31 marzo 2021

A ciascuno il suo personaggio, in cerca d’autore

 

Quando, analizzando una situazione storica, si pongono dei dubbi è sempre salutare: non significa creare una “nuova verità” storica, né fare dell’inutile revisionismo, bensì sgombrare la piazza dal ciarpame e dalle cartacce.

Lo storico Emilio Gentile (che si definisce un liberale) ha compiuto un ottimo lavoro nei suoi libri: s’è guardato bene dal creare dei diktat incontrovertibili, mentre ha dato un po’ di fiato ai molti dubbi che ancora sussistono sulle vicende della 2° Guerra Mondiale italiana. Che, paradossalmente, almeno per il copione, giungono fino ad oggi.

 

Un semplice esempio, che sempre mi ha traversato la mente è: se Mussolini aveva ben compreso che la guerra era perduta, perché accettò d’indossare i panni di un Quisling per fare un favore ai tedeschi? Mussolini era un po’ gradasso ed un poco sopra le righe ma non era stupido, se non altro era dotato del buon senso succhiato, col latte materno, dalla terra che lo aveva generato. Una terra fatta di contadini, che crescevano impastati con la malta della concretezza.

Per questa ragione accettò d’assecondare la Germania nel 1940: una scommessa, la previsione di un “raccolto” che la grandine (più facile da prevedere anzitempo per un intellettuale od un militare) devastò, e con essa l’Italia intera.

 

Basti riflettere che, in tre anni di guerra, l’Italia non riuscì a mettere in campo un carro armato almeno accettabile per gli standard dell’epoca: i nostri corazzati li sbucazzavano le mitragliatrici. Una discreta Marina, ma priva di un’aviazione propria (che fece la differenza) per questioni interne agli equilibri di regime, mentre i nostri sommergibili erano sì tanti, ma con delle dotazioni tecniche che fecero sbottare ad un ufficiale tedesco della base atlantica di Bordeaux (dove operarono i nostri sommergibili atlantici) “che la differenza fra un sommergibile tedesco, rispetto ad uno italiano, è la stessa che esiste fra un sommergibile italiano e le navi di Colombo.”

L’Aviazione, in termini quantitativi, sembrava potente ma, qualitativamente, faceva pena: soltanto nella Primavera del 1943 entrarono in servizio caccia paragonabili agli Spitfire, solo che – mentre da noi entravano in servizio a decine – fra gli Alleati li contavano a centinaia.

Non voglio tediarvi oltre, però questa premessa bisognava farla per giungere alla vera questione alla quale si deve rispondere: cosa si aspettava Mussolini dalla seduta del Gran Consiglio del 25 Luglio 1943? L’ultima riunione, prima di quella seduta, era stata il 7 Dicembre 1939. Una vita prima. Perché, allora, convocarlo di nuovo?

 

Mussolini, quando prese posto quella sera, si portava appresso alcuni avvenimenti che non poteva sottovalutare né dimenticare: il 9 Luglio del 1943 gli Alleati erano sbarcati in Sicilia, praticamente indisturbati e il 22 dello stesso mese entravano a Palermo: due settimane per conquistare l’isola! Già gruppi di commando agivano in Calabria, per preparare lo sbarco nella penisola.

Un Mussolini abulico e depresso si presentò a Feltre il 19 Luglio per un incontro (inconcludente) con Hitler: nello stesso giorno, gli Alleati bombardarono per la prima volta Roma, inviando un avvertimento terrificante e facendo circa 3.000 morti ed 11.000 feriti.

Quale poteva essere lo stato d’animo di Mussolini?

 

Tornato a Roma convocò subito il Gran Consiglio. La mia ipotesi fu che il Duce del Fascismo sperasse d’essere esautorato: a ben pensarci, altre scelte non le aveva.

 

Passò l’Ordine del Giorno Grandi e Mussolini fu spodestato: insieme a lui sparì il Fascismo italiano e il giorno dopo, Domenica, non c’era più una camicia nera per le vie di Roma e quasi deserti erano i gangli più importanti del potere fascista.

Era rientrato a villa Torlonia alle 4 del mattino e, alla moglie Rachele ansiosa che gli domandava “li farai arrestare tutti, no?” rispose “sì, lo farò domani…” Ma non lo fece, e secondo me lo sapeva benissimo: mentì e basta. Ma non finisce qui.

 

Poteva scatenare la Milizia fascista, arrestare i congiurati, anticipare la guerra civile……invece no, chiese semplicemente udienza al Re – che lo odiava di brutto – in una Domenica assolata ed afosa del Luglio romano, scompaginando tutte le previsioni e le tattiche di Vittorio, che fu costretto ad anticipare quello che da tempo pensava di fare.

Così, dopo un colloquio afono, se ne andò tranquillamente, accompagnato da un ufficiale dei Carabinieri in una ambulanza: per essere certi della riuscita, i Carabinieri lo fecero accompagnare sull’ambulanza da tre sottufficiali corpulenti, ma non ce ne fu bisogno. Mussolini appariva tranquillo: la tranquillità di una persona depressa.

 

Dopo vari giri in diverse caserme di Roma, giunse alla Scuola Allievi Carabinieri di Roma, sita in via Legnano: il colonnello Tabellini lo ricevette al circolo ufficiali ma poi, visto il giorno festivo, mica poteva lasciarlo in un circolo quasi deserto in compagnia di un paio di giovani sottotenenti attoniti! Invitò, quello che fino a poche ore prima era il suo comandante supremo, a salire nella sua abitazione.

Non sappiamo se ci fu una tranquilla cena in famiglia, ma il colonnello Tabellini, che ebbe ospite il Duce nella sua abitazione all’interno della caserma di Via Legnano, riferì: “Tenne un contegno che francamente mi meravigliò fino a sconcertarmi…in sostanza ebbi l’impressione che il nuovo stato di cose lo avesse liberato da una situazione insostenibile. Più che rassegnato mi sembrò sollevato.

Ed è difficile non comprendere il senso, profondo e rilevatore, di quelle affermazioni, fatte da un ufficiale che non lo conosceva personalmente e che lo aveva immaginato per anni ed anni, probabilmente, del tutto diverso.

 

Poi, Mussolini fu inviato “in crociera” nel Tirreno in varie isole e, infine, mandato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, credendo che gli fosse impossibile scappare. Ma, anche qui, ci furono sorprese.

Mussolini non aveva tanta voglia di finire come Gauleiter dell’Italia Settentrionale sotto il tacco dei tedeschi, però comprese che aveva delle responsabilità alle quali non poteva sottrarsi: era stato lui ad insistere per la guerra – tutti i generali erano contrari, poiché l’Esercito Italiano del 1940 non era impreparato, era semplicemente inesistente: poche divisioni, incomplete, molte senza armamento – e, in quei giorni, dovette sentirsi soverchiato dai suoi errori, abbattuto, depresso (e, in questo senso, molti storici concordano).

 

Lo storico Emilio Gentile ebbe un colloquio con Vittorio Mussolini, figlio di Benito ed ufficiale a Salò, il quale gli confessò che il padre comprese che, andarsene al Nord in uno Stato fantoccio, non sarebbe stata una repubblica “fascista e sociale” come lui intendeva. Sperava, però, che in quella situazione un governo italiano sarebbe potuto essere almeno una forza di mediazione fra lui e l’occupante tedesco.

Se il gioco gli riuscì è difficile dirlo: tanti partigiani morirono fucilati, ed anche molti giovani della Repubblica Sociale ci rimisero la pelle. Ci sono alcune indicazioni (provate) che Mussolini cercò in tanti modi d’evitare il campo di concentramento per gli ebrei (verso il ’45 giunse a dire “dite loro che non abbiamo i camion per portarglieli”) però è molto difficile dare giudizi obiettivi in una situazione così intricata: la “risiera” di San Sabba, a Trieste, funzionò proprio all’epoca della Repubblica di Salò, e fu l’unico vero campo di sterminio in terra italiana.

 

Anche la disposizione dei Ministeri della Repubblica Sociale fu decisa dai tedeschi: Mussolini abitava a Gragnano, nella villa Feltrinelli, e doveva “ospitare” un tenente tedesco che gli teneva gli occhi addosso. I vari ministeri, poi, furono sparpagliati sul territorio: Salò, ma anche Mantova, Cremona, Verona, Padova e Venezia. Ai tedeschi bastava intercettare le conversazioni telefoniche per capire cosa succedeva nella cosiddetta “Repubblica”.

 

Ne volete un’altra?

La mattina del 9 Settembre 1943, i destini del Re e di Mussolini, probabilmente, s’incrociarono una seconda volta, quando il convoglio della famiglia reale e dei generali in fuga verso Pescara dovette passare quasi “a tiro di sguardo” da Campo Imperatore, dov’era prigioniero Mussolini. Una trentina di chilometri, nulla più.

Il convoglio reale – se la cosa vi stupisce lo comprendo – passò indisturbato, scortato da due autoblindo, in ben tre posti di blocco tedeschi, nei quali nessuno ebbe nulla da ridire. Il 10 Settembre, imbarcati sulla corvetta Baionetta giunta da Zara, i reali salparono da Ortona ed un ricognitore tedesco li sorvolò per un tratto di mare, fotografò tranquillamente la nave della famiglia reale e se ne andò, senza disturbare e senza essere disturbato. La nave giunse a Brindisi sana e salva mentre, di fronte all’Asinara, il giorno prima i tedeschi avevano affondato la nave da battaglia Roma, che andava ad arrendersi a Malta: l’affondamento fu cronologicamente preciso, quasi al minuto, con la fuga del Re dal Quirinale.

I tedeschi non avevano dunque più aerei in Adriatico?

 

Non sembra proprio, dato che il 2 Dicembre del 1943 ben 105 bombardieri tedeschi – decollati dal Nord Italia e dalla Grecia – bombardarono Bari (occupata dagli inglesi) in modo preciso e devastante.

E Mussolini?

 

Appena il Re fu a Brindisi, l’11 Settembre, scattò una nuova operazione: la liberazione di Mussolini. Tutti sappiamo che fu un’azione dei commando-paracadutisti tedeschi che giunsero, il 12 Settembre, con degli alianti ed un ricognitore per portarsi via il prigioniero.

Ah, scusate, dimenticavo…Campo Imperatore era stato fortificato e dotato di mitragliatrici pesanti contraeree le quali, però, molto stranamente il giorno prima furono rimosse per ordine di un Ispettore di Polizia, che nelle “foto ricordo” si nota mentre chiacchiera amichevolmente con l’ex Duce. Anche i cani da guardia furono messi alla catena e fu dato l’ordine di non sparare contro nessuno: morirono solo due italiani, che erano dislocati distante e non avevano ricevuto gli ordini.

Mussolini cenò tranquillamente e partì verso Pratica di Mare sul piccolo ricognitore, dove lo attendeva un altro aereo per condurlo a Vienna.

Non è possibile dimostrare che vi fu uno scambio ma, se le prove latitano, i dubbi sono forti e restano.

 

Dopo quei giorni zeppi di stranezze e di colpi di scena, tutto s’acquietò. Gli Alleati – padroni dell’Aria e del Mare – non decisero di chiudere la faccenda sbarcando, magari, in Romagna ed imbottigliando così le divisioni tedesche nell’Italia peninsulare. No, preferirono una lunga guerra durata quasi due anni, con tanti morti da una parte e dall’altra ed una popolazione sfibrata, affamata, delusa, stanca di vivere quell’inferno. Ma un’Italia stremata faceva parte del copione, ed i copioni vanno sempre rispettati.

La ragione politica è semplice: Stalin desiderava che si aprisse il fronte francese, mica che gli Alleati salissero dall’Italia verso Vienna per incontrarlo in Ungheria! Quella è roba mia e non si tocca! E ci fu lo sbarco in Normandia.

 

La fine fu improvvisa: non ho mai creduto che Mussolini avesse “bevuto” l’ennesima balla dei suoi apparati: quella della “ridotta” della Valtellina. Dopo che gli avevano raccontato di centinaia d’aerei pronti a difendere la Patria, e storie di navi inaffondabili, credo che avesse compreso con chi aveva a che fare. Difatti, Graziani si “sfilò” elegantemente dal corteo e sparì in un monastero di Milano: quattro giorni dopo si consegnò al comando americano. Era uno sterminatore d’etiopi, ma non era un ingenuo.

Mussolini, invece, non poteva “sfilarsi” e dunque sfidò la sorte: Svizzera o morte. Ancora una volta l’antico romagnolo ebbe il sopravvento e, di fronte al lancio dei dadi, non si tirò indietro: questa volta, a tradirlo, fu un oscuro capitano tedesco e non la potenza Alleata, il quale barattò il via libera in Svizzera con la vita di un italiano. E chissenefrega se crepa un italiano: ne abbiamo ammazzati tanti…

Successivamente, le dietrologie e le false o vere “piste” non mancarono.

 

Negli anni seguenti, la Storia ufficiale iniziò le sue indagini affidandosi alle prove ed ai documenti ufficiali, senza i quali nulla può essere validato! Peccato che i documenti ufficiali fossero spariti!

La Storia popolare si mise in moto e, come un caleidoscopio, creò un pantheon di figure, ciascuna corrispondente ai desideri delle principali tipologie d’italiani dell’epoca: la stampa diede una grossa mano.

Nacquero così, come generate da un palcoscenico, le figure del Re Salvatore, Soldato, Fellone, Stupidotto, Nanetto…e quelle del Duce Eroe che voleva Salvare la Patria, Grande Statista, Gran Bastardo, uccisore di Soldati inermi e mal vestiti, Fucilatore di Partigiani…e così via. A seguire, le figure di eredi al trono, regine, gerarchi…non mancarono di generare nuove vicende e sbalorditive “rivelazioni”.

Più avanti i Reali inglesi, che tutto manovrano, furono ben tratteggiati: persino un’ingenua principessa che muore in un sottopassaggio parigino con, a bordo dell’auto, un uomo dei servizi segreti inglesi che miracolosamente si salva..eccetera, eccetera…

Un clamore afono, che ci fa sentire sgomenti.

 

Perché ho raccontato queste vicende?

Poiché nascono da un tempo lontano, del quale rischiamo di perdere la memoria e di farci prendere per il naso. E poi: guardatevi attorno…che ve ne sembra di figure come Draghi o Mattarella, Grillo o Renzi, Letta o Salvini…forse non calcano anch’essi un palcoscenico e poi passano a nuovi copioni, proprio come gli attori di teatro? Il Fascismo, radicato da vent’anni, in una sola notte scompare dal panorama italiano: la Democrazia Cristiana regna per decenni senza un alito di tempesta, poi nasce la bufera di Tangentopoli, compare un ex poliziotto molisano che non sa nemmeno l’Italiano e fa il magistrato (?) e tutto svanisce nel volgere di poche settimane?

 

Vince le elezioni, a man bassa, un nuovo partito che – miracolosamente – esprime un premier come mai se me sono visti in Italia ma deve sparire, in fretta, senza inutili clamori. Il sipario s’abbassa: una nuova scena, alla riapertura, è già pronta. Vengono prontamente richiamati personaggi stantii, che aspettavano solo d’andare in pensione, giungono dall’estero ex segretari di partito divenuti docenti universitari, calcano il proscenio manager sconosciuti: ma un ex banchiere di Goldman & Sachs garantisce per tutti.

Baristi e ristoratori, che erano diventati la nuova leva rivoluzionaria, si zittiscono immediatamente e scompaiono dalla scena, si cambiano nel camerino ed escono dal teatro.

 

Solo un uomo comprese tutto con decenni d’anticipo: Leonardo Sciascia. A ciascuno il suo.

22 marzo 2021

Cervelli all’ammasso

 

Un pifferaio incanta un altro pifferaio

La tragicomicità della politica italiana si basa soltanto sugli scherni, i dejà vu, le battutacce nei confronti degli avversari: programmi, decisioni, proposte…cosa sono?

Così, oggi, dobbiamo celebrare un rito propiziatorio per la grande pensata del guru a 5 Stelle: la creazione (dal nulla, che finirà nel nulla) di un cosiddetto Ministero della Transizione Ecologica aggiudicato a Roberto Cingolani. Se scegliessi la vulgata imperante, direi soltanto che era un fervente frequentatore della Leopolda, ma entrerei in contraddizione con quanto sopra esposto: meglio, allora, passare ai progetti.

Devo riconoscere che il piatto è un poco poverello: l’Idrogeno “Verde” e la fusione nucleare.

 

Della seconda si fa presto a dire: sono almeno vent’anni che la Francia si è assunta l’onere del progetto, e risultati non se ne vedono. Non perché i francesi non siano capaci di creare un generatore d’energia basato sulla fusione nucleare: semplicemente perché, ri-creare le condizioni di pressione e temperatura che ci sono sul Sole, non è mica uno scherzo. L’abbiamo già fatto, creando le bombe all’Idrogeno, ma è del tutto evidente che creare un’arma distruttrice che vive solo per qualche nanosecondo è molto diverso che riuscire a “maneggiare” e confinare in un impianto sicuro quel po’ po’ d’energia per trasformarlo in elettricità.

Cingolani s’illude e ci illude, poiché non siamo per niente vicini all’obiettivo: vent’anni fa si raccontava che la centrale sarebbe stata pronta per il 2020, oggi si è spostata la data al 2035, e la centrale continua a non esserci e, se non c’è, nessuno può dire oggi se funzionerà effettivamente oppure se si sarà trattato di un costosissimo esperimento fisico.

In pratica, si tratta di una vecchia idea sovietica: contenere in un anello toroidale (una figura geometrica simile ad un pneumatico d’automobile) detto Tokamak grande alcuni (?) chilometri (oggi forse meno?) le condizioni di temperatura e pressione del Sole, che rendono possibile la fusione di due atomi d’Idrogeno in un atomo di Elio, più un mare d’energia termica. Ossia circa 5700 gradi Kelvin, che sulla Terra non sono mai stati raggiunti, salvo in quei nanosecondi delle esplosioni delle bombe all’Idrogeno.

Come si fa a contenerli? Qual è il “recipiente”? Scartati, ovviamente, metalli e minerali di qualsiasi tipo rimane solamente un enorme anello magnetico di forma toroidale di potenza inaudita: auguri.

Per carità: la fusione nucleare non è pericolosa, non genera radiazioni o l’emissione d’isotopi radioattivi come la fissione. Se non funzionerà, i danni saranno soltanto relativi all’impianto e si spegnerà da sola: tutto qui.

 

Ma, un Governo che s’attacca alla fusione nucleare per la rivoluzione ecologica, mi sembra più un impiegato che s’attacca al tram per arrivare in ufficio in orario.

 

E l’Idrogeno Verde?

Da quando studiavo Chimica, ho sempre saputo che l’Idrogeno è un gas incolore ed inodore e parecchie volte l’ho generato in laboratorio senza mai osservare bagliori verdastri né strani odori.

Il Ministro, allora, dovrebbe spiegare che la produzione dell’Idrogeno (che non esiste, libero in natura sulla Terra) sarebbe “verde” perché prodotto con mezzi ecologici, ossia senza generare inquinanti. Detto così, parrebbe pure logico.

Quando scrissi “Energia, natura e civiltà: un futuro possibile?” per Giunti (nel 2003) m’accorsi che la quantità d’energia necessaria per sostituire le energie fossili sottaceva una marea di problemi. In sintesi, si doveva far posto a tutta una serie di nuove macchine in grado di captare, trasformare e connettere quantità d’energia spaventose. Ma eravamo nel 2003 e, all’epoca, pensavo che nel volgere di vent’anni avremmo potuto vincere la sfida: cosa che, oggi, appare chiaramente persa, anche se si sono fatti dei passi in avanti.

 

La richiesta d’energia di un Paese come l’Italia nel 2017 era di 169,7 MTEP (Milioni di Tonnellate di Petrolio Equivalente, Fonte: QualEnergia.it): tanto per avere un confronto “visivo” necessitiamo, ogni anno, di circa 850 superpetroliere da 200.000 tonnellate di stazza lorda l’una. Che possono essere carbone o gas naturale, ma vengono considerate come petrolio tenendo conto delle diverse rese d’energia di questa sostanze.

Per comodità, conviene trasformare tutto in Terawattora (TW/h) per non dover sempre distinguere fra il settore elettrico ed i trasporti.

Ebbene, la quantità totale d’energia richiesta è di 1.974 TW/h, ed il settore elettrico ne assorbe circa 316.

Siccome le energie rinnovabili riescono a coprire circa un terzo della richiesta elettrica, ossia 105 TW/h, sul totale generale dell’energia richiesta (1974 TW/h) riusciamo soltanto a coprire il 5,3% della domanda. Sconfortante.

Perché?

Poiché, nel 2020, eravamo terribilmente indietro su due fronti: affrontare il problema dei trasporti e del riscaldamento domestico, che sono le due voci più energivore del sistema, tralasciando il sistema petrolchimico, ossia chi non lavora sul petrolio per autotrazione.

E, questo – si noti bene – è lo sconfortante risultato ottenuto dopo 20 anni di sforzi e di ricerche nel settore energetico. Domanda: come faremo a “risalire” quel 95% circa che manca nei prossimi 30 anni, visto che nel 2050 le nazioni della Terra hanno firmato un protocollo che le obbliga a farlo?

Ecco, allora, che i Governi s’attaccano al tram della fusione, oppure sognano di ricavare dalle energie rinnovabili quantità d’energia rinnovabile pari a 20 volte la produzione attuale.

Voglio proporvi un breve esempio, tanto per comprendere il problema.

 

Immaginiamo di voler coprire l’autostrada Roma-Napoli per utilizzare la soletta ed impiantarci un impianto solare.

Sfruttando una lunghezza di 100 km ed una larghezza di 30 metri, potremmo installare una superficie di pannelli pari a 2,4 milioni di metri quadri. Ci sarebbero tanti vantaggi e nessun svantaggio: autostrada all’ombra e quando piove rimane asciutta. Quanta energia ricaveremmo? 8 GW/ora ogni anno, ossia una quantità infinitesima del fabbisogno totale.

 

Tutte le realizzazioni più ardite – dal piano eolico decennale inglese di 41 miliardi di sterline a quello tedesco di 31 miliardi di euro – servono soprattutto per coprire le utenze civili (ossia il sistema elettrico) mentre il sistema industriale ed i trasporti restano sempre fuori da questi calcoli. E, riflettiamo, sono proprio quelli che richiedono la maggior parte d’energie fossili! Quanto consuma un aereo? Un treno? Un autosnodato? Una nave? Riscaldare Milano?

 

Anche l’idea di usare l’Idrogeno “verde” per l’autotrazione mi sembra un’idea balzana, non che non possa funzionare – la analizzai vent’anni fa nel mio libro, soltanto che solamente in Germania ci fu, all’epoca, qualche misero tentativo – e poi mi sembra che la tecnologia del “tutto elettrico” con le batterie abbia preso piede: soprattutto da quando sembra che sia possibile rigenerare le batterie esauste con bagni chimici, eliminando il grande problema dello stoccaggio delle batterie esauste. Ci arriveranno senz’altro prima dell’impianto francese della fusione: questo è un punto fermo, perché l’auto elettrica ricarica il 30% dei consumi in frenata e, ferma ad un semaforo, non consuma nulla.

 

Insomma, mi pare che questo strano ministero sia stato solo un contentino per fare entrare anche i 5Stelle nel governo Draghi e mi pare anche che, le esternazioni del ministro, non abbiano suscitato commenti entusiasti: sono parole desuete, metodi in voga già da più di vent’anni e che non hanno mostrato nulla.

Infine, un vero ministero dell’Energia in Italia già l’abbiamo: si chiama ENI, fa affari con tutti, trivella qui e là da tutti, comanda in Parlamento quando e come vuole e la Magistratura li assolve se hanno combinato qualche fregnaccia. Dunque, i vari sottosegretari con delega all’energia, sono solo lì per figura.

 

Volendo cercare, ci sono nuovi mezzi per generare energia, soltanto che non vengono nemmeno considerati: c’è un progetto per perforare il vulcano Marsili e trarne energia. Peccato che la cima del Marsili stia a -450 metri sotto al Tirreno, mentre studi o progetti (sul modello islandese) per l’Etna – che è comoda da raggiungere – non siano nemmeno considerati.

 

Negli anni ’90 del Novecento, un ricercatore dell’ENEA stimò in circa 850 MW le energie idroelettriche vicine a luoghi abitati che furono abbandonate con la nazionalizzazione dell’ENI del 1961: erano modeste cadute d’acqua ma, sommate, rappresentano l’equivalente di due grandi reattori nucleari. Altri, catalogando cadute d’acqua più lontane dai centri abitati, giunsero a circa 14.000 MW non utilizzati.

 

Le correnti sottomarine, in alcuni tratti di mare, giungono a 2-3 nodi e sono costanti: affondando dei generatori con eliche di tipo navale, potrebbero fornire ciascuno circa 20 MW, col vantaggio di poter riemergere per le manutenzioni periodiche grazie alle casse allagabili, come fanno i sottomarini.

 

Insomma, più che la “competenza” di un docente universitario – che diverrà, immediatamente, bersaglio di tutte le lobby dei fossili – sarebbe meglio ascoltare le mille voci che propongono progetti innovativi.

Non dimentichiamo che fummo noi italiani a scoprire il petrolio in Libia: un geologo friulano, Ardito Desio, inviò a Mussolini una bottiglia di petrolio raccolta in una pozza nel 1938, ma Mussolini non capì e la mise in chissà quale soffitta. Sappiamo come finì.