21 novembre 2017

Riflessioni sui cavalli e sulle loro mosse


I media mainstream l’hanno un presa sotto gamba, quasi con fastidio, altri con ironia: vediamo cosa sottende, dove punta la mossa di Ingroia e Chiesa, a cosa può portare, i suoi punti deboli…insomma…analizziamo un po’ questa sortita e dove può condurre.
Anzitutto gli attori: Giulietto Chiesa non ha bisogno di presentazioni, è stato l’uomo di Mosca per molti anni nel panorama politico italiano. A suo merito, il non averlo mai nascosto, mentre l’uomo di Washington, nel PCI, era altrettanto legato, ma da un legame sotterraneo che si vide in anni futuri a cosa doveva condurre: mi riferisco a Giorgio Napolitano.

Le altre persone che appoggiano tale “movimento” sono altrettanto chiare nei loro intendimenti: il gen. Fabio Mini e Franco Cardini, entrambe note per le loro prese di posizione molto critiche nei confronti dell’establishment, per aspetti molto lontani ma identica chiarezza di vedute. Non conosco il gen. Nicolò Gebbia, perciò mi asterrò dal citarlo nel testo.
Gli aspetti che il gen. Mini ci ha sempre sottoposto – con scritti lucidi e documentati – si riferiscono al costosissimo malfunzionamento delle Forze Armate italiane, e dobbiamo rendergli merito per aver fatto tutto questo, perché non è facile – in quell’ambiente – gettare certi “sassi nello stagno” come lui ha fatto.
Franco Cardini ci ha messo a conoscenza di molti retroscena del passato, per quanto riguarda aspetti economici e di confronto con le istituzioni europee.

Alla base di tutto, i due fondatori puntano l’indice su due aspetti che sono diventati punti cardinali del nostro tempo: la Costituzione italiana e la dicotomia – oramai tramontata e solo apparente – fra destra e sinistra.
Partiamo dalla Costituzione.

Molti dicono che è la più bella del mondo e, da come si scagliano contro di essa i potentati finanziari internazionali, viene da credere loro.
Nata da un lavoro di politici e giuristi con gli “attributi” al posto giusto, la sua gestazione durò solo pochi mesi: fu un lavoro coerente e abbastanza preciso nelle sue indicazioni, quella era gente che sapeva fare queste cose, avevano le idee chiare e riuscirono a “limare” in modo soddisfacente i contrasti che, comunque,  rimasero sottotraccia. Dobbiamo riflette sui loro tempi e sulla loro fretta: c’era un Paese distrutto e sconfitto da rimettere in piedi.
Se avete dei dubbi, riflettete su quanto ci hanno messo gli attuali politici per imbastire una legge elettorale che sarà cassata – anch’essa – dalla Corte Costituzionale: tanto tempo per una ciofeca.

La Costituzione italiana nacque da due “filoni” palesi ed uno occulto: il mondo cattolico (ed atlantista) ed il mondo socialista, legato al “sol dell’avvenire”. Non mancò, però, una importante sezione (soprattutto sul lavoro) che proveniva dalla Costituzione della RSI, che possiamo definire del “Terzo Fascismo”.
La Costituzione della RSI era, per alcune parti, estremamente moderna: tutti sapevano, all’epoca, che era un mero esercizio a “futura memoria”, nulla che si potesse realmente applicare in quel disastro durato nemmeno due anni. Una sorta di “lascito”, forse un’autocritica sugli errori commessi nelle due precedenti fasi del Fascismo: i costituzionalisti se n’accorsero e non vollero tacitare quelle istanze – molto vicine a quelle socialiste dell’epoca – ma, comunque, prodotte dal nemico appena sconfitto. Un rimarchevole atto di pacificazione.

Cosicché, la nuova Costituzione nacque come un buon equilibrio fra le istanze del libero mercato e quelle delle classi subalterne: non fu mai applicata totalmente, ma sotto il lungo regno democristiano fu seguita abbastanza alla lettera. Non approfondiamo i motivi per la quale la classe politica se ne allontanò, altrimenti non finiremmo più.

Nei primi anni della Seconda Repubblica, soprattutto Romano Prodi cercò di non violentarla troppo – laddove c’erano degli evidenti contrasti – con le nuove normative europee: un lavoro più di cesello che di spada, al punto che il dibattito costituzionale, in quegli anni, fu quasi assente. Cardini ha messo all’indice, spesso, quelle “dimenticanze”.
Silvio Berlusconi coniò un neologismo che fu un ossimoro di cattivo gusto, la “costituzione materiale”: un non sense, poiché una Costituzione afferma, perlopiù, concetti ideali: se la si “materializza” perde ogni significato. A dire il vero, riesce anche difficile capire cosa possa essere una “costituzione materiale”.

L’unica riforma costituzionale approvata dagli italiani fu quella del 2001, la riforma del Titolo V che creò quel “mostro” dei 21 sistemi sanitari regionali: dopo quella fregatura, gli italiani – che sono meno scemi di quel che si pensi – respinsero al mittente i due, successivi tentativi, 2006 e 2016.
Qui s’innesta il secondo problema posto da Ingroia e Chiesa: dopo che, per ben due volte, gli italiani hanno mostrato di non fidarsi di destra e sinistra, ha ancora senso definirle così?

Se si passano al setaccio, chiacchiere al vento elettorale a parte, entrambe le posizioni dei due schieramenti si nota una convergenza più che sospetta: entrambi dichiaratamente atlantisti (che significa un appoggio alla NATO come “gendarme internazionale”), entrambi europeisti e favorevoli a rimanere nel sistema dell’euro senza condizioni, entrambi favorevoli ad una riduzione dello stato sociale in tutte le sue forme – sanità, scuola, salari, pensioni, trasporti pubblici, ecc. – ed una spocchiosa tendenza a salvaguardare loro stessi a scapito degli italiani.
Chi rimane fuori?

Poco o nulla.
A destra qualche minuscola formazione – pensiamo a Forza Nuova ed a Casa Pound – cercano visibilità da molto tempo, con risultati pressoché nulli. La troppa caratterizzazione di “destra estrema” li rende inaffidabili per la gran parte dell’elettorato, soprattutto riflettendo che “destra estrema” richiama ad una storia lontana: il gollismo, i colonnelli greci…senza andare al Franchismo od a Hitler o Mussolini. Soprattutto, per una questione di valori che sono fumosi o difficilmente applicabili oggi: riflettiamo che, chi ha letto De Benoist – ad esempio – è una sparuta minoranza.
A sinistra ancora peggio, perché lì qualche probabilità d’entrare in Parlamento ce l’hanno: solo, c’è una tale confusione che non si distingue più che vorrebbe ritornare ai valori di una vera sinistra da chi, il giorno dopo le elezioni, è pronto a presentarsi a Renzi per chiedere il tornaconto in favori e poltrone.

In mezzo, c’è il primo partito italiano, quel M5S che è cresciuto non tanto senza schierarsi di qui o di là, quanto nel non avere posizioni chiare: fideismo, e basta.
Poi, un certo Di Maio va a Washington e rassicura che l’Italia rimarrà legata al carro NATO, ma viene ricevuto da personalità di secondo e terzo piano: chi ce lo fa fare – sembrano dire gli americani – di fidarci di questo signore se avremo a disposizione la grande armata brancaleone di Renzi e Berlusconi?
In altre parole, il M5S paga tutta la sua fulgida crescita ottenuta con le non scelte, col rimandare a tempi futuri qualsiasi programma politico, confidando nel fideismo degli italiani – di una parte degli italiani – sul nulla.

Se l’astensionismo verrà confermato intorno al 50%, significa che 14 italiani su 100 sono grillini, e non il 28%, così come 12 sono PD, altrettanti dell’alleanza tenuta insieme (a fatica) da Berlusconi…e così via. In sostanza, se contiamo i voti veri, sono circa la metà delle percentuali che indicano i sondaggi.
Rimane una platea di (circa) 20 milioni d’italiani, fra i quali c’è di tutto: da chi non va a votare per scelta, a chi è rimasto fregato troppe volte, a chi è malinconicamente convinto che il declino dell’Italia è segnato da almeno un ventennio.

Questa è l’analisi che, probabilmente, hanno fatto Chiesa ed Ingroia, che non ci sembra proprio campata in aria: in fin dei conti, convincere a votarli il 3% degli italiani potrebbe essere alla loro portata. Una seconda opzione potrebbe essere, all’indomani delle elezioni, cercare un’alleanza con il M5S: in fin dei conti, chiedono principalmente le medesime cose, ossia il rispetto della Costituzione (per la quale, lo scorso anno, il M5S si è battuto) e la revisione dei Trattati europei che mortificano la nostra economia (come Cardini ha ampiamente dimostrato).Italia è segnato da almeno un ventennio.
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Dove i due “cavalli” ci sembrano un poco “azzoppati” è sul fronte della comunicazione: strano, visto che Chiesa collabora con Sputnik Italia, e dunque dovrebbe essere esperto in questo campo. Sull’altro versante, il M5S ha evidenziato una enorme carenza sul fronte dell’esperienza politica (e come sarebbe potuto essere diverso?), laddove le personalità che si sono unite ai due “cavalli” sono tutte di larga esperienza politica.

Se questo scenario si realizzasse, all’indomani delle prossime elezioni – lo sappiamo già: in varie salse, dovremo sorbirci altri 5 anni di Renzusconi, con o senza Verdini, con o senza Alfano…non importa…troveranno il modo di mettere insieme maggioranze per la “governabilità”, ossia per continuare a schiaffeggiarci – il M5S potrebbe provare a compiere un’alleanza, perché se aspetta d’avere il 51% non ci arriverà mai e farà la fine che fu del PCI, il “bestione metaforico”, come lo definì Costanzo Preve. “Bestione” perché grande, ma “metaforico” perché solo capace di creare metafore politiche, utili alla sua sopravvivenza.

Non ho – ovviamente – la sfera di cristallo per scrutare il futuro, e dunque rilancio ai lettori questi dubbi, però voglio ricordare una cosa: o noi, da soli, riusciremo a cambiare la classe politica al governo, oppure non c’è da sperare che questi rubagalline rinsaviscano. Il fin dei conti, rubar galline è più comodo che allevarle: chi glielo fa fare?

05 novembre 2017

Ricordando Orwell


Non so se George Orwell, quando scrisse “1984”, si rese conto di cosa e, soprattutto, di “quanto” scrisse in quelle pagine che dovettero transitare nella sua mente come un grande sogno, od incubo, prima di finire impresse sulla carta. Mistero della scrittura onirica: viene da chiedersi se grandi e libere menti, da oltre la “siepe”, ci aiutino nel comunicare, perché si comunichi ad altri, in una catena senza fine.
Stamani, quando mi sono accorto che mancava la corrente, lì per lì mi sono girato dall’altra ed ho continuato il dormiveglia tranquillo ma, sentendo mia moglie armeggiare con i pulsanti di contatore, ho capito che era meglio scendere dal letto.
Tutto nero, senza il minimo rumore: manca il ronzio del frigorifero, il bagliore della stufa a pellet, silenzio assoluto. Fuori, alle prime luci di un’alba scura, piove lentamente e tutto indica tranquillità e sopore ma mia moglie insiste: chiamo l’ENEL.

Dall’altra parte, la solita voce di un call centre che sarà a Bari o a Tirana, risponde d’inserire il codice vattelappesca “che troverà sulla bolletta”: oh certo…al buio, mi metto a scartabellare le vecchie bollette…per fortuna mi salva la domanda di riserva, ossia il numero del vecchio telefono fisso (che, per sola pigrizia, non abbiamo ancora eliminato) e la voce, rassicurante, comunica “che nella zona sono segnalati malfunzionamenti, ma che per le 10 del mattino tornerà la corrente”. Sono le 10.35, ma dell’agognata corrente nemmeno un misero Ampère.

Inutile cercare d’attendere di poter parlare con “l’operatore”: dopo una decina di minuti (dei tre comunicati come tempo d’attesa) preferisco risparmiare la batteria del cellulare. Uno sguardo al web, dal telefonino, non racconta niente: un black out nel savonese di una decina d’ore non merita menzione, così come la Val di Susa bruciata fino alle cime dei monti non doveva esistere come notizia…e qui mi è comparso il vecchio George che diceva “Ricorda…le notizie, la realtà, deve per prima cosa scomparire…noi non sappiamo se l’Alleanza Occidentale combatte con noi o contro di noi, non sappiamo se il bombardamento dei porti del Pacifico sia veramente avvenuto…non sappiamo niente di niente, e rischiamo la vita per sapere qualcosa…”

In compenso, veniamo costantemente informati delle vicende di un tal Briatore, di un certo Sgarbi, o dei ricordi a luci rosse di Sandra Milo: rumore, un fiume di notizie inutili che dovrebbero servire a rallegrare un Paese triste, ma anche ad oscurare – in mezzo a tanto bailamme – ciò che sarebbe meglio che non sapessero.
Come i poveri morti del rifugio appenninico crollato per il terremoto, che – prima d’esser morti – chiamarono fiduciosi il 118, e non vennero creduti.

Richiamo, per sapere novità e la solita vocina aggraziata mi comunica che la riparazione del guasto è posticipata alle 12.30: allora, siamo in presenza di un black out abbastanza importante, non di una misera cabina dove sono bruciati i fusibili.
Il riscaldamento non può partire (pompa di circolazione elettrica), la stufa a pellet per la stessa ragione: si sta al freddo. Ma non è questo il guaio.
Mia moglie, stamani, si è recata in visita presso conoscenti che hanno una persona molto, molto malata e che rimane perennemente a letto. Per alzarla (è molto grassa) si sono attrezzati con un sollevatore meccanico, che funziona a corrente elettrica. Starà nella merda.
Ci sono migliaia o centinaia di migliaia di persone (non so quanto è esteso il black out!) che si trovano a dover risolvere problemi gravi e meno gravi, ma la notizia non s’ha da dare: intorno a me, garriscono i generatori a petrolio dei vicini.

Immagino un consiglio d’amministrazione dell’ENEL, dove presentano le scelte da fare nel prossimo futuro:
1) Incrementare le forniture e gli approvvigionamenti, mediante i quali il fatturato salirà da Tot1 a Tot2. Approvazione piena da parte dei grandi azionisti.
2) Incrementare la manutenzione dei sistemi esistenti, ma – in questo caso – ci saranno dei costi…diciamo che l’incremento da Tot1 a Tot2 sarà esiguo, probabilmente nullo. Coro di disapprovazione.

Ciò di cui non si rende conto questa gente, mentre immagina la grande macchina che produce denaro – svelta ed impeccabile nei risultati – è che non è per niente così: l’imprevisto è sempre in agguato, e questi sono imprevisti da niente. Allarme arancione – anche il lessico fa la sua parte – “Allarme”, ossia “state in guardia”, quando a non stare in guardia sono proprio loro, che a fronte di una Domenica appena un po’ piovosa d’Autunno – senza allagamenti, “bombe d’acqua” (ancora il lessico…), trombe d’aria, venti ad oltre 50 nodi, neve, ghiaccio, ecc – s’arrendono come studentelli alla prima gita scolastica e proclamano il timore d’immani tragedie.
Se non mancasse la corrente, sarebbe solo un’uggiosa ed un po’ noiosa Domenica d’Autunno: perché deve diventare un “allarme arancione”?

I veri allarmi sono altri: li sapranno?

Nel 1883 esplose il vulcano di Krakatoa e si generò lo stretto della Sonda: immane catastrofe, navi catapultate sui monti, enormi massi erratici scagliati a 100 km di distanza, ferrovie contorte come fuscelli, 40.000 morti. L’esplosione fu udita dall’Australia al Madagascar, ossia a 3000 miglia di distanza: viene considerato il più forte boato mai udito in epoca storica. Le polveri lanciate in aria dal vulcano oscurarono parzialmente la radiazione solare per un intero anno: si può affermare che l’agricoltura si “fermò” ovunque, per un’intera stagione agricola.
Siccome in quell’area le zolle tettoniche girano come sulle montagne russe, da quell’esplosione nacque un altro sistema vulcanico, Anak Krakatau (figlio di Krakatoa), che le autorità indonesiane hanno dichiarato zona off limits per la navigazione, vista la brutta abitudine del “giovane” vulcano d’alzare improvvisamente il livello delle acque marine: stavi pescando, e ti ritrovi su una montagnola di cenere. Probabilmente, lì si generò la grande onda anomala che distrusse Sumatra alcuni anni or sono. Ma c’è di peggio.

Nel 1859 ci fu una tempesta magnetica che interessò tutto il Pianeta. Siccome le tempeste magnetiche – in un mondo privo di macchine elettriche, al massimo facevano impazzire le bussole delle navi – non ci furono danni, salvo l’interruzione delle prime comunicazioni telegrafiche.
Non si hanno abbastanza notizie storiche sulla frequenza di questi eventi: oggi, cosa accadrebbe?

I sovraccarichi sulle grandi linee di trasporto elettrico si scaricherebbero sui grandi trasformatori di rete in una frazione di secondo e li brucerebbero all’istante: per ovviare a tali danni, bisognerebbe conoscere in anticipo l’arrivo di una tempesta magnetica e la sua entità per, immediatamente, staccare la rete mondiale dalle fonti di produzione. Una prospettiva che prevedrebbe una struttura mondiale in grado di prendere decisioni di tale portata in pochissimo tempo e senza intralci.
Beh – direte voi – si cambiano i trasformatori…
I trasformatori sono macchine statiche, ovverosia soltanto un anello (o quadrato) di comune Ferro ed avvolgimenti di cavo di Rame: niente di tecnologicamente difficile da produrre.

Il guaio è che queste macchine – proprio perché statiche – sono molto longeve, e dunque la produzione di questi grandi trasformatori è scarsa, praticamente si produce soltanto per nuove linee e centrali di distribuzione dell’energia e per (rare) sostituzioni.
Siccome le aziende produttrici sono poche, e i grandi trasformatori pesano tonnellate, per sostituire tali macchine sulla rete mondiale ci vorrebbero parecchi anni. Altro che black out di 12 ore per una centralina in avaria!
Inutile dire che non esiste nessun piano, concordato anzitempo a livello internazionale, per trovare rimedi a queste calamità che si presentano abbastanza frequentemente nella Storia: in sostanza, sono soltanto aurore boreali d’intensità di gran lunga superiore, dipendenti dai “capricci” del Sole.

Peccato che la Storia delle calamità naturali sia ancora scarsa di dati e poco conosciuta: non andiamo fino al disastro di Toba di 75.000 anni or sono, laddove la popolazione mondiale fu quasi azzerata. Difatti, i biologi s’attendevano una maggior varianza genetica nel genere umano ma, probabilmente, Toba fu una “seconda nascita”: per poco (si stima una sopravvivenza all’evento di poche migliaia o decine di migliaia d’individui) non ci estinguemmo 75.000 anni or sono.

Morale.
Il capitalismo, in realtà, ha smesso da tempo di soddisfare le necessità umane, e di cercare di cautelarsi prevedendo i possibili rischi: si è avvitato in una spirale d’investimenti e profitti che trascende dalla realtà esistente. Si scommette sulla clemenza degli eventi naturali per fare profitti, e si tenta in ogni modo di nascondere ciò che potrebbe suscitare dei dubbi. Una roulette, sulla quale cala un panno quando esce lo zero. Di questa serie fanno parte gli OGM, il riscaldamento globale e tanti argomenti sui quali ci vogliono schierati a chiacchierare e magari ad azzannarci. Senza, ovviamente, prevedere dei rischi che sono reali, comprovati da veri eventi storici: farebbero perdere tempo, troppi pensieri, meno investimenti.

Allo stesso tempo, però, c’è la necessità di far vivere le popolazioni in uno stato d’ansia e d’eccitazione affinché non si ribelli, mediante una comunicazione mirata a debellare ogni speranza d’autosufficienza: un attentato ogni tanto serve, la cronaca nera deve essere assillante, ecc, mentre – sull’altro versante – un mare di notizie ed intrattenimenti che, scatenando la libido, favoriscano la favola dell’eterna cornucopia per molti, ma non per tutti perché gli altri non sono ancora abbastanza “bravi” per godere di quei frutti: corri, ragazzo, corri!
Per questa ragione i giornalisti televisivi sono le figure più pagate dal sistema: ancora una volta, Orwell…

In realtà, solo il 3% della popolazione mondiale gode pienamente i frutti del capitalismo, in Italia circa il 10% (che possiede la metà della ricchezza) e alle masse di diseredati (come ben ricorda Serge Latouche) si presenta il simulacro della scommessa vinta dal mondo Occidentale contro la Natura e contro tutte le avversità. Noi siamo i vincenti: imitateci!

Cosa rispondono?
Beh, se ci sono dei danni, anche gravi…assicuriamoci!
Oh certo, così mangeremo il denaro delle assicurazioni…sempre che, in un Pianeta privo d’energia elettrica per anni, si trovi ancora un assicuratore…vivo!