a caro prezzo, ma non c’è nessun pericolo che ciò avvenga, perché l’Italia brilla per adottare sistemi di difesa del passato.
La Marina Italiana ha un comportamento, per quanto riguarda la pianificazione, che non è cambiato con l'esperienza di due guerre mondiali. Uno stile che oseremmo affermare “schizoide”
I più moderni sottomarini italiani – classe “U 212” (italianissimi, eh?) – non lanciano missili, bensì solo siluri: i missili sono disponibili, ma noi abbiamo preferito costruire dei battelli “spuntati”: perché? Chiedetelo agli ammiragli, a quelli con le “lasagne” al braccio.
E veniamo all'F-35.

L'aereo è un grosso dubbio: la sua capacità operativa è contrastata da mille vulnus, tutti – per carità – da verificare.  L'operatività di questi mezzi, dal ponte di piccole portaerei come la “Cavour”, è incerta.
Ma a cosa ci servono?!?

Sono enormemente grossi e pesanti (e, al peso, corrispondono i costi) ed utili per operazioni di strike sul territorio nemico. Chi dobbiamo andare a bombardare, di grazia? Al costo di 131 milioni di $ il pezzo? (versione B).
Soluzione saggia, sarebbe l'installazione di due catapulte (a vapore, od aria compressa) nella sezione prodiera della Conte di Cavour, per poter usare  l'MB 346K (già venduto ad Israele, alla Polonia, a Singapore e con altre trattative in corso), un ottimo addestratore/caccia tattico prodotto in Italia che, per gli usi di difesa aerea da minacce non di altissimo livello, sarebbe perfetto. Fra l'altro, una versione da caccia, porterebbe lo stesso armamento dei Sea Harrier, ossia 4 AIM-120 e 2 AIM-9 Sidewinder (e versioni successive, in futuro). Al costo di 20 milioni di $ il pezzo: con un solo F-35, se ne acquisterebbero ben 6! Se i Sea Harrier erano considerati validi, l'MB-346 li surclassa in molti parametri di volo.
Non sostengo che l'Aermacchi MB 346K sia un caccia di V generazione, non lo metto alla pari con i velivoli già presenti in molte aeronautiche fra le più potenti: faccio un atto d'umiltà, e vorrei che si comprendesse che l'Italia non è una grande potenza, ma il vaso di coccio fra le medie potenze mondiali: di più, non possiamo permetterci.

Se, invece, la storia è che dobbiamo comprare gli F-35 perché i contratti erano già stati siglati, era del tutto inutile mettere nel programma elettorale la rinuncia al velivolo. Raccontiamo alla gente “Dobbiamo comprare americano e basta, ficcatevelo bene in testa, anche se sono dei rottami. Capito?” e non delle frottole, “faremo, saremo, potremo” perché, dopo, ci si perde la faccia.

Perché questi due esempi?

A ben vedere, sono due aspetti della medesima vulgata imperialista e globalizzatrice: non puzzano, lontano un miglio, di “crescita infinita”, “difesa della democrazia” e quant'altro?
Anche le celebrazioni per la morte di Marchionne ne sono un esempio: non è forse stato l'uomo che ha distrutto l'industria automobilistica italiana per salvare la Chrysler? Che ha ridotto le maestranze di Mirafiori da decine di migliaia a 2.500? Che ha ucciso la Lancia? Fatta salva la pietas per la  sua sofferenza e la conseguente morte, i toni celebrativi stonavano, ma anche questo è un segno della medesima borghesia imperialista che celebra se stessa.

Un governo che è stato eletto da due elettorati distinti, ed anche diversi fra loro, ma convinti che sia necessaria una “sterzata” nella politica interna ed internazionale, non può adagiarsi sulla confisca dell'aereo di Renzi, sui vitalizi o sulle fanfaronate della “lotta” ai migranti, ai neri, ai rom, agli slavi…e compagnia cantante.

Gli italiani non si sentono più sicuri se hanno una pistola in casa: si sentono più sicuri se il lavoro è sicuro, non altalenante, a progetto, a schifio…ecc, ecc…se, quando hanno un serio problema di salute, non devono girare come trottole per mille ospedali con cento fogli in mano, ma trovano qualcuno che li ascolta e che tenta, almeno, di risolvere il problema.

Se gli F-35 non possiamo fermarli perché dispiace a Trump, la TAV non si può fermarla perché a Bruxelles urlano, se i vitalizi li possiamo solo “limare” un pochettino, altrimenti piovono milioni di ricorsi perché, legge alla mano, sono un diritto acquisito…se le accise sui carburanti non si possono toccare altrimenti salta il bilancio dello Stato, idem per il reddito di cittadinanza – oramai divenuto un reddito di inclusione un pochino più soft – cos’avete blaterato?

Cose buone avete cercato di farle, nessuno lo mette in dubbio – basti pensare al “miracolo” del buon rapporto creato da Conte con Trump – ma, se non si cerca di far capire che è il sistema ad essere marcio, si fa la fine di Tsipras e, credetemi, a fare la parte del Varouflakis di turno non si sta troppo bene, perché quel “guarda dove sbagli!” è doloroso da affermare, è un copione troppo facile, supponente, tedioso.

Tornate a parlare dei vostri cavalli di battaglia: non ho sentito più nessuno parlare di energia ed ambiente, di trasporti veramente innovativi, di impresa che coniughi la fantasia (tutta italiana) con la tecnologia – non la fredda tech-gleba – perché i migliori abiti sono italiani, le migliori scarpe sono italiane, il miglior cibo è italiano, i migliori arredamenti sono italiani, i migliori stilisti dell’auto sono italiani, le migliori macchine per la lavorazione del legno (pochi lo sapranno) sono italiane…ovunque esista una macchina che richieda/produca qualcosa di fantasioso ed originale, c’è lo zampino italiano. Abbiamo un mondo dentro di noi, da insegnare, da tradurre, da far conoscere: secoli di primati da mostrare.

Gridatelo al mondo, fatevi sentire: ne saremo orgogliosi, ed è giusto che sia così.