13 febbraio 2021

Il governo“green” al lavoro

 

 

Come dimostra il meraviglioso processo della fotosintesi, l’agricoltura è chimica e la chimica verde è la prossima rivoluzione che si svilupperà in modo esponenziale”

Ve lo dico dopo chi è

 

Sembra quasi una boutade, oppure una ciofeca buttata lì: il governo, secondo Grillo, doveva accorpare il ministero dello Sviluppo Economico con quello dell’Ambiente, ossia dare un’impronta decisamente “green” a tutto il governo, senza esclusioni. Ovvio che assegnare a Giorgetti il primo ed a Cingolani (amico di Renzi, spesso “fedele” della Leopolda) il secondo, rinominato in un fumoso per la “transizione ecologica”, sembra più una presa in giro che altro. Resta da capire se Draghi ha preso in giro i 5S, oppure se è stato lo stesso Grillo a prenderli per il c…in ogni modo, il governo non ha nessuna intenzione di farsi guidare in tal senso.

Un banchiere ha le preoccupazioni delle banche per la testa, mica quelle della lattuga, e tutto l’ambaradan montato su da Renzi con l’aiuto di Verdini & soci non è mica stato fatto per nulla: sono i 209 miliardi che vogliono, non le pantomime sclerotiche di un vecchio coglione ignorante come Grillo oppure l’ignoranza dei ragazzini 5S che siedono in Parlamento perché li hanno votati mamma, papà, zii, cugini, amici e parenti vari sul sito di Casaleggio. Pochi di loro sapranno che un tentativo di transizione “green” in Italia già avvenne, e nemmeno sanno come finì: tanto, ignoranti sono tutti, grandi e piccoli, e l’avventura del M5S è già finita.

Nel dopoguerra, Ravenna era la capitale dell’agricoltura italiana. Perché? Poiché lì regnava, indisturbato, Serafino Ferruzzi: un tizio che aveva inventato un modo semplice ma geniale per far soldi. Riuniva denaro grazie alle sue conoscenze nel mondo della finanza legata all’agricoltura, li investiva nell’importazione di cereali dal Sudamerica, poi rivendeva tutto sul mercato italiano quando il momento era favorevole. Come faccio a saperlo? Seguitemi.

Nel Gennaio del 1973 venni assunto temporaneamente presso la sede torinese del Ministero dell’Agricoltura, insieme ad altre tre persone: il nostro compito era semplice, gestire la posta in arrivo. Per molti mesi mi domandai come mai avessero assunto quattro persone per aprire e visionare sì e no 200 lettere il giorno.

Lavoravamo poco, ma soldi non ne vedemmo fino a Giugno, quando i sei mesi ci furono pagati, ed anche abbastanza bene, in un’unica soluzione. Come mai?

I soldi, in realtà, erano già arrivati a Gennaio ma il capoccione e altri due come lui – d’accordo – avevano consegnato tutto a Ferruzzi: a Giugno, divisi i guadagni dell’operazione, ci consegnarono la rimanenza. Il Ministero, ovviamente, era a conoscenza di questi traffici…ma cosa volete che vi racconti, che l’Italia è un Paese di truffatori? Lo sapete da soli.

Nel 1979, però, l’aereo di Serafino Ferruzzi urtò una casa in atterraggio a Forlì e l’imprenditore morì: fu un incidente vero, non come quello di Mattei. Almeno, così sembra.

La famiglia decise d’accorpare gli 800 miliardi (dell’epoca!) del capitale nelle mani di Raoul Gardini, marito della primogenita Idina.

Qui inizia la storia della chimica “verde” italiana: una vicenda legata ad un uomo visionario – Raoul Gardini – che aveva veramente compreso le potenzialità della chimica “green”, ma per raggiungere i suoi scopi aveva bisogno della “grande” chimica, ossia Montedison e, in definitiva, di ENI.

E qui iniziò la sua parabola discendente: i due competitori – Gabriele Cagliari (presidente dell’ENI) e Raoul Gardini – morirono entrambi a breve distanza uno dall’altro: il primo “suicidandosi” con un sacchetto di plastica nel carcere di San Vittore, il secondo “suicidandosi” a casa propria a Milano, Palazzo Belgioioso, con uno, altri dicono due colpi di pistola. Fine della chimica “verde” italiana, terminata in un mare di tangenti e ricorsi.

Tutto ciò mostra come il legame fra la chimica e l’ambientalismo “green” fallì miseramente, addirittura con due “suicidi”: sono due settori molto vicini (come disse Gardini nell’incipit) e, maledettamente, due faccende che rendono soldi come il cappello di un prestigiatore matto.

 

Già nel 1975 era accaduto un primo “stop”, la legge Cossiga contro la canapa: un assurdo, perché la canapa era coltivata (e fumata) dal neolitico, generando una ricchezza che, oggi, viene valutata in circa 1,4 miliardi di euro l’anno, con un’occupazione per 10.000 addetti. Migliaia di ettari svaniti nel nulla, proprio “fumati”.

Nel 1937 Henry Ford, addirittura, costruì la Hemp Body Car, un’automobile costruita completamente con polimeri derivati dalla soia e dalla canapa e funzionante ad etanolo ricavato dalla fermentazione della canapa. Anche il grande Henry fu fermato dai giornali di proprietà dell’industria chimica: seppe fermarsi prima d’essere ammazzato. Ecco l’auto:

 


Quindi, quando affermiamo “green” bisogna avere ben chiaro cosa s’intende e contro chi si va a parare: il governo Draghi vi sembra il più adatto per una simile battaglia?

Il governo Draghi è appoggiato anche dalla Lega, che è sempre stata favorevole all’eolico: soprattutto quando il suo responsabile nazionale per l’energia – Paolo Arata – è stato condannato perché molto “vicino” a Vito Nicastri, “re” dell’eolico siciliano e condannato a 9 anni per aver favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Arata, a sua volta, ha travolto anche l’on. Siri (sempre Lega) nelle sue faccende le quali, quando gira il vento, possono anche far male a causa del vento “tangente”: non è il caso del nuovo governo, che sono certo farà affari con tutti e saranno affari indisturbati.

Vi confesserò che, per capire meglio come funzionava il “giro” dell’eolico, mi sono spacciato per un sostenitore della Lega ed ho chiesto ad un sindaco leghista quanto rendesse al suo Comune il parco eolico installato: la risposta fu un dubbioso “Mi pare 15.000 l’anno…”. Feci due conti sul tovagliolo di carta e glieli mostrai: era la cifra che rendeva, annualmente, l’impianto: circa 450.000 euro. Lo vidi impallidire.

 

Il nuovo governo, se vorrà dimostrarsi “green” dovrà fare i conti soprattutto con ENI, e qui la vedo dura, molto dura, perché ENI è una potenza, vedi il caso Cagliari-Gardini.

Bisogna però essere chiari: io non ho nulla contro ENI, che è una ricchezza per l’Italia. Addirittura, ENI partecipa mediante Saipem alla posa di giganteschi aerogeneratori nel mare scozzese, grazie a Saipem 7000, la più grande nave esistente per la posa di questi sistemi.

Il problema – e questo spiega perché in Italia non c’è un solo aerogeneratore in mare – è che ENI ha una sorta di prelazione sulle coste italiane, come potrete notare da questa cartina:

 


Ora, non so chi abbia preso queste decisioni: so però che le uniche tre aree italiane dove è conveniente impiantare parchi eolici off-shore solo al largo della Puglia, a sud della Sicilia, e a nord-ovest della Sardegna. Chi sloggia? Le trivelle o i mulini? Credo che continueranno le trivelle: Draghi è comprensivo, è anche “green”, Draghi è l’opera omnia della politica italiana.

 

Gli annunci della creazione di impianti off-shore, in Italia, sono stati tanti: il primo doveva essere di fronte a Termoli, ma disgrazia volle che la Regione Molise non concedesse l’arrivo a terra dei cavi elettrici. Votarono contro, uniti nella lotta, il governatore di Forza Italia e Di Pietro: potenza dell’ENI…

L’ultimo (che ricordo) è quello di Tricase, quasi a Capo Santa Maria di Leuca, dove doveva sorgere un impianto colossale, a 20 km da terra, praticamente invisibile e della potenza di 90 MW. Il Ministero per lo sviluppo economico concesse un 5% circa del finanziamento totale, che era di circa 100 milioni di euro. Cosa capitò?

Nulla, semplicemente il Tar del Lazio cancellò il finanziamento del ministero: l’azienda che stava per costruire l’impianto ricorse, perché nel frattempo aveva avuto delle spese, ed il Consiglio di Stato, finalmente, la zittì ponendo fine alla faccenda dicendo di non rompere i cosiddetti.

 

Perciò, non meravigliatevi se fra qualche mese torneranno alla carica per il Ponte sullo Stretto, per la TAV (che la Francia non vuole più), per qualche valico di frontiera, per qualche buco nell’acqua o nella roccia: basta che costi tot, non un soldo di meno. Saranno tutti buchi nell’acqua rigidamente verdi, per rispettare la nuova normativa “green”: ponti verdi, valichi verdi, gallerie verdi, dentro e fuori. La Lega sarà felice e li farà stampare sulle cravatte, verdi, dei suoi parlamentari.

 

Ultima cosa: da quando ero ragazzo, un governo prima di ricevere le consegne andava in Parlamento per ricevere la fiducia: il governo Draghi no, si giura, si raccontano mille frottole poi…se c’è il tempo…si va anche in Parlamento…tanto anche noi abbiamo un garante, come i 5S, si chiama Mattarella. Peccato che, per il governo Conte, non si aspettò nemmeno un voto parlamentare: a casa, in fretta, su, fate posto…

 

Ridicoli.