25 giugno 2019

Un vagito, da un Paese “pieno di energie e presenze positive”


“Per essere veramente grande, devi stare con la gente, non sopra di essa.”
Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, giurista, filosofo illuminista e pensatore liberale

Caro Presidente,

ho appena letto il suo accorato appello all’unità d’intenti, vergato nell’occasione dell’anniversario dell’uccisione di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore del Banco Ambrosiano di Michele Sindona. Vorrei ricordarle che, Ambrosoli, si laureò in Giurisprudenza, a Milano, nel 1958, con una tesi di Diritto Costituzionale sul Consiglio Superiore della Magistratura.

Proprio oggi, mi sono recato dal mio avvocato per le mille miserie di una qualsiasi vita italiana – nel Paese che lei definisce “pieno di energie e presenze positive” – e, scendendo le scale insieme a lui, mi ha narrato d’aver incontrato un vecchio magistrato di Cassazione in pensione (proprio del “Palazzaccio”, non ad  honorem) e di aver fatto quattro chiacchiere sulle recenti, tristissime ambasce nelle quali è precipitata la Magistratura.
La sentenza è stata brevissima ed amara: “Ci siamo giocati l’indipendenza della Magistratura”. A mio avviso, molto di più: è proprio il principio generale di “Giustizia” ad essere andato in fumo.

Lei sa benissimo che, la maggior parte del Paese, non ha compreso od ha capito ben poco dello psicodramma che si è giocato fra il Quirinale e il Palazzo dei Marescialli. Al più, con un’alzata di spalle, 99 italiani su 100 avranno pensato: “Sono cose loro…hanno il loro “marcio” da insabbiare…sono gente dalla quale star lontana…”
Già, “lontana”, come dicono i galeotti.

Eppure, ciò che è successo è di una gravità inaudita, che sfugge ai più, i quali non credono più a niente o non comprendono – miserere nobis – che si è infranto un cardine della vita democratica di questo dannato Paese, così “pieno di energie e presenze positive”. Non è una buona notizia, anche se qualcuno avrà pensato: “Viene l’Estate, andranno al mare, dimenticheranno…” Già, meglio dimenticare?

Dimenticare che uno dei cardini dell’ordinamento democratico – che affidava alla Magistratura il governo di se stessa, in contrapposizione (dialettica?) con il Legislativo e l’Esecutivo – è andato in pezzi? Qui non si tratta di dialettica, non si prende in esame la turris eburnea, ma è stato evidenziato, denudato di fronte agli italiani che il potere Giudiziario faceva pappa e ciccia con l’Esecutivo, ossia col Governo. E non da oggi, e nemmeno da ieri, come vedremo in seguito.

Lei è intervenuto, bloccando alcune nomine a dir poco “sospette” – ne prendiamo atto – ma si doveva giungere a tanto? Si dovevano smascherare i più alti gradi della Magistratura grazie a delle semplici intercettazioni, come per i mariuoli e per i mafiosi?

Sappiamo, anche se formalmente lei è il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che questa presidenza è sempre stata vissuta nei decenni con forse troppo garbo, un po’ d’indulgenza, e tanta fiducia che i magistrati sarebbero stati in grado di bastare a se stessi. Ma è così?

Vogliamo tornare indietro di 10 anni? Al 2009, alla famosa “cena” (1) fra Berlusconi, Alfano, Gianni Letta, Carlo Vizzini e le due “toghe” del CSM, Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano? Una “cena” tenutasi a Roma nel Giugno del 2009, nella quale il “piatto forte” fu un progetto di riforma costituzionale, che prevedeva anche mutamenti pesanti nell’ordinamento, per rendere i giudici costituzionali ancora più succubi – mi perdoni, ma le recenti vicende lasciano aperta la porta ai più oscuri sospetti – del potere Esecutivo.
E oggi? Non conosciamo ancora lo “spessore” dei progetti intercorsi fra l’ex ministro Lotti ed il giudice Palamara, ma sono “vicinanze” che fanno accapponare la pelle.
Ciò che sconcerta è che dibattiti, opinioni ed (eventualmente) decisioni sono prese completamente al di fuori dell’agone democratico, delle istituzioni preposte: una ferita, sull’ordinamento repubblicano.

Domani è un altro giorno, già: si dice sempre così.
Uno di questi giorni, già so che dovrò incontrare un magistrato, ovviamente per faccende che riguardano il Diritto, anche se, “miseramente”, civile.
Come potrò essere sereno, come potrò fissarlo negli occhi e sapere che quel giudice potrà anche sbagliare – per carità: nessuno è infallibile! – ma chi mi garantirà che, oscure trame, non lo conducano ad una “vicinanza” con la parte avversa? Si renda conto, signor presidente, che va in pezzi uno dei cardini dello Stato di diritto!
Non fosse già avvenuto.

Da parecchio tempo la Magistratura dà una pessima immagine di se stessa: vogliamo ricordare l’inchiesta sull’incidente ferroviario in Puglia del 2017, con un PM sollevato dall’incarico nella “turbolenta” (a dir poco…) procura di Trani? Oppure l’allucinante vicenda dei corsi propedeutici per l’ingresso in Magistratura, viziati da abusi sessuali che vennero, giustamente, puniti dal CSM? In tutte queste (e tante altre) vicende è sempre la commistione fra indagante ed indagato a spaventare, a segnare il passo di comportamenti che paiono seguire la medesima traccia, come se il principio di separazione dei poteri fosse un inutile e fastidioso orpello, da ovviare facendo spallucce?
E quando proprio l’organo interno di Giustizia della magistratura deflagra, in una miriade di comportamenti da censurare, con forza e determinazione? Basta l’affermazione d’aver “fatto pulizia” per acquietarci?

Se possiamo comprendere le difficoltà della Magistratura nella lotta contro le mafie – Falcone e Borsellino ancora vivono fra noi, i loro filmati ci accompagnano nella nostra (e loro) speranza di giungere a vivere in un Paese normale – non si riesce a capire come la Magistratura assista, comodamente seduta nella sua turris eburnea, allo scempio di centinaia di vite umane, derise e violate senza che, dalla parte dei giudici, si sia giunti ad un modus operandi che ponga fine allo strazio. Quando potremo sfogliare un quotidiano senza imbatterci nell’ennesima donna uccisa, sfigurata, oppure sfuggita – solo grazie alle sue forze, oppure per pura fortuna – alla mano massacratrice, dopo aver denunciato per molte volte ai giudici ed alle forze di Polizia il suo calvario?

Cosa sono diventati, i giudici, una nuova casta di potere? Tollerata e “compresa” nel potere politico, basta che non dia “fastidi” al manovratore?

Siamo un Paese cattolico, che vive – a mio modesto parere – con troppo indulgenza le vicende di giustizia: siamo il Paese dove, al peccato, si associa immediatamente il perdono, relegando alla coscienza personale il richiesto pentimento, senza indagare se è avvenuto, senza intrometterci. Sono cose “private”, “personali”.
Sarà, signor presidente, ma nei paesi luterani il concetto di giustizia, associata al dolo ed al pentimento, viene vissuto con diversa serietà ed attenzione: non si è oberati né schiacciati dal controllo sociale – non so se, ancora oggi, in Gran Bretagna non siano previsti documenti d’identità personale com’era un tempo, ritenuti “invasivi” della libertà personale – ma, se si sbaglia, la punizione è certa e severissima. E, soprattutto, veloce.

Oggi, solo per farle un esempio, sono  impegolato (insieme a molti altri) in una vicenda (2) giudiziaria infinita, che ha visto – fino ad ora – ben cinque gradi di giudizio: primo grado, Corte d’Appello, Cassazione, ritorno alla corte d’Appello, nuovamente Cassazione. Oggi, si prospetta un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. Spiegata al bar, ad un amico avvocato, mi ha confessato: “Ci saranno certo dei validi principi giuridici ma, detta così, non riesco a capire il garbuglio.” Durato, per ora, vent’anni.
E, il bello della vicenda, è che l’attuale vicenda è soltanto il secondo “round” di una precedente causa giudiziaria – che, se ben ricordo, terminò nel 1978 – mentre le basi filosofiche del contendere sono da ricercare nel carteggio fra Giovanni Gentile, all’epoca Ministro della Pubblica Istruzione, ed Antonio Gramsci, all’epoca detenuto politico a Ventotene.
Ciò non impediva, ai due, di difendere oppure criticare la riforma Gentile dell’Istruzione del 1923: correttamente, l’uno da viale Trastevere, l’altro dalla sua cella, si confrontavano sulla base degli assiomi kantiani ed hegeliani della filosofia sette-ottocentesca, sull’eterno problema del rapporto fra teoria e pratica, idealismo ed empirismo nell’educazione dei ragazzi.
Com’è possibile, signor presidente, che una vicenda iniziata – seppur nei suoi aspetti “teoretici” – nel 1923 debba tornare in vita, nel 2019, in una corte di Giustizia italiana?

Tornando a noi, la Magistratura si difende, affermando che – in fin dei conti – il potere Legislativo ha nelle sue mani le Leggi, ossia le basi sulle quali la Magistratura deve poi sentenziare. Salvo, poi, gridare “al lupo!” se ritiene che siano intaccati i suoi principi d’indipendenza, sanciti dalla Costituzione. Ma, sulla correttezza costituzionale delle leggi, debbono vegliare lei e, soprattutto, la Corte Costituzionale. Che ha mostrato un inquietante “tasso” di marciume e sordida connivenza con ambienti poco “puliti” di poteri con i quali non doveva e non poteva avere quei rapporti.

E la Magistratura italiana si compiace anche con se stessa, per rendere sempre più illeggibili gli emanati: al tradizionale uso (spesso superfluo) della citazione latina, oggi si aggiunge l’uso della lingua inglese, che pare voler “trattenere” nella torre d’avorio le sentenze, gli emanati, le motivazioni, quasi ci fosse vergogna ad esibirli in pubblico, creando anche un’artificiosa distanza, che ha olezzo di classismo, fra chi deve amministrare la Giustizia e chi deve usufruirne. E la distanza fra il Paese reale e le aule di Giustizia, aumenta: scompaiono gli avvocati, mentre spadroneggiano gli azzeccagarbugli.

In questa serena Estate italiana – i guai idrogeologici verranno in Autunno – mentre lei ci comunica la sua profonda convinzione di vivere in un Paese “pieno di energie e presenze positive”, siamo alle prese con un pasticcio istituzionale che solo la frescura del mare potrà far dimenticare. Già, ma ciò che esce dalla porta rientra dalla finestra – recita il proverbio – e, francamente, non mi sento di cassare questa antica sentenza. Possiamo rispondere: “non riesco a capire il garbuglio”, come ha fatto l’amico avvocato?
Veda lei.


(2) https://www.tecnicadellascuola.it/giustizia-e-dignita-per-gli-ata-itp-ex-enti-locali

16 giugno 2019

Risposte ad una domanda pleonastica

Chi ha messo/tirato delle mine/missili/siluri/bombe od accidenti vari alle due petroliere nel golfo di Oman? Sarebbe bello saperlo, ed io non lo so: però, una vaga idea ce l’ho, anzi, due. Perché?
Poiché il copione, sempre lo stesso dal “incidente del Tonchino” del 1964, si ripete nei modi e nei termini di sempre: la Storia non si ripete mai – questo bisogna averlo bene in mente – però i modi, le tecniche, gli approcci sono sempre i medesimi, almeno dall’inizio dell’Evo Moderno. Vogliamo provare?

Se c’è fumo c’è arrosto e, qui, l’arrosto non è stato cercato né desiderato da nessuno dei contendenti: entrambi, avevano tutti i mezzi per spedire a fondo le due petroliere, ma non l’hanno fatto. Perché?
Poiché non erano ben sicuri che, dall’altra parte, si sarebbe accusato il colpo senza rispondere: un po’ come gli inutili lanci di missili da crociera sulla Siria, che già si sapeva sarebbero stati intercettati ad altissime percentuali dai sistemi antimissile russi. I quali – si noti bene – non hanno portato in Siria sistemi antiaerei ed antimissile d’ultimissima generazione –  roba buona sì – ma non all’ultimo grido.
Qual è il punto d’inizio, il giro di boa che ha messo in dubbio la supremazia americana negli scacchieri internazionali?

Meno che mai la spettacolare Prima Guerra del Golfo, seguita – in tono minore – dalla Seconda la quale era avvantaggiata da anni ed anni di miserie in Iraq.
Il vero punto di non ritorno, per le armi a stelle e strisce, è stato il 1999: il Kosovo, una guerra forse secondaria per gli esiti e per le modalità utilizzate, ossia la “guerra spettacolo” da mandare in onda a reti unificate su tutti i canali planetari.
Una guerra viziata, sin dall’inizio, dalla vittoria irachena del 1991, che aveva fatto credere ad un’alleanza stratosferica di 27 Paesi contro un mediocre Stato medio orientale, catapultandola in un mito d’invincibilità, quasi fosse l’ennesima puntata di Guerre Stellari, oppure la milionesima avventura del Capitano Kirk.
Una guerra giocata in un campo dove l’avversario era senza alleati, con una Russia al lumicino ed una Cina ancora inesistente sul piano internazionale.
Eppure, quella guerra qualche risultato lo diede, ad analizzare attentamente gli eventi.

Oggi, ci hanno mostrato un filmato in b/n dove si vede una specie di motosilurante che abborda una petroliera e che traffica qualcosa sulla murata della nave.
Quando l’ho visionato, m’è tornato alla mente il filmato degli elicotteri Apache “caduti in esercitazione” nei pressi di Tirana: fumose immagini, rotori impazziti…in altre parole, non si vedeva una mazza.
Il sospetto venne subito, quando s’udirono in diretta – Tg1 – due forti esplosioni: il giornalista, visibilmente imbarazzato, biascicò che erano state udite due forti esplosioni provenire (così sembrava) dall’aeroporto di Tirana. Vere le due esplosioni – in quel momento era a Tirana il Ministro dell’Interno italiano, Rosa Russo Jervolino, e si erano alzati subito da Gioia del Colle gli F-104 (!) che avevano attraversato l’Adriatico come fulmini – ma la verità era un’altra.

Due cacciabombardieri J-22 Orao s’erano alzati dalla loro base nei pressi di Podgoriza e, conoscendo bene l’orografia del territorio, erano riusciti a volare molto bassi seguendo una valle che “sfociava” già in territorio albanese: da lì, avevano puntato sull’aeroporto internazionale di Tirana (dove sostava l’aereo di Stato del Ministro dell’Interno italiano) ed avevano eseguito un solo passaggio con bombe a frammentazione, distruggendo un aereo civile della KLA che trasportava, dall’estero, combattenti per l’UCK albanese ed alcuni elicotteri Apache americani. Da qui la necessità di “giustificare” la perdita degli elicotteri. I due aerei serbi riuscirono a fuggire ed atterrarono a Povikne, a Nord di Belgrado, dove furono ricoverati in un hangar sotterraneo.

Se cercate notizia di questo evento, non meravigliatevi se non troverete più niente: la “pulizia” è uno dei compiti principali d’ogni controspionaggio che si rispetti.

Questo per dire come, in presenza di qualsiasi evento bellico, gli apparati d’informazione sfornano filmati “alla bisogna”: cosa in cui crede il comune lettore, cosa di cui ride chi ha un minimo di conoscenza di queste faccende.
Ma ci fu un “dopo”.

Il “dopo” non fu una guerra americana, ma il tentativo – maldestro – da parte israeliana di conquistare, nel 2006, la parte del Libano a Sud del fiume Litani, conclusasi assai amaramente per Tzahal e, soprattutto, per il glorioso battaglione “Golani”, che ebbe numerose perdite di uomini e mezzi.
Ma, ancor più, ci fu la perdita di una corvetta ed il danneggiamento di una seconda: cosa che mise fortemente in allarme gli israeliani, ma anche gli angloamericani. Perché?

Poiché la perdita di un’unità navale moderna non significa che qualcuno – come narrano a Napoli “ha cugliuto bbuono o’ tiro” – bensì che “qualcuno” è riuscito ad ingannare le misure elettroniche di una unità navale di soli 13 anni fa. Una nave dotata del meglio che esisteva in ambito occidentale: chi aveva fornito quel software?
Hezbollah, ovvio: ma chi forniva Hezbollah? L’Iran, ovviamente. Già: ma chi forniva l’Iran?
Qui la risposta è più dubbia, ma che non si tratti del Pentagono è altrettanto ovvio: l’India? Può essere, sono i più abili nel maneggiare software, e non a caso ogni nuovo aereo russo che viene progettato (vedi T-50, o Sukhoi-57, o Pak-fa) vede sempre la partecipazione indiana. Insomma, “qualcuno” dalle parti dell’India, della Cina o della Russia possedeva – nel 2006 – l’elettronica necessaria per ingannare una corvetta israeliana oppure i carri armati Merkawa.

E torniamo all’oggi.
Se vogliamo rimanere in ambito militare, possiamo raccontarci quello che vogliamo: può essere stata una classica false flag americana, oppure un attacco d’avvertimento (non ci sono state perdite, né di mezzi e né di vite) iraniano. I motivi?
Di là dell’infinita solfa del nucleare iraniano, vorremmo ricordare che l’embargo unilaterale statunitense colpisce uno dei gangli vitali dell’apparato produttivo iraniano: l’industria petrolchimica.

Negletta, dimenticata, è l’industria petrolchimica che ci fornisce fertilizzanti, medicinali, materie plastiche…e tutta la panoplia che vediamo sugli scaffali dei supermercati. E l’industria petrolchimica iraniana è nata nel 1964, ai tempi dello Scià di Persia, che desiderava modernizzare il Paese.
Il concorrente, nel Golfo Persico, è l’Arabia Saudita, da sempre alleata degli USA e di Israele: la società petrolifera di Stato – ARAMCO – ha deciso di buttarsi anch’essa nel petrolchimico…già…nel 2018. Con 54 anni di ritardo sugli odiati iraniani: vogliamo pensare (male) e chiederci se, per caso, abbiano chiesto un “aiutino” agli “amici” israeliani ed americani? I quali, come fecero col Giappone nel 1941, decisero che i negoziati potevano considerarsi conclusi soltanto se Tokyo accettava le “quote” fisse d’importazione di petrolio, ferro, carbone…ecc…che Washington aveva deciso. Il seguito lo conoscete.

Perché, vedete, vendere petrolio è la cosa più facile di questo mondo: lo pompi in un oleodotto oppure lo carichi sulle petroliere…e via, intaschi i soldi. Ma il petrolio, oggi, non è più quello dei tempi di Mattei: il mondo va verso un futuro sempre più elettrico, e la “quota” delle importazioni che prendevano la via del petrolchimico – fino a qualche anno fa – era del 5%: oggi è del 12%, per il prossimo anno si prevede un 14%.
Per installare l’industria petrolchimica (che fornisce alti introiti), prima, bisogna conoscere le basi dell’industria chimica, creare quadri dirigenziali (e, qui, non è poi così difficile) però bisogna creare anche copiosi quadri intermedi, avere conoscenze, tecniche, materiali, sistemi di produzione, ecc.

Può, l’Arabia Saudita – un Paese di 31 milioni di persone, che anche per guidare un autobus assume un immigrato – confrontarsi con un Paese come l’Iran, che ha 82 milioni d’abitanti e che la surclassa in ogni sfera del sapere e della tecnologia? Che ha una popolazione senz’altro più “vitale” di quella saudita, un sistema di governo più efficiente, se raffrontato ad una casa regnante con 25.000 nobili “di Stato”?

E poi, poi…c’è sempre lo zampino di Putin…il quale, stranamente, quando si è parlato di confronto militare fra l’Iran e gli Usa – che, si noti, hanno perso da tempo quel codazzo di 27 Paesi che li seguirono in Iraq – ha semplicemente affermato “che lui non può farci niente” se l’Iran va in guerra contro gli Usa…ma guarda un po’, che strana dichiarazione…

Ci si poteva aspettare la solita manfrina da “nuova guerra fredda” per un Paese considerato “osservatore” nello SCO, il vecchio Patto di Shangai…ma un “osservatore” di riguardo, è già si pensa ad un suo ruolo più “ufficiale”. Niente, non ci può fare niente…o non vuole? E perché?

Perché Putin sa cosa la Russia ha fornito all’Iran il quale – parliamoci chiaro – di fronte alle armi americane soccomberebbe, già…ma “quanto” soccomberebbe e, soprattutto, cosa lascerebbe in eredità con la sua sconfitta?
Putin ha venduto all’Iran il sistema antiaereo/antimissile S-300, lo stesso che ha mantenuto in salde mani russe in Siria, perché conosce bene l’efficienza di quel sistema. E poi: i missili iraniani? Non sono mica gli Scud di Saddam Hussein: possono raggiungere Israele quando e come vogliono, mentre è ancora dubbio se possano raggiungere Napoli, per colpire direttamente la base della VI flotta.
Cosa ne sarebbe dello Stretto di Hormuz? Quante petroliere in fondo al mare?

Israele, se colpito, potrebbe rispondere con le armi nucleari, ma la risposta iraniana sarebbe ad armamento chimico e/o biologico, e – sinceramente – non so quale preferire. In ogni modo, sul piano politico e diplomatico, attaccare per primi con armi nucleari sarebbe una mossa sbagliata, per Israele in primis, perché il “gioco” delle alleanze si romperebbe subito, con conseguenze imprevedibili.

Come potrete notare, la “scaramuccia” che è andata in onda nel golfo di Oman si presta ad entrambe le ipotesi: un “avvertimento” americano all’Iran? Od uno iraniano agli Usa?
Non è poi così importante sapere chi è stato, ma che la cosa sia avvenuta: oggi, intorno alla faccenda, c’è un silenzio che assorda. C’è da giurare che le diplomazie stiano girando “a mille” non tanto sull’evento, ma su tutti i corollari della situazione.

Nel 1941, gli Usa potevano permettersi di mandare al Giappone un diktat senza condizioni: oggi?

09 giugno 2019

Per favore, salviamo la lingua italiana!

La lingua, come percezione diffusa, non viene considerata patrimonio, bensì mezzo. Ed è un grosso errore poiché, se pur vero che è il mezzo per comunicare, quando si sedimenta costituisce l’involucro, il contenitore di una cultura, il “pozzo” da cui attingere per sapere chi siamo, chi eravamo. E, per certi aspetti – come una moneta – la lingua coincide con una popolazione: è una sorta di “presentazione” sul palcoscenico internazionale.

La lingua più antica della Terra, tuttora in uso, è il cinese mandarino, chiamato anche lingua sino-tibetana: sarà un caso che la più antica lingua ancora in uso della Terra si presenti oggi sulla scena come il futuro deus ex machina del Pianeta?
E come sta la lingua italiana?

Sta, ma non sta troppo bene, e qui voglio chiarire subito che non si tratta delle nuove espressioni gergali – ad esempio, l’onnipresente “tipo” del linguaggio giovanile –  che, in realtà, rendono viva una lingua: si tratta di come si presenta sul proscenio del Pianeta.

La lingua dell’Italia non ha mai superato l’amputazione del Latino: del resto, essere i padroni del mondo antico e poi perderlo, qualche sconquasso lo crea. Vi faccio solo notare una curiosità linguistica: nel mondo latino, tutto ciò che era inerente alla guerra aveva la radice bellum: da questo l’italiano bellico, bellicoso, belluino. Ma il bellum, come sostantivo, non è “passato” dal Latino all’Italiano ed è stato sostituito da guerra, che proviene dal basso sassone, werra, poi war (GB) e Wehr (D): perché?
Poiché lo “spettacolo” che si presentò agli italiani dell’epoca – le invasioni dei barbari – non era codificabile nei termini antecedenti, quando il massimo disastro era stato Teutoburgo: una catastrofe militare immane, ma che avvenne a duemila miglia da Roma. Il fenomeno era nuovo – …semirutarum urbium cadavera…(trad: i cadaveri (delle) rovine nelle città) scriveva Ambrogio, vescovo di Milano – la distruzione era giunta nelle città italiane: era cambiato tutto, e cambiò anche la lingua.

Mi viene la voglia di darvi subito la classifica degli autori italiani più venduti nel mondo, ma è meglio che ci riflettiate un attimo: se volete, potete sempre scorrere avanti, ma non servirà a nulla. Perché?
Poiché, se pensiamo alle lingue come contenitori di cultura (in tutti i sensi: romanzesca, scientifica, saggistica, ecc) ci rendiamo conto che noi italiani (ma anche i tedeschi ed i francesi) viviamo in un microcosmo culturale: chi ha mai letto Dostoevskji in russo? E Shakespeare in inglese? Se non c’è la traduzione, ciccia. Ergo, una lingua – intesa come contenitore culturale di un insieme d’individui – si presenta nel mondo solo con una traduzione. I tentativi di “monocultura linguistica” planetaria fallirono, purtroppo, con l’esperanto – curiosità: uno dei grandi sostenitori di quel tentativo fu Giuseppe Pinelli, l’anarchico “defenestrato” nel 1969 – che non era poi tanto male per come era stata progettata, ma si sa: nessuno, che vince economicamente nel Pianeta, si conforma ad una lingua altrui.

Gli unici che ci riuscirono, a radere alla radice e rinnovare la loro lingua, furono gli Ebrei, ma che gli Ebrei abbiano (nel bene e nel male) una marcia in più lo sappiamo tutti: detto fatto, buttato l’aramaico e sostituito con l’Ebraico Moderno. Punto.

Se suddividiamo il Pianeta per aree di comprensione della lingua scritta, ci troviamo di fronte – pressappoco –  a questa “geopolitica della cultura”:

1) Area islamica: circa 2,6 miliardi di persone, alfabetizzazione medio-bassa
2) Area cinese: circa 1,3 miliardi di persone, alfabetizzazione molto alta
3) Area indiana: circa 800 milioni di persone, alfabetizzazione medio-alta
4) Area ispanica: circa 500 milioni di persone, alfabetizzazione medio alta
5) Area anglofona, circa 500 milioni di persone, alfabetizzazione molto alta
6) Area slava: circa 300 milioni di persone, alfabetizzazione molto alta.

Il resto, come ricordava Benigni in un celebre film, parlando del prete, del farmacista e del medico in un piccolo paese, “è lì pe’ figura”.
Certo, è una “figura” spesso importante, soprattutto per la creazione di cultura, pensiamo all’area francofona, germanofona, ma anche italiana. E il persiano? l’urdu? Tutte destinate a sparire?

Ci sono notizie, che viaggiano sul Web, le quali narrano di un vero e proprio amore per la lingua italiana e di molte persone che s’iscrivono ai corsi di lingua italiana. Può essere anche vero ma, quante di queste persone giungeranno a leggere Pirandello in Italiano? Pochi, ritengo, poiché l’Italiano è una lingua difficile, ostica, zeppa di mille significati contradditori.
Perciò, il vero significato dell’appressarsi alla lingua italiana ha una diversa accezione: è una sorta d’infatuazione per un Paese ed una cultura che percepiscono ricca, profonda, attraente. Una specie d’innamoramento: come, al tempo dei Latini, la lingua greca.
Esaurito il “fuoco” iniziale, gli amanti dell’Italia li vedremo in giro per Roma o Venezia, poi ceneranno nei ristoranti italiani di Los Angeles o Singapore, e finiranno, magari, col libro di un autore italiano (tradotto nella loro lingua) sul comodino.
E chi sceglieranno? Ecco la classifica (1):

1) Dante Alighieri 
2) Carlo Lorenzini (detto il Collodi)
3) Carolina Invernizio (una sorta di “Liala” dell’800, maestra nel romanzo d’appendice)
4) Giovannino Guareschi 
5) Andrea Camilleri
6) Oriana Fallaci
7) Umberto Eco
8) Giorgio Faletti 
9) Susanna Tamaro 
10) Roberto Saviano

Ci sono parecchie di queste classifiche, e ne ho scorse molte: a volte differiscono per qualche nome, ma le posizioni di testa quasi non cambiano. In alcune c’è Niccolò Machiavelli, che con il suo “Principe” contende a Sun-Tzu l’alloro della politica e della guerra, ma sono i “mancanti” che ci raccontano qualcosa.

Manzoni, ad esempio: a nessuno frega un accidente di una storia di dominazione straniera e del finale “in rosa” dovuto all’intervento della Provvidenza Divina. Non sto dicendo che Manzoni sia più o meno di altri: dico soltanto che nelle classifiche dei testi letti all’estero (e dunque tradotti) non c’è.
Non c’è Pirandello: e qui è veramente una grave lacuna, dovuta però alla profonda arguzia ed all’eleganza del grande tessitore di storie siciliano, poco comprensibile per altre culture, soprattutto dopo traduzione.
Non stupisce l’indiscussa leadership di Dante: il suo poema fu quasi la “colonna sonora” del tardo Medio Evo, al punto che se ne sentono gli effluvi anche in Huitzinga, nel suo “Autunno del Medio Evo” e, addirittura, Bob Dylan lo chiama in causa nel suo “Tangle up in blue”.

I fenomeni editoriali, a volte, sono strani e dovuti a percezioni fortunate degli editori, oppure certi autori “attecchiscono” in terre lontane per curiose assonanze culturali. Guareschi, ad esempio, fu molto noto in Cina e ci fu addirittura un dissidio giudiziario, poiché i cinesi inventarono una coppia Peppone-Don Camillo cinese e diedero il via ad una serie di avventure locali. Curiosità bibliografiche, con relativo contenzioso giudiziario.

Ciò che ci insegna questa classifica (od altre, simili) è che le posizioni di testa identificano la cultura meno appariscente ma profonda di un popolo (Maigret/Simenon sarà letto anche nel 3000, magari insieme a Rabelais), mentre le posizioni di coda rappresentano – a grandi linee – l’attualità di una cultura. Piaccia o non piaccia, così è. Dunque, la cultura letteraria di un Paese – se vuole sopravvivere come lingua (espressione di una cultura) – deve creare e pubblicizzare se stessa che, in questo caso, significa tradurre: anche le cucine sono “tradotte”, perché il piatto cinese che mangiamo in Italia non è la cucina di Shangai, così come gli spaghetti di San Francisco non assomigliano a quelli che “buttiamo” tutti i giorni.

La globalizzazione tecnologica, però, ha creato degli “standard” che regolano il mercato: costi, stampa digitale, costo della carta e distribuzione hanno “appiattito” il mondo dell’editoria. Un libro che costa 10 euro, per noi è accessibile, per un abitante medio del mondo islamico è caro, come lo può essere per un filippino, per un africano, ecc.
La “soglia” di redditività, per un prodotto editoriale, però è uguale dappertutto: sono 5.000 copie, sotto ci perdi, sopra ci guadagni. A New York come a Roma, a Parigi od Islamabad.

E’ proprio qui che la lingua di appartenenza gioca un ruolo decisivo: vendere lo stesso prodotto a 500 milioni di persone è dieci volte più facile che a 50 milioni di persone.
Anche per questa ragione osserviamo che la professione di chi scrive è più facile e più diffusa nel mondo anglosassone ed in quello ispanico: notiamo, a margine, che con una sola traduzione si può arrivare ad un mercato di un miliardo di persone, molto alfabetizzate ed abbastanza ricche da permettersi un libro.
Isabel Allende è senz’altro una grande scrittrice, però notiamo che è forse l’unica a dominare completamente (per sue vicende personali) entrambe le lingue.

Seguendo questo ragionamento, dovremmo concludere che in Italia si pubblica meno, il che non è vero: in Italia si pubblica un nuovo libro ogni 8 minuti. 66.757 l’anno (2017), 183 ogni giorno, 7,5 ogni ora, uno ogni, appunto, 8 minuti (2). Dove vanno a finire? (3)

La gran parte, finisce sugli scaffali delle librerie dove ha una “vita utile” – ossia è una novità – per 90 giorni, tre mesi. E dopo?
Un tempo, a Rimini, c’era il mercato dei “morti viventi”, ossia dei libri invenduti, ma oggi – per quel che ne so – non esiste più e vanno direttamente al macero, cioè al recupero della carta.

La risposta è il libro digitale? Non sembra. Nonostante esistano da molti anni, gli e-book non superano la quota del 30% delle vendite sui testi tradizionali. Sarà che il libro è un “compagno” sul comodino, sarà che dopo molte ore al PC non se ne ha più voglia, sarà che leggono di più le persone meno giovani…ma così è. E non c’è da aspettarsi che il pdf rivolti il mercato come un calzino: sarebbe già avvenuto.
E come funziona il mercato editoriale?

Questo mercato presenta le medesime dis-funzionalità degli altri mercati e ha degli impressionanti parallelismi con il mercato dell’edilizia, tanto per citarne uno.
Un libro che costa 10 euro ha, approssimativamente, queste suddivisioni finanziarie:

3 euro all’autore/editore
5 euro alla distribuzione
2 euro al libraio

Sono, ovviamente, ripartizioni di massima.
Le tre figure sono, per certi versi, incoerenti con il significato comune. Il libraio, ad esempio, non ci perde niente, come un giornalaio: lavora solo sul venduto, e restituisce le copie invendute con relativo ri-conteggio delle sue spettanze.
Il distributore (in Italia le Messaggerie) è, in realtà, il vero deus ex machina della situazione perché funziona quasi da “banca” per gli altri attori e, nonostante qualche dato positivo, il mercato è stagnante, regolato più dalla voglia di leggere che dal portafogli: si legge poco.
E perché si legge poco?
Perché non sempre quel che acquistiamo soddisfa, poi, i nostri desideri.
E perché non li soddisfa? Perché gli editori pubblicano questa enorme massa di libri?

Per capire questa apparente assurdità, bisogna tracciare un parallelo con l’edilizia: come funziona l’edilizia?
Tizio è un costruttore. Appena terminato un palazzo, sa benissimo che, per venderlo, ci vorranno anni, se andrà venduto! Perciò si reca in banca dove Caio deve valutare la reale consistenza del patrimonio di Tizio per concedergli una linea di credito. Incarica Sempronio, un Architetto od un Geometra, che stima l’immobile e, a microfono spento, gli comunicherà la consistenza e la veridicità delle rassicurazioni di Tizio.
Come ben capirete, questo è un gioco di fiducie e sfiducie che ruota intorno a milioni di euro: tutto è possibile. Però, in genere, Tizio riceve un credito…più qualche vendita…e può ripartire con un altro palazzo.

Nell’editoria, il distributore è la pedina centrale, quella che regola il mercato: è lui che paga i libri pubblicati all’editore salvo poi, dopo 6 mesi o un anno, fare il consuntivo delle copie vendute e chiedere il rimborso delle copie andate al macero. L’editore, non sempre è fuori dai guai…(anzi, spesso quei soldi da rendere non li ha proprio) e allora cosa fa? Pubblica un nuovo libro, per il quale il distributore darà un anticipo…e così via. In questo modo, si giunge all’assurdo di un libro pubblicato ogni 8 minuti in un Paese che non legge quasi mai: solo il 40% degli italiani legge un libro l’anno, e solo una piccolissima percentuale legge più libri.
Il sistema è un po’ più complesso, ma sostanzialmente, al minimo per non complicare la narrazione, questa è la situazione.

C’è da chiedersi perché gli italiani vogliano leggere solo più le barzellette di Totti. Qualcuno dirà perché sono dei buzzurri, altri perché una società poco vitale toglie la voglia d’informarsi, e così via…
Però, ho letto libri che gli editori regalano agli autori (presi dai fondi di magazzino) e, talvolta, mi sono imbattuto in dei veri capolavori, cose che nemmeno Dan Brown (mai letto, ma ha venduto un sacco…) si sognerebbe mai d’inventare. Ne cito uno che meritava un successo planetario, “I rotoli di Yarmouth” di Guido Cornia (primo al premio “Firenze Libri”), e invece poco o niente conosciuto.  Perché?
La mentalità è la stessa dell’edilizia – un libro come un mattone – facciamone tanti e qualcosa si vende.
Quello che manca, è la qualità: la bellezza di una storia, la sagacia di una buona analisi saggistica. Per questa ragione, fuori d’Italia, i libri non si riesce a tradurli.
Come fare?

Il problema di tutte le case editrici, sono i lettori della casa editrice: per quel che ne so, soltanto Sellerio tiene in servizio dei lettori-critici per decidere cosa pubblicare e cosa buttare. Einaudi aveva una buone rete di critici, ma la prima decisione di Berlusconi, quando acquistò, fu di licenziarli tutti. Era un costo, via i costi.
La cosa, in sé, è addirittura buffa: si presenta del materiale al pubblico che nessuno ha letto, che solo un redattore ha scorso per 2-3 pagine perché leggere, per mestiere, costa.
Oppure ci s’affida agli agenti editoriali, che si disputano a furor di coltello le poche firme “sicure”: poi, giungono ad “aprire” il portale Web per l’invio di nuove opere solo il primo minuto di ogni mese. Roba da matti.
Ci sarebbe una soluzione?

La soluzione può solo venire dalla parte pubblica, ma quasi senza metterci un soldo, altrimenti non se ne fa nulla.
Ricordiamo che il Governo ha a disposizione l’Istituto Poligrafico dello Stato, che presiede (oltre alle attività monetarie) alla stampa di tutto il materiale di servizio dello Stato. Il problema è: chi li legge?
Abbiamo, in Italia, circa 60.000 persone che non fanno nulla tutto il giorno. Chi sono?

I detenuti.
Fra questi 60.000 detenuti, ce ne saranno una parte di diplomati e laureati, gente in grado di criticare un libro? Non ne servono molti, un migliaio o due, da ricompensare – se meritevoli dal punto di vista carcerario – con qualche permesso in più, od altri mezzi compatibili con il regime carcerario.
Potrebbero “filtrare” decine di migliaia di libri l’anno.
Solo un primo filtro, s’intende, lasciando ai direttori delle carceri il compito di scegliere i lettori, evitando – ovvio – di mettere in strada un tizio pericoloso soltanto perché buon critico. Gente che, al termine della lettura, dovrebbe compilare un prospetto critico standard, fornito dal ministero, per avere un’analisi il più oggettiva possibile.
Quando la platea dei nuovi autori si fosse ridotta ad un migliaio, continuare come in un comune premio letterario (con lettori pagati, oppure concedendo qualche credito extra ai laureandi, od un mix d’entrambe le soluzioni), fino a restringere i meritevoli ad un centinaio.

A quel punto, l’Istituto Poligrafico provvederebbe alla stampa delle 5.000 copie “d’ordinanza” nel mondo letterario ed alla distribuzione.
Perché sarebbe importante ed a basso costo un’operazione del genere?

Perché fornirebbe alle case editrici del materiale già visionato e filtrato: potremmo azzardare che, ogni anno, sarebbero le migliori opere dell’ingegno letterario italiano. Potremmo ri-creare un mondo che, all’estero, fu molto apprezzato: quello della letteratura italiana. Con poca spesa.

Non dimentichiamo che, agli occhi del Pianeta, l’Italia è il ricettacolo del Bello, in tutti i sensi: nell’arte, nella moda, nella cucina, nel design. Negli ultimi anni, purtroppo, la letteratura italiana ha perso smalto, mordente, attualità: le ragioni sono state ampiamente spiegate. Poi, non mancano le buffonate, come quella di quest’anno alla Fiera del Libro di Torino: futili mezzi per catalizzare l’attenzione, proprio perché la qualità dei “prodotti” – uno ogni 8 minuti, una catena di montaggio impazzita – è scarsa.

E’ ora di porvi rimedio: i costi sarebbero veramente minimi per uno Stato, mentre i vantaggi – economici e d’immagine – sarebbero senz’altro di tutt’altro ordine. Altrimenti, centinaia d’autori di lingua inglese o spagnola, raggiungeranno facilmente le canoniche 5.000 copie – in un rapporto di “facilità” di 1 a 10 con l’autore italiano – e si presenteranno sul mercato internazionale: non è un caso se tutta la narrativa storica italiana è quasi completamente nelle mani d’autori esteri.

Che idea balzana…far leggere i detenuti…e se funzionasse?

(3) La cifra non conteggia i libri scolastici né quelli scientifici, tecnici, medici, ecc. né quelli venduti tramite Amazon, che non fornisce dati.

01 giugno 2019

Ma quanto ci rubano?

Osserviamo: prima di parlare, scrivere, commentare, tenere conferenze, postare interventi su Youtube, Facebook, Twitter…osserviamo, guardiamo, ragioniamo. Questo è il mestiere del giornalismo d’inchiesta, non altro: non un copia/incolla da un sito all’altro, del quale non possiamo fidarci ciecamente.
Osservo il porto turistico di Varazze: un tempo – prima che affondasse la Haven nel 1991, 10 ore dopo il Moby Prince – una larga parte del porto era riservato alle barche da pesca ed ai pescherecci, alcuni di ragguardevoli dimensioni. Ed oggi?

Oggi sopravvivono poche barche a vela, non molti, modesti yacht a motore, gommoni e quant’altro, sfavoriti da una politica dei prezzi che li taglieggia: un posto barca, annualmente, costa sui 5-6000 euro per 10 metri di barca. Perché?
Poiché si cerca di far spazio per gli yacht (quasi tutti a motore) superiori ai 25 metri, come sta avvenendo in quasi tutti i porti turistici italiani. Ohibò: gli italiani sono diventati tutti ricchi?
Gli stessi yacht, sono ormeggiati in banchina, già iscritti alle Isole Cayman per motivi fiscali – isole dei pirati erano le Cayman, cosa potevamo aspettarci? – solo in attesa di un acquirente. Ma cosa sono?!?
Sono dei “bestioni” con motori di 3-4000 Cv, che costano 1-2 milioni di euro, che pagano circa 50-100.000 euro/anno per stazionare in porto, che necessitano di un equipaggio (un comandante, un motorista, un marinaio), per le quali un “pieno” si aggira sui 10.000 euro. Non è proprio roba per tutte le tasche.
Beh, direte voi…sono roba per ricchi…

Già, ricchi.
Sapete qual è il Paese che produce il maggior numero di questi aggeggi? L’Italia (1), da 14 anni, è in testa nella produzione mondiale di grandi yacht: se ne producono, ogni anno, circa 200, da una dozzina d’aziende.
Beh, non saranno mica tutte vendute in Italia? No, nessuno sa chi siano i proprietari, perché sono intestate a società che hanno sede…guarda a caso…alle Cayman. Però, molti, stazionano nei porti italiani: chissà come mai?
Beh, se volete notizie su chi li utilizza (solo i più noti) potrete trovare qui (2) Briatore e qui (3) Formigoni…ma sono certi che saprete fare meglio cercandoveli da soli…il problema è che si sono fatti furbi: chi mai può indagare Piripicchio, se lui ha una partecipazione nella Fuffalex.snc, società che fa parte del gruppo Voloben.srl, che è dipende dalla holding Rubatutto…con sede alle Cayman, consociata in Lussemburgo alla…
Roba che un magistrato deve spaccarsi il cervello per trovare il bandolo della matassa.

Questa divagazione sui possessori di grandi yacht non ci fornisce dati sull’entità della corruzione, però ci dice qualcosa l’ingrandimento dei bacini dei porti turistici – per ospitarli è necessaria una certa distanza fra i pontili – perché significa che parecchi di questi “mostri del mare” soggiornano in Italia, e dunque i proprietari (o gli utilizzatori) non sono distanti. Perché tenerli nei porti italiani che, oltretutto, non sono per niente a buon mercato? Potremmo ipotizzare che tutto sia “pagabile” tramite “favori” e tangenti varie, anche il canone di locazione del porto?
Qualche riscontro c’è, come quello di un pentito di n’drangheta, il quale afferma che ad un avvocato, facente parte di una “giro” di corruzione “sarebbe stato perfino regalato uno yacht in precedenza sequestrato e poi dissequestrato”. (4)

Ma, se cercassimo alla fonte dati sulla corruzione in Italia?

Le fonti sono incerte, per un semplice motivo: chi corrompe od è corrotto, non lo va a gridare ai quattro venti. E le stesse indagini, processi et similia forniscono dati scarsi. Perché? Poiché ne baccano pochi!

Il dato più conosciuto e riportato in molte analisi è quello della Banca Mondiale, la quale “stimò” la corruzione a livello mondiale in 1000 miliardi di dollari. Chissà perché 1000 (mille e non più mille…mah)…cifra tonda…un numero ad effetto. Beh, secondo il dato, forse non fasullo ma poco convincente, siccome l’Italia partecipa al PIL mondiale per il 6%, fanno 60 miliardi annui che finiscono nelle tasche dei corrotti. Prendetela come volete: Banca Mondiale dixit.

Mi è sembrato più accurato il dato proveniente da un’indagine eseguita dai Verdi europei e validata da una società di controllo americana, studio confermato anche dall’UE (5). Racconta che, nella sola Europa, la corruzione vale 904 miliardi l’anno. Non so se questo dato sia esatto, però so per certo che a Bruxelles ci sono 7.800 lobbisti regolarmente accreditati (6): altre fonti citano 15.000, ma non è il caso di litigare su questi numeri, giacché dipende dai soldi che ci metti, non tanto da quanti uomini hai.
Secondo questo studio, ogni anno l’Italia “perde” in corruzione 236,8 miliardi di euro, pari al 13% del suo PIL: percentualmente, non è la più corrotta in Europa (gli stati dell’Est Europa sono più corrotti), però in valore assoluto è la prima assoluta, seguita dalla Francia e dalla Germania, ma un po’ più distanti come valore percentuale sul PIL.

Che siano 60, oppure 239, io non posso metterci le mani sul fuoco: però, nel nuovo porto di Loano (SV) ho visto personalmente un mega-yacht che era, in realtà, un ex cacciatorpediniere francese: perché? Poiché aveva già la piattaforma per l’elicottero!

Lo scorso anno – ricordo – ci hanno fatto impazzire perché il RDC e Quota 100 costavano circa 10 miliardi l’uno…e questi si dividono decine o centinaia di miliardi? Con l’Europa che andava a spilluzzicare sui decimali di debito, lo spread che tuonava, Moscovici che vomitava insulti…mentre, sull’altro versante, sulle mazzette tacevano?

Non voglio affermare che la ragione della sconfitta elettorale dei 5S sia stata solo quella che ha sostenuto Massimo Fini, ovvero i “mazzettari” gaudenti, però qualcosa di vero c’è anche in questo: cosa controlla quella gente? Tv, giornali, Web…in una sola parola, INFORMAZIONE. Che è stata un solo bombardamento, concentrato sul M5S. E chi hanno iniziato a temere, sin dal crollo del ponte Morandi? Sin dalla TAV? Solo il M5S, perché la Lega era sì d’accordo…però si smarcava sempre di lato. Faceva capire che, per loro, era importante il PIL, il lavoro…”quella roba lì” era solo “merce” dei 5Stelle, che se era per loro…avrebbero chiuso un occhio, anzi due…

I due casi di Rixi e Siri sono roba di poco conto (almeno, Rixi, Siri si vedrà) però entrambi hanno sbagliato, e chi sbaglia paga. Se preferite che non paghi, ditelo chiaro, preferita pagargli gli yacht e, per voi, Formigoni – oggi – sarebbe tranquillo a casa sua a progettare vacanze? Scegliete.


(6) https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-06-23/l-esercito-lobby-bruxelles-chi-sono-e-quanto-spendono-gruppi-interesse-ue-130144.shtml?uuid=ACrSnOF