25 settembre 2020

Energie nuove? Per una politica nuova? Servitevi…

 

Nave Gru Saipem 7000 di ENI, la più grande al mondo

Mentre tutti s’accapigliano per comprendere dove il M5S ha sbagliato, oppure è stato carente, c’è un settore dove sono stati completamente assenti e mi spiace doverlo rilevare, senza nessuna scusante.

E’ il settore dell’energia, per il quale i 5S sono stati presenti, in entrambi i governi, con loro rappresentanti nel posto chiave, ossia il Sottosegretariato per l’Energia annesso al Ministero dell’Economia nel quale prima c’era Davide Crippa ed oggi Stefano Buffagni.

E pensare che il settore dell’Energia è sempre stato uno dei cavalli di battaglia del movimento, sin da quando Grillo sbeffeggiava le procedure di sicurezza della centrale di Caorso o mostrava, sul palco, un’automobile ad Idrogeno dal cui tubo di scappamento usciva limpidissima acqua. Oggi, sembrano aver perduto la strada.

 

C’è da dire che la situazione italiana è molto strana: siamo un Paese che non ha importanti risorse fossili, però abbiamo notevoli risorse rinnovabili, basti pensare al “ventaglio” d’acqua che scende dalle Alpi, da Ventimiglia a Trieste. E che fece sbottare, con gran meraviglia, Jeremy Rifkin quando venne in Italia (si sa, gli statunitensi, in quanto a Geografia…beh…). Giunto a Milano, domandò che montagne erano quelle che si scorgevano in lontananza. Ricevute le adeguate spiegazioni, ribatté sorpreso: “Ma voi, avete problemi d’energia?”. E non aveva torto.

 

Nel periodo fra le due guerre mondiali si costruirono parecchie dighe per l’idroelettrico: forse per la scarsità di mezzi (che, spesso, erano solo dei terrapieni), forse perché erano aziende private senza adeguati controlli, s’ebbero diverse disgrazie, inondazioni, alluvioni con molti morti. Nel dopoguerra il settore energia venne praticamente nazionalizzato, l’ENEL costruì ottime dighe (compreso il Vajont, che tuttora è in piedi, lì si trattò di un imponente smottamento) costruite in alta montagna che furono per molti anni la spina dorsale del settore elettrico nazionale e che oggi – siccome il cemento non è eterno – dovrebbero essere attentamente verificate, per non finire come il ponte Morandi.

 

Ovviamente, in quegli anni s’aveva fretta: così si costruirono bacini a livelli molto alti, per sfruttare le alte cadute (turbine Pelton). Le medie cadute…beh…non erano redditizie…il petrolio costava poco…il carbone ancora meno…

Ma il genio italico è veramente sorprendente.

Con il salire dei prezzi dell’energia, anche le cadute minori (turbine Kaplan e Francis) sono diventate interessanti ed è stupefacente notare come piccole o medie aziende (tutte italiane!) forniscano dei “kit” completi per gli impianti idroelettrici: dalla parte burocratica alla realizzazione, chiavi in mano. Ammortamento intorno ai 5-10 anni con durata dell’impianto per 40-50 e scarsa manutenzione. Chi sono i clienti? Privati, amministrazioni, a volte (rare) lo stesso Stato: parliamo di potenze che da decine di KW salgono fino a centinaia di MW.

Un tempo, era l’ENEA a compiere rilevamenti sulle possibili fonti d’energia poi, si spense la luce: negli anni ’90 vi fu ancora una rilevazione di circa 1.000 MW (come una grande centrale nucleare) solo nelle aree d’importanza idroelettrica vicine a luoghi abitati, e quindi facili da impiantare. In alcuni casi, si trattava semplicemente di riattare impianti già utilizzati nella prima metà del Novecento. Poi si scatenò il ventennio Berlusconi-Prodi e calò il sipario.

 

Subito dopo la guerra, però, siccome eravamo stati “bravi” ad arrenderci per tempo, godemmo di un trattamento di favore (a differenza di Germania e Giappone) e ci fu concesso d’avere una compagnia petrolifera nazionale – oggi l’ENI – che nacque sfruttando lo scarso metano della valle Padana: subito dopo, però, “sbarcammo” in Libia ed iniziammo il lungo percorso che ha condotto l’ENI a diventare una dei principali colossi mondiali.

 

Ora, bisogna fare alcune precisazioni.

Se un Paese è produttore di petrolio, lo vende e crea un Ministero per il Petrolio. Se invece un Paese è importatore di materie prime energetiche (Italia) deve creare un ministero per l’approvvigionamento energetico, oppure avere delle figure politiche che si occupino del problema di far arrivare ogni giorno la benzina ai distributori. Non c’è niente di male che se ne occupi un Sottosegretario, ma anche nei precedenti governi ciò avveniva, soltanto che il vero Ministero per l’Energia italiano si chiama ENI e di pubblico c’è ben poco, salvo la golden share del ministero dell’Economia che controlla la società, una joint venture pubblico-privato quotata in Borsa. Le rinnovabili fanno capo al Ministero per l’Ambiente, ma con scarsi risultati: non sarebbe meglio avere un ministero pubblico per l’Energia, come controparte verso il settore di produzione?

 

Ora, non è mia intenzione scagliarmi contro l’ENI perché non ce ne sarebbe ragione: è una grande compagnia italiana, all’avanguardia soprattutto nei sistemi di ricerca e perforazione, s’è appena aggiudicata lo sfruttamento del più grande giacimento mondiale del Mediterraneo e non si capisce proprio perché dovrei scagliarmi contro questa grande azienda che produce utili ed occupazione.

Ci sono delle questioni di tangenti – è vero – ma il mondo del petrolio non è la San Vincenzo, questo bisogna capirlo: inoltre l’ENI, un paio di decenni or sono, s’accanì (insieme all’ENEL) contro il sistema delle rinnovabili, ma oggi molto è cambiato, in tutti i sensi.

 

A scagliarsi contro le rinnovabili non sono più decine di giornalisti (a libro paga? probabile, ma non ho le prove), non si spertica più nessun docente universitario: che il mondo del futuro sarà un mondo elettrico l’hanno capito tutti. Resta qualche sito di “nostalgici” del motore a benzina e del treno a vapore…ma che volete…lasciamoli pure dire…l’importante è comprendere che un terzo dell’energia elettrica che oggi adoperiamo è già d’origine rinnovabile, e il bello della faccenda è che se ne sono accorti anche ENEL ed ENI.

Nel 2018 il fabbisogno totale energetico italiano è stato del 18,1% coperto da fonti rinnovabili (sul totale energetico di tutti i settori: elettrico, trasporti, industria, ecc) e, in particolare, del 34,4% del settore elettrico. (1)

 Come ben saprete, l’UE ha posto come obiettivo per il 2050 il raggiungimento del 50% di produzione rinnovabile, che è ancora lontano. Ma, oggi, ha messo in campo un mare di soldi per farlo: e sono impianti che iniziano a rendere il giorno dopo che sono installati, che non sono spese “a debito”, perché s’ammortizzano in pochi anni. Sono, anzi, spese “a credito”.

 

Il primo obiettivo da abbattere è senz’altro la generazione da carbone, che è il più inquinante per l’atmosfera, in quanto non solo generatore di Co2 bensì anche d’ossidi d’azoto ed anidridi solforose, ben più pericolose della semplice CO2.

 

Non voglio ritornare sul problema del riscaldamento globale: la scienza ha dimostrato che la molecola di CO2 riflette, verso terra, la radiazione infrarossa che “rimbalza” sulla Terra dopo il percorso dal Sole. E’ stato ampiamente dimostrato con precise sperimentazioni di laboratorio, sulle quali non intendo tornare: anzi, altre molecole riflettono ancor più la radiazione infrarossa, ad esempio una molecola di Metano riflette 18 volte la quantità d’infrarossi rispetto ad una molecola d’anidride carbonica.

Perciò, non intendo ritornare sulle solite mene complottiste che menano il can per l’aia – fa più freddo, fa più caldo, c’è meno aumento dei mari, c’è più aumento dei mari, c’è più ghiaccio, c’è meno ghiaccio, ecc – e chi non ha ben chiara la differenza fra meteorologia e clima vada a scassare i cosiddetti da altre parti dove sarà sen’altro più ascoltato, raggranellerà più “mi piace” o commenti, così dormirà più contento.

 

Nel più muto silenzio dei nostri sottosegretari, però, si sta almanaccando un contorto meccanismo mentale per continuare a bruciare combustibili fossili pompando la CO2 sottoterra. E dove?

Sotto il mare Adriatico e la pianura Padana: non è uno scherzo e nemmeno una bufala.

 

La vicenda iniziò molti anni fa all’interno dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), vicenda che non voglio rinvangare perché sono storie del 2007 (2), se non per dirvi che il leitmotiv era chiaro: se riusciamo ad “infilare” la CO2 nel sottosuolo, dove c’era (probabilmente) un tempo il metano già estratto, magari ne possiamo trovare dell’altro e ci facciamo belli. Come sono bravi! Ci liberano della cattiva CO2!

 

Ora, immettere da un serbatoio della CO2 nel sottosuolo non è difficile né pericoloso: l’anidride carbonica è un gas inerte. Il vero problema è dove trovarla, perché nell’aria è presente all’incirca intorno alle 600 ppm (parti per milione), dove ci fa il bello scherzo di trattenere la radiazione infrarossa, ma separarla dall’aria non è facile ed è costoso. Questo processo viene eseguito in rari casi per riempire le bombole di CO2 per scopi tecnici (saldatura, ecc) oppure, in Olanda, ne immettono un po’ sotto le serre per accelerare la crescita delle piante ma…qualcuno ha fatto il calcolo di quanto costerebbe estrarne dall’aria milioni di tonnellate? Perché se ne estrai solo qualche tonnellata il gioco non vale la candela. (3)

 

Eppure, il progetto va avanti, senza considerare i costi. Greenpeace s’è mostrata contraria a queste scelte, per un motivo che è semplicissimo da capire: perché devo spendere del denaro per acchiappare della CO2 e farla sparire sotterra, mentre più semplicemente posso costruire dei sistemi (eolici, solari, idroelettrici, geotermici, a biomasse) che producono energia senza far aumentare il tasso del gas in atmosfera?

Insomma, invece di macinarci il cervello cercando il mezzo per farla sparire, non sarebbe più semplice non produrla? Per quella che già c’è, ci pensano i vegetali a consumarla.

 

Ma qui c’è il terzo incomodo.

Maledizione avere una barca a vela, maledizione andar per l’Adriatico, maledizione andar per bettole e scovare gente che ha voglia di chiacchierare, maledizione guardarsi attorno anche quando si è a terra, maledizione saper ragionare. La più grossa, senz’altro.

Perché se prendete il largo dal delta del Po verso la Croazia, vi apparirà una selva. Questo è matto da legare: oh, Bertani, siamo in mare!

Aspettate…una selva di isole galleggianti, piattaforme petrolifere, anzi, gasiere.

Appena sotto l’orizzonte da terra, c’è una lunga sfilza che inizia appena sotto Venezia e termina poco prima del Conero: è il sistema del Metano, il sistema che garantisce l’approvvigionamento di Metano all’Italia. Discreto, quasi nascosto.

 

Sono senz’altro più di una ventina: un tempo estraevano Metano ma, accortisi che il livello della superficie sotto il mare s’approfondiva, hanno smesso. In buona sostanza, la pianura Padana sta “su” perché sotto c’è pressione di gas che la sorregge: se n’era già accorto Enrico Mattei, che smise le perforazioni nella zona di Cortemaggiore perché la pianura Padana rischiava di finire sotto il mare.

Allora, per non abbandonarle al loro destino, le adoperano come terminal: la nave giunge da chissà dove, carica di Metano liquido a bassissime temperature, poi lo rilascia nel metanodotto che va a terra. E va bene, ci serve del Metano e lo compriamo.

 

Già che ci siamo, però, visto che ci passa proprio sui piedi…costruiamo qualche modesta centrale termoelettrica a terra, per generare energia elettrica con Metano appena sbarcato, a basso costo: ce ne sono circa 25, da Chioggia a Ravenna ed oltre.

Bisogna però fare qualcosa con ‘sti rompi..glioni degli ambientalisti…ci sono questi qua dell’INGV che da vent’anni soffiano sul fuoco: vogliono mettere la CO2 sotto terra…se funziona, fosse anche poca roba va bene, tanto per dire che facciamo qualcosa…altrimenti questi, in mare, ci piazzano le pale eoliche sulle piattaforme!

 

Ed ecco, pronto all’uso, il progetto per il primo “campo” di generatori eolici in mare italiano: di fronte a Rimini! Tranquilli, appena sotto l’orizzonte, così Sgarbi non vede nulla e, dal suo cesso, non ci lancia improperi.

 

Chi ha avuto l’idea di piazzare degli aerogeneratori di fronte a Rimini è un po’ analfabeta…non sa leggere!

Si veda quello che prevede l’Atlante Eolico italiano (4) per quelle aree: c’è troppo poco vento! Non sarebbe economico farlo lì!

Le uniche aree italiane di mare degne di nota sono la Sardegna sud-occidentale, la Sicilia occidentale e le aree ad est del Molise e della Puglia settentrionale. Stop.

 

Veniamo a noi: quali sono gli investimenti per l’eolico off-shore (in mare) di Germania e Gran Bretagna?

D’accordo: loro godono di venti molto forti e costanti, ma anche noi nelle zone che prima ho indicato troviamo venti generosi e costanti.

La Gran Bretagna ha varato un piano poliennale da 41 miliardi di sterline, mentre la Germania prevede 31 miliardi di euro.

 

Non preoccupatevi per problemi tecnici: i pali sono galleggiati ed ancorati con tre ancore anche su alti fondali. Oggi, le potenze variano fra i 6 ed i 9 megawatt per torre e impianti di questo genere forniscono numeri ben diversi da quelli da 1-3 megawatt che ci sono a terra e che impressionano Sgarbi: sono numeri che cambiano le percentuali della produzione energetica, che nessuno vedrà mai da terra e che l’ENI stessa potrebbe già oggi cooperare ad installare grazie alla Saipem 7000, la più grande gru galleggiante del mondo. Con buona pace di vuole sotterrare la CO2 sotto terra.

 

Se volessimo impiantare – finalmente – il sistema termodinamico di Carlo Rubbia abbiamo un luogo perfetto dove installare i pannelli: le autostrade! Coprendo le autostrade, si viaggia al fresco, si risparmia sui condizionatori e si genere energia! E’ un po’ troppo per i sottosegretari? Non saprei.

Quello che vi sto raccontando è che, per non finire sempre in tangenti od in mafie all’arrembaggio, deve esistere una struttura di controllo: un ministero pubblico per l’Energia può andar bene?

 

Così va il mondo e vanno le cose: l’ENI, che solo vent’anni fa vedeva l’eolico come il fumo negli occhi, oggi ha varato la più grande nave-gru del mondo e la sta usando per impiantare in mare aerogeneratori al largo della Scozia.

Molti sono oramai convinti che il M5S sia un partito finito: probabilmente lo affermano più per paura, ossia per i valori che il Movimento aveva ed ha immesso, rinnovando il lessico politico contro la corruzione. Perciò, non guardo i sondaggi oggi, ma vorrei vedere quelli che ci saranno fra un paio d’anni se il Movimento riuscirà a comprendere i mezzi per incidere nella realtà politica del Paese. Ne ho esternato qualche semplice esempio.

 

Se i nostri sottosegretari se n’accorgessero, invece del loro affannarsi bulimico su come riordinare i loro parlamentari per farli apparire come una formazione da grande squadra, il problema sarebbe risolto: se si vuole fare una squadra, prima degli uomini, servono le idee.

Questo è il compito di un buon politico, e non perdere tempo a fare messaggi a raffica su Facebook: imparate da Conte.

(1) https://gualerzi.blogautore.repubblica.it/2019/05/15/energia-nel-2018-il-18-dei-consumi-italiani-da-rinnovabili/

(2) https://comedonchisciotte.org/il-paese-dei-mandarini/

(3) https://www.repubblica.it/ambiente/2013/04/30/news/co2_sottoterra-57440458/

(4) http://atlanteeolico.rse-web.it/

22 settembre 2020

Chi ha vinto e chi ha perso?

 

Per prima cosa, bisognerebbe ri-codificare il titolo: ossia, chi non ha vinto e chi non ha perso? Forse, le cose sono più semplici e più facili da capire.

 

Se torniamo ad un anno fa, qualcuno che sicuramente non ha vinto è stato Matteo Salvini perché, dopo l’exploit delle europee d’appena un anno or sono – quel 34 a 66 contro l’intero elettorato italiano – la perdita di consenso è netta e senza margini per sofisticate congetture.

Quel risultato nasceva da un qui pro quo grande come una casa: il governo era saldo ed inattaccabile sotto l’aspetto parlamentare, solo che non era disposto a farsi guidare da Salvini, tutto qui. Il governo, all’epoca, era guidato da Conte e Salvini non poteva ri-definirsi premier senza passare per uno scontro: lo scontro ci fu, e Salvini perse completamente la strada.

Non comprese che il governo, all’epoca, era costituito dal M5S per il 33% e dalla Lega per il 17% e che la guida di una coalizione non la si trova su Facebook, bensì nelle aule parlamentari.

 

Dopo, dopo…non ha avuto più scampo: oggi, la Lega, ha probabilmente ricompattato l’elettorato settentrionale, ha forse conquistato qualche spezzone al centro…ma ha perso l’elettorato meridionale che non si è più fidato di lui, ed è tornato in gran parte a credersi “fascista” – il che è soltanto una chiacchiera da bar – però ha cercato casa più dalla Meloni che dal vecchio capataz di Arcore.

In buona sostanza, l’elettorato italiano è tornato indietro di anni, quando tre forze – Lega, Forza Italia e Alleanza Nazionale – rappresentavano la tripletta vincente per la coalizione di centro destra, perché non basta agitare medagliette o raccomandarsi alla Madonna per cancellare gli anni di Bossi, del suo veemente odio per i meridionali e per le loro necessità di uno Stato assistenziale contro lo Stato liberista del Lombardo-Veneto. Che è la grande incognita dall’Unificazione, la grande questione mai risolta.

 

In questo mutamento, c’è anche la sempre maggior insipienza di Forza Italia, partito leader per tanti anni, ma rimasto senza un Delfino degno di questo ruolo: Silvio, almeno fino al Covid, s’è pensato immortale.

In parte l’elettorato di matrice cattolica s’è largamente ridotto: tutto ciò deve farci riflettere poiché, dopo 150 anni dall’Unificazione, la questione cattolica non pesa più come al tempo della Rerum Novarum. Anzi, le “cose nuove” sono giunte ma forse perché tanto “nuove” non erano, né così importanti sono sembrate, al punto che anche i papati più modernisti non hanno inciso più di tanto sul pensiero né hanno richiamato forze nuove dal cattolicesimo al cattolicesimo in politica.

Se vogliamo, solo Forza Italia punta ancora molto su questo connubio ma il suo tempo è scaduto e non ne verranno altri: con la scomparsa di Berlusconi (fisica o politica per “decorrenza dei termini”) il partito finirà nel nulla ma, attenzione, per gli equilibri politici italiani non significa assolutamente che un elettorato, per quanto ridotto, non esisterà più, e qui potranno giungere delle novità. Potranno: non è detto che delle novità giungeranno per certo.

 

Giorgia Meloni può dunque assaporare un buon successo, ma sempre se sarà capace di tenersi lontana da certe frange estreme: dovrà far memoria dell’elettorato di destra italiano, che fa un dieci per cento se valuta la questione meridionale e la forza della burocrazia statale, mentre scade all’uno per cento se segue marce su Roma od improbabili rotture “nazionali” con l’Europa.

 

Se la destra ha, da domani, parecchie questioni sulle quali riflettere, le medesime questioni saranno sui tavoli del PD e dei 5S.

Zingaretti ha subito detto che, se uniti, avrebbero vinto parecchio di più ed è senz’altro vero. Ma Zingaretti non ha compreso che la semplice somma algebrica non serve a niente nel governo di un Paese: può durare qualche anno, poi lascia ampi spazi aperti a qualsiasi opposizione.

 

Anche il M5S ha sbagliato, e tanto: troppo. Dopo l’archiviazione del sogno del 51%, doveva prendere atto che le alleanze sono necessarie in politica per una semplice ragione: non la pensiamo, in maggioranza, allo stesso modo. Bisogna mediare, con chi si ritiene in grado di mediare con noi.

Sinceramente, non ho mai ben compreso cosa li convinse all’alleanza con la Lega: un partito legato mani e piedi – e mai in dubbio su questo – con una coalizione, retta da un personaggio non proprio “vicino” ai temi cari ai 5S: oggi s’è chiarito, con quel 70 a 30, chi sta di qua e chi sta di là.

 

Ma i 5S hanno atteso troppo attendendo inutilmente un passaggio che era obbligato: non si va a governare un Paese mantenendo una sorta di “prelazione” di una società privata – la Casaleggio & Associati – sulla loro politica. Tutta la “banda” dei Grillo e dei Casaleggio devono star distanti dal nostro voto, perché il nostro voto, ossia la pratica della democrazia, non deve essere condizionata da società private.

Altrimenti, vale la stessa cosa per quei partiti che hanno guidato l’Italia tenendosi ben stretti Mafie e Massonerie: i 5S devono rendersi conto che stanno compiendo il medesimo tragitto. Già quando cercavano – e non trovavano – un gruppo parlamentare in Europa si dovettero chiedere perché il gruppo dei Verdi Europei non li volle proprio per quella ragione: non accettiamo chi ha contatti stretti con società private. Ed avevano pienamente ragione.

 

Quello che oggi, per rappresentanza parlamentare, è ancora il primo partito italiano non ha una struttura interna, non ha strutture sul territorio, non ha regole certe e comprovate sulla vita politica interna del loro partito. Come si può guardare avanti? Come si possono stabilire delle alleanze, senza democrazia interna? Come si possono eleggere dei “capi politici” senza consultare nessuno, se non la rete dei “Meet Up” – sorta di comunità psicologiche dedite alla politica – o quella barzelletta del voto su Rousseau?

Anche Di Battista dovrebbe fare ben attenzione a quello che dice nei suoi comizi: il loro non è un “sogno”, bensì una realtà che devono saper attuare gestendo al meglio i mezzi della politica. Dal pensiero alla realtà. Non al riportare in terra un “sogno” che…tutti devono condividere? C’è qualcosa che non funziona.

 

Il PD è stato quello che, dopo essersi opposto al “Sì” in ben tre occasioni, ha saputo sfangarla meglio, salvando la faccia di fronte ai suoi elettori e riuscendo a contenere l’avanzata del centro-destra: ora, lo aspetta il periodo più duro.

Devono riuscire a far passare una legge elettorale che, visto che il grande problema del bicameralismo perfetto pare insolubile, almeno sia una legge che parifica l’elezione dei senatori a quella dei deputati: la differenza è minima per l’età dei votanti e non si capisce perché gli esiti siano così diversi.

Bisogna però riconoscere che il partito di Zingaretti non ha sbagliato nulla: certo, hanno un’esperienza nella lotta politica che giunge loro da molte generazioni. Dovrebbero, però, capire che se sono in qualche modo “rinati” lo devono proprio alla decisione dei 5S d’andare contro tutto e contro tutti, “rivalutando” una tradizione di “sinistra” che s’era persa per strada.

 

Ultima vittoria, lo scontro interno con Renzi, che è stato distrutto anche questa volta, se non bastassero ancora le occasioni precedenti. Cosa può fare, oggi, l’uomo di Rignano? Ben poco, però è furbo e già ha capito che c’è un’area – quella del centro cattolico – che avrà bisogno di un leader giovane e capace, ma la strada per arrivarci è lunga e densa d’incognite. Sapranno, Lega e FdI, accaparrarsi il paniere di voti che l’inevitabile fine di Forza Italia genererà? Oppure sarà un altro a soffiarglieli via, un altro che non ha più carte da giocare a sinistra? Difficile immaginare una via, ma è la sola strada che rimane a Renzi.

C’è un vero vincitore?

 

Inevitabilmente, è uno solo: Giuseppe Conte. L’uomo che ha saputo ridare a Genova il suo ponte in 15 mesi di lavori: mai avvenuto in Italia. L’uomo che ha saputo varare il RdC – con tutte le manchevolezze che ancora evidenzia – ma c’è. L’uomo che ha saputo, durante il Covid, combattere e vincere una battaglia immane in Europa, andando ben oltre tutte le più rosee aspettative.

Tutti lo amano o lo odiano, perché sanno benissimo che non saprebbero mai essere al suo livello: un livello mai toccato, in Europa, da un uomo politico italiano per determinazione e risultati raggiunti.

 

Oggi, la partita più dura è per i 5 Stelle, che devono inventarsi un partito vero oppure finire scapitozzati da mille arpie che non attendono che questo: eppure – e questo dobbiamo riconoscerlo – tutto è partito da loro, dalla loro semplicità e dalla loro volontà di cambiare il volto di questo Paese.

I prossimi mesi saranno importanti e ne vedremo delle belle: se riusciranno a darsi la forma ed il “peso” di un partito vero, non raggiungeranno di certo i risultati del 2018, ma potranno assestarsi come secondo/terzo partito italiano dietro al PD/Lega, che oggi sa d’avere il pallino in mano a sinistra, mentre per la Lega già “sento” voci di sottofondo che sussurrano di faide interne, di regolamenti di conti.

 

Non dimentichiamo, però, che i 5S hanno un jolly in mano che altri non hanno: Giuseppe Conte, il PdC più amato dagli italiani dal dopoguerra. E non è poca cosa.

14 settembre 2020

Un bell’ingorgo

 

La Tv nazionale trasmette, in prima serata, il film su Stefano Cucchi mentre, da pochi giorni, siamo qui a leccarci le ferite per l’orribile fine di Willy Montero e, subito dopo, a Napoli un fratello ammazza la sorella perché lesbica. Un bel trittico, da qualsivoglia posizione lo si osservi.

Stiamo diventando peggio della Chicago degli anni ’30 e, a parte le solite boutade – al muro! in galera e via la chiave! lavori forzati a vita!…eccetera, eccetera… – non riusciamo a capire come mai siamo circondati da violenze d’ogni tipo.

 

La scuola: è colpa della scuola che non sa più educare! Gli insegnanti non sanno più fare il loro mestiere!

Ho insegnato per 33 anni in un Liceo e, quindi, ancora due in un Istituto Tecnico e Nautico e non me la sento d’appoggiare questa tesi: negli ultimi due anni ho notato qualcosa di diverso, ma non così tremendo da sostenere simili argomenti. Probabilmente, elementi del genere escono prima dalla scuola.  E cosa possono fare gli insegnanti? Ben poco.

Quando anche, per fatti gravissimi, ne decretassero l’espulsione dopo il problema non sarebbe più della scuola, che – apparentemente – parrebbe aver fallito, ma io non ho mai vissuto una simile esperienza: al massimo tre giorni di sospensione (con obbligo di frequenza), in tanti anni. Perciò, ritengo che di simili comportamenti siano, in primo luogo, responsabili i genitori, perché le vere basi dell’educazione s’apprendono in famiglia…la scuola può fare qualcosa…ma ben poco.

 

Ricordo che, quando fu varata la patente a punti, vennero a scuola alcuni agenti della Stradale che spiegarono con molti esempi e chiaramente a cosa si va incontro guidando in stato d’ebbrezza. Certo, questo non mette al riparo che, anni dopo, un ragazzo si sbronzi una sera e…

Più interessante è, invece, il ruolo della Magistratura.

 

E giù tutti a dire che la Magistratura li mette dentro e dopo una settimana sono fuori…che mettono gli assassini ai domiciliari, che se ne sbattono, che Palamara è un poco di buono…ma si dimenticano di una cosa: la Magistratura segue le norme del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale che il Parlamento gli ha fornito, non giudica con la giurisprudenza russa, americana o neozelandese. Difatti, la metà dei ricorsi alle Corti Europee è di provenienza italiana, e le Corti Europee hanno già avvertito più volte che questo andazzo deve cambiare.

Cosa non va?

 

L’impianto giuridico italiano, fino agli anni ’70, era equilibrato: se ammazzavi ti prendevi l’ergastolo, o trent’anni se t’andava bene, poi ci fu il film di Sordi. Già, proprio “Detenuto in attesa di giudizio” (1), che scompaginò la giurisprudenza italiana.

Attenzione: il film di Sordi poneva l’accento sul disastro atavico della gestione delle carceri italiane, disastro che non poteva essere negato né by-passato con un’alzata di spalle.

 

La questione è complessa e parte da un dato costante nel tempo: a fronte di una capacità massima di circa 50.000 detenuti, in Italia i carcerati superano abbondantemente i 60.000. E dove li mettono? Uno sopra all’altro, considerando pure che circa un terzo sono in attesa di giudizio e quindi, Diritto alla mano, sono innocenti.

Col tempo, poi, sono cresciuti anche i reati che prevedono la detenzione: il reato di clandestinità, ad esempio, oppure la detenzione di droga, che in Italia non distingue tra marijuana ed eroina. Insomma: sbarchi in Italia, ti timbrano un foglio dove è previsto il rimpatrio (e come fai ad andarci? con quali soldi? come e dove?) e se ti fermano vai in carcere. Oppure, se ti coltivi una pianta di marijuana – praticamente uguale a quella che vendono nei negozi autorizzati – finisci in carcere, magari insieme ad uno vero spacciatore di anfetamine, crack ed altre porcate.

 

In questa situazione, ovvio che la prima necessità è proprio quella di svuotare in fretta le carceri. Diminuendo le pene? No, così non si può fare…perderemmo la faccia di fronte all’elettorato…come si farà a dire che siamo per “legge e ordine”? E questo tutti…dalla Meloni a Salvini fino a Zingaretti: quanti ne hanno, dei loro, da salvare dal carcere per le mille ruberie?

Però, con un po’ di fantasia…se ti becchi 22 anni per un omicidio volontario, considerando la buona condotta e la legge Gozzini, a grandi linee, male che vada una dozzina d’anni (che è la media) e sei fuori. Se, invece, l’omicidio è preterintenzionale (seppur con dolo provato) te ne vai dopo 8-9 anni.

 

Così, gli assassini di Willy usciranno prima del 2032, mentre il fratello disgraziato di Napoli prima del 2028 sarà già fuori: ancor prima che le spoglie di Willy e della sorella del napoletano siano trasferite nell’ossario.

 

Non parliamo, poi, delle pene modeste: sotto i tre anni nessuno vede il carcere, ma tre anni sono all’incirca la pena detentiva per lesioni gravi, ossia chi ammazza di botte (senza ucciderla, ovvio) la moglie o l’amante, il fidanzato della moglie, della figlia, della nonna…poi, se è bravo con le arti marziali, fracassa chiunque.

Detenete illegalmente un’arma? E che volete che sia…da tre a dodici mesi d’arresto…niente gabbia per il vostro futuro! Attenzione, però: se è un’arma da guerra vi fate nove anni. Perché la vecchia pistola da Ufficiale del nonno quella sì che è pericolosa: un colpo di 357 Magnum in testa no…è solo un bruscolino…

 

Se, invece, vi mettete a stampar soldi falsi, attenzione: la pena va da 3 a 12 anni. Sarà per questa ragione che in Italia un killer lo trovi dietro l’angolo e ammazza per pochi soldi, mentre trovare dei dollari falsi è più dura?

Il Codice Penale italiano, assomiglia più al Banco Lotto che ad un corpus giuridico, mentre il Codice di Procedura Penale è più complicato e presenta più tranelli dell’Appia Antica se pretendete di andarci in automobile, da Roma a Taranto, ovvio.

 

Riforme. Già: se ne parla da decenni, ma avete visto cosa c’è voluto per andare a toccare la Santa Prescrizione, che vanificava il già poco in un nulla assoluto?

I magistrati. Certo, ci sono Magistrati e magistrati, secondo la latitudine, la longitudine, l’età ed il sesso. Come potrebbe essere diverso?

D’altro canto, se – poniamo – i magistrati fossero punibili dal potere esecutivo, alla prima indagine su – mettiamo – un ministro, salterebbe il magistrato. Ossia, sarebbe spostato, degradato, ridotto al silenzio…non come Falcone e Borsellino, non ce ne sarebbe bisogno.

 

Per questa ragione, i magistrati hanno un apposito strumento: il Consiglio Superiore della Magistratura, che è presieduto dal Presidente della Repubblica. Il quale, se facesse valere veramente il suo potere, finirebbe in un caos istituzionale, una sorta di potere dittatoriale sui magistrati, e questo non si può certo fare: il Presidente “osserva” e “consiglia”. E chi elegge quei magistrati che sorvegliano?

Le associazioni di categoria dei Magistrati, che corrispondono in pieno ai partiti politici: per questo nessuno vuol sentir parlare di sorteggio. Vogliamo votare i “nostri”! Che andranno sempre contro ai “loro”. Punto.

 

Rimane solo un potere, reale e tangibile: quello legislativo, che non ha potere diretto sulla Magistratura, però può scrivere e cancellare leggi e pene, come ritiene che sia meglio per il Paese. Difatti, Berlusconi – quando ne fu in grado – allargò la prescrizione secondo le sue necessità: lo faceva lui direttamente o lasciava fare a Ghedini? Mah…forse era Ghedini…difatti non passò nessuna legge per proteggere le nipoti dei presidenti egiziani…dobbiamo riconoscerlo.

In definitiva, solo il Parlamento può scrivere leggi più severe e/o consone ai nostri tempi: ve li vedete mettersi d’accordo? Con lo stuolo di condannati che ha ogni partito? Si salvano i 5S: per questo vanno eliminati più in fretta che si può…gente senza esperienza…non hanno una classe politica “adeguata”…

Come possiamo essere così disgraziati?

 

Perché siamo una nazione giovane, che in un secolo e mezzo ha passato Monarchia, Fascismo (Dittatura) e Repubblica: tre sistemi di governo molto diversi, che hanno fini ed esigenze diverse, che si riflettono sui rispettivi sistemi penali.

Anche la Germania ha vissuto il medesimo percorso, però la Germania non ha vissuto la questione mafiosa, “sbarcata” dagli angloamericani ed insediatasi stabilmente in Sicilia, che gli americani desideravano mantenere sotto il loro controllo, lasciando Malta agli inglesi. Cosa che hanno fatto: difatti, la Sicilia vive una sorta di “indipendenza” che nessuna delle altre Regioni a statuto speciale ha, nemmeno gli altoatesini.

 

Questo potere si è insediato stabilmente, ha preteso ed ottenuto totale indipendenza giudiziaria che, quando l’Italia giunse al primo, enorme processo di mafia del 1987 che decapitò Cosa Nostra, rispose con l’uccisione di Falcone e Borsellino degli anni ’90: Caponnetto, all’epoca ex Procuratore di Palermo, disse senza dubbi “E’ tutto finito”. Di quegli anni fanno parte anche il “mistero” del Moby Prince e, 12 ore dopo, l’affondamento della petroliera Haven dinanzi a Genova: un evento che trasformò l’intero mare di Genova in una enorme piattaforma asfaltata. 12 ore di distanza, per i due più dirompenti disastri marittimi del Mediterraneo.

Poi vennero gli attentati: Firenze, Milano, Roma. L’avvertimento doveva arrivare, ed arrivò con il “gradito” insediamento di Berlusconi, che durò un ventennio.

 

L’obiettivo di mantenere, in Sicilia, una sorta di potere reale ma non ufficiale, fu possibile garantirlo solo tramite la Mafia, ma la Mafia per svolgere i suoi compiti di controllo sotto lo sguardo attento dei servizi italo-americani, pretendeva contropartite e le ebbe, sotto varie forme.

Se non era possibile intaccare il 41-bis dall’ordinamento, fu scardinato l’ordinamento nelle sue basi: è quello al quale oggi assistiamo. Con il beneplacito della classe politica – una volta stroncato il terrorismo – si diede il via a quel “liberi tutti” così gradito alle mafie il quale, osserviamo ogni giorno che passa una sostanziale tolleranza di una quota di delinquenti liberi come l’aria.

 

Il problema non è quello di costruire qualche nuovo carcere – non sono poi spese enormi da affrontare per una nazione che è la terza economia dell’Unione Europea – bensì il fatto che la gente, in carcere, le varie mafie non vogliono che ci stia, e la giurisprudenza ha accettato questo “scambio”: Matteo Messina Denaro è libero come l’aria ma la pace sociale, seppur violentata da centinaia d’omicidi che vengono puniti con l’acqua fresca, è garantita. Gli assassini di Willy erano due nullatenenti che viaggiavano in costosissimi Suv e scorrazzavano con potenti motociclette, già  segnalati per violenze varie e porto abusivo d’arma, sempre condonati con pene pecuniarie: datevi una risposta e fatevene una ragione.

 

Non ci resta che piangere: mai sentenza fu più azzeccata.

 

(1) https://www.youtube.com/watch?v=YZSOuKdr9Fo  

08 settembre 2020

Ogni anno scade l’8 Settembre

 

Di per sé, questa data fausta/infausta che scade ogni anno potrebbe anche entrare nel dimenticatoio del dibattito, per prender posto nel suo spazio storico che la sua importanza gli compete. Potrebbe: ma non può, non riesce.

C’è ancora, in Italia – almeno, queste sono le cifre ufficiali – un buon 15% di persone (FDI) legate al culto di Mussolini, al punto di presentare i suoi lontani eredi sulla scena politica. Non bastasse Alessandra, presto arriverà Caio Giulio Cesare. Sempre Mussolini.

 

Fatto salvo che questi personaggi sanno soltanto sfruttare sotto l’aspetto mediatico il nome che portano (e non gliene frega una cippa del passato del loro avo) rimangono milioni di persone che ritengono la fine del Fascismo come la fine dell’onore della comunità italiana nel mondo. E, notiamo, sotto l’aspetto storico non hanno tutti i torti nel sostenere che il concetto di Patria si dissolse in un lontano Sabato qualsiasi della Storia italiana. La Patria è il luogo d’aggregazione di tutti gli italiani: se improvvisamente ne compaiono due (ed un po’ farlocche entrambe), possiamo continuare a riconoscerci nel medesimo universale? Né è sufficiente che, due anni dopo, la due “Patrie” si ricongiungano, poiché sono vissute per un tempo sufficiente nel fornire diverse asserzioni di “Patria” che non giungeranno mai ad una sintesi.

 

Mettiamoci la fretta di Togliatti ministro della Giustizia (il quale, personalmente, avrebbe piazzato davanti ad un muro centinaia di persone) nel cercare una frettolosa pacificazione, le necessità dell’economia d’allontanarsi da quegli anni di pane di segatura e di grasso chiamato “carne”, l’esigenza impellente di ricostruire i collegamenti stradali e ferroviari fra le due “Patrie”…e la frittata è fatta.

Le due “Patrie” si mescolarono, ma all’interno d’ogni persona rimasero ben definite. Anche perché al Nord occupato dai tedeschi c’erano molti antifascisti, mentre nel Sud “liberato” dagli angloamericani sopravvivevano molti sostenitori del Duce.

 

Passarono gli anni e la situazione si acquietò ma, ad un furbacchione romano venne alla mente di scatenare, nel nuovo luogo d’aggregazione – la Tv – i sentimenti “di pancia” degli italiani. Non penso che Gianfranco Funari fosse pienamente cosciente del rischio che si assumeva – in fin dei conti, era un ex croupier divenuto per il rotto della cuffia cabarettista – ma lo sdoganare tutti i sentimenti “di pancia” degli italiani non fu una buona mossa, soprattutto perché – la “audience”, nel frattempo, era divenuta il “faro” da seguire – molti giornalisti, con attributi ben maggiori rispetto a Funari, ne sposarono le tracce.

Dagli anni ’80 in poi, il nostro vivere è divenuto sempre più “duale” e riconosciuto valido solo se, alla fine della tenzone, c’è un vincitore ed un perdente: si potrebbe quasi affermare una forma di “Patria duale”, sfaccettata e scomposta in mille riflessi: dal più comprensibile confronto politico alla morale, dalla moda all’alimentazione, dal “sentire” in modo antitetico anche questioni scientifiche, come il mutamento climatico o l’epidemia di Covid, fino  quisquilie senza senso: a leggere i commenti sui quotidiani, c’è da rimanere allibiti per il non-sense di tante affermazioni, utili soltanto per riuscire a “sconfiggere” l’altro commentatore.

 

Si tratta di un ben strano concetto nell’esercizio della democrazia, poiché non si ascolta quasi mai l’altro, occupati come si è a tentare di distruggerlo, d’annullarlo, d’imporsi e basta. E’ quasi un esercizio inutile leggere i commenti sui grandi quotidiani o sui siti che dicono di praticare la controinformazione, giacché ovunque ci siano traffico e molti commenti, immediatamente si scatena il medesimo copione.

Si può rispondere se l’8 Settembre 1943 (o il 25 Luglio dello stesso anno) siano stati la fine della Patria?

 

Non penso.

Ritornando a quei giorni, alla condizione nella quale era ridotta l’Italia, c’era oramai poco da fare: l’Italia bombardata incessantemente dai bombardieri che, oramai, decollavano dalla Tunisia, invasa nel suo Meridione, senza armi moderne da opporre, non aveva speranza. La scelta d’arrendersi fu la più saggia, giacché altre opzioni non esistevano: sacrificare milioni di persone, sotto le bombe o uccisi al fronte aveva ancora un senso? L’esito era scontato.

La fortuna italiana fu che, seppur subissata dal potere fascista, esistevano ancora altri centri di potere: uno su tutti, la Monarchia, che ebbe il coraggio di “inventarsi” qualcosa, pur sapendo d’essere, dopo, obbligata a fuggire.

 

A questo proposito, Rachele Mussolini, la moglie, consigliò al marito di non recarsi all’appuntamento fatale con il Re: a ben vedere, Mussolini poteva arroccarsi con la Milizia, far arrestare gli oppositori del 25 Luglio…e poi?

Sono sempre stato convinto che Mussolini – il quale doveva per forza individuare una soluzione – la trovò il 25 Luglio 1943, quando comprese che sarebbero stati altri a togliergli le castagne dal fuoco. Dopo, sì…creò l’effimera Repubblica Sociale…pensò di riuscire a scappare in Svizzera…forse sperava in un aiuto da Churchill…ma, in fin dei conti, quel che accadde dopo fu solo colpa sua.

 

Non ho mai avuto simpatia per Pietro Badoglio, personaggio infido, sfuggente, opportunista…però, quando nel 1940 si cominciarono a sentire venti di guerra, si recò da Mussolini (era il capo delle Forze Armate) e gli spiattellò, numeri alla mano (citato nei diari di Ciano), che l’Italia non era assolutamente preparata per affrontare una guerra: secondo i calcoli dei militari, assumendo ottimisticamente i dati sulla produzione industriale, ci sarebbero voluti almeno 2 anni e mezzo per essere pronti, ossia nel 1943, quando la guerra era oramai perduta.

 

Ma gli italiani, che ancora oggi gridano al “tradimento” nei confronti dei tedeschi, dovrebbero riflettere su quanto i tedeschi stessi ci hanno tradito, abbandonandoci in Russia di fronte all’attacco che sapevano imminente, “sfilando” in silenzio le loro forze per poterle salvare anzitempo. Ci riposizioneremo 200 km ad Ovest, come difatti avvenne…gli italiani? Eh, chi se ne frega…manco glielo diciamo, così rallentano i russi…

Sulla destra della Julia doveva esserci un reparto tedesco ma…nel momento dell’attacco, erano già svaniti! Come ricorda Giulio Bedeschi: i tank che si scorgevano in lontananza non erano tedeschi, bensì i T-34 russi che non avevamo mai visto e che li stavano circondando!

 

Ma la follia hitleriana giunse alla decisione di non invadere la Gran Bretagna perché nei sogni di quel folle, in Europa, la Germania avrebbe dovuto governare l’intero continente facendo poi i conti con l’URSS, mentre la Gran Bretagna sarebbe rimasta potenza marittima ed imperiale.

Le 8.000 chiatte e navi che aspettavano il via per invadere l’isola – 35 km di mare! – attesero invano, e non fu causa di Goering che non riuscì a distruggere la RAF, bensì dal “sogno” mutato nella caleidoscopica visione allucinata di Hitler, che non desiderava la fine dell’impero inglese…e non riusciva a comprendere perché gli inglesi non lo capissero!

Le vere decisioni inglesi, nel caso dell’invasione, erano quelle di trasferire la Corona ed il Governo in Canada e di non impegnare la Royal Navy in quel conflitto, perché sacrificarla in quell’occasione avrebbe privato la Gran Bretagna della sua potenza marittima, l’unica che poteva mettere sulla bilancia dell’alleanza con gli USA: i tedeschi lo sapevano benissimo dai loro contatti con l’aristocrazia inglese e scozzese, che curavano molto già da prima della guerra.

D’altro canto, lo sbarco tedesco prevedeva l’invio di ben 8 divisioni corazzate, tre di paracadutisti e aviotrasportate, e circa 20 di fanteria mentre gli inglesi non avevano quasi nulla da opporre: il poco che avevano salvato a Dunkerque, anche quello un “regalo” tedesco non compreso.

Se per l’Italia la guerra fu perduta il 10 Giugno del 1940, e per la Germania il 1° Settembre 1939, non c’è molto da stupirsi: quando mai, due Caporali fanno comunella e vincono una guerra?

 

E i frutti, li vediamo ancora oggi: volete sapere l’ultima dei due caporali?

Si videro per l’ultima volta il 20 Luglio 1944 a Rastemburg, subito dopo il fallito attentato al Fuhrer. Era presente un interprete poiché, per quanto se ne dicesse, Mussolini non parlò mai il tedesco: conosceva qualche parola, poche frasi ed era necessario l’interprete. Cosa si dissero?

Nell’atmosfera rilassata che si nota dal filmato (1), con saluti romani e nazisti molto distesi ed approssimativi, il copione è di due vecchi che s’avvicinano alla fine, e lo sanno bene di non avere più molto futuro davanti a loro.

L’interprete, la sola persona presente all’incontro riservato, raccontò di una breve comunicazione di Hitler sulle V1 e V2, ma senza porci troppa enfasi. Finalmente, passarono a raccontarsi le loro avventure di Caporali, uno sul Carso e l’altro in Belgio, della loro vita di trincea, entrambi giunti al grado di Caporale solo per il trascorrere del tempo, ossia perché erano ancora vivi. Sorrisi, tristi, e cordialità, di circostanza: infine, dal treno, saluti da scolaretti in vacanza.

 

Mentre gli alleati erano guidati da Churchill, ex Primo Lord del Mare, da Roosevelt che giunse al terzo mandato e da Stalin che, per quanto crudele, seppe organizzare una grande Nazione per vincere una guerra combattendo per due anni da solo contro il Reich, noi eravamo guidati da due Caporali, più un “Divino Imperatore” il quale, pur di mantenere la poltrona, rinunciò anche alla sua divinità.

 

La “classe non è acqua”, si racconta: rammentiamolo, quando nuovi “caporali sovranisti” dovessero affacciarsi al potere. La Patria? E chi se la ricorda…

 

(1) http://www.ponzaracconta.it/2020/06/29/mussolini-e-hitler-due-dittatori-a-confronto-4-lultimo-incontro/

01 settembre 2020

L’omicidio di un sindaco “santo” e la radice del male italiano

“È una storia da dimenticare

è una storia da non raccontare

è una storia un po' complicata

è una storia sbagliata.”

Fabrizio de André – Una storia sbagliata – 1980

 

Per raccontare questa storia, non si sa da dove cominciare: dall’inizio o dal fondo? Se si comincia dal fondo la storia è già finita: Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, la sera del 5 Settembre 2010 viene freddato, a Pollica, nella sua auto da nove colpi di una pistola in calibro 9 x 21, mai ritrovata. Tutti i colpi vanno a segno: parrebbe – ma il condizionale è d’obbligo per ogni angolo di questa vicenda – che il sindaco conoscesse chi gli ha sparato, perché l’auto era ferma col freno a mano tirato ed il finestrino abbassato.

Le indagini tirano in ballo un personaggio un po’ borderline, tale Bruno Humberto Damiani detto “il brasiliano”, poi un Generale dei Carabinieri in pensione, già fondatore dei ROS, tale Domenico Pisani, anch’egli originario di Pollica…e stop. Non ci sono indizi convincenti, armi da collegare con precisione all’omicidio…solo una serie di sospetti che i vari Sostituti Procuratori, avvicendatisi nell’inchiesta, hanno scovato ed indagato…ma nulla che abbia la sostanza di una prova o, almeno, di un indizio convincente.

 

Anche la “ragione” presentata come movente dell’omicidio Vassalo – ossia la contrarietà del sindaco alle cosche per lo spaccio di cocaina – a ben guardarla, non regge molto: quando mai, la camorra o la n’drangheta si metterebbero in un simile pasticcio ammazzando un sindaco che è diventato un simbolo della buona amministrazione…per lo spaccio di cocaina in un piccolo borgo del Cilento? Con gli affari che hanno fra le mani le varie mafie, proprio in quel paesino dimenticato dovevano ammazzare il sindaco? E se pure così fosse, possibile che in dieci anni non sia saltata fuori una “gola profonda” che abbia sussurrato qualcosa? Non è lo spaccio di cocaina a New York in ballo, bensì quello di Pollica! Comune che, prima di quell’evento, pochi credo conoscessero.

 

Oggi, la famiglia Vassallo ha incaricato l’avvocato Antonio Ingroia, ex magistrato, di dipanare la matassa come avvocato di parte civile ed una sua frase rilasciata in un’intervista mi ha colpito: “Ma dietro tutto è importante che ci sia la sensazione netta che lo Stato voglia la verità.” Pare una frase di circostanza, una “voce dal sen fuggita”…oppure no? Concordo solo in parte col dott. Ingroia, perché se “lo Stato vuole la verità” dovrebbe volerla fino in fondo, per tutti i morti ammazzati che ci sono stati, almeno nella mia ricostruzione. E, non me ne voglia: se le cose così stanno, non vorrei aiutare Ingroia nemmeno con il dito mignolo. Perché i morti sono stati tanti in questa storiaccia, e dobbiamo cominciare dal 1970. Pensate un po’…

 

Nel 1970, ogni percezione della realtà era molto diversa da oggi. C’era stata, pochi mesi prima, la strage di Piazza Fontana: un evento che non poteva esser compreso dalla stragrande maggioranza degli italiani che uscivano dagli anni duri del dopoguerra e s’inoltravano nel miracolo economico. E’ stato un pazzo, un anarchico, quel ballerino…come si chiama? Ah, già…Pietro Valpreda...bella storia di “giustizia” italiana…vero Ingroia?

Nella Primavera dal 1970, però, lo Stato decide di spostare il capoluogo regionale calabro da Reggio a Catanzaro: le ragioni? Ah, saperlo…

 

In ogni modo, subito scoppia la – apparente – rivolta popolare che prende il nome di “Boia chi molla!”: urla, cortei, barricate…e tutto il contorno ben noto a tutti.

Il 22 Luglio 1970, però, “qualcuno” decide d’alzare il tiro e la linea ferroviaria che porta da Reggio a Napoli viene minata, in corrispondenza del passaggio di un treno: sei morti e cinquantaquattro feriti. Ovviamente, all’epoca è soltanto un “deragliamento”: dovranno passare molti anni prima che un pentito della n’drangheta racconti la verità su quella che oggi conosciamo come “la strage di Gioia Tauro”.

A Reggio, ciò che prende forma non è soltanto una rivolta popolare, perché c’è qualcuno che ha interesse a fare in modo che molti modi di “sentire” si saldino e si uniscano, a futura memoria, per altri scopi.

 

Ad accorgersene sono un gruppo di ragazzi, cinque anarchici che oggi sono ricordati come gli “Anarchici della Baracca”, così chiamati dal loro luogo di ritrovo. Dovevano essere ben strani e caparbiamente capaci nel comprendere che, quello che andava in scena sotto i loro occhi, non era una rivolta popolare ma una sceneggiata ben curata ed ammansita da tante forze, tutte riconducibili ad ambienti del Fascismo che – ricordiamo – all’epoca erano ancora ben vivi e vegeti. Gli “originali” e le loro copie.

I ragazzi misero insieme una documentazione molto ben fatta – cos’avrebbero mai fatto se avessero avuto Internet! – comunque riunirono centinaia di fotografie nelle quali comparivano personaggi dei servizi segreti, agenti stranieri (molti greci, che all’epoca erano sotto i “Colonnelli”), neo e vetero fascisti, personaggi legati alle cosche, ecc. Se pensate che siano fandonie, riflettete che nelle sue memorie il pentito di n’drangheta Francesco Fonti racconta chi era il suo “contatto” per la questione dello “smaltimento” dei rifiuti tossici: Guido Giannettini (1). Vi ricorda qualcosa? Se non sapete chi è, provate a metterlo in ricerca su Google.

 

Sapendo che, a Roma, c’è un gruppo di persone che sta lavorando ad un libro – La strage di Stato – che ribalta le menzogne dello Stato sulle stragi – quella sì che era controinformazione! Non certo quella di molti siti odierni! – si mettono in contatto con l’avv. Edoardo di Giovanni, uno degli autori, e partono per Roma in cinque su una Mini Minor.

Per essere più precisi, la sera precedente, al padre di uno dei ragazzi giunge la telefonata di un “amico”, che chiama dalla questura di Roma: “Al posto tuo, non lo lascerei partire”. L’uomo fa spallucce: chissà per quanti anni si sarà rigirato di notte nel letto, pentendosi per quella decisione.

 

Eh già…perché giunti in Campania, al primo rettilineo la Mini si schianta contro un camion fermo, a luci spente, sulla corsia di destra: muoiono tutti, tre subito, gli altri due (più un bambino nel grembo materno) in ospedale.

Nulla convince di quell’incidente: la Polizia Stradale nota che le luci posteriori del camion funzionano benissimo e sono intatte. Come ha fatto ad andare completamente distrutta la Mini ed il retro del camion non avere manco un graffio? Ma i primi a giungere sul luogo dell’incidente non sono gli agenti della Stradale: sono la squadra della polizia politica della questura di Roma. Difatti, nessun documento personale od altro (ossia quello che cercavano) verrà mai ritrovato.

Il camion risulta intestato a due fratelli, due sconosciuti, ma non è sconosciuta l’azienda per la quale lavorano: l’imprenditore è il “principe” Junio Valerio Borghese, abile comandante di sommergibili e perfido comandante della X Flottiglia Mas nella Repubblica di Salò. Ovviamente, legato a tutti i vecchi “camerati” che hanno continuato a reggere le fila nella nuova Repubblica Italiana: uno per tutti, il prefetto di Milano Guida, prefetto in carica quando scoppiò la bomba a Piazza Fontana e direttore del carcere “speciale” di Ventotene sotto il Ventennio.

 

Il “principe”, a fine anno (7-8 Dicembre 1970) si darà da fare per preparare un golpe – successivamente declassato ad “operetta” e punito con un amorevole buffetto dalla magistratura (min) – e poi scapperà in Spagna da Francisco Franco: non si sa mai.

Si dà il caso che, proprio la sera del 7 Dicembre 1970 passassi, in motocicletta, a lato della stazione di Porta Nuova a Torino, lato via Nizza: allo scarico merci, stavano scaricando carri armati. Ero sul sedile posteriore e potei notare chiaramente una decina di carri armati con i motori accesi: “Hai visto? Che faranno?” dissi all’amico alla guida “Mah…faranno delle manovre…” rispose. A Torino? Pensai. La mattina seguente, tutti erano scomparsi.

Che c’entra Vassallo? Calma, ci arriviamo…

 

La morte dei cinque anarchici finì, ovviamente, dimenticata (soprattutto dalla magistratura (min)) ma non da tutti. Perché? Perché tutti abbiamo degli amici e può capitare pure che un amico, se ci ammazzano, s’incazzi.

Uno degli amici è un salernitano e si chiama Giovanni Marini. E’ stato prima comunista, poi (forse deluso) anarchico: lui sa bene che un incidente non è stato, e si mette alla ricerca della verità, ossia di quello che tutti gli Ingroia dell’epoca si guardarono bene dal fare.

Cosa scopre?

 

Non riusciremo mai a saperlo, perché la sera del 7 Luglio 1972 incontra, insieme ad un amico, una coppia di neofascisti. Un po’ d’insulti e tutto finisce lì. Dopo un po’, i due incontrano un amico che è alto e prestante, Francesco Mastrogiovanni, continuano lo “struscio” e ritrovano i neofascisti, anch’essi cresciuti di numero.

Questa volta la cosa si fa seria: qualcuno ha dei coltelli, altri solo dei pugni, ma il finale è tragico: Carlo Falvella, neofascista del FUAN, cade colpito a morte da una coltellata, Mastrogiovanni ne prende un’altra nella natica.

Giovanni Marini sarà condannato a 12 anni, scontati realmente 7, e trascinerà la sua vita pubblicando anche libri di poesia fino al 2001, quando morirà. Marini, per tutta la vita, non superò mai il dolore per aver tolto la vita ad un suo coetaneo, seppur d’opposta fazione politica: furono tempi di disgrazia per tanti giovani, da una parte e dall’altra, sconfitti dalle revanches di chi non era riuscito a rabberciare un dolore ancora più grande, quello della guerra mondiale. Vinta e persa, ma vinta male e persa peggio.

E Mastrogiovanni?

 

Mastrogiovanni ha la fedina penale pulita, al punto che fa il maestro elementare prima al Nord, poi torna in Campania,a Pollica…ma la vicenda lo ha segnato, scosso…l’assurdità di quella morte, il sangue versato inutilmente…rimane una persona fragile: amatissimo dai suoi allievi, un po’ meno dagli adulti e sulla sua fedina penale immacolata c’è una scritta anonima ma pesante, “Noto anarchico”, che lo perseguiterà per tutta la vita. Come lo era Valpreda.

 

Qui entra in gioco la figura di Angelo Vassallo, perché senza una ragione (2) di nessun tipo ordina il 31 Luglio 2009 per il maestro un TSO, che viene eseguito fuori giurisdizione, senza rispettare le procedure (ossia le tempistiche fra l’atto del sindaco e quelle degli psichiatri), con un moto di potere che s’infrange e fa a pugni con l’immagine del “sindaco pescatore”, della persona per bene come, bene o male, viene presentata.

Le ragioni del provvedimento sono tanto risibili da sconfinare nell’inesistenza e sottendono qualcosa d’oscuro che ancora aleggia fra i personaggi di questa tragedia umana, qualcosa che fa male e brucia ancora, qualcosa che giunge dal passato a chiedere una vendetta. Perché? Qualcuno lo ha chiesto? E’ stato costretto? Non lo sapremo mai.

Perché Mastrogiovanni, “arrestato” con un TSO mentre fa il bagno in un campeggio, dopo aver bevuto un caffè e fatto una doccia sale calmo sull’ambulanza, ma dice “Se mi portano all’Ospedale di Vallo di Lucania, m’ammazzano”? Perché sa che a Vallo di Lucania c’è qualcuno che lo aspetta per una vendetta?

 

Perché così vanno proprio le cose: seppur calmissimo, viene legato al letto di contenzione, non gli danno né acqua e né cibo per quattro giorni – siamo ad Agosto! – bensì solo forti calmanti ed altri potenti farmaci psichiatrici. Dopo 82 ore di questo calvario muore: solo, disperato, col sangue che gli esce dai polsi, stretti dalle cinghie di contenzione. La sua agonia è stata ripresa dalle telecamere interne, è stata trasmessa dalla Tv nazionale ed è disponibile sul Web.

Nessuno andrà in carcere per tutto questo: medici ed infermieri, seppur condannati, non vedranno mai il carcere e saranno tutti reintegrati nelle loro funzioni. Giungeranno benevole “sospensioni”, “dilazioni”, pensionamenti ed altre scuse per non mandare nessuno in carcere. Perché?

 

C’è da chiedersi come sia possibile che una sorta di “piccola guerra di Troia” sia andata in scena fra il XX ed il XXI secolo in quelle terre, abbia macinato vite e morti in una costruzione assurda, dove la pietas cristiana non è esistita e non è stata nemmeno menzionata…perché?

Perché questa sciagura ha i contorni della tragedia greca – ed è inutile che lei, dott. Ingroia, si scervelli per capire “se lo Stato avrà il coraggio di sapere…” – poiché non sono io a doverle insegnare i rudimenti né i connotati essenziali della tragedia greca: sono certo che li conosce benissimo.

Uno di questi atti prevedeva anche la morte di Vassallo – come la morte di Ettore è solo il prodromo di quella di Achille – e non c’è scampo. Chi avrà premuto materialmente il grilletto? Le sembra, dopo aver letto queste righe, così importante?

Lo Stato, il nostro Stato, quello figlio della cultura greco-romana non prevede l’Habeas Corpus, anche se lo menziona e (forse) lo rispetta come qualcosa d’irraggiungibile perché prodotto da altre menti, altre tradizioni…suvvia, su…non mi obblighi a darle una sterile ed inutile lectio brevis sul diritto Romano…

Chi ha dunque ucciso Angelo Vassallo?

 

La nebbia, oggi, finalmente è calata e restano, immobili nell’alba diafana solo le tombe dei combattenti, dei cosiddetti eroi, di chi passava per caso nei pressi del campo di battaglia…chi potrà ancora raccontarle qualcosa? La saga è terminata e non servono i suoi sforzi per rimetterla in moto. Anzi, lei sa bene cosa c’è dietro a quel “anzi”.

Nove proiettili calibro 9 x 21, come i semidei scoccavano frecce per colpire i mortali: credo che, alla fine, dovranno bastarle.

 

1)  https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=W_FlRKzs9ac

2) https://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2012/09/28/news/cosi-hanno-ucciso-mastrogiovanni-1.46861