26 giugno 2009

Per ridere un po' (amaro)

Costituzione della Repubblica Teocratica Italiana
(pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 2 Giugno 201…)

Principi Fondamentali

Art. 1. L'Italia è una Repubblica teocratica fondata sul conflitto d’interesse. La sovranità appartiene alle Caste, che la esercitano sbattendosene allegramente delle forme e dei limiti della Costituzione.

Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo come appartenente alle Caste, ove si svolge la sua personalità, e richiede a tutti gli altri l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale nei confronti degli appartenenti alle Caste.

Art. 3. Tutti i cittadini hanno una certa dignità sociale e sono pressappoco eguali davanti alla legge, con distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica promuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, consentano il pieno sviluppo del sistema delle Caste e l'effimera partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, la quale viene regolata da appositi talk-show.

Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini, estranei alle Caste, il dovere al lavoro e tiene sotto controllo le condizioni che rendano effettivo questo dovere. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e le altrui scelte, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale delle Caste.

Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove il proliferare delle autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato la più ampia moltiplicazione amministrativa; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze delle Caste, centrali e decentrate.

Art. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche nazionali e non tollera altri idiomi sul proprio territorio.

Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, interdipendenti e conflittuali. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti di volta in volta e come più garba, non richiedono procedimento di revisione costituzionale, bensì sono regolate dai comunicati stampa.

Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, meno quelle che sono un po’ meno libere, e che non hanno diritto all’8 per mille. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno qualche diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano e con la chiesa cattolica. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base d’intese via via raggiunte con le rappresentanze vaticane.

Art. 9. La Repubblica se ne sbatte dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, che è affidato in gestione all’Associazione Cementieri.

Art. 10. L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute prima del 1939. La condizione giuridica dello straniero, nei Centri di Raccolta, e regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali già citati. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di ritrovare in Italia le medesime condizioni. Non è ammesso l'ingresso dello straniero per reati politici.

Art. 11.
L'Italia ripudia la guerra, sul proprio territorio, come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni d’aperta ed acclarata subordinazione rispetto ad altri Stati, alle limitazioni di sovranità sul proprio territorio necessarie ad un ordinamento che assicuri il predominio sulle Nazioni più deboli; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo e s’adopera attivamente per far rispettare l’ordine internazionale imposto dai grandi Paesi.

Art. 12
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. Sono fatti salvi altri vessilli, qualora le necessità contingenti delle riforme federaliste lo impongano.

Parte Prima

Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, salvo che non chiudano il vostro provider per generici reati. In alternativa, è sempre possibile scrivere alle “Lettere al Direttore” dei quotidiani.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, ma potrà essere controllata mediante appositi provvedimenti di sostegno all’editoria.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità televisiva nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che l’emittente televisiva stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica ed elettronica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, di polizia postale, di polizia militare, di polizia regionale, provinciale, municipale oppure da apposite imprese di pulizia iscritte in appositi registri.
Qualora ci sia flagranza di reato, anche le varie Ronde potranno sequestrare e provvedere con adeguati mezzi – anche coercitivi – affinché il reato non possa ripetersi.
Tutti questi soggetti devono immediatamente – se a loro garba – fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa riesce a venirlo a sapere nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Può anche non farlo.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume, salvo quelle messe regolarmente in scena dalle Caste e, in particolare, quelle che avvengono sul suolo sardo. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni per i fuori casta.

Art. 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, salvo quelli che non raggiungono specifici minimi di legge, via via emanati secondo le esigenza delle Caste, mediante comunicazione che non può essere posteriore alla data di 5 (cinque) giorni prima della consultazione elettorale.

Art. 50. Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. E’ potere delle Camere sbattersene allegramente.

Art. 51. Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge elettorale via via modificata. Appositi concorsi di bellezza e talk-show sulle reti pubbliche e private provvederanno alla funzione legislativa in tal senso.

Art. 53. Quasi tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività inversa.

Art. 54. Quasi tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Sono fatti salvi i riti dionisiaci, che non sono considerati offesa all’onore del funzionario pubblico, soprattutto se sono altri a pagare le spese per i “fruitori ultimi”.

Art. 65. La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere. Sono fatte salve, e non rientrano quindi nel computo delle Camere, quelle di sicurezza, le celle carcerarie e le camere degli alberghi a ore.

Art. 66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Il giudizio avviene, pubblicamente, per acclamazione: è proibita la hola.

Si potrebbe continuare…

23 giugno 2009

La fondina fumante

Mentre s’inizia ad udire un tintinnio di sciabole che sbraitano in coro, che anelano ad una nuova partenza per l’Oriente, ci tornano alla mente ricordi ai quali preferiremmo non accompagnarci più, poiché il loro rinverdire porta le notti a stemperare nell’alba, insonne.
Non abbiamo mai creduto ad una guerra nei confronti dell’Iran, e lo ribadiamo con forza: c’è sempre, però, la nostalgia delle sciabole riposte senza lavarne il sangue, quella dei frustini usati più per spregiare l’indigeno che per sollecitare il cammello. E, questo, ci fa paura: come ha cercato di ricordarci Gheddafi, apponendo al petto – a mo’ di medaglia – la fotografia di Omar al Mukhtar in catene italiane.

Non siamo così ingenui da credere che basti un nero dell’Illinois, assiso sullo scranno di Lincoln, per garantire quei futuri di pace ai quali i più anelano, poiché sappiamo che – nei loro antri ammantati di bandiere patriottiche e di modellini di mezzi di morte – i Samuel Huntington ed i Michael Ledeen continuano ad agitare i loro sonni della ragione, i loro scomposti aneliti di potenza. Insensibili alla misera vita che conducono oramai milioni d’americani – quel proletariato mai ammesso nella patria del liberismo – scacciano come una fastidiosa mosca l’evidenza che le grandi holding automobilistiche sono diventate soltanto dei fondi-pensione, e che la gloriosa IBM si chiama Lenovo, ed è cinese.
Se fossero solo questi poveri vecchi, queste cariatidi del tempo che fu a mestare nel torbido della diplomazia, forse potremmo dormire sonni tranquilli, e invece così non è.
Pronti a raccogliere l’eredità di Leo Strauss, ci sono giovani virgulti che anelano a seguirne le orme, senza comprendere che quel tempo è passato: per questa ragione, sono ancor più pericolosi dei loro mentori, poiché risultano mediocri epigoni, senza quel minimo di saggezza politica atta a stemperare una marcescente morale.

Abbiamo letto, con costernazione, che Benjamin Netanyahu ha espresso la sua ennesima proposta per la soluzione del problema palestinese: il riconoscimento – da parte palestinese – dello stato ebraico come “patria degli ebrei” da un lato, e la “generosa” concessione di uno stato palestinese completamente smilitarizzato dall’altra. Come a dire: la completa legalizzazione internazionale dell’ultimo stato teocratico del Pianeta e quella, parallela, dei Bantustan che ne adornano la corolla.
Ci domandiamo quale fondamenta, che non sia una sabbia mobile, possa sostenere un simile pensiero politico, se non la constatazione – evidente – che sarà il prodromo di nuovo sangue e d’altri fosforo e termite sparsi a pioggia.

Per tutte queste ragioni, ci sembra opportuno sottoporre all’attenzione dei lettori una notizia che non ha avuto l’attenzione che meritava, poiché “scomoda” e terribile. Siccome è anch’essa il frutto di due universi simbiotici – guerra e liberismo economico – non ci sembra affatto azzardato associarla a quanto sta avvenendo di questi tempi, dall’Afghanistan alla Palestina, poiché gli eventi traggono origine da cause e, se le cause primigenie sono fetori inammissibili, ciò che ne consegue deve essere negato.

Ci riferiamo al traffico d’organi destinati ai trapianti che si svolse in Albania, subito dopo la fine della guerra del Kosovo: come si potrà notare, non abbiamo ritenuto necessario agghindare con un “presunto” la nostra locuzione, poiché riteniamo di possedere – se non proprio la “pistola fumante” – almeno una “corposa” fondina fumante.
I fatti traggono origine da due paginette, appena una pennellata che Carla Del Ponte – ex giudice del Tribunale dell’Aia, oggi ambasciatrice elvetica in Argentina (fino al prossimo anno) – ha ritenuto di dover inserire nel suo libro “La caccia”, un bestseller internazionale tradotto in più lingue.
La Del Ponte tratteggia lo scenario, gli attori del traffico che si svolse non lontano dalla frontiera di Morini, presso Kukes, ai confini con il Kosovo: segnala d’avere fonti attendibili, ma non le cita. In ogni modo, il governo elvetico le ha intimato di tacere sulla vicenda.

Oggetto del traffico furono prigionieri serbi catturati durante i combattimenti, ma anche Rom ed albanesi stessi, contrari alla politica sanguinaria dell’UCK del “presidente” (e, ancora, ci chiediamo se Gheddafi possa essere appellato in quel modo!) Hasim Tachi, un prodotto di reazione ottenuto saldando il nazionalismo albanese con l’odio atavico per i serbi, più una generosa dose di denaro ed una spruzzata d’avvertimenti mafiosi. Il “chimico” che operò si tanta alchimia si chiamava Nicholas Burns, e fu l’inviato di Clinton e della Albright presso i clan albanesi dell’interno: la più importante “pedina” statunitense dell’epoca nella regione.

A questo punto, verrebbe la voglia di capire a quale gioco giochi la Del Ponte, e lanciarsi così in una ragnatela di dietrologie che si perderebbero, inevitabilmente, nelle aride pietraie dei Balcani, finendo per farci perdere il sentiero della ragione, stemperato e diluito – fino a scomparire del tutto – nelle fredde acque di qualche fiume carsico.
Le ragioni potrebbero essere molte: la più semplice, è che la Del Ponte potrebbe aver semplicemente raccontato quel che sapeva. Oppure, sapendo che altri sapevano, ha preferito “mettersi al vento” piuttosto che subire, in seguito, l’ennesimo attacco alla sua persona. Ricordiamo che il cadavere di Slobodan Milošević, all’Aia, ancora incombe.
Oppure, un semplice “pizzino”, recapitato da qualche cancelleria europea – al quale ha obbedito – per mettere qualche bastone fra le ruote alla gran voglia albanese di giungere ad una più “generosa” revisione della normativa sui visti d’ingresso nell’UE. Che, di fatto, è stata recentemente negata.
Come si potrà notare, ogni qual volta si parla di Balcani, la verità è sfuggente proprio come le acque – delle quali quella terra è ricchissima – che, però, si celano alla vista dell’uomo per chilometri, per poi ricomparire – scomposte e ricomposte da misteriosi incontri sotterranei – in luoghi apparentemente senza nesso né rapporto con quelle originate in altri monti o gole, molto lontano. Ed è questo il senso di quel che andremo a raccontare.

Sostanzialmente, la Del Ponte dice poco: racconta che, subito dopo la fine delle ostilità – nel 1999 – circa 300 persone di varie nazionalità furono inviate in una misteriosa “casa gialla”, nella quale furono dapprima espiantati loro i reni – per avviarli da subito al traffico – per poi ucciderli in un secondo momento, al fine di prelevare gli altri organi.
Anche RAINews24 s’è interessata alla vicenda, producendo un breve filmato – Il mistero della casa di Burrel [1]– il quale, però, non fornisce molte certezze. Perché?

Poiché si cerca la “pistola fumante” e, soprattutto nei Balcani, o non se ne trovano, oppure se ne trovano fin troppe: il traffico d’organi, poi, è così abilmente gestito (poiché molto redditizio per le organizzazioni criminali che lo attuano) da non lasciare tracce giudiziarie. Le quali, sono le uniche sulle quali possono poggiare delle sentenze: certamente, un maggior “vigore” nelle indagini – soprattutto dopo le ammissioni del Ministro dell’Interno Maroni, mai smentite[2] – sarebbe auspicabile.
Riflettiamo che un rene, pagato 5.000 dollari (al massimo) al cosiddetto “donatore”, può generare profitti per circa 100.000[3], in un rapporto di 1:20: crediamo bene che non si lascino facilmente “beccare”! Un corpo umano, nel mercato liberista del “tutto si vende e si compra”, è stimato – di solo valore “nominale” – per cifre intorno al mezzo milione di dollari, rimanendo molto, ma molto prudenti nelle stime. Perciò, potremmo concludere che quei 300 disgraziati si siano trasformati in un bel “gruzzolo” di 150 milioni dollari. Se è tutto vero, ovviamente.

Naturalmente, nel perfetto copione balcanico, i serbi accusano e gli albanesi smentiscono ma qualche falla, qui e là, inizia a comparire: qualche volta, anche i fiumi carsici riescono a restituire qualcosa.
La prima crepa è di poco conto, poiché non fornisce riscontri: due medici albanesi, Lutvi Dervisci, Tuna Pervorfraj e il direttore della clinica privata Medicus, dove i due lavoravano e dove avevano luogo i trapianti, sono stati arrestati nell’Autunno del 2008[4]. I due nomi dicono poco o nulla, la clinica pure: qualcuno potrà affermare che si tratta della “pistola fumante”, altri che l’ennesima “bufala” pascoli nel gran prato dell’informazione.
Anche la notizia che il vice ministro della Sanità kosovara – Ilir Recaj – è stato sospeso, pressappoco negli stessi giorni, dalle sue funzioni non è ancora una “pistola fumante”, però indica che non siamo più solo al “fumo”, qui s’inizia ad avvertire profumo d’arrosto.

Lo stesso quotidiano on-line ticinese poco sotto, però, narra qualcosa che – per chi ha pubblicato il primo libro in Italia sull’argomento[5], e che non ha mai smesso d’interessarsi al fenomeno, al punto che sta pensando ad una revisione ampliata del testo originario da mettere on-line – fa drizzare le orecchie, come un pastore tedesco che “punta” un pericolo.
Il nome riportato – la fonte primaria e il giornale bosniaco Oslobodjenje – è quello di Jusuf Erçin Somnez, destinatario di un madato di cattura internazionale, che – comprensibilmente – ai più non dirà nulla. E, invece, questo nome – se non proprio una “pistola fumante” – è una “fondina fumante”, ma di quelle ancora calde. Perché?

Poiché proprio l’anno precedente la guerra in Kosovo, il dott. Somnez (insieme al collega Shapira) fu oggetto dapprima di una ferma protesta diplomatica da parte del Ministro dell’Interno rumeno, poiché l’organizzazione messa in piedi dai due solerti discendenti d’Ippocrate si dedicava, corpo e beni, alla ricerca di “donatori” nelle povere campagne della Romania, dopo aver “rastrellato” a lungo la Moldavia. Ma la pistola non fuma ancora.
Se possiamo affermare che “fumò”, dobbiamo essere riconoscenti ad un giornalista turco – un vero giornalista, non uno scribacchino d’apparato – che risponde al nome di Mehmet Ali Onel, il quale lavorava per il programma televisivo Arena, messo in onda dalla TV pubblica turca.

Nel giugno del 1998[6], Onel si finse un poveraccio che desiderava vendere un rene e contattò Somnez: pattuì il prezzo e la data dell’espianto. Le telecamere, nascoste, registrarono corridoi con pazienti – di parecchie nazionalità – nell’attesa d’intervento: Onel riuscì anche a parlare con l’uomo che avrebbe ricevuto il suo rene, un israeliano.
Svelata la sua vera identità, Onel s’attendeva qualche reazione scomposta che, invece, non ci fu: Somnez lo ignorò completamente e telefonò subito al suo legale.
Ovviamente, una simile notizia – riportata dal corrispondente turco del nostro “Striscia la notizia” – non poteva scorrere come acqua sulla pietra: Somnez e Shapira furono cacciati dalla sanità pubblica turca.

La vicenda di Somnez raccontata nel 1998 da Onel, narrava anche – senza sapere nulla, all’epoca, della futura vicenda kosovara! – l’epilogo: Somnez riprese l’attività criminale presso una rete di cliniche private gestite da un potente uomo d’affari turco, in odore (a dir poco) di mafia, tale Azmi Ofluoglu. Teniamo a mente che siamo nel 1998.
Anni dopo, guarda a caso, la procura kosovara scopre che l’anno seguente (1999) Somnez era probabilmente in Kosovo (se hanno emesso un mandato di cattura…) oppure nella vicina Bosnia o nel Sangiaccato, tutte terre storicamente legate alla Turchia, ossia al vecchio Impero Ottomano.

A questo punto, non possiamo affermare d’aver mostrato una “pistola fumante” – d’altro canto, in questi ultimi anni ce ne hanno mostrate più d’una, e tutte fasulle – ma che, almeno, una “fondina fumante” c’è, ed è ancora calda.
Sostanzialmente – in pieno stile liberista – il buon “procacciatore d’affari” si recava nei luoghi dove sperava, ragionevolmente, che il “mercato” scendesse di prezzo per abbondanza di prodotto: se c’è una guerra, piatto ricco…
Altri hanno indicato che squadre di medici statunitensi “rastrellavano” l’Iraq dietro le truppe, ma non abbiamo indizi così lampanti come nel caso del dott. Somnez. Quella turca, signori miei, io la chiamo una prova: qualcosa in più dello scoop, e nessuno – finora – era riuscito a collegare nomi, date, luoghi ed eventi.
Qui termina il lavoro del giornalista – scusate se è poco – e dovrebbe iniziare quello del magistrato, ovvero di “qualcuno” che possa chiedere un arresto internazionale, che possa incriminare, processare, giudicare. E, invece, così non è. Perché?

Poiché il traffico d’organi è solo la più bassa e fetida espressione del capitalismo globalizzato, del “compro e vendo tutto, dove e come mi pare”, che passa sopra alle nostre vite ed ai nostri sentimenti come un bulldozer, con il solo scopo di riempire di soldi l’autocarro che segue.
Così è per il petrolio iraniano e per le vicende politiche interne a quel Paese, per quello venezuelano e per gli anatemi a Chavez, per il gas nel mare di fronte a Gaza che è costato la vita a tanti, inermi bambini palestinesi. E non finisce qui, perché Monsanto & Co. applicano le stesse strategie per i generi alimentari, l’industria farmaceutica pure: per tutto, vale solo più la legge di “quanto vali”. L’estrema frontiera, sono i nostri corpi: quando saremo venduti a peso? Fanfaluche?
E allora perché, recentemente, Singapore ha liberalizzato sul suo territorio[7] (1 solo voto contrario al Parlamento!) la compravendita di organi per i trapianti? Perché la Cina ha specifici regolamenti per le esecuzioni, onde preservare la “merce”?

Quando Alberto Sordi, nel 1963, girò “Il Boom” per la regia di Vittorio de Sica, vidi il film nello splendore del vecchio bianco e nero di mamma TV: mi sembrò un film ridicolo…uno che giunge a vendersi un occhio per pagare i debiti…
Chiedetelo oggi ai contadini moldavi, rumeni ed ai prigionieri di guerra dell’UCK. Poi, tornate a guardare il film: vi sembrerà una fiaba perversa, oppure un profetico graffio nel tempo. In una caligine amara: il nostro tempo.

Copyright 2009 © Riproduzione vietata, salvo assenso scritto dell'autore da richiedere a info@carlobertani.it

[1]Fonte:http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/inchieste/01052008_traffico_organi/video/traffico_organi_1.wmv (è possibile salvarlo).
[2] Vedi: “Organi allo Sbando”, di Carlo Bertani http://carlobertani.blogspot.com/2009/01/organi-allo-sbando.html
[3] Testimonianza del dott. Michael Friedlaender, primario di nefrologia all'Hadassah University Hospital di Gerusalemme. Fonte: Marina Jimenéz, National Canadian Post, 2004.
[4] Fonte: Politika, quotidiano serbo, riportato da Ticino Libero, http://www.ticinolibero.ch/traffico-dorgani-in-kosovo-cadono-le-prime-teste/426/15/11/2008/
[5] Carlo Bertani – Ladri di Organi – Malatempora – Roma – 2005.
[6] Fonte: Marina Jimenéz, op. cit.
[7] Fonte: Adnkronos, http://www.adnkronos.com/IGN/Esteri/?id=3.0.3144530127

18 giugno 2009

A quando la camicia di forza?


Devo confessare che, quando me lo sono trovato di fronte, sulla soglia, ho trasalito. Non m’aspettavo certo di vederlo comparire, dalle nebbie dei lontani anni ’70, sulla mia porta. Eppure è proprio lui: i capelli alla “Jimi Hendrix” sono diventati una zazzera grigiastra, gli occhi sono cerchiati e le rughe scorrazzano sul viso ma, nel profondo degli occhi, il lampo è il medesimo.
Avevo saputo, da amici comuni, che era partito per il Sudamerica prima del 1980: lo immaginavo oramai nonno nella sua fazenda sul Rio Negro e invece no, era diventato un cercatore di smeraldi sul Rio Urubamba. Si sa, leggere “I fiumi scendevano a Oriente” in gioventù, può fare brutti scherzi.
Nemmeno poi tanto brutti, però, a giudicare dalla fiammante AUDI posteggiata sotto casa.
I convenevoli durano appena un paio di birre, quel tanto che basta per raccontare il lungo viaggio da Manaus fino alla mia porta. Poi, l’elenco di chi se n’è andato: oramai solo per età, non perché “già dottore”, per dirla alla Guccini.
Qualche curiosità da raccontare e, quando si passa alla bottiglia di Calvados, gli occhi cadono sul giornale, quello che ho lasciato abbandonato sul divano.

Non è così ingenuo da non sapere che il nostro mondo – quel mondo che immaginava l’Italia un Paese che poteva evolvere verso destini più gradevoli e libertari – non esiste più, e che l’Italia è diventata per metà Berlusconia e per l’altra metà checazzonesò.
Sulla prima pagina, campeggia l’immagine – appena ritoccata dalla modernità – di un milite delle SA in divisa kaki, con sul berretto nero l’Aquila Imperiale e, sulle spalline, lo Schwarze Sonne, il Sole Nero che compone il mosaico, nella “Sala dei Generali”, del pavimento nel castello di Wewelsburg, il famoso “ritrovo” mistico delle SS. Un “nipotino” di Horst Vessel sulla prima pagina di un quotidiano italiano?
La foto lo stupisce: anche in Brasile è giunta l’eco delle “veline” e delle mascalzonate di Berlusconi, ma che mettessimo per strada gente del genere questo no, proprio non se l’aspettava.
Nemmeno io attendevo roba del genere, ma non c’è mai fine al peggio: il discorso scade nei luoghi comuni, fin quando non scende e riparte per Milano.
Appena salito in casa, però, mi casca nuovamente l’occhio sulla foto e mi chiedo se sia proprio così scontato che, fra le varie “Ronde” che si vanno costituendo, qualcuno ne abbia immaginata una d’ispirazione – almeno iconica – nazista. Ha senso? Deve essere proprio un tizio che non vedevo da una vita, che giunge dall’Amazzonia, a farmelo notare?

Ovviamente, tutti prendono le distanze dall’evento e, il Sottosegretario Mantovano (ex AN, ex magistrato), assicura che le ronde non potranno essere l’espressione di forze politiche. Gli risponde, a stretto giro di posta, il Ministro dell’Interno da Pontida: Maroni, assicura che alle “Camicie Verdi” non rinunceranno per nessuna ragione. E, quelle, sono di nome e di fatto la “milizia” della Lega Nord.
Così, avremo per le strade Camicie Verdi e Camicie Nere: le “Camicie Rosse” – anche senza divisa – non si faranno attendere. Potremo così assistere a “ronde” nere e verdi che daranno la caccia a presunti tagliaborse, mentre le ronde rosse, a loro volta, cacceranno camicie verdi e nere. Roba da matti. O no?

Volto la pagina e compare il volto affilato di “Baffino”: D’Alema ci rende edotti sui pericoli di una “scossa”, un “tracollo” o roba del genere. Messaggio in codice: compagni! Tenetevi pronti! Peccato che, i “compagni”, siano soltanto più “compagni di merende” nelle lobby affaristiche.
“Baffino”, però, è il più furbo della nidiata, inutile raccontare frottole: se manda un simile avvertimento in codice, qualcosa deve aver fiutato. Forse un messaggio cifrato, una pergamena dentro ad una bottiglia che è andata ad adagiarsi proprio al mascone del suo incrociatore a vela, quello che – guarda a caso – s’è comprato dopo la guerra del Kosovo? Lui dice che ha fatto un leasing: due miliardi di lire per fare un leasing, ovviamente, li abbiamo tutti. Come no.
Più probabilmente, quel messaggio gli è giunto dai contatti che aveva pazientemente intessuto – quando era Presidente del Consiglio – nella city londinese, nei “templi” dell’alta finanza.

Cosa pensano, nelle lobby finanziarie internazionali di Silvio Berlusconi, ce lo fanno sapere addirittura dalle colonne del “Times”, mica dai tabloid del sabato, quelli che ancora cercano qualche “pilu” di Diana.
Considerano fallito “l’esperimento Berlusconi”, poiché incapace d’essere un vero liberista con le zanne – sempre che simili aggeggi nel Belpaese possano campare a lungo poiché, un Paese che ha il 30% dell’economia sommersa, quale “liberismo” può perseguire? – e “Papi” non è solo impelagato con le sue storie di veline, processi, gite sugli aerei di Stato, festini dionisiaci e quant’altro.
L’uomo di Arcore poggia su una maggioranza numericamente consistente, ma politicamente troppo eterogenea e non bastano più “veline” e minacce per tenere a bada chi sta scomparendo nel nulla (la ex Alleanza Nazionale). Anche chi naviga a gonfie vele (Lega Nord) scalpita, ed aggiunge ogni giorno un tassello alla strategia “bonapartista” che persegue una “secessione lenta”, costruita giorno dopo giorno con qualche legge e tanti messaggi nell’etere, “pizzini” che il Nord, sempre più povero e deindustrializzato, accetta come la manna. Se, poi, il pudding viene da una formazione politica dichiaratamente antieuropeista, chi se ne frega.

Nonostante i numeri parlamentari, D’Alema ha ragione nel definire il governo Berlusconi un malato terminale, poiché i record negativi che va inanellando sul fronte economico sono da brivido: PIL a -5,3%, debito/PIL salito al 115%, disoccupazione al 10%, consumi a -2,4%[1]. Cifre da stramazzare un toro, soprattutto se non si ha una strategia per uscire dall’impasse che – precisiamo – non si riferisce ai frutti della crisi internazionale (che ha colpito meno l’Italia d’altri Paesi, per la ricchezza ancora detenuta dalle famiglie italiane), bensì trae origine dall’incapacità strutturale italiana di ritagliarsi un futuro nell’economia internazionale.
Perdiamo settori di mercato, ma non sappiamo crearne di nuovi né valorizzare l’esistente: e, nonostante i malaugurati “sogni ad occhi aperti” destri/sinistri, nessuna riforma del mercato del lavoro o previdenziale riuscirà a scalfire il pessimo andazzo. Ci vorrebbero ben altri “colpi di reni”, e non certo quelli che progettano nella city.

Volto ancora una pagina e ci sono le dichiarazioni di Gaetano Saya, il “creatore” della futura Guardia Nazionale Italiana. Afferma che sono già duemila i “militi” pronti ad entrare in servizio – moltissimi ex militari – al comando di un ex ufficiale dell’Esercito.
E chi paga?

A suo dire, l’MSI-Destra Nazionale, ovvero il partitucolo che è rimasto dopo la “svolta” di Fiuggi. Un partito che non ha rappresentanza parlamentare né in Italia e né in Europa, e che non ha certo soldi da buttare.
Eh sì, perché “armare” – nel senso marinaresco del termine – duemila persone per mandarle in giro per le strade italiane non è proprio una cosa da nulla. Automobili, radio, telefoni…e poi…saranno proprio tutti “volontari”?
Gaetano Saya è uno di quegli strani tizi che non si sa bene come campano: ovvero, si sa, ma solo se consideriamo che di tipi del genere – diciamo “a mezzo servizio” con gli apparati di polizia e con i servizi segreti – in circolazione ce ne sono parecchi. E non sono proprio degli idealisti, bensì gente che è molto attenta alla pecunia: un bel ritratto del nostro “rondarolo” – compresi i suoi “trascorsi” d’organizzatore di viaggi in Iraq per i contractors (dove Fabrizio Quattrocchi ci lasciò la pelle) – lo hanno tratteggiato su Global Projet, consigliata la lettura[2].

Questo Saya, probabile massone, sembra uno che – per tutta la vita – non ha fatto altro che buttarsi a pesce dove c’era da far soldi organizzando qualcosa di losco, oppure pronto a far da zerbino ai potenti delle lobby militari e finanziarie. Che, questa volta, si sia ricreduto ed abbia deciso di “donarsi alla Patria”? Difficile crederlo.
Ma, anche immaginando che abbia ricevuto il “salarium” del legionario, è difficile ipotizzare che quei soldi siano giunti dall’area del governo: a ben vedere, un tizio come Saya – per Berlusconi & soci – è più una tegola sulla testa che altro. Lui e le sue divise paramilitari, da SA a Camicia Nera in poltrona – dalle foto a Youtube[3] – finiscono per aggiungere altra benzina al fuoco, nell’incendio di un regime da operetta. Noemi, i voli di Stato, Apicella e la sua chitarra, adesso la Patrizia pugliese che afferma d’essere stata “convogliata” a Palazzo Grazioli per il solito rito dionisiaco: ci manca solo un tizio come Saya che – nella sua intervista su Youtube – adula Berlusconi fino al delirio, e la frittata è fatta.
Già, ma chi sta mescolando la frittata?

Volto nuovamente la pagina del giornale – questa volta indietro – e ricompare la smorfia sibillina di “Baffino”: “scosse”, lui le definisce, e tutti corrono a credere che D’Alema sapesse qualcosa sulla belloccia pugliese. Dopo tutto il can can di Noemi e di Veronica Lario, che “Baffino” si scomodi per così poco?
In fin dei conti, quando Berlusconi evoca misteriosi intrighi contro di lui ed il suo governo – sempre citato come “volontà degli elettori” – finisce per fare la figura del fesso. Ma come, dopo che ci hai insegnato come si fa a diventare presidente del Consiglio – da Presidente del Milan a Fininvest, da Mediaset a palazzo Chigi, con un percorso che della democrazia ha solo la sopraveste – ti meravigli se qualcuno usa i tuoi stessi mezzi (od equivalenti) per farti la festa?
Dai, non fare l’ingenuo: quella della democrazia parlamentare come rito assoluto valla a raccontare alle Elementari. Ma alle Elementari di qualche paesello sperduto, altrimenti manco quelli ci cascano.

Perché qualcuno si sta scomodando, al fine di mandare a quel paese Berlusconi? Non certo per fare un piacere alla Binetti, a D’Alema o a Di Pietro: i grandi film non si progettano partendo dalle comparse.
Avevamo avvertito per tempo che c’era qualcuno, che aveva lasciato ombrello e bombetta a Londra, pronto ad insediarsi nel Belpaese: per salvarlo, ovviamente.
Ci riferiamo a Mario Draghi[4], del quale avevamo indagato le trame – neppure poi così nascoste – già nel lontanissimo Ottobre del 2007, quando regnava un altro governo e Bush ancora mangiava noccioline nello Studio Ovale. In tempi, veramente, “non sospetti”.
Che l’uomo sia legato a filo doppio alla finanza anglo-americana è un segreto di Pulcinella: chi fa il “relatore” sul Britannia, per illustrare come appropriarsi dell’industria pubblica italiana, non lavora certo per le Dame di San Vincenzo.
Nella sua recente relazione[5], Draghi ha riportato le pessime cifre dell’economia italiana, al punto d’irritare molto Silvio Berlusconi: quella relazione, è quasi un j’accuse.

Il problema è che Berlusconi, già nella legislatura 2001-2006, si dedicò più alla difesa del proprio elettorato – quella fascia di borghesia che ancora possiede ricchezza, all’incirca 1/3 degli italiani, senza considerare il “sommerso”[6] – ma al prezzo di un generale impoverimento del Paese. Ne è un lampante esempio la riduzione delle aliquote fiscali per i redditi medio alti, che ha spostato ricchezza dal “circolante” alla finanza, con pesanti ripercussioni sui consumi interni e, dunque, sulla produzione industriale.
Mario Draghi non è certo un filantropo: come già spiegavamo ne “Le preoccupazioni del Drago”[7], l’assillo dei banchieri è principalmente quello di poter “tosare” regolarmente e con profitto le pecore, ossia la popolazione. Se il sistema va in crisi – ovvero vengono introdotti elementi che lo rendono troppo squilibrato, al punto da mettere “in forse” le future “tose” – paradossalmente, i banchieri s’adoperano per riportare la situazione in equilibrio, ossia “tosare” di più dove c’è abbondanza di lana.
Non ci sarebbe da stupire se Draghi proponesse una maggior differenziazione del prelievo fiscale, per “captare” anche la quota di ricchezza che, approssimativamente, quel terzo d’italiani ancora detiene. Per “tosare” meglio – ossia far rientrare ricchezza da Wall Street a Main Street – è necessario lavorare di più: per questa ragione sono richieste “serie e vigorose riforme” del lavoro e della previdenza. Così, per par condicio, si tosano tutti ed i banchieri contano sempre più balle di lana.
E, qui – in modo assolutamente acritico – incontriamo sulla stessa barricata tanti pappagallini ripetenti, da Casini a Di Pietro, i quali non aspettano altro che il “collasso” per mettersi a servire il Drago.
Quali scelte ha ancora, oggi, Silvio Berlusconi?
A giudicare dal tono del colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca, poche. Osservando la mimica facciale del Presidente americano[8] non si notano particolari segni d’empatia: in genere, nei minuti concessi alle telecamere durante questi incontri, i partecipanti si sforzano almeno d’apparire cordiali.
Invece, Barack Obama sembra recitare una requisitoria, mentre Silvio Berlusconi ha più la faccia di uno che ascolta una condanna che quella di un capo di Stato durante un colloquio. Eppure, Obama ha dimostrato in molte occasioni d’essere una persona che sa trovare “canali empatici” di comunicazione.
Anche quel buffetto finale sulla spalla, ha più l’apparenza di un “togliti dai piedi” che quella di un “vai avanti così”. Non c’è, in tutto il colloquio, un solo sorriso: anche le strette di mano sono ammantate da una evidente freddezza.

Non si tratta quindi, come afferma Berlusconi, di un “complotto” contro di lui: questa è politica, baby. Poi, qualcuno preferirà scomodare gli “Illuminati” oppure i think tank di Harvard, ma la sostanza non muta: il giudizio dei potentati internazionali su Silvio Berlusconi, è un evidente pollice verso. Dal Times a Draghi, da Obama alla Merkel.

La “manifestazione” evidente del disagio si sostanzia nelle strane “ronde fasciste” – cosa che, a Londra, serve molto per impressionare la popolazione – e nello stillicidio, oramai quotidiano, di “gole profonde” e di bardi che cantano la medesima canzone: sei inadeguato, lascia.

A questo punto, ad occhio e croce da qui alla fine del 2009, a Berlusconi verranno probabilmente recapitati dei “pizzini”: te ne vai da solo, oppure…
All’uomo di Arcore rimarranno due scelte:

1) Salvare il salvabile, ossia giungere ad un accordo per salvare il suo impero mediatico (ovviamente, “devitalizzato” da personaggi “ingombranti”) per dedicarsi ad un’altra, spinosa questione: il futuro di Mediaset. Mentre “Papi” immagina una divisione 50/50 fra i due figli nati dalla prima moglie, ed i tre avuti dalla Lario, Veronica Lario chiederà una suddivisione paritaria, 20-20-20-20-20 ai cinque figli. Non sfuggirà al lettore che la richiesta dell’attuale moglie, in procinto di divorziare, consegnerebbe la maggioranza della holding nelle mani dei suoi figli. E se Noemi fosse un’altra figlia? Dio, che casino.

2) Non mollare, combattere lo strapotere degli Angli fino alla “ridotta della Valtellina”. Difficile ipotizzare, in questo frangente, cosa potrebbe accadere ma – la Storia insegna – le “ridotte della Valtellina” non sembrano portare bene: si rischia di ritrovarsi soli, con una mano davanti e l’altra dietro, per coprire alla meglio le proprie nudità.

Silvio Berlusconi è uomo d’affari scaltro, e siamo certi che capirà e non si getterà in avventure sconsiderate: porta la camicia nera ed acconsente a qualche saluto romano per compiacere i “bimbi sperduti” della ex Alleanza Nazionale, ma non è certo un Mussolini. Altri tempi ed altra storia.

Chi “servirà il Drago”?
Qui, non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Casini a Di Pietro, più un buon numero di “transfughi”, “comprenderanno” la necessità di “mettersi al servizio della Patria” per salvarla dagli scogli incombenti. Un “governo tecnico” d’antica memoria: chissà se Capezzone farà il portavoce anche per Draghi? Lo ha fatto per tutti: è un “portavoce on demand”.

E per noi, cosa riserverà il futuro?
Niente di nuovo, perché – a comandare – saranno soltanto spezzoni differenti del capitalismo internazionale, che si riuniranno in quella che Marx già definì la “sostanziale unitarietà delle borghesie”.
Potremo aspettarci anche qualche elemosina, quel tanto che basta per consentirci di fare la spesa al supermercato ma – già immagino – “Baffino” e Damiano che chiedono “sacrifici” per rimettere a posto i “disastri” lasciati da Berlusconi.

Le vie per uscire veramente da questa crisi sarebbero altre e bisognerebbe iniziare su due fronti: sfoltire – ma di brutto – la pletora d’inconcludenti politici che occupano le amministrazioni, eliminando parecchi livelli decisionali. In fin dei conti, cinque livelli decisionali – Stato, Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane – servono solo a riempire le greppie di quelli che vi siedono.
In seconda battuta, ci sono decine di miliardi d’esborso petrolifero che potrebbero diventare ricchezza per gli italiani, se solo qualcuno iniziasse a captare i miliardi di Watt che ruotano intorno a noi, dall’eolico al solare, dalle biomasse all’idroelettrico.

Ma, questa, sarebbe un’altra storia e – oggi – non siamo in grado d’organizzarci per chiedere un serio cambiamento: ci hanno rubato anche le sedie, altro che riuscire ad infastidirli.

Chissà se, al “Corriere di Manaus”, hanno bisogno di un giornalista per la cronaca? L’amico m’ha lasciato il numero di cellulare…magari chiamo…

12 giugno 2009

Ricordando un amico


Angelo Quattrocchi ci ha lasciati Sabato scorso, nei primi, tiepidi giorni di Giugno di una Roma affastellata d’impegni e d’intrighi. Business is usual, direbbe lui.
Figura a metà fra l’underground degli anni ’70 e la nomenklatura di sinistra di quegli anni, finì – con grande dignità – per lavorare e credere solo più nella Malatempora, la piccola e combattiva casa editrice che costruì praticamente dal nulla, con i pochi che ci credevano.
Non era facile andare d’accordo con Angelo – al punto che non ci parlavamo più da anni – però c’era una scusante: era un genio della letteratura (leggete il suo bellissimo Elizabeth Bathory), ed un editore che si ritrovava ad agire in una realtà troppo stretta per le sue visioni. Oniriche, a volte, pragmatiche altre, ma di un pragmatismo senza rete né confini. Così, si ritrovava ogni volta a combattere contro i mulini a vento della carta stampata, della distribuzione, della pubblicità, nei progetti accarezzati e poi svaniti in un soffio.
Con Angelo, l’Italia ha perso ancora una volta un’occasione: quella di riconoscere il genio di uno dei suoi figli, accontentandosi di sdraiarsi sguaiatamente nella mediocrità. Oramai, ci siamo abituati.

09 giugno 2009

La ricreazione è finita

"Noi siamo tanti, siam qua, già la chiamiamo papà
di quei papà che non si conoscono.
"
Roberto Vecchioni, Signor giudice, dall’album Robinson, come salvarsi la vita, 1979.

Gentile signora Marcegaglia,
anzitutto ci scusiamo, per non averla nominata amministratrice, dottoressa, avvocatessa, presidentessa o madre badessa: ancora riteniamo che l’appellativo “signora”, quando viene riferito ad una donna, contenga già in sé rispetto ed ammirazione. Dovrebbe essere la stessa cosa anche per gli uomini ma i maschietti – mi creda – sono degli inguaribili narcisi: forse per mascherare il timore d’essere “minus” in luoghi assai misteriosi, allungano a discrezione il cognome, aggiungendo titoli su titoli.
Ci scusiamo anche per l’incipit, che è riferito all’universo maschile, ma confidiamo nella sua intelligenza che saprà sostituire “papà” con “mammà”.
Ma veniamo a noi.

Ci siamo decisi a scriverle perché crediamo che lei soffra un poco di solitudine, almeno così ci pare dalle sue ultime dichiarazioni.
“La ricreazione è finita” è stato il suo appello alle forze politiche.
Ci rendiamo conto dell’importanza della classe politica, però riteniamo che – prima di rivolgersi alle “stelle” – sarebbe meglio fare una capatine nelle “stalle”, per sincerarsi delle condizioni di cavalli e muli. Questa era, almeno un tempo, l’abitudine della vecchia imprenditoria, più attenta alle condizioni generali del Paese piuttosto che a quelle dell’Olimpo che dovrebbe governarlo.
Se il tempo le è stretto, provi almeno ad avvicinarsi alla finestra, lassù, all’ennesimo piano del grattacielo nel quale certamente si trova il suo ufficio. Provi, se non soffre di vertigini, a guardare in basso, in strada. Cosa vede?

Minuscole formiche che passeggiano, arrancano, s’affrettano, sostano…
Siamo noi, i destinatari di tanto clamore: le minuscole formichine che s’adoperano, ogni giorno, per far funzionare le cose. Come possono, come ci riescono, come sanno fare.
Provi ad immaginare quale eco hanno riscosso le sue parole quaggiù, nel formicaio: “La ricreazione è finita”. Tutti si sono chiesti: “Ma era iniziata?”
Le nostre condizioni di formiche-operaie sono presto dette: riesce ad immaginare come si vive con una pensione minima di 512 euro il mese? Sono milioni di vecchietti e vecchiette – gente che ha attraversato la guerra e la fame – che si ritrovano a vagare nei mercati rionali, intorno all’ora di chiusura, per spuntare il miglior prezzo di pomodori e insalata. Il passo seguente porta dritto dritto a rovistare nel cassonetto, altro che le “social-card”.
Noi, saccenti del III Millennio, consegniamo alla miseria proprio le persone che ricostruirono porti e ferrovie, strade e case distrutte dalla guerra. Perché hanno solo pensioni minime?

Glielo spiego in due parole: perché, all’epoca, il lavoro nero era prevalente, poiché tanti furono fregati da imprenditori che non pagavano loro i contributi, oppure furono vittime di fallimenti che fecero loro perdere le liquidazioni e le “marchette” per la pensione.
Se ancora non bastava – per quelli che avevano conservato qualche risparmio – ci hanno pensato alcuni banditi in doppiopetto – mi spiace doverglielo ricordare, ma fanno proprio parte della categoria degli imprenditori – che rispondono ai nomi di Tanzi e di Cragnotti (per citare solo i più noti). Questi signori, pur di rapinare loro quei soldi, hanno fatto di tutto, ma proprio di tutto: fino a falsificare certificati di credito di banche americane con uno scanner. Sappiamo che la giustizia sarà inflessibile con questi signori (!), ma il danno per quei poveracci c’è oggi, mica quando la giustizia (!) intimerà loro di restituire il maltolto (!).
Nell’attesa della Giustizia (maiuscolo), cerca nel cassonetto.

Prima di questi veri e propri banditi, altri avevano pensato a ridurre a zero l’elettronica (De Benedetti, Olivetti) e la chimica (Gardini, Enimont), mentre altri ingoiavano il patrimonio statale (cioè di noi tutti) come Telecom e la Società Autostrade. Tutte aziende che potevano rendere bene, acquistate per un pezzo di pane: perché non avete acquistato anche le Ferrovie? Ah già…quelle devono mantenere un minimo d’utilità sociale, e non rendono abbastanza…
Mentre sovvenzionavamo FIAT, al punto che oggi ne potremmo avere almeno una decina – tutte pubbliche – voi cercavate con ogni mezzo di privatizzare l’azienda italiana che, da anni, inanella successi dopo successi, tecnologici ed economici. Vorreste prendere anche Italcantieri, farne un bello “spezzatino” e dividervelo fra i soliti noti – lo abbiamo imparato – e sappiamo anche che, prima o poi, ci riuscirete.
Già che ci sta osservando dalla finestra, provi ad immaginare d’incrociare i nostri sguardi qui, in basso: questo, è ciò che pensano gli italiani della loro classe imprenditoriale. Praticamente, gente che guarda allo Stato come un bene privato da spolpare, ed alle formichine che lavorano come a rinnovelli schiavi. Se lei prova disgusto per noi, mi creda, il sentimento è reciproco.

Siccome non ci ritiene interlocutori attendibili, lei si rivolge alla classe politica, in primis al Governo, ritenendolo espressione coerente del Paese. Ci faccia il piacere.
Anzitutto, vediamo di fare chiarezza sui risultati elettorali.
Secondo i dati[1], ha votato il 66,5% degli italiani, vale a dire i due terzi.
Va per la maggiore che i partiti, prendiamo il PdL, abbiano conquistato le percentuali comunicate fra tutti gli italiani, ovvero 35 italiani su 100 abbiano votato per Berlusconi. In realtà, ha votato per Berlusconi solo il 35% del 66%, vale a dire pressappoco 23 italiani su 100.
Questi, sono i risultati “corretti” tenendo conto dei voti reali, ogni 100 abitanti[2]:

PdL: 24 su 100.
PD: 17 su 100.
Lega Nord: 7 su 100
IDV: 5 su 100
UDC: 4 su 100.

57 italiani su 100 sono – in qualche modo, tutto poi da verificare – rappresentati. Fine. In particolare, sono soltanto 30 italiani su 100, circa, che determinano i destini del Paese e, come avevo già indicato nei miei precedenti articoli[3], sono la parte più ricca e benestante del Paese.
E gli altri 43?
Per effetto della legge elettorale, 9 italiani circa su 100 non avranno diritto d’essere rappresentati, mentre gli altri 34 sono quelli che non hanno partecipato al voto. Praticamente, un partito di maggioranza relativa.
Quando, in un Paese, 43 abitanti su 100 non hanno rappresentanza democratica, la democrazia è praticamente defunta. E’ solo più oligarchia.

Qualcuno, più “furbetto”, affermerà che le elezioni europee sono poco sentite…che l’astensione è stata alta in tutta Europa…
Rifletta che le elezioni amministrative sono quelle che registrano, in genere, i più alti dati d’affluenza, e che questa tornata non ha certo brillato per assiduità al voto.
Il quadro che si ricava è quello di un Paese stanco, nel quale il 100% della rappresentanza politica sposa totalmente l’assioma imperante, quello della globalizzazione über alles, della salvaguardia, in primis, del sistema bancario, costi quel che costi, sangue e lacrime compresi per i paria. Ossia per noi, le formichine giù in basso.
Il 90% della rappresentanza parlamentare è favorevole al nucleare (non abbiamo registrato, da parte del PD, prese di posizione in senso chiaramente antinucleare), mentre fra la popolazione il rapporto s’inverte[4], 47 a 38, ma dei 38 favorevoli solo 30 sarebbero disposti ad accettare una centrale sul loro territorio. I soliti 30.

Se il paese reale non coincide più con quello politico, questa “fine della ricreazione”, a chi era diretta?
Era diretta ad un governo che è espressione di 30 italiani su 100, che ha costruito una legge elettorale a sua misura per rendersi invincibile, che ha messo il tappo alla Magistratura con il Lodo Alfano, che da quindici anni non rispetta gli standard minimi di confronto democratico nell’informazione. Non è certamente Fascismo, ma qualcosa che inizia ad assomigliargli senza avere, per contrappeso, la parte “sociale” del Fascismo.
Il fatto che in un Paese europeo – non nel Bingo Bongo – il Presidente del Consiglio controlli praticamente tutto l’etere televisivo non è un’anomalia: all’estero, la raccontano come una barzelletta.
E lei, persona che dovrebbe rappresentare il fervore dell’imprenditoria…si rivolge a questi? Ma cosa s’aspetta?
Lo sappiamo, perché lo ha specificato.

A dire il vero, era stata preceduta di qualche giorno – accidenti, le ha soffiato la primogenitura… – da Mario Draghi, che aveva praticamente cantato la stessa canzone: perché, al prossimo Festival di Sanremo, non ci fate ascoltare un bel duetto?
La “cantata” è parsa scorrere senza suscitare onde anomale, ma soltanto perché è la medesima da vent’anni.
Gli assiomi sono due, e sono sempre gli stessi: lavoro e previdenza.
Tradotto per le formichine, significa che – passata la buriana elettorale – bisognerà rimettere mano ai conti e, siccome quei 30 ricchi che comandano non vorranno scucire manco un centesimo (sono loro a reggere il governo!), bisognerà farla pagare agli altri, soprattutto alle formichine.
Se il lavoro non è ancora abbastanza “flessibile”, bisognerà meditare d’infilare ai giovani una molla nel deretano, cosicché siano pronti a piegarsi all’istante, on-demand.
Siccome pagare dei contributi almeno decenti per questi ragazzi costerebbe troppo alle di lei casse, vi siete inventati un sistema di previdenza che mantiene al lavoro i vecchietti (oh, ogni tanto qualcuno crepa pure!) e per i giovani, per i giovani…beh, ci penseremo quando saranno vecchi! I cassonetti della verdura marcia esisteranno sempre.

Quello che non vi rendete conto è che questo sistema, prima o dopo, non travolgerà soltanto le formichine – che oggi sono quelle che più pagano le vostre sciagure – ma, piano piano, inizierà ad erodere anche i vostri grattacieli, iniziando dai piani bassi, per poi…

Nessuno di voi si rende conto, mentre blatera come dei mantra senza senso le stupide ricette della globalizzazione e del “mercato”, che quel “mercato” regge fin quando le formichine hanno qualcosa da comprare: i segnali, a ben vedere, ci sono già oggi, ben visibili. Produzione industriale a picco, conti statali allo sfascio, occupazione sotto terra, stato sociale vaporizzato: eppure, continuate sulla strada che ci ha condotti a questo disastro. Ogni tanto, come “ricreazione”, ci presentate pure il giochetto elettorale, un po’ di suspense e di adrenalina per sapere se chi doveva vincere ha vinto abbastanza, e se chi doveva perdere ha perso meno del previsto. Sinceramente, troviamo più avvincente il campionato di calcio, seppur truccato.

Se, invece, volessimo esser seri, dovremmo allontanarci un poco da questo bailamme di frivolezze da Bagaglino della classe politica e da quello di cose “serissime”, dense come palloncini d’aria, che ci raccontate, in coro, da Confindustria a Bankitalia.
La Storia racconta invece che, quando una nazione sta correndo pericolosamente giù per la china, verso il disastro, e non s’avvede in tempo ch’è ora di cambiare mantra e di provare altre strade, le prime a saltare sono proprio le regole del gioco. Rifletta: così è sempre stato, almeno dalla caduta di Roma in poi.

E, se saltano le regole del gioco, i primi a saltare sono i grandi burattinai che reggono i fili – politici, banchieri ed imprenditori – perché, non dimentichi, che anche le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano.

02 giugno 2009

Un Paese per finta

E così, andremo a votare.
Usciremo di casa con la tessera elettorale come un tempo con la tessera annonaria: qualcuno convinto, tanti senza un perché. Pochi ci credono, tanti ci contano. E ci conteranno fino ai centesimi di percentuale: sospirando, gioendo, fregandosi le mani per l’ennesimo risultato raggiunto.
Domani sarà un altro giorno e nuovi visi, adombrati di vecchie abitudini, entreranno in sale che sanno di fumo e di cera per sedersi, finalmente, negli agognati posti dove qualcuno dirà loro cosa decidere.
Gli altri, andranno al mare. Ma non c’è mare.

C’è coda, tanta coda, un’interminabile coda che inizia già dai passi appenninici e poi giù per la discesa: “Genova-Voltri 10 Km”, ma sono 10 Km interminabili, a passo d’uomo. Fermi. Fa caldo. I bambini chiedono dov’è il mare, perché non arriva, e giocano sui sedili dell’auto con secchiello e paletta. Finalmente: il mare.
Non è più mattina e già il sole volge ad Occidente, ma non importa: c’è il mare. Ma una bottiglia d’acqua costa quanto un’ora di lavoro, mangiare un po’ di pesce il salario di una giornata e non ci sono posteggi: devi lasciare l’auto sui primi contrafforti della collina e poi rifarti a piedi, all’indietro, la medesima strada. I bambini, intanto, frignano e chiedono dov’è il mare e perché non abbiamo portato anche il salvagente, quello grosso a forma di delfino.
Quelli che vanno al mare incrociano quelli che vanno a votare, ma tutti hanno stampato sul viso l’identico punto interrogativo: perché sono qui? Perché devo andare là?

Così, il dubbio si diffonde come il Festival di Sanremo e valica monti e vallate, mari e città: ma non c’è riva alla quale approdare, né mare per salpare.
C’è solo un grande Stivale colmo di gente che s’incrocia, in una terra dove non c’è più lavoro ma il succedaneo del lavoro, dove la cultura la fa solo più l’avanspettacolo, l’istruzione la fanno i passacarte, la spiritualità gli attori, la politica le comparse.
Costruiamo tante case per gente che non c’è, importiamo tanto petrolio per bruciarlo nelle code in autostrada, fingiamo una campagna elettorale per idee che mancano: c’inginocchiamo, preghiamo, c’arrabbiamo, difendiamo, imponiamo, raccontiamo. Ma che cosa?
Il velario delle veline copre l’insulsaggine del nulla. Chi governa non sa come governare e chi s’oppone non sa più a cosa opporsi, ma se tornasse a governare proporrebbe le medesime cose in salsa tartara, cosa ben diversa che farle in salsa piccante. Ovvio.
Quelli che vanno al mare osservano i visi dei cartelloni elettorali: foto truccate e ringiovanite con Photoshop, volti di giovani già pelati come il “Papi” e vecchi rinfanciulliti al Viagra. Tanto c’è la coda, e qualcosa devi pur guardare.
Quelli che vanno a votare non guardano quei manifesti, altrimenti sceglierebbero la coda che va al mare.

Passi la frontiera e scopri d’esser uscito dal regno del nulla: anche là c’è la crisi economica, ma la gente continua a ballare, la sera, nei café chantant della Costa Azzurra, al suono di un’orchestrina. Da noi, nessun albergatore, ristoratore, bar o stabilimento balneare riesce più a permettersi qualcosa di più che un semplice campionatore, un organetto tuttofare con un tizio che preme tasti e ripete musichette pre-registrate. La musica per finta: intanto, chiudiamo le orchestre.

Grandi giochi internazionale decretano che l’Italia debba rilevare un pezzo di Germania in salsa statunitense, che Kaiserslautern dovrà diventare una sottospecie del Lingotto. Ma i tedeschi non ci stanno e, pur di non correre il rischio di precipitare nel regno del nulla, scelgono russi e canadesi: costruiranno auto per l’ex URSS. Marchionne, Auf Wiedersehen. A mai più: il nulla fa paura, e le auto costruite per finta non convincono più nessuno.
La nuova strategia? Vendere le Panda 4x4 nel mercato americano facendo credere che siano delle jeep, dei veri fuoristrada: vai, sulle strade che costeggiano il confine canadese, oppure sulle piste presso quello messicano, e corri non il tuo nuovo “SUV” mignon, made in Mirafiori, Torino, Italy.
Perché non abbiamo rilevato la Trabant, già che c’eravamo?

Intanto, nello Stivale, la benzina costa circa 1,30 euro, e quelli che vanno al mare o a votare sacramentano, perché sanno che – con il prezzo del petrolio intorno ai 60 $/barile ed il cambio euro/dollaro intorno ad 1,40 – la benzina dovrebbe costare, per davvero, 1,20. Invece, costa “per finta” 1,30, perché con quei soldi devono pagare la Robin Tax. Ovviamente, i 10 centesimi in più sono per davvero, mica per finta.

Una rossa con calze a rete gira lo Stivale per dire che sì, questo è il Paese del turismo, del rispetto per l’arte e per la natura: qui, sì che si rispettano gli esseri viventi! Per davvero, mica per finta!
Intanto, un montanaro con calzettoni di lana ha già depositato una proposta di legge per far sparare anche i sedicenni, a tutto, ma proprio a tutto: vuoi sparare alle specie protette, nei parchi, ai passerotti, alle lucertole, ai girini? Volta l’auto, esci dalla coda che va al mare ed immettiti in quella che va al seggio. Nel frattempo, carica la doppietta.
Passi il confine – questa volta ad Est, in quello che un tempo era un regno “comunista” – e scopri che alle Kornati, parco naturale, una semplice legge recita “E’ proibito trarre dalle acque qualunque essere vivente”. Fine della legge: nessun comma truffaldino.
La legge è ancora di Tito ma nessuno, dai nazionalisti a scacchi ai socialdemocratici in salsa americana, ha osato cambiarla: mica sono fessi, dopo si ritroverebbero un gioiello naturale per finta.
Da noi, ci ha provato Soru a fare qualcosa del genere e lo hanno impallinato da più fronti: mentre il maggiordomo di Arcore guidava l’assalto frontale, le truppe cammellate dei rais democristi di un tempo, diligentemente migrati nel PD, gli toglievano la terra sotto i piedi. Adesso, andate in Sardegna: andateci in tanti, stampatene il ricordo nella mente finché ancora esiste, prima che arrivi la promessa mannaia del cemento!

Sui teleschermi va in onda a reti unificate la pubblicità dell’ENEL che far girar le pale, ossia gli aerogeneratori, ma l’Italia ha rifiutato alla grande di costruire aerogeneratori in mare, l’unico posto dove non ci sarebbero rompiscatole “esteti” come Sgarbi. Di più: ci sarebbe vento in abbondanza. Non s’ha da fare.
Noi li costruiamo in posti “sicuri”, solo dove i mammasantissima concedono il placet.
E la pubblicità, l’ENEL, le pale che girano? Gli investimenti sull’eolico, l’ENEL, è andata a farli in Texas: e allora…la pubblicità? Mandiamo la pubblicità che fa girar le pale…mentre c’appressiamo a ricevere tutta l’archeologia nucleare che nessuno, nel Pianeta, sa più a chi vendere! Se non esistessero gli italiani, così fessi – si fregano le mani nelle grandi holding dell’ingegneria nucleare – chi ci salverebbe la scrivania?

Anche la rumenta, la comune immondizia, è vera o falsa secondo i casi. Quando ci sono da vincere delle elezioni la rumenta spunta come i funghi a Napoli, per poi scomparire (nascosta in periferia) quando le elezioni le hai vinte. Non c’aspettavamo che ricomparisse a Palermo: ah, già…un Presidente di Regione ha messo alla porta proprio gli assessori del capoccia di Arcore…chissà perché. Roba loro: forse paura per lo strapotere della Lega, per la ventilata riforma federale…chissà..
Un tempo, ti recapitavano la testa di un maiale sotto casa: adesso, qualche tonnellata di rumenta. Eh, i tempi cambiano, e il copione della gran finzione viene aggiornato.

Nel gran can can elettorale vanno di moda i terremotati, perché il terremotato fa audience, fa notizia: se ti giochi bene il terremotato, è come calare un tris con tre jolly. E allora, vai con le interviste! Scava nel volto del terremotato per cavargli un anelito di speranza – a chi vive sotto una tenda, non è rimasto altro – per fargli dire che sì, che spera in Autunno di ricevere le chiavi di una casa. Ma è una casa per finta, perché nel decreto per l’Abruzzo – mica per scherzo soprannominato “Abracadabra” – c’è scritto che la ricostruzione terminerà nel 2032, e non si dice nemmeno dove prenderanno il becco di un quattrino. E quando inizierà? Ah saperlo…l’importante è superare queste elezioni: per quelle da qui al 2032 ci penseremo dopo.

Terminato il festival elettorale, noi insegnanti prenderemo posto nei banchi degli allievi, in una qualsiasi aula dell’istituto e faremo finta di fare gli scrutini. Apriremo i registri, consulteremo i colleghi, ascolteremo la solita tiritera dei Dirigenti Scolastici sulla “prevenzione dell’abbandono scolastico” ed inizieremo il magico rito della transustanziazione, quello che trasforma i quattro in sei. In caso contrario, i giornalisti delle testate locali e nazionali saranno già pronti, matita con punta affilatissima, per vergare e diffondere la notizia con toni allarmati: “Strage al Liceo xy” “Decimazione all’Istituto yz”.
Non sia mai che qualcuno osi correggere il copione, mutare l’abitudine alla finzione, perché nella gran commedia italiana devi vivere rispettando le regole: non importa se, nel frattempo, hanno falcidiato la scuola e più di quello non riesci a fare. Ciò che conta, è rispettare il copione: almeno, non la farai pagare ai ragazzi, quelli che di colpe ne hanno meno di tutti.

Anni fa, quando ero segretario del Consiglio d’Istituto, per un banale errore di battitura scrissi, nel verbale di una seduta, “facente finzione” al posto di “facente funzione”. Nessuno se n’accorse: in modo del tutto inconsapevole, avevo soltanto scritto la verità.