17 ottobre 2020

Quando finirà il dramma?

 

Riprendono i contagi da Covid-19 nel mondo,in Europa ed in Italia e tornano gli assilli di sempre: finirà mai questa storia? Finirà senz’altro – se abbiamo superato l’esplosione del vulcano di Toba del 74.000 a. C. la nostra specie supererà anche questa – il vero problema è come la supereremo.

Le posizioni politiche sul fronte della pandemia sono variegate: il governo mantiene una posizione molto bilanciata sul fronte del rapporto fra la salvaguardia della vita umana e quella dell’economia, mentre le opposizioni sono più ondivaghe. Sono giunte a dichiarare la malattie “inesistente” od oramai “estinta” per poi, il giorno dopo, buttarsi a corpo morto contro il governo perché non fa abbastanza.

Il che, a volte, sembra anche vero, però bisognerebbe chiedere a questi signori cosa farebbero loro se si trovassero a dover decidere: difatti, se avete notato, sbraitano tanto per poi dileguarsi quando si deve votare in Parlamento.

Ci sono poi i Mille – sono un numero magico nella nostra Storia, si dice che abbiano fatto l’Italia, ma è una clamorosa balla – i quali vanno in piazza ad urlare che il governo li priva della libertà: non attendono altro che giunga Halloween od il Carnevale per mascherarsi, poi se lo impone il governo per salvaguardare la loro vita, s’arrabbiano. Vabbè…sono i soliti mille.

 

La grande novità di questa seconda ondata è la differenza nei numeri: non tanto sul numero dei contagiati, quanto sul numero dei morti.

Nella precedente ondata di Primavera, contavamo i contagiati giornalieri a migliaia (103) ed i morti a centinaia (102) mentre oggi, anche se i contagiati giornalieri hanno raggiunto la decina di migliaia (104) conteggiamo i morti (per fortuna!) solo a decine (101), sempre che la differenza fra i numeri rimangano queste.

Il dato è senz’altro importante e degno d’attenzione: prima, la differenza degli esponenti era solo di una cifra, mentre oggi si è alzata a 3 cifre: significa, semplicemente, che siamo riusciti a stanare le migliaia di asintomatici o scarsamente colpiti dal virus. Perché? Poiché, altrettanto semplicemente, stiamo eseguendo più tamponi di prima, ma siamo ancora ben lontani dall’avere una precisa mappatura della popolazione, unica condizione per cominciare un serio tracciamento del contagio sulla popolazione.

 

Il vero rebus sul diffondersi dei contagi non è tanto quel “liberi tutti” che ha portato ad un’Estate vissuta gioiosamente, soprattutto dai giovani, quanto a comprendere come e quando, gli stessi giovani, trasmetteranno il contagio ai loro familiari: osservando la Francia o la Spagna, c’è da temere che i morti salgano nuovamente a centinaia (102). In questo caso, però, possiamo affermare che le strutture sanitarie sono più preparate e, i medici, conoscono un po’ di più il virus ed hanno a disposizione alcuni medicamenti, per ora ancora poco più che “empirici” (non sono stati ancora validati dall’OMS) però, sembra almeno che a qualcosa servano, visto che il tanto strombazzato vaccino è ancora lontano e, soprattutto – data la velocità di studio e testing che s’è imposta – bisognerà osservare se è veramente efficace e non combina altri guai.

Perché – e qui mi fermo subito, giacché non voglio fare il solito virologo da due soldi – quando si va a trafficare con l’RNA del virus ci sono parecchi rischi, ossia che l’inibizione della RNA polimerasi si trasferisca anche ad altre cellule. Stop.

 

Comprendere le dinamiche di una pandemia generata da un virus sconosciuto il quale, come tutti i virus, giunge all’improvviso non è facile: ci sono molti fattori da considerare, tutti interdipendenti in modalità dinamica con il volgere degli eventi, e bisogna analizzare con calma le risultanze scientifiche e cercare di sbagliare il meno possibile. Perché si sbaglia, è ovvio: sbagliano i medici come talvolta sbaglia un falegname, un insegnante od un elettricista. In altre parole, la teoria degli errori non dimentichiamo mai che è parte importante delle scienze matematiche applicate, e questo tutti lo sanno o dovrebbero saperlo: da chi è al governo, all’opposizione o i famosi “mille” che vanno in piazza.

 

Che titoli ho io per parlare o scrivere sulla pandemia? Nessuno, a meno che vogliamo considerare un 30 e lode in Igiene acchiappato quasi 50 anni fa all’Università, durante un affollatissimo esame e pure con un po’ di fortuna il quale, oggi, non conta più niente.

Rimane, però, una certa attitudine all’analisi, che è però il patrimonio di una intera vita: per cercare di capire qualcosa bisogna analizzare gli attributi di un evento, sia esso una pandemia od una guerra, perché è solo dagli attributi che possiamo cogliere qualche particolare significativo di un evento, non dalle sterili enunciazioni di natura teorica ed ideologica. I peggiori attributi che il virus porta con sé sono due: paura ed ignoranza.

 

Il primo “attributo” che la pandemia ci mostra è che è mortale, inutile girarci attorno, però dalla mortalità si può già capire qualcosa.

La mortalità nell’intero pianeta è stata, fino ad oggi, del 2,83% rispetto alle persone contagiate, mentre in Italia è stata del 9,7%, quasi come in Messico (10,2%) e nello Yemen (circa 17%), mentre la Gran Bretagna s’è fermata al 6,5%. Anche grandi Paesi con molti contagi (USA, Brasile, India, ecc) non superano il 3% e tanti Paesi sono sotto l’1%. (1)

Per quale motivo questo scostamento?

Tralasciamo lo Yemen – piccolo Paese, in guerra, con una sanità già provata ed un governo forse “affaccendato” in altre vicende – però il caso di Italia e Messico colpisce per la grande differenza: percentuali praticamente a due cifre contro la gran maggioranza molto lontana da questi valori.

Per il Messico, uno dei problemi più gravi è stato quello dei certificati di morte: sembra incredibile, ma è così. In Messico non si può seppellire né cremare senza un certificato di morte emanato dal Comune e la malattia ha fatto saltare tutto: più morti e meno impiegati al lavoro. Risultato: cadaveri nelle case anche dopo cinque giorni dalla morte, con ovvia diffusione del virus. Ma torniamo in Italia.

 

L’Italia è stata il primo Paese europeo colpito in modo evidente e con numeri subito importanti: da dove sia arrivato non ha molta importanza…la “rotta” balcanica dell’immigrazione cinese, oppure dalla Germania…non serve a niente approfondire.

Fatto è che nella zona fra Lodi, Cremona e Piacenza si è subito evidenziato. Risposta: lockdown di quelle aree.

Qui è stato commesso un errore, perché la chiusura delle aree fu eseguita all’acqua di rose: le persone viaggiavano per mille ragioni diverse utilizzando strade secondarie o di campagna, dove non c’era nessuno a fermarle. D’altro canto, si può anche comprendere la scarsa incisività degli agenti preposti a quel compito: non si sapeva niente di questa malattia – avevamo scarse notizie dalla Cina, dalla Corea del Sud e dall’Iran – e molti devono aver pensato che fosse una precauzione inutile…che la malattia sarebbe passata da sola, che quello che imponevano era eccessivo…chissà che altro…

Quando, invece, la malattia s’è mostrata a muso duro, tutti hanno iniziato a capire, ma a quel punto fu necessario e non dilazionabile la chiusura totale. E, qui, s’iniziarono a notare gli attributi della malattia.

 

Anzitutto, il Covid-19 ha degli attributi precipui, diversi da altre malattie virali.

Stranamente, a differenza dalla Sars o dalla Mers – ceppi analoghi di Coronavirus meno trasmissibili che sono scomparse come delle meteore, non però confondibili con le molte H1N1 (spagnola) e derivati (HxNx) sviluppatisi negli anni e tutte di derivazione aviaria – il virus non ha un comportamento molto omogeneo, nel senso che non rispetta i crismi di “uguaglianza” nel comportamento delle comuni influenze aviarie.

Ad esempio, non ha le medesime attitudini nei confronti di tutti gli individui: cosa che avviene anche per le influenze virali aviarie, ma in modo meno variegato. Insomma, se ti prendi l’influenza grosso modo avrai un po’ di febbre, disturbi intestinali, tosse e raffreddore – con una maggiore o minore intensità, a volte si dice “ieri non sono stato molto bene, sono andato al cesso più volte, ma oggi va già meglio…” – ma qualcosa avviene in tutti o quasi tutti quelli che vengono a contatto con il virus. E le persone più deboli possono anche morire, generalmente con una polmonite da pneumococco. Che, attenzione: è un batterio, non un virus.

Il Covid-19, invece, ci ha abituati ad un nuovo attributo: asintomatico.

 

Ossia, pare esserci un confine – spesso legato all’età, ma non sempre – che indica la quasi inattaccabilità da parte del virus, mentre altri più anziani vengono coinvolti e, se ancora più anziani, finiscono in rianimazione, che se va male ci lasciano la pelle.

Senz’altro, bisogna scoprire altri attributi: la velocità ed importanza del nostro sistema immunitario, messo a confronto con la capacità infettiva più o meno veloce del virus.

All’Università di Oxford, in Gran Bretagna, hanno scoperto un altro attributo importante.

Tutti sappiamo che la comune mascherina chirurgica non ci protegge dal virus: limita la diffusione del virus se noi siamo infetti – giacché la “nuvoletta” di virus che emettiamo rimane più contenuta e, se si rispettano le distanze, non si viene infettati – però è in grado di limitare, almeno un po’, la quantità di virus in entrata nel nostro organismo.

In altre parole, se senza mascherina ed in presenza di persone infette possiamo far entrare nei nostri polmoni (la via più comune) una quantità pari a 107 di virus (è solo un esempio), con la mascherina ne facciamo entrare soltanto 103, che parrebbe già un vantaggio. Ma gli inglesi hanno fatto di più.

Hanno semplicemente domandato ai malati ricoverati se usassero la mascherina oppure no: poi, sono andati a verificare il dato dopo la morte dei pazienti. Ebbene, ogni cento deceduti l’80% circa non portava abitualmente la mascherina, mentre solo il 20% la portava: il dato sembra indicare una maggior mortalità per i privi di mascherina. Ci può essere una spiegazione?

Quando veniamo aggrediti da qualsiasi agente esterno – sia esso un virus od una spina di rosa – il nostro sistema immunitario si mette subito al lavoro: chiaramente dipenderà dalle “truppe” che ha a disposizione e dal loro addestramento. Se, però, sono 107 gli aggressori (ossia 100.000.000 di virus) oppure 103 (ossia 1.000 virus) la cosa fa evidentemente differenza.

Così si possono spiegare le guarigioni di persone ultra 90enni e le difficoltà (a volte, addirittura la morte) di giovani sui 30 anni: molto dipende dal numero degli “aggressori” e dalla “potenza di fuoco” del nostro sistema immunitario.

 

Perciò, sappiamo che alcune sostanze – alcune vitamine, soprattutto la C e lo Zinco – sembrano avere importanza per le necessità del nostro sistema immunitario: alcune evidenze sembrano esserci, però la complessità delle reazioni biochimiche, a confronto dell’enorme complessità del sistema immunitario, ci raccontano di star lontani dalle certezze assolute.

Della serie, è giusto assumere questo tipo di sostanze perché c’è una forte probabilità che aiutino il sistema immunitario a rigenerarsi, però è fuorviante credersi, a quel punto, immuni da contagio: dipende molto dalla carica virale con la quale veniamo a contatto. Se incontriamo mille virus sulla nostra strada, il sistema immunitario potrà difenderci, ma se i virus sono un miliardo, può darsi che non bastino lo Zinco e la vitamina C a salvarci. Questo è uno dei plateali errori d’alcuni negazionisti (i più intelligenti) i quali credono che una sostanza benefica risolva sempre un problema: dipende dalla sostanza e dipende dalla natura e dalla gravità del problema! Semplice analisi dialettica (Hegel).

Se, ad esempio, il nostro sistema immunitario (o la biochimica in generale dell’organismo) è già impegnata a contrastare altre malattie, le risorse per un attacco virale saranno minori: per questa ragione si parla di persone decedute “per più patologie”.

 

Tornando alla stranezza del dato italiano, si deve anche precisare la natura della patologia che ha condotto alla morte. Qui, si deve stare attenti a non inquinare con sentenze ideologiche la natura del dibattito.

Alcuni affermano che l’assegnazione di un certificato di morte basato sul Covid-19 sia uno strattagemma sanitario corroborato dai voleri del potere politico, per poter “salvare” un governo che andrebbe, altrimenti, incontro a crisi interne e ad necessarie elezioni politiche. In realtà, il ragionamento deve essere rovesciato.

Qualcuno, che ha interesse ad abbattere l’attuale governo, cerca tutte le cause possibili per dimostrare che la volontà politica del governo sia quella di un sempre maggior numero di morti (o contagiati) da Covi-19: lo fa, però, con una premessa, ossia quella del suo desiderio politico, vale a dire abbattere il governo. Diversa è la posizione dei medici.

 

Qualche medico s’è lasciato andare ad esternazioni che, proprio in questi giorni, si deve rimangiare e in fretta ma lasciamo queste poverissime posizioni di natura politica e torniamo alla pratica medica: qual è la causa di morte che un medico può indicare?

Il Covid-19 genera una polmonite virale interstiziale, ossia il virus si “aggrappa” negli alveoli polmonari e si replica o muta continuamente. I virus sono nati, miliardi d’anni or sono, nel cosiddetto “brodo primordiale” e tale situazione cercano di ricreare: ovviamente senza la minima velleità costruttiva, bensì semplicemente perché è la situazione ambientale che li favorisce.

Perciò, in presenza di questi due attributi – polmonite interstiziale e presenza di Covid-19 – è corretto e preciso indicarne la morte a causa del Covid-19: non c’è nessuna necessita di sottilizzare fra quel “per” ed il “con”. Una persona, però, in quella situazione può anche morire per cause cardiache, giacché l’organismo è violentemente sollecitato a garantire l’ossigenazione del sangue, e questo mette a dura prova il sistema cardio-renale. In questo caso, la causa di morte – sempre in presenza di Covid-19 – è corretto indicarla? A mio avviso sì, come per altre cause secondarie che partecipano attivamente al processo degenerativo dell’organismo in esame. Trombosi, edema polmonare ed altre partecipano al medesimo quadro.

In sostanza, è difficile – se c’è il Covid-19 – indicare una concausa che sia stata neutra ed ininfluente: se non c’è il Covid-19, giustamente il medico deve indicare la causa primaria: infarto cardiaco, tumore, ecc.

 

Però, torniamo per un attimo alla triste situazione della scorsa Primavera: i medici, occupati allo spasmo nelle corsie, avevano il tempo da dedicare all’accuratezza della causa di morte? Probabilmente no, e non si poteva nemmeno chiederglielo.

Perciò, è perfettamente normale prendere con beneficio d’inventario quei dati, ma senza farne subito una freccia di contrasto politico,perché manca il senso profondo proveniente dall’analisi degli eventi.

Ricordiamo che, solo pochi mesi fa, non c’erano mascherine sufficienti per la popolazione: erano un bene troppo semplice per la produzione in Patria, conveniva importarle. E nemmeno dalla Cina – che fabbrica missili ed aerei di V generazione – probabilmente dal Vietnam, dall’Indonesia, dalla Mongolia, Malacca, Kazakhstan…e chissà da quali altri luoghi. Non c’erano rimedi, non si conosceva niente della malattia, gli ospedali esplodevano…l’unica soluzione fu proibire i contatti, ed ha funzionato.

 

Oggi, la situazione è cambiata.

Mentre mesi fa si eseguiva il tampone solo ai sintomatici, oggi si utilizza per scoprire se il virus è presente nella popolazione, sintomatici ed asintomatici: con 150.000 tamponi il giorno, s’arriverà (presto?) ad avere una mappatura della popolazione italiana: l’app Immuni non ha funzionato, perché per farla funzionare bisognava che fosse installata d’imperio dal governo, ed il governo non se l’è sentita. Immaginiamo cosa sarebbe successo, a cosa avviene tutt’oggi per le semplici mascherine.

Ci sono alcuni provvedimenti che si possono comunque prendere, ed in fretta: ad esempio l’esame tramite una semplice goccia di sangue. Un sindaco lombardo di un piccolo comune l’ha attuata con costi inferiori all’euro per esame: magari non è precisa come il tampone, ma fornisce già risultati importanti.

Perché?

Poiché la pandemia terminerà quando più velocemente riusciremo ad avere una mappatura del contagio sufficientemente precisa sul territorio: suvvia, non siamo miliardi! Con 150.000 tamponi il giorno ci vorrà un anno e mezzo per averla: magari con i test rapidi la certezza è leggermente minore, ma la velocità è senz’altro maggiore ed il costo infinitamente minore e, ricordiamo sempre, il fatto d’isolare quanti più infetti possibile è la vera risposta che condurrà alla fine dell’epidemia.

 

Tornando a ragionare sulla mortalità, notiamo che oggi – a fronte di 150.000 tamponi odierni e 10.000 positivi al giorno – è, per fortuna, bassissima, appena qualche decina. Se avessimo conteggiato, la scorsa Primavera, 10.000 contagiati i deceduti sarebbero stati senz’altro superiori al migliaio. Come mai?

Probabilmente, quel 9,7% di mortalità sui contagiati della prima fase è stata un dato falsato dalla fretta: sono sfuggiti centinaia di migliaia d’infetti, mai sottoposti a tampone od altro. Nella “vacanza” estiva sono stati loro ad infettare nuovamente la popolazione: ricordiamo che l’andamento delle epidemie è sempre esponenziale.

Vogliamo raggiungere l’immunità di gregge?

Beh, se la mortalità reale s’aggira intorno al 3% significa che in Italia ci sarebbero 1,8 milioni di morti: siamo certi di sopravvivere – come società coesa – ad un simile salasso?

 

Qualcuno può aver fatto un conto semplicistico ed un poco cinico: muoiono dai 60 anni in su, di cosa devo preoccuparmi? Se muoiono molti pensionati, ci saranno più soldi per me! Questa teoria ha bisogno di qualche delucidazione.

 

I morti per cause naturali, in Italia, sono circa 600.000 l’anno. Il Covid-19, con i suoi 35.000 morti, ha spostato di poco questa cifra, anche perché c’è una varianza di anno in anno superiore: ossia, questo dato è una media.

Proviamo ad immaginare un’Italia che subisce all’incirca 2 milioni di morti in un anno, ossia il 3% per Covid-19 più soltanto 200.000 per cause naturali.

Anzitutto, una quota di circa un milione d’abitazioni finirebbe inevitabilmente sul mercato, con un crollo dei valori immobiliari. I morti sarebbero in maggior quantità nelle aree urbane (più contatti) amplificando ancor più il fenomeno.

La riforma Fornero ha fissato a 67 anni l’età della pensione e tale è rimasta: perciò, scomparirebbero molte persone che oggi sono ancora al lavoro. Ora, nessuno è indispensabile ma tutti siamo utili: siamo certi che i “buchi” lasciati nelle amministrazioni, nelle aziende, nell’istruzione, nella sanità, ecc sarebbero facilmente colmabili? Dovremmo spalancare le porte ad una nuova fase migratoria? Con tutte le maledizioni che si porta dietro?

 

Una nazione strutturata per circa 60 milioni d’abitanti sopravvive sicuramente se scende a 58 milioni, ma i danni sul fronte economico non sono da sottovalutare: significherebbero meno prestazioni e meno consumi, ma non sarebbe una “decrescita felice”.

In altre parole, le società moderne sono strumenti sofisticati e fragili, che reggono su scostamenti lievi, altrimenti vanno in crisi: non si può più ragionare nei termini delle vecchie società agricole, perché oggi – ci piaccia o non ci piaccia – viviamo grazie ad un lavoro che finisce in Cina o negli USA e magari mangiamo, senza saperlo, grano che viene dall’Argentina o dal Canada. E’ tutto, terribilmente interconnesso ed eventuali cambiamenti richiedono tempi lunghi, non certo legati alla demografia che può cambiare un’epidemia.

Scomparirebbero gran parte dei nonni, che sono quelli che spesso si occupano dei nipoti “supplendo” i genitori oberati dal lavoro e dagli impegni?

 

Fare queste previsioni non è facile e richiede maggior ponderatezza perché in Gran Bretagna dove, a fasi alterne e con poco discernimento, s’è cercato d’adottare un principio dell’immunità “di gregge” che è ben diverso da quello americano. Se osservate la cartina americana, vi rendete subito conto che i contagi sono stati soprattutto in California, in Florida e nel New England, aree a forte inurbamento: quasi assente nel vasto Nord-Ovest dove le città sono più rare e distanti l’una dall’altra.

La Gran Bretagna, invece, è un formicaio come l’Italia: se ci siete stati lo saprete…a parte la Scozia, il resto è molto popolato. Quel 6,5% di mortalità recensita in Gran Bretagna è più attinente alla realtà del 9,7% italiano: indica la vera mortalità per aree densamente popolate, ma con una raccolta di dati sulla popolazione più coerente. In altre parole, tentare l’immunità di gregge in fretta, aumenta i morti e non sappiamo con certezza se si tratta di morti solo perché avvengono in tempi più ristretti oppure perché i tempi più ristretti aumentano i contagi.

Quello che sappiamo è soltanto che, con una popolazione di 64 milioni, la Gran Bretagna ha eseguito 26 milioni di tamponi (2), ossia il 40% della popolazione: molti di più di quelli eseguiti in Italia, 1,4 milioni (3) su una popolazione di 60 milioni circa. Sui tamponi italiani bisogna precisare una cosa: le autorità sanitarie non aggiornano il numero giorno per giorno come in Gran Bretagna, e questo dato è quello del 21 Aprile 2020. Siccome durante l’Estate ne hanno fatti pochi, e solo ora il numero è alto, potremmo – molto empiricamente – triplicare il numero di Aprile: saremmo, comunque, molto distanti dalla rilevazione inglese.

 

Quindi, parrebbe che la mortalità sia un fattore legato al tempo di rilevamento ed alla concentrazione fisica delle persone: secondo questa tesi, dovremmo concludere che la mortalità reale sarebbe intorno al 6%, ma è solo un’ipotesi, perché rimane confusa la classificazione dei decessi, diversa da nazione a nazione.

In altre parole, se si cede all’immunità di gregge, i contagi s’espandono subito rapidamente e solo dopo, con misure di prevenzione (lockdown, ecc) si riesce a riprendere in mano la situazione: quello che ha fatto il governo britannico. Il governo italiano ha scelto la via “lenta” ma questa soluzione non ci mette al riparo dal rischio di morte per la pandemia, perché – a parte un vaccino “veloce” (ci credo poco) – tutti dovremo passare attraverso questa malattia, a meno che si estingua da sola per cause sconosciute. Oppure, col trascorrere dei mesi, trovino degli antivirali che ci immunizzino per qualche mese, magari da ripetere (un po’ come succede con le gammaglobuline tetaniche, che ti garantiscono per un paio di mesi se non sei vaccinato) ma che consentano di vivere normalmente.

 

Prima di terminare, vorrei ricordare che tutte le epidemie che l’umanità ha subito hanno scelto loro il tempo d’estinguersi – vedi la peste di Milano, che durò quasi due anni – però, i termini di questa cessazione spesso restano oscuri. La Sars com’è sparita? La Mers aveva un’altissima mortalità, e questo la “aiutò” senz’altro a “suicidarsi”…però, non sappiamo perché si estinse: poteva uccidere il 90% dell’umanità, e non lo fece.

 

Da ultimo, visto che il governo sta per prendere delle decisioni importanti, darei un consiglio che, sono certo, nessuno ai piani alti ascolterà.

Questa vicenda, per molti aspetti ci ha provati: inutile nasconderlo, meglio accettarlo.

Però, nella scorsa Estate, molti italiani hanno pensato che fosse finita e ritenevano che le mascherine sarebbero diventate solo dei ricordi: il risveglio, a base di decine di migliaia d’infettati, è stato e sarà ancor più traumatico. Però, una larga fetta d’italiani chiede di vivere la vita di sempre e questo indipendentemente dall’età, dal sesso o dalla condizione sociale. Dipende molto dall’intelligenza, perché non è facile accettarlo.

 

Stamani, sono andato al mercato. Tutti con la mascherina, ambulanti compresi e gente fra i banchi.

L’occhio m’è caduto lì vicino, dove c’è un bar col dehors. Davanti al bar, tre carabinieri: uno con la mascherina e due senza, che parlottavano con alcune ragazze del posto, anch’esse senza mascherina. Nel dehors tutti con le mascherine abbassate alla gola, felici e pimpanti.

Se il Presidente del Consiglio non chiama il comandante dell’arma dei Carabinieri ed il Capo della Polizia,è tutto inutile: capisco la posizione di chi stava al bar senza mascherina, comprendo meno quella di chi – per dovere istituzionale – dovrebbe far rispettare le norme ed invece mostrava, col suo comportamento, di ritenerle insulse e dunque inutili, da non rispettare.

 

Basterebbe che in quell’immaginario colloquio, Conte dicesse una cosa semplicissima ai due alti ufficiali: “O voi siete in grado di far rispettare la legge ai vostri sottoposti, oppure non siete adatti e, dunque, sarete sostituiti”. Ma un buon democristiano come Conte non lo farà senz’altro, inutile illudersi.

 

1) https://it.wikipedia.org/wiki/Pandemia_di_COVID-19_del_2019-2020_nel_mondo

2) https://coronavirus.data.gov.uk/

3) https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_aprile_23/coronavirus-quante-persone-sono-state-sottoposte-tampone-davvero-5bb59814-847c-11ea-8d8e-1dff96ef3536.shtml

14 ottobre 2020

Chiediamo soldi all'Europa? E per cosa farne?

 


Gentile Presidente Conte,

la vicenda è quella che da un ventennio assilla gli ex dipendenti delle ex Province nella Scuola, che iniziò con la riforma Berlinguer dell’Istruzione nel 1999 ed è terminata con una sentenza della Corte di Cassazione nel 2019. Una vicenda iniziata nel 1999 e terminata, con uno sberleffo all’Europa, nel 2019: tempismo eccezionale della Giustizia Italiana.

 

In Italia, all’epoca (fino al 2000), nella Scuola lavoravano all’incirca 70.000 persone suddivise fra docenti e non docenti, che prestavano il medesimo servizio dei colleghi dello Stato: il perché di questa stranezza è uno dei tanti misteri italiani, misteri che nascondono giochi di potere, collusioni politiche, controllo del voto ecc. Finalmente (e coraggiosamente) un ministro dell’ Istruzione (Berlinguer) si mise con pazienza a smantellare quel sistema, che generava incomprensioni e difficoltà: oltretutto, si parlava oramai di una prossima abrogazione delle Province, che giunse nel 2014. Nella stesura originale della legge (n. 124 del 1999) si tutelavano i dipendenti delle ex Province: l’anzianità di servizio sarebbe stata totalmente conservata e sarebbero entrati nelle graduatorie dello Stato con minime differenze di retribuzione a loro favore.

 

Ma qualcuno (Berlusconi) ritenne che anche quelle minime differenze fossero troppe e così, nella Legge Finanziaria per il 2006 (comma 218) inserì una “interpretazione autentica” la quale, altro non era che la totale riscrittura retroattiva di una norma, introdotta solo 6 anni prima.

In quella “interpretazione” – fumosa, farraginosa, in alcuni punti addirittura ilare, che denotava lo “stile giuridico” di Berlusconi – si compiva un’iperbole giuridica, anche difficile da interpretare: praticamente, chi aveva 40 anni di servizio scendeva a 20, oppure chi ne aveva 20 scendeva a 7. Insomma, più soldi per noi (Berlusconi aveva promesso l’abolizione di alcune tasse molto invise dagli italiani più ricchi, come lui stesso) e meno soldi per voi. Non c’è da stupirsi: quello è il mondo di Berlusconi e tutti in Europa lo hanno capito.

 

Nel frattempo, però, molti dipendenti si erano rivolti alla Giustizia Europea, che aveva respinto senza incertezze tutti i tentativi della Giustizia italiana di far passare come norma di “interpretazione autentica” una stupidaggine giuridica la quale, altro non era che il tentativo di risparmiare denaro stravolgendo retroattivamente una norma precedente e già contemplata nell’ordinamento giuridico.

Come avesse fatto la Corte di Cassazione ha “passar per buona” quella fantasiosa ricostruzione di un articolo di legge mi parve, all’epoca, incredibile: dopo le ultime vicissitudini in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, credo d’aver iniziato a capire. Forse, se vogliamo veramente essere europei, abbiamo ancora molta strada da compiere: iniziano magari dalla Giustizia e dal sistema Legislativo.

 

La prima a demolire questa “fantasiosa” ricostruzione fu la Corte di Giustizia Europea, poi partirono le richieste personali alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, della quale non si contano più i ricorsi – tutti vittoriosi per i dipendenti – che sono costati allo Stato italiano pesanti sentenze, nel senso di pagamenti di spese processuali, danni, ecc, oltre al riconoscimento del diritto originario dei lavoratori. L’ultima sentenza è costata allo Stato circa 400.000 euro: perché lo Stato italiano dilapida in questo modo soldi pubblici?

Inoltre, nell’ultima sentenza si è avvertito il fastidio della Magistratura Europea per la mancata applicazione di norme che il Trattato di Nizza obbliga l’Italia ad applicare. Dulcis in fundo, partirà presto l’ennesimo procedimento giuridico contro la Presidenza del Consiglio – gli avvocati Sullam e Zampieri lo stanno già preparando – per la mancata applicazione della direttiva 77/187 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della CEDU.

 

Eppure, pareva che una sorta di “gentleman agreement” fosse a portata di mano già nel Giugno 2020, all’incontro di Villa Pamphili, poi tutto è tornato a girare nel medesimo modo: la Ragioneria dello Stato continua a richiedere rimborsi di decine di migliaia di euro sulla base della sentenza della Suprema Corte di Cassazione…eppure, la Corte Europea era stata chiara: nell’ultima sentenza del Settembre 2019 era compresa una diffida (con formula ultimativa!) con l’invito ai vertici del Ministero dell’Istruzione a relazionare sul perché la questione non era stata ancora risolta! Della serie: l’Europa ci deve aiutare, poi noi facciamo come ci pare?

 

Mi rendo pienamente conto dei problemi che l’Italia (ed il mondo intero) sta attraversando, ma non si può – anche se un maledetto microrganismo cerca di farci impazzire – dimenticare il senso della vita che scorre ugualmente: domani, Covid o non Covid, la Ragioneria dello Stato invierà alle sedi periferiche l’elenco delle pazzesche richieste di decine di migliaia di euro da richiedere a 70.000 persone incolpevoli, soltanto sulla base di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione che l’Europa ha definito, ad essere ancora veniali, una schifezza. Ed è la stessa Europa alla quale lei ha chiesto giustamente aiuto e che, a quanto sembra, è decisa a farlo? A cosa serve se le prassi giuridiche – controfirmate ed accettate – non vengono rispettate?

 

Non le pare, questa, una contraddizione incongrua, una sorta di gioco delle tre carte della serie “non vedo, non sento e non parlo” che giunge a massacrare decine di migliaia di famiglie italiane per colpa – diciamola tutta – di una classe politica che non sapeva come fare per salvare i suoi privilegi? Le sembra che sia cambiato qualcosa?

 

Bisogna avere i nervi saldi per sopravvivere in questa situazione, so che tanti altri vivono giorni difficili e lo fanno con coraggio ma, mi creda, campar male per colpa di una sentenza che non si comprende come sia stato possibile confezionare rende rabbiosi al solo immaginarlo. E come si fa ad andare avanti, sapendo che la nostra vita è stata stravolta da una sentenza che il fior fiore dei giuristi europei ha giudicata immonda?

Smettiamo, per favore, di parlare d’Europa se, in fin dei conti, siamo proprio noi a non mostrarci europei.

La saluto e la ringrazio

 

prof. Carlo Bertani, ex insegnante, giornalista e scrittore    info@carlobertani.it