26 dicembre 2016

Slava!

Onore all'Armata Rossa e al suo Coro

Non li vedrete mai in gionocchio, non li distruggerete mai, non ci sono riusciti Napoleone ed Hitler, figuriamoci voi!



24 dicembre 2016

Leggenda di Natale




Quest’anno, la leggenda di Natale è una storia vera, di quelle che mai e poi mai uno come Poletti comprenderebbe per la sua importanza, che va oltre le solite menate sui ragazzi che vanno all’estero, sugli immigrati pericolosi e quant’altro. Perché è una storia vera, che ha dell’incredibile, soprattutto per gente come Poletti & Co.
Tutto iniziò una decina d’anni fa, quando un gruppetto di persone – mi piace di più immaginarli elfi con sembianze umane – uscì dal bosco, uno di quei boschi infiniti che si perdono nell’immenso Appennino, laddove esistono, probabilmente, posti non calpestati da essere umano da secoli e dove nessuno va mai, anche se ci nascono i migliori funghi della stagione.

Calpestarono l’asfalto per la prima volta: proprio lì, accanto alla deserta strada provinciale, sorgeva una casa. Gli elfi decisero che non poteva esistere una casa così isolata senza un forno, poiché – senza forno – come fai a fare il pane?
Così, lo costruirono e diedero un nome un po’ strano a tutta la costruzione: Forno 4P...beh, non importa...tanto, quella denominazione rimane tuttora un mistero alchemico.
Se hai un forno, cosa ne fai? Il pane, ovvio. Ma mica pane come gli altri, eh no...siamo elfi...facciamo un pane un po’ magico, poi stiamo a vedere.
Ed iniziarono con un conciliabolo, proprio come i nanetti di Biancaneve, che erano anch’essi creature del bosco.

“Lo facciamo col granturco. Sì va bene, ma poi la gente si confonde con la polenta...facciamolo anche col grano duro. Accettato. E la segala? Mica è sempre cornuta...dai, facciamo il pane di segala, E vai. Io mescolo tutto: lo chiamiamo ai cinque cereali? Venduto!”
Non vi so dire quanti tipi di pane riescano a fare: hanno dovuto, per forza, creare dei biglietti da visita nei quali indicano i giorni delle infornate, se proprio ritieni di non trovare quello che ti soddisfa.
“E quando l’abbiamo fatto, dove lo mettiamo?” rimbeccò il solito brontolone.

“In una cesta. Eh già: e le mosche? Come si fa? Facciamo scendere dai soffitti dei veli da sposa, così è più bello!” Una gnometta disse subito: “Sì, il velo da sposa mi piace!”
Quando giunsero altre gnomette, fu obbligatorio...eh sì...non si poteva fare altrimenti...i dolci, sì, i dolci.
Paste dure, con la crema, biscotti, torte...una gnometta ligure si lamentò: “E le focacce”? Dovettero impastare e cuocere focacce d’ogni tipo, tutte contraddistinte dal profumo di bosco e di grano...d’altro canto, se sono elfi...

Un giorno venne dal bosco uno gnomo che giungeva da lontano, da un mare che nessuno conosceva, perché era un Mare Nero. Oh buon Dio: ma può esistere un Mar Nero? Gli chiesero il CV, perché anche gli gnomi chiedono il CV, ma poi se ne fregano.
Il CV raccontava che era un elfo-pittore, diplomato all’accademia di una città lontana...Bucu qualcosa, Bucu che resta, sembrava così. Lo misero davanti al forno e lo osservarono, perché ci stava bene, era adatto: ma cosa se ne fanno, gli umani, di questi CV? Mah...

Lo gnomo-pittore, però, non rinunciò a dipingere le icone della sua tradizione: belli quei dipinti – meditarono gli altri gnomi – perché non ne appendiamo qualcuno insieme al pane? E così fu, pane ed icone, che fanno risaltare – con quell’oro che sa di luce – il colore del pane. Poi arrivò una gnometta che sapeva leggere e scrivere, ma proprio scrivere bene, e...volle una biblioteca.
Niente da fare, negarono gli gnomi, è un nome troppo importante...”biblioteca”...mah...e se fosse “bibliograno”? Certo! Così ci piace di più! Una vecchia credenza, accanto alle icone, iniziò a riempirsi di libri sulla natura, le tradizioni del cibo, dei forni, le piante medicinali...insomma...roba per gnometti istruiti...ma ci sta, ci sta...

Sono stati obbligati ad ingrandire il parcheggio, poiché sempre più auto si fermavano, deviavano dalla importante strada statale per fare un salto al forno...dai, andiamo a comprare quel pane così buono...ma sì, va, deviamo di qualche chilometro, ne vale la pena...

Questa non è una leggenda, è una realtà, fatta da persone che ci credevano e ci credono tuttora. Quello di cui hanno bisogno i nostri ragazzi è solo di credere in qualcosa – non importa la cosa – serve una mente che crea e persegue un sogno, poiché un vecchio adagio americano recita:

Ci sono uomini che lavorano da mane a sera e non pensano mai: finiranno come hanno iniziato, a lavorare come bestie senza sapere il perché.
Altri invece, vivono tutta la vita rapiti dai sogni: ogni sogno s’accavalla a quello seguente, e non combineranno mai niente.
Tu, figlio mio, sogna, sogna pure, ma passa il resto del tuo tempo a realizzare quello che hai sognato. Vedrai, non te ne pentirai.

Buon Natale a tutti

22 dicembre 2016

Anis Amri: Berlino, camion, pistolettate, coltellate ed ammennicoli vari...

Tutti i corsivi sono fedelmente riportati dal “Fatto Quotidiano” di oggi, 21 Dicembre: ho soltanto inserito i puntini di sospensione laddove ho tolto il superfluo.
Fatevi un’idea se questo non è il “perfetto attentatore” che uccide a pistolettate il povero camionista polacco dopo averlo ampiamente accoltellato (ma, se ha una pistola, perché accoltellarlo?!?) per poi lanciarsi sulla folla col grido di “Allah Akbar” sulle labbra e poi fuggire, gabbando la Reichpolizei e tutti i “cittadini volontari” che danno una mano così, tanto per giocare a Sherlock Holmes. Mentre un pakistano qualunque fungeva da “bandiera ombra” e prendeva in giro tutti: Polizei, Interpol e cittadini onesti.
Il 1° Reggimento della Reichpolizei “Standarte” – adesso – lo arresterà dopo furiosi combattimenti sulla Unter den Linden, sottraendolo quindi al linciaggio da parte di 5.000 tedeschi alti, biondi e ariani che intonavano lo “Horst Wessel Lied” brandendo martelli ed accette.
Ah, dimenticavo: prima di scendere dal camion, Anis infila il proprio certificato di espulsione sotto il sedile del camion. Non si sa mai: e se avesse incocciato in un poliziotto stupido?
E’ una storia incredibile, dalle fondamenta al tetto: giudicate voi.

Amri è arrivato in Italia a febbraio del 2011...Quando venne identificato, dichiarò di essere minorenne e dunque fu trasferito in un centro di accoglienza...Dopo qualche mese di permanenza...il tunisino ha partecipato a danneggiamenti nel centro...Diventato nel frattempo maggiorenne, è stato processato e condannato a 4 anni, scontati prima a Catania, poi nel carcere Ucciardone di Palermo dove si è contraddistinto per comportamenti violenti...

Eh, il buon giorno si vede dal mattino...si vede subito quando uno è preparato a diventare il “massacratore dei mercatini”...

Dal carcere è uscito nella primavera del 2015, ma non è tornato libero: nei suoi confronti è infatti scattato un provvedimento di espulsione. Anis Amri è stato così portato in un Centro di identificazione ed espulsione in attesa del riconoscimento da parte delle autorità tunisine, obbligatorio per poter procedere al rimpatrio. Il riconoscimento, però, non è mai arrivato e, trascorsi i termini di legge, al ragazzo è stato notificato un provvedimento di allontanamento dall’Italia. A quel punto Amri avrebbe effettivamente lasciato il paese per andare in Germania. L’Italia comunque inserì nella banca dati Sis, il Sistema di informazione Schengen...

Acciderbolina! Temevamo che l’appuntato Iaruzzizzi avesse dimenticato d’inserirlo nel sistema informativo...se si era dimenticato...azzi suoi!

Lo sottolineano fonti investigative qualificate ricordando che sia la notizia della condanna sia il provvedimento di espulsione sia le note relative ai comportamenti tenuti in carcere dal tunisino sono state condivise nel sistema europeo.

Meno male: se non c’era la condivisione, le vittime di Berlino sarebbero rimaste per sempre degli zombie...ma se è condiviso, beh, allora...

Una volta in Germania, il tunisino non poteva essere espulso perché non erano mai arrivati dalla Tunisia i documenti per il riconoscimento...

Già: violenti e ammazzi...ma se non arrivano i documenti per il riconoscimento...nessuno ci può fare niente...eh, così vanno le cose nel Grosse Reich, mica siamo in Italia...

Solo oggi, sono arrivati i documenti che servivano per la pratica di espulsione dal Paese.

Meno male, temevamo che non gli potessero ritirare la carta d’identità.

Era stato indagato perché sospettato di preparare attentati contro lo stato, ha aggiunto il ministro dell’Interno...

Bruscolini, bruscolini...su, non fate i complottisti, credete alla Reichpolizei...non c’erano i documenti che dovevano arrivare dalla Tunisia: avete capito?

In Germania...era stato fermato per la prima volta il 30 luglio a Friedrichshafen con un falso documento d’identità italiano...e dall’aprile 2016 risulta “tollerato”. Dopo...due giorni in carcere a Ravensburg, era stato rilasciato e aveva dichiarato di vivere nel centro di accoglienza di Emmerich, vicino alla cittadina Kleve, nella regione del Nord-Reno Westfalia. Prima, aveva fatto domanda di asilo, ma la sua richiesta era rimasta in sospeso perché già conosciuto dalla polizia.

Beh, se la polizei lo conosce...è tutto più facile, no? Uno che è conosciuto per “preparare attentati contro lo stato” viene rilasciato sulla parola, così, come un ragazzotto che ha rotto un vetro...convincente, no?

...a Berlino, la polizia inizia a sorvegliarlo “da marzo a settembre”...sospetto dei servizi federali che Amri stesse preparando “un furto per finanziare l’acquisto di armi automatiche” da usare in “un attentato”... suo coinvolgimento “in piccolo traffico di droga”... senza rintracciare elementi che potessero “sostanziare” l’allarme... Per questo a settembre la sorveglianza venne sospesa...

Bello quel “da marzo a settembre”...si sorveglia in primavera e in estate, perché in autunno e in inverno si va in letargo...

Insomma, il nostro è sospettato di attentati contro la sicurezza dello stato, traffico d’armi, spaccio di droga, d’appartenere a reti internazionali di terrorismo, preparazione di attentati...ma non si può arrestarlo, perché non si sa chi è.
Certo, bisogna riconoscere che la Reichpolizei è scaduta di brutto: se ben ricordo, a Stammheim le cose andarono un po’ diversamente...qualcuno ricorda Andreas Baader ed Ulrike Meinhorf?
L’unica cosa che mi viene in mente, tornando a quegli anni, è la figura di Pietro Valpreda – perfetto nella parte di chi seminava bombe – condannato (poi liberato, poiché riconosciuto innocente) per la strage di Piazza Fontana.
Che i tedeschi, per una volta, abbiano imparato da noi?

19 dicembre 2016

Dilettanti allo sbaraglio




Un referendum vinto con il vento in poppa, sbaragliando gli avversari di sempre: uno dichiaratamente ostile, l’altro nemico sì...ma con un occhio di riguardo per gli elettori, da conquistare. Poi, un governo squalificante e squalificato, degno di un bassissimo impero o della peggior operetta d’avanspettacolo.
E’ tutto troppo facile, troppo semplice guadagnarsi il consenso quando l’avversario è disperato ed annichilito come lo è il PD, come lo sono l’altra metà del parlamento, orfani di un Berlusconi inevitabilmente invecchiato, di un Fini istupidito (ed invischiato in vicende da “mariuolo”) e di un Bossi malandato e tradito.
Nemmeno più gli orfani della “balena bianca” sanno fornire qualche, minimo appiglio e – dall’altra parte – la “vecchia guardia” del PD balbetta senza osare, per la paura che il giocattolo di cristallo – ricevuto dalle generazioni precedenti, con l’assicurazione di tenerlo con cura – si rompa.

C’è un aspetto oscuro nella nascita del M5S: quel blog che semina parole d’ordine, che diventa un partito, che avrà – presto o tardi – in mano la direzione del Paese. Non si può tacere la stranezza dell’evento, tenuto a battesimo da settori della buona borghesia milanese, come lo era – all’epoca – un “salotto” chiamato Mediobanca.
Ciò che appare e conquista è lo strano comico che da un lato spacca computer sulla scena, mentre con l’altra mano asseconda chi nei computer ha cercato il futuro, sicuro che sarebbe stato il mondo a venire.
Pur ammettendo che possa essere esistita una diffrazione dei tempi, il sospetto rimane.
E oggi?

Oggi è facile rimanere gli unici sulla scena, perché gli altri hanno fatto di tutto per lasciarti campo libero: non si spiega altrimenti una stupidaggine come il governo Gentiloni. Il quale, altro non può fare che eseguire gli ordini che provengono da Berlino, altrimenti arriva la trojca.
Basta non far niente, continuare a diramare dalla Pravda genovese/milanese gli ordini del giorno, che a loro volta non hanno nulla di politico.

Mi sono ritrovato a pensare non tanto ai 19 milioni di No al referendum, ma ai 13 milioni di Sì.
Non sono “nemici”, per carità: una consistente porzione è composta dai “sottoposti” della casta al potere, facciamo pure qualche milione...ma gli altri? Ci sono vari tipi di ragioni per rimanere ancorati a questa gentaglia che governa: io credo che tanti abbiano meditato come la casalinga d’antan della pubblicità: “Non cambio il mio Dash!”
Conosco persone non legate al carro PD e nemmeno alla destra, che non si sono fidate e, ammettendo un generico “qualcosa cambia”, hanno votato Sì. Senza sapere nulla del referendum, soltanto quella generica (e falsa) “diminuzione dei parlamentari”.

La vera ragione del successo del No non sono stati i 5S, né Grillo, né il populismo: considerandolo come un capro espiatorio è stato solo Renzi, che ha fatto promesse da mercante mentre applicava totalmente il piano liberista europeo, nel quale il peso maggiore lo devono pagare le economie più deboli, così quelle più forti lo diventano ancor più.
Importante, in queste faccende, è tener conto delle vecchie classi sociali e delle loro dinamiche: quando un padre – magari pensionato o con un lavoro diciamo “decente”, si rende conto che è sempre più difficile arrivare alla fine del mese, che di vacanze non si parla più e che i figli lavorano come schiavi per un pezzo di pane – ecco che il voto cambia poiché cambia il pensiero di riferimento, il sentirsi più o meno escluso dal progresso sociale.
Ho detto, oramai, mille volte che bisogna tenere sott’occhio l’indice di Gini, ossia il valore che misura la disparità sociale, che – per l’Italia – continua ad aumentare, il che significa ricchi ancor più ricchi e poveri ancor più poveri.
In questo humus ci sono poi le notizie, e come vengono percepite.

C’è poco da dire: quando un ex Presidente della Camera dei Deputati è sposato/convivente con un avvocato romano del quale molti sapevano “molto”, e da tempo, era soltanto una bomba che doveva scoppiare. Solo lui non sapeva? Forse che si pensiona immediatamente un generale della Guardia di Finanza per nulla? E la strana “contiguità” con il boss Corallo? Fini: non serve nemmeno raccontare che “campi come prima” – perché la tua pensione è pari a 6.000 euro mensili – e milioni d’italiani non sanno nemmeno cosa siano 6.000 euro il mese.

Ed ecco...ora qui, ora là...che la base di consenso si erode, ma questo non significa automaticamente che vinca qualcun altro: questa è la stranezza italiana. E’ un’asta al ribasso: a chi perde meno elettori, anche il M5S risponde a questa logica.
Chi non è mai stato al governo non ha responsabilità, ma nemmeno meriti: quali sono, da sempre, i mezzi che usa un’opposizione?

I mezzi sono due: il voto contrario – con maggioranze “blindate” e truffaldine, questo metodo serve a poco – e l’altro, più proficuo, è l’aspetto propositivo, ossia le “ricette” di un buon governo. Cosa che il M5S non fa, e non ha – probabilmente per veti dall’alto – nessuna intenzione di fare.
Quali sono le posizioni del M5S sull’energia?

Nonostante il battage pubblicitario lanciato recentemente, non c’è una posizione, una presa d’impegno che vada oltre un generico “appoggio” sulle energie rinnovabili. Ma, suvvia signori del M5S, sono vent’anni almeno che si va avanti con generici “appoggi”, e s’è concluso poco, soprattutto per un Paese come l’Italia che ha una pesante “bolletta” energetica.
E sull’Europa e sull’Euro?

C’è così tanta chiarezza da rimanere abbacinati: sappiamo tutti che non sono permessi referendum in materia di politica estera, ma – vivaddio – esistono pur sempre i referendum consultivi, mediante i quali si può conoscere come la pensa la popolazione. Il fatto di dover, dopo, gestire qualcosa di più grande di voi vi spaventa? Allora, cosa siete andati in parlamento a fare? Aspettate che la mela (ossia l’UE) cada da sola dal ramo?

Brilla per “zero incisività” la posizione grillina sul lavoro: sembra che non sappiano cosa vuol dire lavorare per pochi “voucher” la settimana, come fanno gran parte dei nostri giovani. Viene da dire una cattiveria: forse l’olimpo nel quale siete stati catapultati – grazie a 50 voti di parenti ed amici – vi ha fatto scordare quando eravate dei semplici disoccupati?

Tre punti: energia, UE e lavoro. Ma ci piacerebbe sapere anche cosa pensate di fare per la giustizia, per il turismo, per la scuola, ecc. ecc. Già che ci siamo, nessuno ha spiegato come si attua un serio reddito di cittadinanza – cavallo di battaglia del movimento – e nemmeno cos’è.

Il M5S è un vuoto pneumatico: ricordate la “requisitoria” che blaterarono nel famoso incontro con Bersani e Letta?

“Noi non dobbiamo consultare le parti sociali, poiché noi siano quelle parti sociali, siamo la voce dei cittadini, dei disoccupati, dei cassintegrati che, finalmente, potranno...perché noi abbiamo un progetto politico per questo Paese...”

dov’è finito, quel progetto, cittadina Lombardi?
Era un bluff: il progetto non c’era, poiché il programma era un non-programma.
   
Un programma non è “questo sì, questo no”, perché – dopo – non si sa come fare. Se, invece, è “questo sì”, e poi si spiega dalla A alla Z come realizzarlo...ecco, questo assomiglia già ad un programma, perché lascia al governo solo il compito di vigilare sull’attuazione, sugli gli imprevisti che sempre accadono ed ai quali bisogna far fronte.

La scelta, però, non è questa: perché?
Poiché il M5S gioca anch’egli al ribasso.
Troppo forte la mia affermazione? Impietosa?

In questi giorni il M5S è sotto attacco: fin troppo facile capire che i costruttori, che sono stati obbligati a dimenticare in quattro e quattr’otto sogni di tangenti e cemento di una Roma “olimpica”, si stanno vendicando.
E, a discolpa del M5S, dobbiamo ricordare che Marra non è un politico, è soltanto un amministratore cui la Regina degli Ingenui ha dato retta: adesso, Grillo la manderà a scuola per imparare cos’è lo spoils system.
Ma non si sposterà più di tanto: Grillo è un uomo di spettacolo, e rammenta che è sempre meglio che si parli, anche male, ma che la “cosa” sia sempre in primo piano. Gli basterà qualche vaffa per riemergere, anche se la politica – quella dei Moro e dei Berlinguer – era tutt’altro.

La vicenda romana, come tutte le vicende romane, affonda le sue radici nella cloaca maxima che è diventata l’amministrazione della città: basta pensare a Scarpellini ed ai suoi affari immobiliari con le istituzioni, oppure al penoso “lascito” di Alemanno, o ancora alla “Mafia capitale” che imperò con tutte le amministrazioni...
Virginia Raggi era connivente, ed interessata alla “scalata” al posto di primo cittadino? Così sostiene Marra...ma...credere a Marra?
Se così non è, Virginia Raggi è solo un’ingenua, ma di quelle rimandare all’asilo affinché comprenda quando qualcuno ti ruba le caramelle! 
In entrambi i casi, Virginia Raggi non era e non è la persona adatta a ricoprire quel ruolo.

Il discorso, allora, si sposta e comprende tutta la classe dirigente grillina: cosa ha fatto il povero Pizzarotti – uno “smanettone" del computer catapultato sulla poltrona di Parma (da lui stesso ammesso) – per meritarsi d’essere cacciato dal M5S? Quando Pizzarotti diventò sindaco era già stato firmato (dal predecessore) l’accordo per l’inceneritore in comune con Reggio Emilia...come si poteva annullare? Non era possibile, l’unica cosa da farsi era “accelerare” sulla differenziata, cosa che Pizzarotti ha fatto. Poi nominò una persona di sua fiducia (vista l’importanza della città nel panorama lirico nazionale) per aiutarlo in una materia a lui ostica: arrivò l’informazione di garanzia (poiché, secondo altri, non poteva farlo) e fu cacciato dal M5S. La Magistratura, successivamente, decise per l’archiviazione (cioè che Pizzarotti non aveva sbagliato). Ma, tant’è, che Pizzarotti era già stato defenestrato.
Adesso, da molte parti, si chiede a Grillo – visto che solo oggi “si parla” di stendere un regolamento per il ritiro del simbolo o la cacciata di un politico – se la “manifesta incapacità” è prevista dal regolamento.

All’inizio della legislatura i M5S erano 109 deputati e 54 senatori. In totale 163 parlamentari.
 Ad oggi, sono stati colpiti da ostracismo 18 deputati e 19 senatori, totale 37 parlamentari, circa il 23% del totale: molti, semplicemente per aver criticato la mancanza di democrazia interna e la “qualità” della comunicazione fra le strutture centrali del movimento – ossia il blog di Grillo e gli uffici della Casaleggio & Associati – e le strutture parlamentari. Tutto ciò tocca, e molto da vicino, le modalità di selezione di una futura classe dirigente, ma l’argomento non è mai all’ordine del giorno fra i 5S (quelli rimasti).
Con oggi, ci sembra che Virginia Raggi abbia oltrepassato – e di parecchio! – le motivazioni di quei parlamentari espulsi, eppure Grillo la difende ancora...”uno vale uno”? Oppure “una” più visibile – come il sindaco di Roma – vale di più?


In altre parole, Grillo è su posizioni attendiste: aspetta, sulla riva del fiume, che passino cadaveri, e li conta. Stavolta ha perso qualche fante anche lui, ma poco gliene importa: l’importante è che i fanti non pensino di diventare colonnelli, questo no, Pizzarotti docet.
Grillo non desidera che i suoi fantaccini, al fronte parlamentare, crescano e diventino grandi: questa è la differenza fra un attor comico ed un insegnante. Il secondo sa bene che giungerà un momento nel quale dovrà salutarli, e chiudere loro la porta della nuova classe in faccia quando torneranno a trovarlo, perché non sono più affar suo. Al massimo, una bicchierata al bar: scuola? Finito: non possiamo ricreare falsamente il rapporto di prima, oggi vi hanno dichiarati maturi, andatevene.

Grillo, invece, cincischia, predica, il suo ego si espande ogni volta che chiamano...santità...come dobbiamo votare su quella cosa? Puoi anche cercarla da solo la strada, ma presto o tardi inciampi in un anatema, sicuro.
E allora?
Il Santone è tale solo se ha degli adepti che mai dovranno oscurarlo: questa è una regola ferrea nel rapporto guru/chela. E Grillo la applica alla lettera.
Perciò, che dire ancora del futuro?

Con le prossime inchieste – in onda su Radio Giustizia Today – beccheranno altri PD e noi riassesteremo la conta dei cadaveri, il fiume ne è sempre zeppo.
E’ un gioco dove nessuno perde, ma nessuno vince, mai. E questo ci fa tornare a quel blog, a quella struttura milanese, a quelle contraddizioni evidenti...

A dire il vero qualcuno perde, perde di schianto ogni giorno che passa: gli italiani, ma questo è un altro discorso.

11 dicembre 2016

Proposta indecente




Caro Beppe,
                    ho saputo, proprio dal tuo blog, che – mistero, non riesco a comprenderne il motivo – l’energia sarà il primo punto in discussione alle assemblee dei tuoi parlamentari: forse ho capito male, sarà il primo punto del programma, è confuso...ma voi, avete capito cosa dovete fare? I tuoi “onorevoli/disonorevolizzati” lo hanno compreso?
Comunque sia, non fare come col non-programma, dove qualcuno – probabilmente a tua insaputa – copiò/incollò la legge regionale sull’energia e l’ambiente del Trentino Alto Adige: c’erano tutte le norme per la messa a punto energetica degli edifici.
E l’energia per far andare avanti la baracca? Nulla.

Mi sei simpatico, Beppe, perché hai il dono di gettare uno sguardo dal palcoscenico e sapere come acchiappare le menti che scappano: sei un accalappia-menti, e sei bravissimo in questa faccenda. Un po’ come succede a scuola con i ragazzi distratti: solo che lì non sei strapagato e neppure lo fai una volta tanto, decidendo tu dove e quando. Lo devi fare tutti i giorni, per una paga che – se lo fai come va fatto – è una miseria. Per questo la scuola va a rotoli. Quelli che sanno/sapevano giocare l’alchimia sono/erano coloro che venivano definiti “bravi insegnanti”. Che non vuole mica dire essere docente di cosasivuole all’università di Piripicchio: lì, sono soltanto questioni di spinte, amicizie e c..o.

Il problema, in sintesi, è quello d’immettere tot TWh (teravattora) nel sistema affinché possa funzionare, possibilmente senza aggrapparsi a roba come il petrolio et similia, perché quelle robe lì non si rinnovano proprio.
Oggi, siamo ancora nel novero di percentuali ad una cifra (attenzione: sul totale energetico lordo), proprio sprecandoci arriviamo – sommando vento, sole, biomasse e geotermico – ad un 10%: se ci aggiungiamo l’acqua – ossia l’idroelettrico da alte cadute – si arriva al 20%. Il “grosso” è ancora tutto nelle grinfie di petrolio et similia, i padroni del vapore organizzano – lo sappiamo da almeno un secolo – stimolanti giochi al Risiko planetario, dove milioni di persone ci hanno già lasciato la pelle. Ma loro devono pur definire, in continuazione, i loro rapporti di forza? O No?
Se non vuoi entrare nel gioco, perché hai paura di fare la fine di Pasolini, stai in campana e continua a fare dei bei copia/incolla prendendo da qualche parte la roba da scrivere. C’è di tutto in giro.
C’è tanta gente in giro, hai ragione: da quelli del risparmio energetico, che magari girano in Porsche, a quelli “che l’energia non serve”: non serve perché non fanno niente, e non facendo niente non sprecano energia...però, stai sicuro, da qualche parte c’è sempre qualcuno che deve “sbattersi” per loro.
E allora? Come si risolve il puzzle?

Il puzzle trova soluzione sommando i megawatt di nuove fonti energetiche (vento, sole, acqua, correnti sottomarine, eolico d’alta quota, geotermia, ecc) fino a fare un gigawatt, i gigawatt fino a fare un terawatt...poi, domandandosi per quanto tempo quella fonte mi darà...ed ecco i teravattora. Capito?
E’ un lavoro improbo. Censire, annotare, sommare...poi costi, investimenti, anni, priorità...ecc, ecc, ecc...contatti, discussioni, convegni...una roba da strapparseli.
L’Europa – sì, quella maleodorante roba là – si è data un obiettivo: giungere al 2050 con l’80% di rinnovabili. Che è un obiettivo ragionevole.
Se po’ fa, ha detto il Deutschland.

Se po’ fa anche da noi – Jeremy Rifkin, quando gli hanno spiegato che le Alpi hanno un versante Sud dal quale scendono migliaia di torrenti verso la pianura Padana, s’è messo a ridere: e voi avete dei problemi energetici?!? – se poi consideriamo la grande insolazione e la buona ventosità di alcune aree, potremmo anche diventare esportatori. Invece disastriamo la Lucania per tirare su il petrolio da 5.000 metri di profondità!
Se po’ fa, se c’è qualcuno che sa farlo.

Non servono parlamentari avvocati: quelli servono a scrivere le leggi, a scriverle bene, il resto lascialo fare a chi sa farlo, senza troppe cariche che rompono solo le scatole.
Cosa voglio?

Agli altri, quelli che adesso sono finiti nella palude del renzismo, chiesi fedeltà ad un’ideale – quello delle rinnovabili all’80% per il 2050 – e, soprattutto, onestà e trasparenza. Ossia quello che non potevano darmi.
A te, Beppe, invece – che so fondamentalmente onesto – chiedo la cosa più difficile da dare per un genovese: dei soldi. Sono parecchi soldi, te lo dico subito, perché c’è un gran lavoro da fare: me li merito, no?
Altrimenti, continua ad affidarti a gente che propone, come soluzione del “no al petrolio”, il...trasporto pubblico! Roba da PD d’antan...vero? Le aziende di trasporto pubblico hanno deficit da paura e tu...proponi che passino alla trazione elettrica? Con quali soldi?!?
L’unico modo per aggirare il problema non è fissarsi su un patetico Sì/No al petrolio: è chiaro che ti risponderanno di no, il vero problema è risolvere la questione, non chiedere che venga risolta.

Voglio dire due parole sulla mia strana richiesta. Vedi, Beppe, io mi sono sbattuto mica poco per le energie rinnovabili: ho scritto libri ed articoli, sostenuto tesi, battagliato con i dipendenti ENEL che cercavano di sputtanarmi alle conferenze...non ti sto a dire cosa ne ho passate.
Cosa ho ricavato? Cos’ha ricavato l’Italia dal mio sbattimento? Niente, assolutamente niente. Perché?
Perché, forse, ho sbagliato metodo: dovevo chiedere dei soldi! Ma pensa te come sono stato ingenuo e sprovveduto!
Hai visto oggi? Renzi fa parapà, parapà, parapà...e poi Mattarella chiama il suo braccio destro al governo...funziona così, storie di soldi, di favori, tutto qui...
Nella nostra società ci sono due cose che contano: soldi e potere, con i quali si compra qualsiasi cosa. A me bastano i primi, non in formato mignon però, eh...

Per risolvere il guazzabuglio, si deve premiare chi produce, siano essi Comuni, privati o quant’altro. Come? Non c’è bisogno di tanti soldi, ma solo d’organizzazione. Chi ha investito nell’eolico, ad esempio (in genere, Comuni che si sono appoggiati a società del settore), oggi re-investe i soldi guadagnati aggiungendo generatori eolici. Perché? Poiché, rivendendo alla Borsa elettrica la produzione ha guadagnato abbastanza da soddisfare i propri elettori, le società di servizi (che vuol dire lavoro) e le banche (che ci hanno messo i soldi, perché lo considerano un investimento sicuro).
Se le banche lo finanziano, non si potrebbe finanziare un fondo pubblico creato ad hoc, tramite un azionariato diffuso?
Anche il fotovoltaico, lentamente, sta raggiungendo un rapporto costi/benefici che fa ben sperare (oggi, si regge solo con i contributi statali, ma è stato giusto fare così, altrimenti il sistema non sarebbe mai decollato): oggi, c’è una continua discesa dei prezzi dei moduli. E, soprattutto, il fotovoltaico produce nelle ore diurne, quando il prezzo di vendita è più alto.
Lo sai che Carlo Rubbia inventò di sana pianta un nuovo mezzo di captazione dell’energia solare – chiamato “termodinamico” – che in Spagna ha avuto successo...come hanno trattato Rubbia? Già...ha finito per emigrare...

Il vero business, domani, sarà un ritorno al passato, ossia tornare all’idroelettrico di basse cadute, come fu agli inizi negli anni ’30 del ‘900. Mantenendo l’idroelettrico da alte cadute come riserva giorno/notte (o brevi periodi) e passare all’idroelettrico per basse cadute per “erodere” il potere delle centrali a carbone, metano, petrolio.
Non ti rendi conto di quanto GWh sono lì, che aspettano solo d’essere raccolti?
Non vedi che disastri combina l’acqua ogni anno? E si devono spendere soldi per riparare i danni! Non sarebbe meglio agire a monte, mettendo in sicurezza i bacini idrografici e guadagnando dei soldi?

Il discorso si fa complesso, lo capisco, ed i tuoi parlamentari sono dei bravi ragazzi – non si può chiedere loro anche d’inventarsi esperti del settore – perciò, se lo vorrai, bussa pure alla mia porta. Ma, questa volta, portati appresso la valigetta coi soldi – come nei migliori film di spionaggio – perché il qui presente è stufo di spellarsi le dita sulla tastiera scrivendo libri ed articoli per niente.

Altrimenti, continua a correre appresso a chi ti vende il trasporto pubblico elettrico come il futuro (per carità, ci sta tutto, ma oggi – per le condizioni sopra esposte – è una chimera), continuando, così, ad ingannare – involontariamente – i tuoi elettori.
Mi raccomando – belìn – non scordarti la valigetta.

05 dicembre 2016

Non cambierà nulla


Quando si vince si vince per sé, quando si perde è l’Italia a perdere un’occasione: questo, in sintesi, il discorso di Renzi e le sue conclusioni.
Non esultiamo troppo: le cose rimarranno tali e quali a prima. Osservate cosa è successo in Austria: votarono e vinse il candidato europeista...già, ma scoprirono brogli – guarda a caso anche oltre Tarvisio – sulla circoscrizione estero. E sono stati obbligati a rifare le elezioni.
Il voto degli italiani all’estero è una “riserva di caccia” privata a disposizione del Governo: una mia cugina (che vive a Parigi) mi ha confessato di non essere andata a votare – “L’ultima volta che ero andata m’ero accorta che qualcosa non andava, che le comuni modalità di segretezza e di conservazione delle schede elette non erano sufficienti: in pratica, potevano fare della mia scheda ciò che volevano” – questo mi ha raccontato, senza specificare meglio.

La circoscrizione estero è, però, un modo grezzo per fare dei brogli elettorali e, per i suoi numeri limitati, può soltanto “deviare” il voto quando le differenze sono minime, pochi punti, come nel caso austriaco: la stessa trappola era pronta anche per l’Italia, difatti nella circoscrizione estero ha vinto il Sì.
Il punto dolente è la trasmissione dei dati dai seggi al ministero dell’Interno: finora non hanno osato tanto (ossia intervenire quando i dati sono contenuti nei database) – non per questioni etiche, se ne fregano – ma perché ci sarebbe troppa discordanza fra il “reale” ed il virtuale, un rischio che non possono permettersi.
In Austria hanno semplicemente corretto le procedure, per essere inattaccabili dal punto di vista formale, ma la sostanza non è mutata: se una tornata elettorale è sul filo di lana, il governo può “aggiustarla” a suo favore.
Del resto, perché non abbiamo mai votato su questioni come l’Europa e l’Euro? Datevi una risposta.
Adesso, molti si chiederanno cosa succederà.

Renzi era stato preparato per tempo a lasciare, sapeva che le condizioni economiche italiane sono così compromesse da non concedere appelli: serve un cambio d’immagine, anche l’estetica vuole la sua parte.
Passati i clamori del Sì e del No, in Parlamento s’inizierà la conta, la divisione di ministeri e le solite presidenze “succose” per un governo che dovrà gestire la “tirata” delle elezioni del 2018. Manca solo poco più di un anno.
Questo governo avrà, da parte di Francia e Germania, qualche possibilità in più: oggi l’inflazione è a -0,19%, ciò significa deflazione, recessione acclarata e provata, anche dai numeri.
Sarà concesso di più – in termini di denaro circolante, tanto per capirci – in modo da non giungere all’appuntamento elettorale “sotto” di sei milioni di voti: 6 a 4, o meglio, 19 milioni di voti a 13.
Ciò che non faranno, però, è dare a questa modesta crescita qualcosa di strutturale, giacché ciò che importa loro è proprio questo: deindustrializzare l’Italia – l’Italia non è la Grecia, è la terza economia europea – continuando ad obbedire all’accordo Kohl-Miterrand che è alla base dell’euro. Un lento dissanguamento, che sarà modestamente fermato per non giungere troppo stremati all’appuntamento elettorale.

I numeri, in Parlamento, continuano a raccontare che il PD (con gli “acquisti” e compagnia varia) è il solo a poter garantire qualcosa. Perciò, Mattarella seguirà questa indicazione.
Credo che sarà richiamato in fretta D’Alema, perché è l’uomo che sa gestire bene le situazioni come queste: Belgrado ancora ricorda.
Osservate cosa ha dichiarato Massimino:

“Il Capo dello Stato darà l’incarico a una personalità che lavorerà a misurare le disponibilità per un governo necessario al paese. Si dovrà verificare il senso di responsabilità delle forze politiche e credo che ci sia una maggioranza in Parlamento che non intenda favorire lo scioglimento irresponsabile delle Camere. Andare a votare ora sarebbe irresponsabile anche perché la Consulta deve ancora pronunciarsi sull’Italicum. E mi auguro che l’assunzione di responsabilità possa essere la più ampia possibile.”

Una sorta di passo avanti, una disponibilità chiarita: la volta scorsa furono gli USA a chiedere lui al comando al posto di Prodi (contrario alla guerra nei Balcani), e Bertinotti si prestò per la scimmiottata delle 36 ore ed altre facezie.
Oggi si fa avanti l’UE, ossia Germania e Francia che – qualora l’Italia promuovesse iniziative per la sua “exit” – vogliono evitare di rimanere col cerino acceso in mano, tanto meno ascoltare il Requiem di Mozart in presenza delle loro bare. Perché se l’Italia se ne va, crolla tutto l’ambaradan.
Cosa possiamo fare?

Una vittoria come questa del referendum, rischia di diventare una vittoria di Pirro. Perché?
Poiché l’unica forza politica ad avere in mano le chiavi per un cambiamento – ossia il M5S, non la Lega, che è un partito che si ferma a Bologna, oltre non va – non sa decidere, non presenta un programma, non fa capire quali saranno le sue priorità di governo.
Segue questa strategia poiché è quella che più garantisce consensi: il voto a Grillo è un voto di protesta, in quel partito manca totalmente una democrazia interna e non c’è una fase propositiva che conduca ad un programma.
Finché resto sul vago – sembra raccontare Grillo – chi è deluso mi vota. Certo.
Cosa farai, però, quando ti toccherà stringere delle alleanze e confrontare i programmi? Non vorrai mica aspettare il 51%, vero? Non ci arriverai mai.

Manca poco più di un anno alle elezioni: cosa sceglierai?
Euro o no Euro?
Europa o tentativi di alleanza con le economie del Sud Europa?
Grandi investimenti sulle energie rinnovabili, compresi piani industriali su progetti innovativi?
Una bella “falciata” sulle amministrazioni locali?
Il taglio delle spese militari, eliminando tutte le spese solo utili per essere lo schiavetto della NATO?

Se, oggi, non comincia un dibattito interno su questi argomenti (ed altri), è del tutto inutile aver vinto questo referendum, poiché un voto di protesta che non trova proposte politiche, s’affievolisce e muore come un fiore senza terra cui crescere. Pensaci.

01 dicembre 2016

Quando ti fanno proprio incavolare di brutto




Perché mi sono lasciato andare a quel clic? Non potevo passare oltre e andare a vedere le previsioni del tempo? Perché certa gente ti deve sconfortare con la sua pochezza, con l’inutilità dello scrivere?
Mi riferisco ad Antonella Beccaria ed al suo articolo sull’assassinio di Bruno Caccia, avvenuto la bellezza di 33 anni or sono, in un contesto sociale completamente diverso dall’attuale. Il Presidente era Sandro Pertini, il primo Ministro Amintore Fanfani, uno stipendio medio era di 500.000 lire, un’autovettura economica costava circa un milione, mangiare al ristorante 1.000 lire o poco più. Eppure, Antonella Beccaria pretende di chiedere verità per quella morte, senza minimamente accorgersi del “contorno”, ossia delle mutate condizioni sociali rispetto all’epoca dei fatti! Se non si è trovato finora un colpevole, signora Beccaria, è inutile cercarlo, salvo una confessione tardiva in articulo mortis.

L’omicidio di Bruno Caccia (magistrato) fu una, purtroppo, “solita” storia italiana: ucciso una Domenica sera del 1983 con 9 colpi più tre di grazia dalla n’drangheta – almeno, così si dice – mentre la sua scorta non c’era “perché anche i poliziotti hanno diritto di avere un po’ di vita privata”.
Sicura che è stata la n’drangheta? Poteva essere un killer dei servizi segreti (deviati?), uno assoldato dalla massoneria “speciale” – tipo P2 – oppure aveva toccato qualche ganglio vitale internazionale e allora...saranno stati i servizi di qualche stato estero, di qualche massoneria o società segreta d’oltre oceano, oltre cortina, oltralpe, oltre Tevere, oltre...
E, i killer, hanno aspettato proprio il momento che la scorta non ci fosse. Che caso.
Nessuno, qui, vuole infangare la memoria di Bruno Caccia – ci mancherebbe – però troviamo il suo articolo scipito, senza capo né coda, senza senso, privo di qualsiasi interesse.
Mai sentito parlare di strategia della tensione? Di morti eccellenti? E allora!

Ciò che meraviglia è osservare il suo pezzo in seconda posizione su “Il fatto quotidiano” (1), il che fa pensare. Lei, signora Beccarla, porta un cognome che affonda le radici nella storia giuridica, ma anche il mio non è da nulla nella storia politica di questo Paese.
Come si fa ad essere così ingenui? Ma lo fa o lo è?

Sergio Castellari, Gabriele Cagliari e Raul Gardini: mai sentito parlare di loro? Tre suicidi, certo, come no. Mario Almerighi ne trasse un libro carico di punti interrogativi, di quei punti che puzzano di falso lontano un miglio (2). Mauro de Mauro, Pasolini, Mattei invece, devono la loro morte all’aver pronunciato troppe volte la parola “petrolio”. I killer la sillabavano sempre, con riconoscenza. Perché l’ENI/ENEL è il vero ministero dell’energia italiano, lo sapeva? Che è pieno zeppo di uomini dei servizi, lo sa?
Li aggiunga ai morti delle stragi di Stato – da Piazza Fontana in poi, fino al Moby Prince, almeno, dopo non saprei – ed avrà un quadretto edificante.
Ci sono poi altri nomi, di gente che s’è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato: Cucchi, Uva, Aldrovandi e tanti altri. Le sembra ancora così importante il suo articolo? Di fronte alla mattanza di Stato ed a quella nei confronti di semplici cittadini?

Se voleva scrivere qualcosa d’interessante, poteva chiedersi poiché in Italia non esiste più lo stato di Diritto: ovvero, dei fatti di sangue se ne discute molto – dopo la morte – a cadavere ancora caldo, poi freddo ed infine decomposto fino allo scheletro, che viene accuratamente disseppellito per far fiorire nuove polemiche. I giornali vendono, i Tg assicurano, i think tank italiani dissertano. E i cadaveri restano.

Non so se tutti sanno che, per questioni di bilancio, molte caserme dei Carabinieri nei piccoli borghi sono state soppresse, ed i militi garantiscono la presenza solo per quattro ore la mattina, poi ci si deve rivolgere al comando, che può essere la Tenenza, oppure comandi più elevati. Se la cosa è ritenuta di poca importanza, si rimanda al giorno dopo.
Il Nucleo Elicotteristi di Albenga (SV), ad esempio, è stato soppresso e incorporato con quello di  Volpiano (TO): per le urgenze da ultima spiaggia arrivano dopo un’ora di volo in più. Porta pazienza, neh?

Anche questo “risparmio” si riflette sullo stato di Diritto della popolazione: piccole beghe di paese – ricordiamo il tizio che ha decapitato lo zio per una questione di passaggio (magari c’era dell’altro, ma non lo sappiamo) (3) – si gonfiano, straripano, e ci scappa il morto.
Non ho mai avuto molta simpatia per l’Arma – non concepisco che la popolazione sia vigilata da dei militari – però riconosco molto utile la sua funzione nei casi dove, prima del Giudice, grazie ad un buon consiglio od una semplice ramanzina, si riescono ad evitare guai più gravi.

Queste situazioni vanno incrociate con la sempre più usate formule che infiocchettano le sentenze: “improvviso raptus”, “temporanea incapacità mentale”, “individuo borderline”, eccetera...e che, nelle mani di abili avvocati, consentono di farla quasi franca con poca galera. Così si spiegano le condanne a pochi anni a fronte degli omicidi.
Bisogna riconoscere due eventi: il primo è che le persone – anche quelle stabili mentalmente – in estreme situazioni di paura, pericolo o rabbia subiscono un tracollo, diverso da caso a caso. Il secondo è che la crisi economica inasprisce questi eventi, poiché il “carico” che una persona può sopportare, che varia da persona a persona, è comunque un “carico” totale, da gestire all’interno della propria psiche.

Difatti, quando leggiamo la cronaca nera, spesso incontriamo frasi come “la separazione dalla moglie...” oppure “la perdita del lavoro...” o, ancora “lo sfratto improvviso...” od altre, dipende dai casi.
Far vivere la popolazione in uno stato d’incertezza continuo – e cosa sono i contratti a voucher, le continue riforme delle pensioni, il lavoro a progetto, ecc, ecc, ecc – è una necessità di governi che non hanno suffragio popolare e che sono nominati, con abili trucchi costituzionali, da entità estranee al sistema democratico.
In sintesi: chi sono Monti, Letta e Renzi?

Attenzione: la Costituzione non afferma che si debba votare un nome per la presidenza del Consiglio dei Ministri, ma fino al 2011 sono sempre stati eletti alti dirigenti democristiani (od esponenti del pentapartito), poi Prodi (e tristi epigoni) e Berlusconi. Forse Letta sfugge un poco a questa regola (fu un governo di transizione), ma anche Renzi è – di fatto – un governo tecnico, non solo Monti, perché Matteo Renzi s’è guadagnato, da solo, soltanto le poltrone di presidente della Provincia di Firenze e di sindaco di Firenze. Aggiungeteci un Presidente della Repubblica “sovrano” ed un altro “muto” e la frittata è servita.
Renzi non è nemmeno un parlamentare, è un signor nessuno, nato e cresciuto nei media: molte donne l’hanno votato perché bello, giovane, avvocato di successo, ecc. E quale donna non lo vorrebbe come marito o come genero? Ci sono le eccezioni, ovvio, ma le elezioni sono il frutto di realtà studiate a tavolino, provate in piccoli test (amministrative) e pianificate dagli “spin doctor”. Democrazia? Una forma di governo dell’antica Atene. Punto.

Perché queste persone appoggiano l’incertezza del vivere e dei valori?
Semplice: perché non sanno che futuro avranno, non sanno – una volta elette – come dovranno comportarsi, cosa dovranno emanare, quali “riforme” dovranno varare. Attendono lumi da Berlino, Londra, New York, mica s’attengono alle promesse elettorali: quelle servono ad acchiappare gli allocchi.
Per questa ragione, l’incertezza generale è un’abitudine che si consolida: “eh, io non andrò mai in pensione...” “eh, vedremo se passerà davvero la costruzione del Ponte...” “mah...dipenderà dal deficit di fine anno...” “eh...l’hanno detto, ma la strada non la faranno perché i soldi...” “autostrada chiusa” “treno soppresso”...e vai col tango.

Fateci caso: ci stanno abituando a vivere alla giornata, come vivono loro nei confronti dei loro “datori di lavoro”, che sono i soliti che magari non conosciamo, ma che ben immaginiamo.
Anche Renzi, se perderà il referendum, dovrà andarsene ed arriverà D’Alema, il solito salvatore della Patria, fino alle prossime elezioni. Tira un respiro e vai, tanto stanno tutti bene (loro), che gli frega di noi?

Per questa ragione, signora Beccaria, trovo insulso il suo almanaccare sulla morte di Bruno Caccia – nel pieno rispetto dell’estinto – perché, allora, dovremmo chiederci che fine fece Federico Caffè, chi veramente uccise Pasolini, chi mise la bombe a piazza Fontana e sull’Italicus, cosa successe al Moby Prince, ecc, ecc, ecc, ecc, ecc, ecc, ecc...

Non comprendo questi drammatici “sforzi” delle meningi per acclarare il nulla: o si chiede che venga fatta piena luce sul passato (richiesta vana), oppure si comprende che i destinatari della richiesta sono gli stessi che insabbiano od insabbiarono.
Soprattutto, non ci si spertica con articoli insulsi che lasciano il tempo che trovano, tanto per conquistare il colonnino di un grande giornale.
Io ne faccio a meno e vivo, ugualmente, sereno. Saluti.

27 novembre 2016

Maltempo o malgoverno?




“La persona intelligente è colei che, contemporaneamente, riesce a soddisfare se stesso e gli altri.
Lo stupido è, invece, colui che riesce, contemporaneamente, a danneggiare se stesso e gli altri.”
Carlo Maria Cipolla (storico) – 1922 - 2000

L’Italia è sotto scrosci d’acqua: per mia fortuna è intervenuto il mutamento climatico – del quale, in questa sede, non m’interessa indagare le cause – che ha contribuito, grazie al riempimento delle “riserve” sotterranee delle sorgenti (dovuto alla siccità estiva), a non aggravare la situazione.
L’acqua dolce rappresenta il 3% delle risorse idriche del pianeta alle quali, sottratta la quota imprigionata nei ghiacci artici, rimane un misero 1% (scarso), col quale dobbiamo bere, lavarci, irrigare, ecc.
Tanto per capirci, la media annua di precipitazioni, in Italia, è di circa 1300 mm di pioggia: quando, in un solo giorno, scendono dal cielo 200-300 mm d’acqua significa 20-30 centimetri. Immaginate uno “strato” d’acqua pari a una spanna e mezzo che, in brevissimo tempo, cali ovunque: chiaro che saltano i tombini. E’ una maledizione divina, certo, e l’uomo non può farci niente.
Davvero?

Ci sono tante emergenze in Italia: Emergency ci racconta che stanno aprendo ambulatori in Italia – anche per gli italiani – poiché c’è un’emergenza sanitaria che fa paura. I sindacati non fanno più chiasso, ma c’è un’emergenza, una disuguaglianza fra ricchezza e povertà che aumenta ogni anno. Il sistema scolastico sta letteralmente perdendo i pezzi, quello industriale sta riducendosi al lumicino...tutto è in grave sconforto.
Ebbene, gli interventi per il sistema idrogeologico italiano – se paragonati a quelli pre-2000 – sono stabili: zero erano e zero sono rimasti.

Chiedo il vostro conforto, che potrete darmi – ritengo – sulle cose visibili, quelle che si toccano con mano.
Viaggiate su strade ben delimitate da strisce, con la mezzeria ben indicata?
Notate spesso transenne dovute a frane o raramente?
Avete notizia di morti annegati o sotto frane raramente o di frequente?

Non mi dilungo: credo che abbiate capito.
Le cosiddette “emergenze da maltempo” non sono dovute alla pioggia: capitano perché l’unica cosa che viene in mente alla classe politica, quando piove, è d’aprire l’ombrello. Oppure telefonare, così vi mandano un’auto-blu per scarrozzarvi.
Eppure, i mezzi per proteggersi non si fermano all’ombrello: ce ne sono altri, ma costano e bisogna pensarci, non fare i festini a base di coca ed escort come sono abituati.

Passiamo in rassegna soltanto due mezzi, ce ne saranno altri, ma fermiamoci a due.

Il primo è un accorgimento tecnico.
Nel 1966, dopo la rovinosa alluvione di Firenze, qualcuno meditò di mettere in sicurezza la città medicea per sempre: fu progettato ed attuato l’invaso (o lago, o diga) di Bilancino, sul fiume Sieve (affluente dell’Arno) per limitare le piene di questo fiume che si riversavano in Arno, di conseguenza su Firenze (1). Ci vollero 30 anni per arrivarci, ma ci arrivarono e Firenze non ebbe più catastrofiche alluvioni: questo perché – probabilmente – l’invaso iniziò a funzionare ben prima.

Ho avuto un allievo che si è laureato in ingegneria idraulica: un giorno, incontrandolo casualmente, mi raccontò lo sconforto nel vedere le sua capacità sprecate. In parole povere, nessuno aveva bisogno di un ingegnere idraulico: la cosa non serviva.
Oggi, Novembre 2016, la “conta” dei danni causati, nel savonese, da un’alluvione nemmeno poi così catastrofica (non penso che verrà ricordata negli annali come tale) si è fermata a 100 milioni: 100 milioni non sono più la vincita al totocalcio, erano la bellezza di 2.000 miliardi di lire! Più avanti chiarirò questo strano paragone. Di quei 100 milioni ne arriveranno pochi, poiché dovranno subire il “salasso” di Governo, Regioni, ex Province e Comuni: se ne arriveranno 50 ci sarà da leccarsi i baffi.
Eppure, con 100 milioni di euro, si potrebbero pagare per un anno 5 ingeneri 100 geometri e diciamo...2.000 operai, ipotizzando una retribuzione (lorda) pari a 50.000 euro!
Cosa potrebbe fare questa immaginaria “azienda”? Far guadagnare alla collettività dei soldi, non solo cautelarsi dai danni ambientali.

Se l’esempio della diga di Bilancino vale, allora perché non ampliarlo a realtà più modeste del bacino dell’Arno?
I guai, spesso, provengono da piccoli torrenti i quali – improvvisamente – si danno arie di grandi fiumi e raggiungono portate eccezionali: in questo, c’entra il mutamento climatico, qualsiasi causa abbia, poiché in passato sono esistite le alluvioni, ma su grandi fiumi. Qui si tratta di fenomeni quasi tropicali, con tanto di “occhio del ciclone”, ben diversi dalle ondate di precipitazioni che scendono con andamento Est-Ovest, dall’Atlantico alla Francia, all’Italia e si concludono sui Balcani.
Le precipitazioni sono bizzarre, si scaricano ora qui ora là, improvvisamente: come fare? Guadagnando soldi, chiaro.

Sapete cosa può fare, oggi, la tecnologia? Fotografate il letto di un fiume, poi “ripassate” (in elettronico) il letto del fiume o torrente e delle sue sponde, mediante uno scanner ricavate la curva e quindi inviatela ad una macchina a controllo numerico la quale taglia ferro, acciaio, cemento, plastica o quel che più vi piace. Per la parte immersa misurate la profondità in alcuni punti della sezione: stiamo parlando di piccoli fiumi, o torrenti, ed avrete una sagoma perfetta (ovvio, aggiungete la parte immersa, per la profondità che ritenete congrua).
Avrete una sezione perfetta da inserire nel punto dove attuerete lo scavo e sistemerete la piccola diga: stiamo parlando di laghetti di 30-40 metri di lunghezza e di 6-10 metri di larghezza. Non più di 5 metri di profondità: ne esiste una del 1930 (circa) nei pressi della mia abitazione che ho visionato e che oggi è in disuso.
Le sezioni potrebbero essere costruite da un’azienda specializzata che ne sfornerebbe (volendo) decine la settimana: e il trasporto?
Camion? No, bisogna fare le strade, costa troppo.
Un dirigibile?

Lo Zeppelin NT, oggi, ha un carico massimo “pagante” di 1.900 Kg (2), ma non ci sono problemi, visto che ci sono prototipi come il Pelikan (2) che sollevano 66 tonnellate!
Non ho citato la Zeppelin a caso, perché la fine del “più leggero dell’aria” fu politica, non tecnica:

La Grande depressione e la salita al potere del Partito Nazista in Germania contribuirono entrambe al tramonto dei dirigibili per il trasporto di passeggeri. In particolare, Eckener (proprietario della Zeppelin dopo la morte di Ferdinand von Zeppelin N.d. A.)  e i nazisti avevano un'antipatia intensa e reciproca. La Zeppelin venne nazionalizzata dal governo tedesco a metà degli anni '30 e chiuse pochi anni dopo a seguito del disastro del LZ 129 Hindenburg, nel quale l'ammiraglia della Zeppelin prese fuoco in fase di atterraggio. (Wikipedia)

Più facile credere che i magnati dell’industria, che favorirono l’ascesa di Hitler al potere (Krupp, Thyssen, ecc), pretesero il “pagamento” della loro opera: non dimentichiamo che la lobby dell’aeroplano – ieri come oggi – ha sempre chiesto (ed ottenuto) di mandare all’aria i progetti di dirigibile, al punto che il Pelikan è stato realizzato grazie ad uno stanziamento federale di 35 milioni di $ degli USA, che hanno fatto prevalere le motivazioni d’interesse nazionale sul volere delle lobbies.

Bene: spostando tutto il cantiere con il mezzo aereo, quanti piccoli laghi si riescono ad installare? Non lo so, ma decine l’anno senz’altro.
Ah, dove si guadagna?
Accidenti dimenticavo...proprio accanto alla diga, un bel condotto con una turbina Francis: energia elettrica a costo zero, che in capo a 5-10 anni ripaga il tutto.

Questo, per molti, sembrerà un progetto fantascientifico: tranquilli, chi ci governa lo sa benissimo che è realizzabile, per questo mi daranno del matto. Ma sono abituato, da molti anni, a queste tirate d’orecchi...da quando domandavo perché non installassero generatori eolici sullo spartiacque appenninico: i Comuni ci sono arrivati da soli, ed oggi – chi ci ha creduto – raddoppia i mulini in pochi anni.
Già...ricordo il mio editore – Angelo Quattrocchi – il quale mi rispondeva: “Carlo, tu vedi troppo oltre, troppo lontano...la gente rischia di non capirti...”. E fu un grande editore e scrittore.

Il secondo provvedimento richiede molti più soldi ed un tantino di cervello: in tasca alla classe politica i primi abbondano, il secondo nemmeno esiste.

Mi rattrista molto quando osservo campi pianeggianti abbandonati: il primo anno sono ad erbacce che seccano nell’Inverno successivo...poi, il contadino compie un ultimo sforzo, le fa arare e pianta noci, pioppi o nocciole. Un modo come un altro per dire “Qualcuno se li godrà...” già, forse qualcuno fra mezzo secolo venderà i noci ad una segheria, ne ricaverà un gruzzoletto e si farà una vacanza, alle Canarie od in Madagascar.
Eppure, sono stato testimone – bambino – dell’abbandono dei terreni di collina/montagna : “Eh, se avessimo quei bei campi pianeggianti e diritti...con il trattore come si farebbe in fretta!”
Il trattore è arrivato, ma per un contadino che lo acquistava ce n’erano 9 che vendevano il cavallo al macellaio e chiudevano bottega: “Vado in fabbrica, niente più pensieri...”
Oggi, dove vai?

All’estero se si bravo, se sei capace a fare qualcosa...ma come fai ad imparare qualcosa se nessuno te lo insegna?
Restano i 110 lode, terminati però in 5-6 anni d’Università, non di più! Oppure i falegnami per slitte, che in Lapponia “tirano” sempre...
In qualche modo – o con la pensione dei padri, o con quattro voucher malandati lavorando più ore dell’orologio – li devi mantenere.

Gli agricoltori sono importanti per il regime delle acque, perché se sono presenti lungo i corsi dei torrenti, e poi dei fiumi, sono loro i primi “manutentori” della rete idrica. Helena Norberg-Hodge scrisse un libro dal titolo “Ispirarci al Passato per Progettare il Futuro”, dove spiegava come i contadini del Ladakh – parte indo-pakistana del Tibet – erano importanti per il regime delle acque.
In ogni villaggio, c’erano quattro tipi di ruscelli: quelli per bere, per lavare, per irrigare e, infine, per quelle che noi chiamiamo “acque nere”. In questo modo, le piene erano controllate sin dall’inizio, in montagna, ed i torrenti si riempivano più lentamente, non dando luogo a “ondate di piena” catastrofiche.
Osservate, oggi, l’Italia: come ho ricordato in altri articoli, il tasso di sostituzione degli agricoltori, in Italia, è di 8:1, ossi un giovane per 8 vecchi, mentre in Francia e Germania è di 1:1. Chi sorveglia ed agisce più sui corsi d’acqua?
Cosa ha causato il tracollo?

Due fenomeni: uno di matrice storico-culturale e l’altro d’origine economica.
Quello culturale affonda nelle nostre radici da prima dell’Unificazione: agricoltore, poi contadino, quindi campagnolo, colono, rustico, villano, bifolco...(Rusticani non sunt cives...)
Dall’Unificazione in poi – ne parla Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia – mai si è riusciti a condurre gli agricoltori ad un livello sociale più elevato (pur esistendo contadini ricchi!) perché esserlo rappresenta un marchio indelebile, un sinonimo di grettezza ed ignoranza. I nostri giovani, ne sono tuttora intrisi.
Per questa ragione osserviamo i figli degli agricoltori che studiano e diventano medici, avvocati, ecc: nessuno vuole avere quel marchio sulla pelle, non c’è dignità per chi lavora i campi, e lavorare un orto è mestiere da pensionati.

La seconda ragione è economica.
Il Fascismo fu prodigo di provvedimenti e fondi per l’agricoltura, ma anche i successivi governi democristiani non trascurarono il settore: grazie alle associazioni di categoria (Confagricoltura, ecc) e ad appositi stanziamenti per la meccanizzazione, l’allevamento, l’acquisto di terreni, ecc. si riuscì a parare il colpo della veloce industrializzazione ed a mantenere in attivo i campi.
Ma il Ministero dell’Agricoltura fu addirittura abolito (referendum) per volontà dei radical-chic , ossia gli idioti radicali italiani.
Rinacque sotto nuove spoglie ma, oggi, vale di più un Ministero per le Pari Opportunità che quello – che dovrebbe essere più importante: se non altro per la ragione che se non coltivi, o importi, o non mangi – delle Risorse Agricole e Forestali.
Il motivo, però, è ancora un altro. Osservate il grafico (3):



Rappresenta l’inflazione italiana dal 1957 al 2015. Una serie di picchi intorno agli anni 70-80, con lenta discesa: quest’anno, per la prima volta, andremo in inflazione negativa, per ora i dati mostrano un -0,19. Il che significa, con i prezzi in ribasso, che il prossimo anno con gli stessi soldi comprerò più merci. E chi spende più!
Dalla fine degli anni Sessanta agli anni Ottanta la Banca d’Italia stampava banconote con le quali pagava i lavori pubblici e sovvenzionava, fra gli altri, anche l’Agricoltura. I grossi trattori che osservate in giro, sono quasi tutti figli di quella stagione, quando te li finanziava quasi completamente il Ministero.
Ma, nel 1992, la Banca d’Italia fu – di fatto – privatizzata e sottratta alla parte politica la quale – ad onor del vero – non ottenne un gran successo in quegli anni: nel 1976, un bene che costava 100.000 lire a Gennaio, al 31 Dicembre ne costava 120.000!

Oggi siamo giunti in prossimità dello zero, che significa deflazione, ossia “congelamento” della spesa privata, posticipazione degli acquisti, la quale innesca la spirale negativa verso la recessione. E’ un momento importante della nostra Storia, al quale mai siamo giunti.
L’inflazione però, se contenuta, dovrebbe indicare il tasso di sviluppo di una società: vuol dire più denaro perché la società produce di più. Cosa indica un’inflazione negativa?
Vuol dire che un governo (qualsiasi) non può finanziare progetti di sviluppo – oggi nemmeno più la manutenzione dell’esistente – ed i soldi che circolano diminuiscono. Meno soldi, meno sviluppo, meno sviluppo e meno soldi in circolazione...insomma, un cane che si morde la coda. E’ il capitalismo, baby...su...non lagnarti troppo.

Il maltempo di questi giorni ci fa pensare che – uno stato coraggioso – farebbe girare le rotative della Zecca per fornire denaro: ci vorrebbe, però, un poco d’attenzione su cosa puntare.
Se s’investisse in agricoltura – mutui a tasso zero, finanziamenti a fondo perso, prelievo (senza intaccare la proprietà di fatto) di fondi non coltivati, ecc – la produzione agricola aumenterebbe e potrebbe fornire un “volano” per far ripartire l’economia.
Così come finanziare i progetti, congiunti, di salvaguardia del territorio e di produzione d’energia...

Già...ma la Banca d’Italia non è più tale: è solo una filiazione, un settore della BCE di Francoforte...qui è il problema europeo, che non si risolve politicamente ai vertici – poiché il ricco non cederà mai un centesimo al povero – e, dunque, dobbiamo cambiare classe politica. Altrimenti, continueremo ad affogare ogni anno nella melma dei fiumi ed a vedere i frutti del nostro lavoro portati via dall’acqua.
In fin dei conti, si tratta solo di cambiare classe politica: il referendum è il primo scalino, forza.