30 giugno 2008

Maledetto petrolio

Le idee migliori sono proprietà di tutti.”
Lucio Anneo Seneca

E’ quasi impossibile trascorrere un solo giorno senza sbattere contro l’evidenza della realtà energetica italiana: eppure, quel che tiene banco è il penoso teatrino delle intercettazioni telefoniche, delle “veline”, delle leggi ad personam, dei magistrati da assolvere o condannare, dei ministri-ombra di se stessi…
In mezzo a tutto questo bailamme, nessuno parla quasi più dell’evidenza – lampante – che stiamo diventando sempre più poveri per il costo dell’energia.
Come ogni anno, viene pubblicata[1] la classifica delle principali holding planetarie:

1) Exxon Mobil (USA);
2) PetroChina (Cina);
3) General Electric (USA);
4) Gazprom (Russia);
5) China Mobile (Hong Kong);
6) Bank of China (Cina);
7) Microsoft (USA);
8) AT&T (USA);
9) Royal Dutch Shell (UK);
10) Procter & Gamble (USA);
...
36) ENI;
69) Intesa Sanpaolo;
70) Unicredit;
100) ENEL;

316) FIAT.

Nelle prime dieci posizioni troviamo ben quattro corporation del petrolio, ed una (General Electric) che fornisce servizi all’industria petrolifera. Se cerchiamo aziende italiane, la prima è ENI (petrolio, 36° posto) ed al 100° troviamo ENEL (energia), mentre FIAT occupa solo la 316° posizione.
Rispetto all’anno precedente, i movimenti “a salire” sono stati tutti delle imprese energetiche, mentre le banche hanno perso terreno: i subprime hanno chiesto dazio.
Tornando alle prime posizioni, è curioso notare che le prime quattro sono occupate da petrolio & affini, mentre la grande Microsoft è solo al settimo posto: senza energia, anche i veloci processori perdono terreno.
Niente di nuovo sotto il sole – verrebbe da dire – e invece qualcosa di nuovo c’è o, almeno, qualcosa che sarebbe meglio meditare.

Si cercano ipotesi fra le più disparate per non riconoscere l’evidenza più limpida: un bene divenuto essenziale, presente in quantità finita nel pianeta e con una domanda in forte crescita (Cina), logicamente, aumenta di prezzo.
E’ pur vero che non tutto l’aumento è reale (riflettiamo sul precipitare del dollaro), ma è altrettanto evidente che anche messer euro non riesce a tener testa al vero bene primario del pianeta, al signor oro nero che ha preso il posto dell’oro giallo nel definire i valori delle monete. Potremmo quasi misurare il valore relativo di euro e dollaro valutandoli sul barile di petrolio.

Il prezzo del greggio[2], dall’estate del 2005 ad oggi, è passato da 60 $/barile agli attuali 140 circa: l’euro, nel medesimo periodo, è passato da 1,2 ad 1,6 sul dollaro (approx)[3]: un barile di petrolio del 2005 costava 50 euro, oggi ne costa quasi 90. Ecco perché la benzina aumenta nonostante l’apprezzamento della moneta europea.
Il prezzo dei carburanti sarebbe dovuto salire dell’80% circa: consideriamo, però, che l’aumento del prezzo va ad incidere sulla parte “industriale” del costo dei carburanti, che è circa la metà perché il resto sono imposte.
Se riflettiamo che la benzina è passata – sempre negli ultimi tre anni – da 1 euro ad 1,5 euro (incremento del 50%), i conti – pressappoco – tornano. Per il gasolio il problema è diverso: siccome il rapporto fra benzina e gasolio, nella distillazione frazionata del greggio, varia poco – e parallelamente è aumentata la richiesta per l’alto numero d’auto a ciclo Diesel in circolazione – l’aumento del prezzo incorpora maggiori costi industriali per soddisfare la domanda.

A margine, notiamo che circolano sul Web storie fantasiose su un fraudolento aumento del greggio, le quali basano queste ipotesi su un prezzo del greggio – nel 2000 – di 60 $/barile, il che è tragicamente falso.
Il prezzo del greggio, nel 2000, oscillò intorno ad un valore medio di circa 25-30 $/barile[4], valore raggiunto rapidamente, dopo aver toccato il minimo degli ultimi vent’anni il 16 febbraio 1999, con un prezzo di 9,82 $/barile[5].

Non cerchiamo quindi lontano dal buon senso ipotesi fantasiose: stiamo vivendo la parabola calante dell’Evo Petrolifero. Qualcuno afferma che il famoso “Picco di Hubbert” è già avvenuto, oppure è prossimo: poco importa, se valutiamo l’andamento del mercato.
Altri affermano che il petrolio è abbondante perché non ha origine biologica (ipotesi che non spiega la presenza di colesterolo nel greggio, la rifrazione della luce polarizzata e la preponderanza d’idrocarburi con atomi di Carbonio dispari, tutte caratteristiche delle molecole di derivazione organica). Se così fosse, basterebbe rivelare dove si trovano i fantomatici ed immensi giacimenti di petrolio d’origine inorganica.
Ultima trovata è la speculazione: vero, verissimo che sui future del greggio si specula a piene mani, ma solo perché la richiesta è in continuo aumento e tale da non guardare troppo in faccia ai prezzi. PetroChina, nell’anno appena trascorso, ha comprato a man bassa diritti d’estrazione in Africa senza badare troppo al prezzo, giacché è più importante garantire energia al colossale apparato industriale cinese che spilluzzicare sui centesimi. La speculazione, dunque, nasce e prospera perché è il mercato stesso a garantirne il successo: provate a speculare sui future dei carri da buoi.

Che ci piaccia o non ci piaccia, dunque, la situazione è di una semplicità disarmante: qualche decennio d’estrazione – a costi sempre maggiori, dovuti anche al progressivo esaurimento dei giacimenti meno profondi ed ai maggiori costi di raffinazione per le sezioni più profonde e dense del prodotto – e poi…carbone a volontà! Per un altro secolo, forse[6].
Dopo esserci immersi nell’universo petrolifero, torniamo agli affari di casa nostra, ovvero a cosa stanno facendo i nostri politici per tentare di trovare soluzione al problema: niente.

Il precedente governo, per non rischiare di commettere errori, decise semplicemente di non far nulla o quasi: l’unico intervento – che segnaliamo più per correttezza che per incisività del provvedimento – è stata l’incentivazione che ha riguardato e riguarda il solare termico, gli impianti per l’acqua sanitaria.
Provvedimento di per sé accettabile, se non fosse che gli italiani che possono sborsare 4-6000 euro per un impianto non sono tantissimi: i più, cercano più che altro di non farsi sbattere fuori di casa per non aver pagato il mutuo. Oppure, vagano negli hard discount alla ricerca del prezzo più basso. Altro che le elucubrazioni di un ambiental-chic come Pecoraro.

L’attuale governo, invece, ha scelto la via del decisionismo: ottimo, verrebbe da dire. Sì, se non avessero “deciso” di prendere la strada sbagliata.
La barzelletta del nucleare italiano è l’ultima trovata di patron Berlusconi e del suo ministro Scajola. Udite udite, popolo, e pascetevi. Fino al 2013, ci sarà la fase di “identificazione” dei siti dove dovrebbero sorgere le famose quattro centrali nucleari: poi, si dovrebbe passare alla costruzione. Sotto controllo militare (!).
Se tutto dovesse filare liscio – cosa assai rara nello Stivale – per il 2020 ci sarebbe il primo KW di produzione nucleare.
Nel frattempo, non sappiamo a quanto potrà arrivare il prezzo dell’Uranio (che sale come un’iperbole, poiché è una fonte non rinnovabile) e non sappiamo nemmeno chi caccerà i soldi per una simile, ciclopica impresa: inizino a scovare i quattrini per Alitalia, come avevano strombazzato. Altrimenti, di tante “cordate”, rimarrà solo la corda per impiccare i lavoratori.
Senza considerare i costi della conservazione delle scorie: se qualcuno ha ancora dei dubbi sulla non convenienza economica del nucleare, legga il mio “Vattelapesca forever” e si faccia un’idea.
Perché tanta sicumera senza senso? Perché ignorano, non sanno, sono…insomma…non mi va d’usare il participio presente di quel verbo…

Uno dei principali ostacoli allo sfruttamento delle energie rinnovabili, riguarda il falso concetto che abbiamo di rivoluzione industriale. Per molti (tantissimi fra coloro che ci governano), la rivoluzione industriale fu quella cosa che nacque in Europa alla metà del Settecento. Prima, regnava il nulla.
Complici gli Illuministi – che ebbero buon gioco nel mostrarsi i veri progressisti dell’epoca – ciò che avvenne prima, sotto il profilo tecnologico, era considerato irrilevante.
In qualche modo corresponsabili dello sciagurato inghippo, furono tanti storici che – del Medio Evo – studiarono più il pensiero filosofico e religioso e poco quello scientifico e tecnologico. Insomma, per i più, il Medio Evo (e parte del successivo Evo Moderno) erano privi di tecnologia.

Ci ha un poco salvati da questa pericolosa impasse la scuola storica francese[7], che iniziò a studiare e catalogare con pazienza le miniature, i rari testi, i quadri…insomma, tutto ciò che poteva in qualche modo squarciare il velo imposto dall’ingombrante pensiero filosofico medievale, e farci osservare come viveva la gente all’epoca. Ricordiamo anche Carlo Maria Cipolla ed il suo (fra i tanti) Uomini, tecniche, economie.
Insomma, cosa raccontano questi storici?
Narrano un mondo povero d’energia, se lo paragoniamo agli attuali consumi, che però riusciva a sfruttare tutto ciò che aveva a disposizione per risolvere la penuria d’energia e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni. Riflettiamo che, all’avvento della propulsione a carbone sulle navi, l’intero pianeta era già stato esplorato. A vela.

Tutti sanno che gli olandesi riuscirono a vivere in una terra paludosa prosciugando i polders mediante i mulini a vento: non tutti sapranno quale meraviglia della tecnica erano quei mulini. La potenza non era alta – 10-20 kW al massimo – ed era regolata mediante sistemi di governo delle pale che erano stati mediati dalle attrezzature veliche navali. Anche l’invenzione del pennone girevole su un estremo (boma) fu olandese, quando dovettero risolvere il problema d’utilizzare piccoli velieri, molto maneggevoli, per la sorveglianza delle coste.
Il mulino a vento olandese, oltre che come pompa idraulica, era usato per macinare cereali e spezie (ricordiamo l’importanza della compagnia olandese delle Indie) e per segare il legname. Era, in qualche modo, una “centrale energetica polivalente” dell’epoca, che funzionò a meraviglia per secoli.
Sarebbe interessante valutare – ma le fonti sono purtroppo scarse – il “risparmio energetico”, inteso come forza muscolare economizzata, operato per secoli dagli olandesi mediante i loro mulini. I quali – è bene ricordarlo – non sorsero solo nelle Zeven Provinzen, ma dalla Galizia alla Danimarca.
E dove non c’era vento?

Qui, la pittura è stata d’aiuto agli storici: scorci di fiumi dove sorgevano serie di mulini ad acqua disposti “in cascata”, oppure canali d’alimentazione per i mulini, ruote, macine, ecc. Siccome il mulino ad acqua – in epoca medievale – era spesso privilegio delle famiglie nobili o degli ecclesiastici, qualche fonte scritta è stata ritrovata negli archivi.
Ciò che emerge dalle loro analisi – come un’immagine che prende forma in un bagno fotografico – è un mondo che preannuncia e già riproduce lo schema della rivoluzione industriale: macine per i cereali, ma anche magli per la metallurgia e telai mossi dalla forza dell’acqua. Insomma: l’avvento dei combustibili fossili si “adagiò” su un modello che era già formato!

Essere inconsapevoli di quei fenomeni, che ci sembrano lontani e quindi ininfluenti, è ciò che porta a concludere – come usa fare Franco Battaglia – che le energie naturali sono “energie vecchie” perché già usate dall’uomo in tempi lontani. A parte l’errore di metodo che Battaglia compie quando afferma che l’energia solare è anch’essa “vecchia” – l’uomo non ha mai trasformato l’energia solare in energia meccanica: la usò, ma passando sempre attraverso la fotosintesi vegetale (legname, cereali, ecc) – non si comprende perché quantità d’energia presenti ed abbondanti nel Pianeta debbano essere trascurate soltanto perché – a suo dire – “vecchie”.
Forse perché il simpatico professore emiliano ha studiato la Storia sul Bignami? O perché l’industria termonucleare paga bene i suoi sponsor? Delle due l’una: scelga.

Tutto ciò, è soltanto la classica “immersione” nella Storia?
No, perché chi ha oggi superato la cinquantina, ha ancora visto con i suoi occhi le ultime immagini di quel tempo, gli estremi afflati di quell’epoca.
Non dobbiamo andare troppo lontano: fino a pochi anni or sono, mi recavo ad acquistare la farina in un vecchio mulino ad acqua nell’entroterra ligure. Nell’azienda dove lavorò per molti anni mio padre, l’energia era tratta da una ruota ad acqua collegata ad un alternatore che forniva 40 KWh. 40 KWh non sono proprio niente: possono far ruotare una decina di torni.
Presso la casa dove abitavo da bambino, scorreva una roggia con forte pendenza che alimentava piccole turbine per la produzione idroelettrica e qualche mulino: oggi, la roggia è secca perché nessuno ha più provveduto alla manutenzione.
Mia madre – che durante la Seconda Guerra Mondiale sfollò in un mulino – ricorda quattro mulini dove oggi non ci sono che ruderi, che macinavano cereali ed erano usati per muovere telai per tessere, oltre che per illuminare – grazie ad una dinamo – le abitazioni.
Molti fra noi, scavando un poco nei ricordi familiari, troveranno identici racconti: se non basta, ricordiamo Bacchelli ed i suoi mulini del Po, migliaia di mulini, dalla sorgente al delta.
Insomma, non dovremmo – se vogliamo trovare soluzioni al problema energetico – scervellarci in chissà quali elucubrazioni: potremmo iniziare a ricordare.
Quando è terminato quel mondo?

Fornire delle date è cosa ardua, ma di certo la nazionalizzazione della fornitura elettrica (ENEL) del 1960-61 diede un colpo mortale alla produzione diffusa d’energia elettrica. Ci furono ovviamente dei benefici: la razionalizzazione della distribuzione, che condusse a dei risparmi, ma quello era un altro mondo, per costi, consumi e classe politica.
La nazionalizzazione pose fine all’attività di piccoli e medi produttori (che furono indennizzati) ed inaugurò il metodo della produzione centralizzata, appannaggio di un solo ente statale.
Oggi, si parla di privatizzare il settore elettrico (decreto Bersani del 1999), ma questa “privatizzazione” non parla il linguaggio della produzione diffusa sul territorio: ossia, la ammette, ma solo per impianti di “media taglia”.
Quel “media taglia” significa potenze troppo elevate per una produzione veramente diffusa sul territorio: in pratica, parliamo di decine di MW invece di decine di KW.
Ovviamente, non c’è nulla di male ad installare parchi eolici in località ventose ed isolate (oppure in mare, off-shore) per ottenere cospicui volumi energetici, come non sarebbe male seguire l’esempio spagnolo, che prevede la costruzione di ben 28 centrali termodinamiche (paradossalmente, l’invenzione ed i primi sviluppi sono italiani, di Rubbia e dell’ENEA!). Per farlo, è però necessario “muovere” cospicue risorse e realizzare complessi accordi per i finanziamenti. Eppure, non credo che risolveremmo il problema.

Stabilito che c’è molto da fare per attuare un serio risparmio energetico, che passa per mille canali: dalle lampadine agli elettrodomestici, ai climatizzatori, ecc, la produzione elettrica sarebbe incrementabile solo se fosse veramente diffusa.
La diffusione sul territorio, inoltre, sarebbe un antidoto ai “picchi” di produzione d’alcuni sistemi (come l’eolico), dei quali s’è lamentato il gestore della rete elettrica. Più la “base” è larga e diffusa, più la media tende ad essere costante.

Cosa impedisce il grande passo di un doppio contatore in ogni casa (per chi lo desidera, ovviamente), con un “conto energia” generalizzato?
Due fattori: il primo, già citato, è una sorta di pessimismo di fondo legato ad un’errata valutazione della storia energetica dell’Europa. Il secondo, che quasi ne discende, è la ferrea convinzione che il controllo centralizzato sia la panacea per tutti i mali. Inoltre, garantisce il controllo politico dell’energia e – chi controlla l’energia – oggi controlla la tua vita. Prova a far funzionare il tuo PC a pedali.
Vogliamo ipotizzare alcuni scenari?

Il cosiddetto “micro-idroelettrico” consiste nel produrre poche decine di kWh da rogge, piccoli canali, torrenti, addirittura sfruttando la caduta degli acquedotti. Qualcuno – facendo lo slalom fra le mille pastoie burocratiche – ci è riuscito: il caso di Varese Ligure, che ha vinto il premio “The best 100% Communities Renewable Energy Partnesrship Rural Communities”, indetto dall'UE, come “migliore comunità rurale dell'UE per aver attuato il progetto più completo ed originale di sviluppo sostenibile”, è conosciuto ma scientemente ignorato.
Oltre agli aerogeneratori ed ai pannelli fotovoltaici, gli amministratori del comune hanno installato una turbina sulla conduttura dell’acquedotto, che ha una caduta di 120 metri ed una portata di 8.3 litri/secondo, la quale aziona un alternatore e produce circa 20 MWh l’anno. Si realizzerà a breve un progetto sul torrente Caruana, con due turbine che produrranno circa 1390 MWh annui.
A poche decine di metri dal mio studio, sorge un mulino d’origine medievale che sfrutta un canale di prelievo a monte sul fiume Bormida: da anni, non aziona più le macine direttamente con l’acqua, bensì produce energia elettrica (30 kWh) che vende all’ENEL, per poi acquistarla quando deve azionare i macchinari. Insomma, un semplice conto energia.
A conti fatti, la piccola roggia che alimenta la turbina – la si attraversa con un salto – porta ogni mese nelle casse pressappoco 1500 euro[8], senza far altro che lasciarla girare.
Quante situazioni, potenzialmente simili, ci sono nel Bel Paese? Decine di migliaia? Centinaia di migliaia?
Aggiungiamo la possibilità di sfruttare la corrente lenta dei grandi fiumi con mulini galleggianti, oppure le cadute d’acqua delle chiuse (se si decidesse, finalmente, di metter mano al trasporto fluviale!), gli acquedotti, ecc: insomma, la produzione idroelettrica non è confinata ai soli grandi impianti. Inoltre, la possibilità di consumo “in loco” o nelle vicinanze, ridurrebbe le perdite del trasporto in rete.
Basterebbe richiedere ai comuni il censimento delle cadute d’acqua disponibili, compresi i diritti ancora (eventualmente) esistenti di proprietari d’immobili che godevano della servitù di un corso d’acqua (i discendenti dei mugnai, ad esempio).
Potremmo, a quel punto, avere un quadro d’insieme delle risorse disponibili ed attuare piani per lo sfruttamento. Come?

Prendiamo a paragone la legge che concede incentivi per il solare termico: il cittadino dovrebbe investire 4-6000 euro (ricevendo lo sgravio fiscale del 55%) per risparmiare energia elettrica o gas per gli usi dell’acqua sanitaria.
Per prima cosa, non tutti sono nelle condizioni di ricevere lo sgravio fiscale: un dipendente, a tempo determinato o saltuario, è già tagliato fuori. In altre parole, sono provvedimenti destinati a chi è già garantito.
Inoltre, gli impianti – per essere utilizzati anche nella stagione invernale – sono sovradimensionati e, d’estate, l’acqua viene conservata addirittura sotto pressione a temperature di 180 gradi. Il tutto, per risparmiare sull’acqua calda.

Proviamo invece ad immaginare un investimento simile, che non conduca solo al risparmio sulla bolletta energetica, ma che porti anche un guadagno: se il consumo medio di un’abitazione è di circa un kWh, un piccolo impianto da 10 kWh ne renderebbe 9 all’ENEL, e ci farebbe incassare – al netto dei nostri consumi – 500 euro il mese circa. A quel punto, chiunque capirebbe che l’offerta è vantaggiosa e potrebbe anche accendere un piccolo mutuo per diventare produttore: un investimento che si ripagherebbe in breve tempo ed in assoluta sicurezza, tanto che lo Stato potrebbe tranquillamente esserne garante[9].
Oppure, immaginiamo una serie d’impianti da gestire: sarebbe conveniente – per tutti, cittadini e Stato – investire in formazione (sul modello tedesco) per chi perde il lavoro e volesse diventare gestore di piccoli impianti pubblici. Cinque impianti da 30 KWh, ad esempio, fornirebbero un gettito superiore ai 7.000 euro mensili, che consentirebbero di pagare il gestore, i costi d’investimento ed ottenere anche un gettito nelle casse statali.

Identico modello potrebbe essere seguito per il micro-eolico, laddove con investimenti della stessa grandezza si potrebbero installare aerogeneratori con potenze di picco inferiori ai 20 kW, e diametri dei rotori inferiori ai 10 metri, tanto per accontentare i “puristi” dell’ambiente. Piccole realizzazioni come queste, a pochi chilometri di distanza, sono praticamente invisibili.
E dove non c’è né vento e né acqua?

C’è pur sempre il sole e, se tali provvedimenti fossero attuati, siamo certi che l’industria saprebbe produrre impianti termodinamici di piccola taglia, considerando – come ebbe a dire lo stesso Carlo Rubbia – che “oggi, cioè in fase preindustriale, il costo complessivo dell’impianto oscilla tra i 100 e i 150 euro a metro quadrato. E da un metro quadrato si ricava ogni anno un’energia equivalente a quella di un barile di petrolio[10]”. La previsioni di costo del kW di fonte termodinamica – per il 2020 – è di circa 6 centesimi di euro, contro i 10-11 circa della fase pre-industriale[11]. Altro che le centrali nucleari di Berlusconi.
E per chi abita in città e non ha a disposizione nulla?
Bene: vuoi investire nell’energia? Lo Stato emette dei “bond energia” – con interesse a tasso fisso e garantito – che serviranno per incentivare chi è nelle condizioni di produrla. Con l’iperbolico aumento dei prezzi, sarebbe un affare per chi investe e per chi produce. In alternativa, il sole “picchia” anche sui tetti.

Una politica attenta al recupero dei grandi numeri delle energie rinnovabili – già usate in passato, ma nuovamente utilizzabili con le moderne tecnologie, soprattutto se diffuse sul territorio – sarebbe la vera salvezza dalle “bollette killer” che gli italiani ricevono.
La “bollette energetica” italiana per il 2008 sarà di circa 70 miliardi[12], e per il 2009 – se il trend dei prezzi si manterrà tale – subirà ulteriori aumenti: vivremo strangolati, nell’attesa delle fumose centrali nucleari di Berlusconi del lontano 2020.
Esiste un’alternativa?

Anzitutto, cambiare radicalmente ed in toto questa classe politica incapace di pensare al bene collettivo, allo Stato come universale dei cittadini e non come fonte di guadagni, vantaggi, impunità e prebende.
Infine, torniamo per un attimo alla Storia.
Uno dei fattori – dapprima catalizzante, poi limitante – allo sviluppo energetico, nel Medio Evo, furono i privilegi largamente diffusi che assegnavano alla nobiltà ed al clero lo sfruttamento delle fonti energetiche, soprattutto i mulini ad acqua.
Con l’appannarsi del potere nobiliare ed ecclesiale, e con l’affermarsi della borghesia come nuovo soggetto economico – che, è bene ricordarlo, cominciò prima degli eventi politici generalmente ricordati – avvenne una sorta di “liberalizzazione” ante litteram, ossia gli impianti si moltiplicarono ed iniziò la cosiddetta rivoluzione industriale, all’inizio con la sola forza del vento e dell’acqua.
Ebbene, oggi, non troviamo interessanti parallelismi fra le due situazioni?

Non viviamo forse schiacciati da un potere politico che c’impedisce – al pari della truffa sulla moneta – di creare da soli l’energia che ci serve? Perché, allora, ci sono decine d’adempimenti burocratici da espletare ad ogni passo?
Si tratta del semplice corrispettivo di quello che un tempo era il potere per censo: la nascita ed il nome garantivano la “vita” economica dell’individuo. Oggi, non sono forse le grandi “famiglie” dell’economia – unite ai loro lacché politici – ad impedire qualsiasi riforma che conceda ai cittadini di creare veramente ricchezza?

Immaginiamo una riforma semplicissima, che consentisse “conti energia” a tutti, senza impedirli – di fatto – con le pastoie burocratiche: presento la documentazione, due mesi di tempo e poi vale il principio del silenzio assenso.
Pensiamo di raggiungere un semplice 20% di produzione nazionale (obiettivo caldeggiato, a parole, dall’UE) con mezzi diffusi sul territorio: significherebbero 14 miliardi di euro che rimarrebbero nelle tasche degli italiani e non in quelle delle corporation. Lo signori, invece, s’inventano le Robin tax per gettare un po’ di fumo negli occhi.

Scommettiamo che, riformando in questo modo la produzione energetica, molti italiani tornerebbero ad entrare nei ristoranti senza fare, prima, complessi calcoli sui prezzi esposti? Io, ci scommetterei una cena.

[1] Fonte: Repubblica, 28 – 6 – 2008.
[2] Fonte: www.traderlink.it.
[3] Ibidem.
[4] Fonte: Bloomberg.
[5] Fonte : EIA, Energy Information Administration (USA).
[6] Il metano segue, all’incirca, l’andamento dei prezzi e le previsioni d’esaurimento del petrolio.
[7] Ricordiamo, ad esempio, la rivista "Annales" e gli storici Lucien Febvre e Marc Bloch.
[8] Considerando un prezzo medio di vendita del kWh, nelle 24 ore, di 0,07 euro, dato tratto dalla “Borsa elettrica”.
[9] Perché, se lo Stato si fa garante per circa 3 miliardi di euro nei confronti degli investitori privati per la costruzione del Ponte di Messina, non potrebbe fare la stessa cosa per un investimento sicuramente più redditizio e solido?
[10] Fonte: intervista concessa a Repubblica da Carlo Rubbia nel 2004.
[11] Fonte: dati forniti nel Giugno del 2007 da Carlo Rubbia ad Agor@ Magazine, citando le previsioni della Banca Mondiale, del Dipartimento per l’Energia americano e della IEA (International Energy Agency).
[12] Fonte: Ansa da Nomisma Energia, 10 Maggio 2008.

24 giugno 2008

Meteora

Caro Pierpaolo,
sono trascorsi molti anni da quella sera del 1975, quando ci lasciasti soli, improvvisamente, come una cometa che scompare negli abissi dello spazio.
Io, questo spazio l’ho di fronte a me e fisso una stellina che m’occhieggia fra le fronde dell’olivo. L’olivo che ha preso il posto dei vari ciliegi selvatici arrostiti dall’arsura estiva, i quali avevano preso il posto della gaggia orientale, quasi secolare, che c’era quand’ero bambino.
Mi chiedo dove tu sia. Non importa: tanto, sei stato un intellettuale mai sopportato dagli intellettuali, un poeta mai compreso dai poeti, un politico trattato ad alzate di spalle, un omosessuale mai omologato fra gli omosessuali. Sei stato un vero jolly, Pierpaolo, e per questa ragione non devi meravigliarti se sei passato come una meteora. Che, però, ha colpito.
Sono trascorsi tanti anni da Valle Giulia, eppure ancora se ne parla, si discute, la si legge e si disserta. Sempre con il solito andazzo: chi solleva le spalle, chi scrive un’inutile critica postuma, chi la esalta, chi non sa e si ferma a guardare la stella, come sto facendo in questo momento.
Gli eroi lasciano questo mondo correndo su un carro di fuoco. Forse un’Alfa rossa. Perché lo lasciano? Forse perché questo mondo non ha più necessità delle loro rime, dei loro aghi piantati a cucire il cielo plumbeo di una realtà selvaggia, invadente e sozza come una lanca sul limitare della borgata.
Sapessi, Pierpaolo, cosa ci stanno raccontando: che le ideologie sono merda, perché uniformare e strutturare il pensiero in una costruzione logica – che ha dunque struttura, forse rigidità – è cosa grama, da mestatori della psiche indegna d’esser avvisa.
Ci propongono, invece, un pensiero così debole da schiantarsi ad ogni angolo del nostro vivere, così mellifluo ed impalpabile da scorrere senza tempo e senza sapore sui palati televisivi, della carta stampata, nei balli a palchetto della politica strapazzata come due povere uova cadute dal cesto. Fino a pervadere il palcoscenico delle menti, che – attonite – s’inchinano di fronte a tanto potere dell’insipienza.
E le madri, chiamate a correo di tanto, terrifico clamore?
Non so, Pierpaolo, se le tue madri siano state così colpevoli: m’inchino, rispetto la tua intuizione ma non la comprendo. E, dunque, m’arresto.
Posso dirti, però, che i padri non si mostrano più, come se la caduta delle tue madri – angeli ribelli, fuoriuscite dai cascinali dov’erano schiave del sesso e dei campi – avesse chiesto contrappasso e nemesi alla Storia. Che, talvolta, ci rifiutiamo di vivere.
Il teatrino che ci mostrano è così mesto che non vale la pena d’insozzare la tua mente – chissà cos’è divenuta, nel frattempo – con il racconto delle nostre triste cronache: risparmiamo il clamore del nulla.
Vorremmo però salutarti senza nessun ardore di speranza, senza obliare né nascondere il nichilismo – al quale tu non hai mai ceduto, lo sappiamo – per dileggiarti con un dolce canto al quale, tu, voleresti la maschera come un bambino scoppia una bolla di sapone.
Troppo tempo è trascorso, inutilmente, senza trovare sentiero e ragione, né metter pace negli animi lacerati ma vivi. Troppo tempo scivolato senza senso, senza corpo, senza ragione. Vorremmo dirti per approdare ad un nuovo tempo, ma non scorgiamo che nuvole all’orizzonte, e la luna tarda a mostrarsi in cielo.

19 giugno 2008

Lo stano caso del dottor Alphan e di Mr. Gherd

Dobbiamo riconoscere che la vicenda, sin dall’inizio, ci ha stupito. Sulle prime, abbiamo pensato ad una sostituzione di persona, poi ad una collaborazione. Infine, giacché i due occupavano la medesima carica istituzionale – quella di Ministro di Grazia e Giustizia – abbiamo capitolato e siamo andati a rileggere Robert Louis Stevenson.

Per quanto mi scervellassi, non riuscivo a trovare una risposta all’enigma: possono, due diverse persone ed allo stesso tempo, occupare il medesimo posto di ministro in un governo? Cos’è il Ministero della Giustizia, una poltrona per due?
Ho meditato, allora, di ricorrere alla Sibilla Cumana. Mentre ero già in auto, pronto a partire per Cuma, mi è giunta sul cellulare un’agenzia della Reuters (l’ANSA, oramai, è stata messa alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio), dove avvertivano che il celebre antro di Cuma è già stato occupato dai militari, che lo stanno riempiendo di monnezza.
Riportata la valigia in casa, ho meditato di rivolgermi alla Rete: detto fatto. Ho creato un avatar su Second Life – ho assunto le sembianze del Duca di Sanfelice – ed ho atteso. Senza far nulla, è stata lei a trovarmi: devo riconoscere che la Sibilla, con tanto di calze a rete e parrucca bionda, mi ha un po’ stupito.
In ogni modo, è stata chiara: i due non sono proprio due, bensì quasi uno, ed ha iniziato a raccontarmi la vicenda.

Il buon Niccolò Alphano è un pezzo di pane, quello che in Piemonte chiamano “n’ bun’om”. Portamento solare, fisico possente, tradisce nelle sembianze l’origine contadina: è – per dirla con Guccini – il “primo della razza che ha studiato”.
Il giovane avvocato siciliano ha creduto finalmente di riscattare, con quell’incarico offerto su un piatto d’argento, generazioni di zappaterra e di scavatori di zolfo che l’avevano generato.
Non sapeva – il tapino – che gli avevano teso una trappola: nel calice di champagne con il quale aveva brindato alla nomina, era stata sciolta una pozione.
Qui, dobbiamo fare un passo indietro e mettere ordine nel racconto della Sibilla.

Miglia e miglia lontano dal buon Niccolò, in una grande metropoli del Nord, viveva un modesto avvocatucolo di nome Angelino Gherdini, del tutto opposto a Niccolò, come il sole dalla luna: fisico smagrito, profonde occhiaie, sguardo allucinato.
Per anni, il buon Angelino – figlio di un tranviere e di una casalinga della Bovisa – aveva svolto con modestia il suo mestiere: ha visto, signor Rossi, che sono riuscito a farle prendere due milioni in più per aggiustare la Punto? Oppure, ci siamo riusciti, signor Bianchi: hanno provveduto a murare la finestra che il suo vicino aveva aperto sul suo cortile. Già che c’erano, gli hanno murato anche la porta d’ingresso. Con lui dentro.
La sera, guardava “Un giorno in Pretura” e sognava: chissà se un giorno, anch’io, riuscirò a srotolare delle arringhe di fronte a processi importanti…assassini, ladri, banditi…roba grossa…
Intanto, la mamma gli riordinava le fatture sul tavolo della cucina, sotto la luce al neon. Vedrai Angelino – lo rassicurava la mamma – anche per te verrà il tuo momento: lo dicono sempre a Canale5 che, come nel Sogno Americano, ognuno avrà la sua occasione…
Angelino sospirava, mentre preparava la borsa per recarsi in Tribunale il giorno seguente, ed andava a letto fiducioso.

L’occasione si presentò un giorno grigio di Novembre, quando entrò nel suo studio Milvio Merlettoni, e gli sciorinò sulla scrivania un testamento olografo.
Milvio era il nipote di Manlio Merlettoni, passato a miglior vita la settimana prima: Milvio chiedeva d’essere assistito nelle eventuali controversie con i parenti.
Angelino era di umili origini, ma non era fesso; notò subito che la sola cosa autentica, in quel documento, era la firma: tutto il resto, era un neutro testo battuto a macchina.
Stava quasi per restituire il documento – una frase di cortesia, del tipo “Il nostro studio non si occupa di…” – quando gli cascò l’occhio sui beni che il buon Milvio avrebbe ereditato.
Una cinquantina d’appartamenti nel centro di Milano, una villa a Portofino ed una a Cortina d’Ampezzo, fabbricati industriali, latifondi agricoli e poi azioni, titoli di Stato, obbligazioni estere…denaro…conti in Svizzera ed in Lussemburgo…una fortuna da Paperon dé Paperoni. Rimase interdetto.
«Mah…lei è l’unico erede?» chiese soprappensiero.
«No» rispose il buon Milvio «ma quel documento non dice che…»
«Certo…però, gli altri eredi…»
«Guardi che la firma è autentica!»
«Non lo metto in dubbio: ma, gli altri eredi, sanno di questo documento?»
«No, perché quel documento l’ho scritto io» tagliò netto Milvio. Poi, continuò: «Se riuscirò ad ottenere tutto, le elargirò il 10%».
Gherdini non era mai stato forte in Matematica, al Liceo aveva sempre uno striminzito sei, però fece in fretta a capire che il 10% di un universo è sempre una fortuna incommensurabile.
«Mah…come l’ha avuto?» chiese sorpreso.
«Non è stato difficile» rispose il buon Milvio «vede: il nonno Manlio aveva gran fiducia in me. Andavo spesso a casa sua, viveva solo e ci vedeva poco, per sbrigare le solite faccende: ICI, tasse, bollette…»
«E poi?»
«Un giorno come un altro, mentre lui parlava – eh, se non ci fossi tu, Milvio, come farei a sbrigare tutte queste faccende… – e gli facevo firmare dei documenti…ecco, nonno, questa è l’ICI, firma, poi c’è la spazzatura…misi nel mazzo dei documenti un foglio in bianco e lui lo firmò. Dopo…»
«Certo» ammise Angelino «dopo è stato tutto facile…»
Mi domando perché la Sibilla mi racconti queste vecchie storie…che c’entra tutto ciò con due Ministri della Giustizia assisi sullo stesso trono?
Mi fa cenno d’attendere: capirò, al momento opportuno. Abbiate fidanza.

Passano gli anni e Milvio compie una folgorante carriera politica: brucia le tappe, passa dai Liberi Muratori al Partito dei Liberi Costruttori, quindi dei Liberi Televisori, infine del Liberi Tutti e Basta.
I parenti buggerati, però, non gliela danno vinta e cominciano a presentare ricorsi su ricorsi al Tribunale di Milano: circonvenzione d’incapace, plagio…c’è sempre però il buon Angelino – oramai affermato e ricco avvocato – che li tiene a bada.
Il problema s’aggrava quando il buon Milvio vuole raggiungere le più alte vette del potere: Presidente del Consiglio…no, voglio ancora di più, più in alto…per aspera ad astra…

L’unica carica alla quale può ancora aspirare è quella di Grande Vecchio della Montagna: il problema è che il posto è occupato da un attempato avvocato napoletano, persona mite, che però non vuole farsi soffiare il posto.
Allora, Merlettoni lo sfida.
Il problema più pressante è una zia di Vigevano, che pare abbia anch’essa una copia del testamento: quella è pericolosa, ed ha consegnato tutta la faccenda ad una avvocato inglese, tale Milk.
Bisogna fermare la zia di Vigevano.
Nelle lunghe e dolci serate romane, Angelino e Merlettoni cercano ogni via d’uscita: annettere Vigevano a Gaza, così dopo ci pensano gli israeliani? No, con l’Europa non si può: per ripicca, annetterebbero Macherio alla Spagna di Zapatero.

Torna allora alla mente, a Merlettoni, il vecchio trucco usato con il nonno: io non ci posso andare – caro Angelino – e te la devi cavare da solo. In cambio – anche Angelino ha imparato a chiedere – voglio il Ministero della Giustizia.
Non si può, sarebbe troppo sporca: Alphano se la darebbe…capirebbe d’esser solo un portaborse…
Facciamo così, sintetizza Merlettoni: lasciamo Niccolò Alphano a fare il Ministro di giorno, e tu lo farai di notte. Pensa un po’, il prossimo Inverno, con quelle giornate così corte…sarai tu il vero capo dei giudici!
Angelino abbozza, perché sa di non poter andar oltre.

Così, sale una sera dal Grande Vecchio, portandosi appresso un plico di carta da firmare e tutte le commedie di Eduardo in DVD, scaricate gratis da Internet.
«Che bel regalo…» gli occhi del Grande Vecchio brillano.
«C’è anche “Sabato, domenica e lunedì”, quello con Pupella Maggio…»
«Sì Eccellenza, lo volete vedere subito? Ecco, basta infilarlo nella fessura del lettore…»
«Eh, quante diavolerie inventano oggi…guarda, guarda! Proprio come l’ho visto io al San Carlo nel ’63…Madonna mia, sembra vivo…Eduardo, sembri proprio tu…»
«Eccellenza…ehm… eccellenza: ci sarebbero due firmette da mettere qui, su dei documenti del Governo…»
«Ma, i DVD li posso tenere?»
«Eh certo, eccellenza, certo…»
«Di cosa si tratta?»
«Normale amministrazione: per togliere la monnezza a Napoli, per tassare finalmente i petrolieri e dare più soldi ai poveri…sa…»
«Bravi, bravi: quelli di prima mi parlavano sempre di banche, di affari – non capivo mai un accidente – ma non m’hanno mai portato niente, manco ‘na mozzarella di Mondragone…»
«Ecco firmi: qui…ancora qui…»
«E tu come ti chiami?»
«Angelino, eccellenza».
«Bravo Angelino, tu sei proprio nu bbrav’è uaglion’e, bravo. Ferma, aspetta: hai sentito la battuta? Hai sentito?»
«Bellissima eccellenza: ecco, firmi qui, ancora qui, qui…
Fatto.
Quattro convenevoli, poi il commiato: pare che il Grande Vecchio, quella notte, abbia visto otto commedie, fino alle cinque del mattino.

Quando il risultato è raggiunto, però, ci si rilassa e si commettono errori.
Invece di mettere in cassaforte il prezioso documento, firmato in bianco, Merlettoni lo dimentica nell’anticamera di Palazzo Chigi.
Eh, da lì, passano tutti: vedono, leggono la firma e capiscono al volo.
Pare che Margherita Boniver ci abbia scritto un decreto per avere due tette come Luisa Corna, mentre Borghezio ha sancito la nascita dei Pasdaran Padani, prima forza armata della Repubblica. Tanto, è già tutto firmato. Pure la richiesta per due gomme antineve, trovò Merlettoni la mattina: doveva essere stato l’autista.
Il problema, pensa mentre si rassetta il parrucchino, è sempre la zia di Vigevano: l’anziana vegliarda è riuscita ad ottenere un rinvio a giudizio, e presto ci sarà la sentenza. Come fermarla?
Ancora una volta, gli viene in aiuto il buon avvocato milanese, che stende sul foglio già firmato un testo di legge, il quale prevede che:

I processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado, sono immediatamente sospesi.”

«Ma…Angelino, non ti sembra un po’ troppo? E come lo facciamo digerire alla gente?»
«Cosa ci sta a fare il mio alter ego di giorno, quel siciliano…»
«Beh, è il Ministro della Giustizia!»
«Sì, e io sono Perry Mason…»
«Va beh, Angelino» Merlettoni ridacchia «dai, stavo scherzando…il problema è che con questo provvedimento fermiamo una marea di processi per sequestro di persona, estorsione, rapina, stupro, associazione per delinquere, frodi fiscali, corruzione, abuso d'ufficio, immigrazione clandestina, detenzione di materiale pedopornografico, molestie e maltrattamenti in famiglia, omicidi colposi per colpa medica o a seguito di incidenti stradali, traffico di rifiuti…guarda che quei maledetti magistrati montati da mia zia non staranno zitti…sempre lì a perseguitarmi…»

«Perché non mandi Alphano in televisione a raccontare che la Giustizia è ingolfata di procedimenti, ed ha bisogno di una “pausa di riflessione”? Che la gente è stufa di processi a gente per bene è che vuole giustizia – anche sommaria – per i veri delinquenti: per i Rom, per i romeni, per i romani…»
«No, i romani no: altrimenti Fini s’incazza.»
«Ah, già, scusa…e poi chi se ne frega di Fini…tanto hai capito cosa volevo dire, no?»
«Sì, sì: lo mandiamo domani: quello è uno che sta agli ordini. Lo avvisi mezz’ora prima e lui racconta qualsiasi cosa in Televisione, anche che i Carabinieri hanno arrestato Bin Laden a Piazza Navona…»
«E allora, che problema c’è…» detto fatto.

Tanto per metterci un po’ di fantasia in più, io – in quel provvedimento – ci avrei aggiunto anche “solo per quelli nati a Monaco di Baviera che vivono nel Principato di Monaco”, oppure “solo per coloro che hanno ascoltato Così parlò Zarathustra a Zagabria”, non so…ce ne sarebbero tante da dire…
Non so se sono fuori tempo massimo, caro Merlettoni, ma anch’io avrei una richiesta da scrivere su quel foglio, fra le tette della Boniver e le gomme dell’autista.

Il 9 di Agosto del 2007, ho preso una multa dall’Autovelox, già pagata. Mi hanno, però, tolto 5 punti della patente ma, il provvedimento, non è ancora giunto.
Ora, visto che pare possano inviare la notifica entro l’anno o poco oltre, mi sa che ad Agosto o Settembre mi taglieranno quei benedetti punti.
L’Autunno – lo dico sempre – è una stagione pericolosa: maturano zucche e mele, pere e cavolfiori. Pare che maturino anche le sentenze.
Perciò, non potrebbe inserire in quel foglietto, già firmato dal Grande Vecchio, una piccola postilla…non so…provo a buttarla giù…

Comma 21/2 quater:
Per tutti gli automobilisti che hanno ricevuto sanzioni per eccesso di velocità, nel periodo 1/8/2007-31/8/2007, la sanzione è sospesa di un anno, nell’attesa del pronunciamento delle Camere sulla liceità degli Autovelox sulla superstrada Alessandria – Acqui Terme.

Troppo personale? Eh sì, ma se allunghiamo il periodo restringiamo la zona di riferimento: il risultato deve essere sempre una costante. Provo a riformularlo:
Per tutti gli automobilisti che hanno ricevuto sanzioni per eccesso di velocità, nel periodo 1/1/2007-31/12/2007, la sanzione è sospesa di un anno, nell’attesa del pronunciamento delle Camere sulla liceità degli Autovelox nel territorio dei Comuni di Cassine, Cassinelle, Cassinasco, Cassinotto, Cassinino e Cassinc….

Insomma, lei ha capito benissimo e so che potrà intervenire: per una volta, ci faccia sorridere. Per non farci piangere per la vergogna.

11 giugno 2008

Message in a bottle

La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia…

la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante…

Fabrizio de André – La domenica delle salme – dall’album “Le nuvole” – 1990


Cara Unione Europea, cara ONU, caro Dio,
non so se siete in grado d’ascoltarmi né se, in fin dei conti, voi tutti esistiate veramente per noi, poveri italiani.
In un bellissimo articolo, Marco Travaglio analizzava freddamente quelli che potranno essere gli effetti della proibizione delle intercettazioni telefoniche sul funzionamento della giustizia italiana. Praticamente: tolti i mafiosi – che, bontà loro, utilizzano da tempo i “pizzini” – di tutti gli altri reati non si potrà sapere più nulla.
E’ la solita tecnica del Cavaliere, vecchia come il cucco: siccome io ho bisogno di quel provvedimento, lo “allargo” a tutti così non potranno dire che serviva solo a me. Varare la legge sconquasserà quel poco di giustizia che rimane? Perché, a cosa serve la giustizia? Non sarete più sicuri a casa vostra? Sposate mia figlia, così verrete a vivere a Macherio!

Ma non di questo volevo parlare a voi, assisi nell’Empireo, perché avrete già letto l’articolo di Travaglio – voi che tutto sapete – ma per interrogarvi su un dubbio che m’assilla: il titolo.
Travaglio titolava l’articolo “Prove tecniche di fascismo”: certamente non vi sarà sfuggito che il termine “fascismo” non era usato in senso storico – ossia per compiere una mera sovrapposizione con il Ventennio – bensì per indicare un regime autoritario, antidemocratico, autocratico ed oligarchico. L’unico esempio storico vissuto dal popolo italiano: insomma, “stanno facendo le prove per mettercelo nello stoppino”.
Qui, mi verrebbe quasi da dissentire: prove tecniche? Forse il buon Marco era in vena d’ottimismo, quando ammetteva “prove” di fascismo. A mio parere siamo invece almeno alla prova generale, se non alla “prima”. Qualcuno, già afferma che si stia andando in replica.
Ho provato allora a scorrere, come in una moviola, le pagine dei quotidiani per osservare se siamo ancora alle “prove” oppure se vendano già i biglietti al botteghino.

La prima notizia – si parte sempre dal titolo principale – riguarda la vicenda della clinica (adesso, pare che siano una decina) milanese dove si facevano interventi chirurgici “un tanto a botta”, ossia: posto x il numero degli interventi che devo effettuare in un anno per ottenere tot soldi (y), dovrò semplicemente dividere x per il numero dei pazienti z (x/z) ed otterrò y senza faticare.
Se ti tocca un’appendicite vai via contento che t’è andata bene ma, se le esigenze della produttività aziendale richiedono più sacrifici, ti può capitare una serie sfigata, del tipo: due interventi al fegato, l’asportazione di tre unghie incarnite ed una cornea come bonus. D’altro canto, la produttività dell’azienda è il bene primario ed è il solo valore che si deve tenere in conto: il buon Berlusca ha promesso “lacrime e sangue” per rimettere in piedi l’Italia (ma, per una volta, non potrebbero lasciarci seduti?), e non è questo il momento di fare dei piagnistei.
Ci sarebbe da verificare il “Piano Industriale” di quella clinica, per osservare se le scansioni degli interventi erano rigorosamente correlate (una procedura desueta e troppo rigida), oppure se s’interveniva con le moderne tecniche “flessibili” – diremmo “a random” – con l’ausilio dell’informatica d’ultima generazione.
Siamo quasi certi che – nella Lombardia rampante – la seconda scelta era la preferita: ogni mattina, i solerti chirurghi, a turno, schiacciavano un tasto del computer e il programma – magicamente – svolgeva la sequenza degli interventi.

Camera 12: “un 27 al 52, un 24 al 53, ed un 12 al 52”.
Camera 13: “un 21 al 44, un 14 al 43 ed un 22 al 42”.

Nella camera 13 il software aveva “spalmato” bene gli interventi; non starò qui a spiegare dettagliatamente la matrice delle sigle: vi basti sapere che al 44 toglievano un rene, al 43 le tonsille ed al 42 il prepuzio. Il software, assicuriamo, è in grado di distinguere il sesso dei pazienti.
Nella camera 12, invece, al 53 toglievano le tonsille, mentre al povero 52 partivano in una sola “botta” la milza e mezzo polmone. Il 54 riposava: il computer non sbaglia mai.
Vorremmo chiedere all’arzillo Brunetta d’intervenire sul “Piano Industriale” della clinica, per verificare la bontà del sistema informatico: visto che vuole riformare tutta la Pubblica Amministrazione, inizi almeno dall’ABC.

Passiamo quindi all’articolo di terza pagina, quello di cultura.
Oggi, si parla di favole: Fedro? Esopo? Andersen?
No, si commenta un libro appena pubblicato da una giovane e promettente scrittrice – tale Mariastella Gelmini – che avvolge il lettore con un protettivo e caldo languore, narrando la triste saga della scuola italiana. Il finale, come sempre, è a lieto fine.
Si narra d’orchi ed orchesse, che da perfidi manieri lanciarono i loro malefici sulle candide anime, sui teneri virgulti dell’italico vigore, le giovani speranze dell’italica stirpe. Non vogliamo, in questa recensione, privarvi del piacere della scoperta e non andiamo quindi oltre: tanto per mettervi un poco la voglia di leggere, però, possiamo anticiparvi che si parte da una misteriosa formula della scuola detta “delle Quattro I”, laddove una delle quattro “I” è, allo stesso tempo, una e trina. Abbiamo cercato a lungo nella Kabbalah e nella Ghematria, ma non siamo riusciti a squarciare il velo dell’arcano: di vero esoterismo si tratta, altro che di Dan Brown.
Possiamo però anticiparvi che il finale accontenterà tutti: i giovani virgulti saranno amorosamente annaffiati di sapienza, liberati dalle male piante del relativismo ed infine elevati all’onore del vero sapere. I dotti, invece, riceveranno ampia mercede per questa missione: i loro compensi saliranno alle stelle, come avviene nelle terre dei Cimbri, dei Franchi e dei Germani. Dai 25.000 pezzo d’oro che oggi li compensano, saranno elevati a più…a più…30.000…ma che dico…40.000…forse ancora…
La magica fatina che opererà la trasmutazione ha anche un nome – Stella Maris – così è chiamata nel racconto: non sappiamo né riusciamo ad identificare la genesi e, soprattutto, l’originalità di tale scelta. Roba da “Premio Strega”. E vissero a lungo felici e contenti.

Voltiamo pagina e siamo in Economia…no…forse è la pagina storica…no, forse parlano di viaggi…
L’immagine è chiara, quel giovane col berretto verde e la penna è Robin Hood: che uno storico sia riuscito a squarciare l’alone della leggenda? Forse, si tratta solo di una pubblicità di viaggi…
No, non è il popolare Robin – leggiamo nella didascalia – si tratta di un misterioso eroe senza tempo – una specie di Highlander formato Cesano Maderno – che da poco è salito alla ribalta.
Julius Dreiberg, questo è il suo nome, ed è signore di Sondriekssen…ma, l’altro, chi è?
Trafitto da un nugolo di frecce, giace un povero San Sebastiano…no, non è il Santo della leggenda…dicono che è un certo Paul Mc Scarron, signore di ENIan, abbattuto dal potente immortale.
Sullo sfondo, si notano appena moltitudini d’esseri bruti – non gentili come i due attori della vicenda – che acclamano il loro eroe per la vittoria.
“Nobile Julius” – mi par d’avvertire, salire dalla bella riproduzione d’autore – “siamo ai tuoi piedi, baciamo le tue ginocchia in segno di riconoscenza e di sottomissione…sia sempre lode a te…”. Non capisco…meglio leggere…
Vengo così a sapere che il trafitto, signore di ENIan, dominava l’italico stivale grazie a migliaia di castelli gialli, ed aveva come insegna un cane con sei zampe e la lingua di fuoco. Qual nobile insegna, per scudi e stendardi.
Ogni volta che un cocchio, carrozza o vil carro di bruti s’avvicinava a un castello, gli armigeri del signore pretendevano gabelle. Anche il grano era tassato e sempre più caro, tanto che vecchi ed infanti li ghermiva la fame.
Per questo viene ricordato il nobile Julius – adesso lo so anch’io, che mi pensavo sapiente – e la storia non finisce qui. Senza soppesare titoli e blasoni, il nobile Julius aveva altresì abbattuto i due perfidi fratelli Mc Morralt’, signori di Maitland: milady Mc Morralt’ s’era dapprima adirata contro il nobile Julius, poi l’aveva scongiurato di risparmiare la vita allo sposo, ma a nulla era valso.
Incurante dei pianti e delle minacce di vendetta della potente nobildonna di Maitland, Julius aveva continuato la sua battaglia: troppo dolore gli recava ascoltare i pianti dei miseri, che chiedevano pane per i figli e biada per i loro striminziti ronzini.
Fino in fondo, aveva compiuto il suo dovere: restituire ai poveri il maltolto, asciugare le lacrime dello sconforto, placare i morsi della fame.
Oggi, lo ricordano in tante piazze italiane: ritto, con la mano tesa verso Oriente, indica alle moltitudini di diseredati la via maestra per riconquistare dignità e serenità d’animo. Lottare sempre, per togliere il maltolto dalle tasche dei potenti: sia gloria a te, nobile Julius!

Basta, per oggi non leggerò più: la vista si stanca.
Socchiudo le palpebre e ricordo i racconti di mia madre, delle nonne, attorno al fuoco del camino.
In un tempo lontano, gli italiani si rallegravano perché erano diventati padroni di un Impero: le moltitudini acclamavano il loro Capo, che li ammansiva con favole dal sapore austero ed accattivante.
Legioni d’italici scudieri erano pronti a difendere ogni lembo del grande impero, potenti navi corazzate col tricolore solcavano i mari, sciami d’aeroplani s’alzavano dai loro alveari di cemento per proteggere la nazione.
Poi, un brutto giorno, videro tornare quei poveri scudieri ridotti in cenci, con le bende ai piedi morsicati dal gelo. Le navi non le vide più nessuno: di latta erano, e non d’acciaio, e le loro maestose torri non erano in grado di colpire nulla, perché i colpi erano fatiscenti. Gli sciami sublimarono nelle sabbie, sui mari, disgregati da un male oscuro.
Provarono, i miseri, a ricostruire la loro terra – e con gran fatica ci riuscirono – ma non s’accorsero che c’era chi li attendeva al varco.

Appena ebbero accumulato qualche sacco di grano ed un po’ di legna, le ombre s’inventarono mille gabelle per sanare – raccontavano – un grande debito che loro stessi avevano creato, svendendo il tesoro dello stato a dei malfattori.
Furono così abili in quel furto, attuato con gran destrezza, che nessuno si rese conto di cosa stesse accadendo.
Per rabbonire i pochi che chiedevano giustizia ed innalzavano lamentazioni, s’impadronirono di tutti i banditori – dal misero imbonitore al gran maestro d’occultismo – per essere certi di scacciare nel clamore anche il più flebile sussulto.
Infine, privarono anche il popolo dei più semplici diritti: privati del battere moneta, del diritto di replica e di critica, finirono anche per negar loro il diritto d’assemblea.
Con una legge, una sola legge, consentirono soltanto alle ombre di salire al potere: da lì, emanavano decreti e non discutevano più leggi. Tanto, non cambiava nulla: erano sempre le ombre a scrivere le vite degli altri.
Infine, per non farli cadere in sempre più profonde depressioni, li affabulavano con canti sapienti, raccontavano saghe accattivanti, inventavano ogni giorno nuovi eroi.
Gran parte della popolazione li seguì nelle fredde terre delle Riserve, e pochi rimasero sulle colline, ma solo per praticare la Danza degli Spettri.
Altro che “prove tecniche”.