17 dicembre 2020

Giulio Regeni

 

Strana storia questa di un ragazzo della Carnia, nato in un minuscolo borgo sui confini italiani e morto, ancora molto giovane, a soli 28 anni nella capitale egiziana dove sapere cosa stava facendo è arduo, se non impossibile. Certo, i genitori non comprendono come quel figlio, così intelligente e studioso, sia stato barbaramente torturato e infine ucciso…già…da chi? e perché?

 

Si fa presto a tirare le somme, giacché il presidente (o dittatore, o generale, o Gauleiter messo lì a governare l’Egitto…) si chiama Al Sisi: è il capo di stato (o di tutta la banda) e, dunque, la responsabilità è sua. Una soluzione che può acquietare solo un briciolo la famiglia, perché – tanto – nessuno rimuoverà certamente quel tal Al-Sisi dal trono dei Faraoni, perché su quel trono è giunto dopo lunghe e concordate riunioni proprio fa quelli che dovrebbero chiarire la faccenda, ossia italiani, francesi, inglesi, americani, russi e turchi.

Si dà il fatto che, trascorsi 4 anni dalla morte di Giulio, le cose stiano esattamente come 4 anni fa: nessuno sa chi lo ha ammazzato, nessuno sa il perché e, soprattutto, nessuno può sgomitare troppo per sapere la verità. Ma torniamo al ragazzo, quando ancora viveva.

Di Giulio Regeni tutti concordano nel tratteggiarlo come un giovane molto intelligente e studioso: aveva proprio il “pallino” per la grande politica internazionale e la strategia, ossia era un giovane geo-stratega. Ne abbiamo conosciuti altri, e ci arriveremo. Seguiamo la sua breve biografia:

 

“…e ancora minorenne si trasferì per studiare allo Armand Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico, USA) e poi nel Regno Unito. Vinse due volte il premio "Europa e giovani" (2012 e 2013), al concorso internazionale organizzato dall'Istituto regionale studi europei, per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente. Dopo aver lavorato presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e aver svolto per un anno ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell'Università di Cambridge. (Wikipedia, Omicidio di Giulio Regeni.) (1)

 

Ora, se facciamo due semplici calcoli, Giulio vinse i due premi “Europa e giovani” quando aveva 24 e 25 anni: doveva essere davvero un genio (era del 1988). Stupisce ancor più apprendere che il giovane se ne andò a studiare negli USA quando era ancora minorenne: ricordo che gli studi superiori terminano a 19 anni, e nemmeno alla fine della quarta si è maggiorenni: a meno che Giulio Regeni sia andato negli USA e terminato là l’ultimo anno, avendo però fatto la “primina”. Insomma, un percorso assai strano, anche per un genio.

Un genio che, molto giovane, s’innamora del Medio Oriente e va a studiare nelle università anglosassoni ne rammenta un altro, nato esattamente 100 anni prima di Giulio e che aveva fatto del Medio Oriente la sua ragion d’essere.

 

Nato nel 1888, Thomas Edward Lawrence (il futuro Lawrence d’Arabia), nel 1907 a 19 anni (pressappoco come Giulio) entra ad Oxford, ma non solo nella celebre università, bensì nella prestigiosa (e molto misteriosa) Round Table, la “Tavola Rotonda” la quale – reminescenze esoteriche a parte – è un cenacolo geopolitico, dove si dibatte (soprattutto) sul ruolo del Medio Oriente nei tortuosi destini dell’Impero Britannico.

 

Nel 1916 – ad un secolo esatto dall’assassinio di Giulio – diventa Capitano (nel 1918 sarà già Tenente Colonnello) del British Army e giunge nella penisola arabica, dove si compirà il suo glorioso destino. Pressappoco alla stessa età di Giulio sarà catturato dai turchi, torturato e seviziato, ma riuscì a fuggire.

Ci lascerà una traduzione dell’Odissea dal greco antico e I sette pilastri della saggezza, il racconto della sua guerra nell’Higiaz, spesso redatta in forma poetica: morirà in uno strano incidente motociclistico nel 1935, che lascerà non pochi dubbi sulla sua morte. Tutti gli atti ufficiali della sua vita sono, ancora oggi, coperti dal segreto di Stato.

 

Come potrete notare, ci sono molte similitudini nelle due vite: se si fa la tara sulle differenze storiche dei due vissuti, c’è da rimanere allibiti. Quasi identici luoghi, nomi, citazioni…Oxford, Cambridge, Onu-Società delle Nazioni…torturato dai turchi l’uno, dagli egiziani (che, all’epoca, erano ancora nell’Impero Ottomano) l’altro. E due morti misteriose, in egual modo sintomatiche di un segreto contorto ma reale, al punto d’eliminare due vite che potevano guastare qualcosa. A poco meno di un secolo, non siamo ancora in grado di sapere perché la motocicletta di Lawrence, di colore verde, avesse dopo l’incidente nitide e corpose striature di vernice nera, né perché nessuno poté avvicinare Lawrence morente.

Così come il nome di chi torturò ed uccise Regeni è ancora misterioso: dietro alla sua vicenda non sono mancate altre morti, ma una risposta non c’è e – a mio parere – come per le tante stragi di Stato italiane, mai ci sarà. Però, almeno tirando la coda di serpente del cui prodest, qualcosa riusciremo a leggere.

 

Giulio Regeni, a differenza di Lawrence, fu torturato ed ucciso: ma, se la morte di Giulio era considerata necessaria per eliminare un nemico, ben difficilmente avrebbero fatto ritrovare il cadavere. Molto semplicemente, avrebbero insabbiato tutto e di sabbia, in Egitto, non ne manca proprio: la sabbia egiziana ha celato discretamente non il frutto di un delitto, bensì le stragi delle moltitudini per migliaia di anni.

Invece, Giulio viene fatto ritrovare, a due passi dal Cairo, sulla strada che porta ad Alessandria: da subito viene giudicato, in modo puerile, un incidente stradale. Proprio il giorno del ritrovamento del cadavere (3 Febbraio 2016), al Cairo era giunta l’allora ministro per le Attività Produttive Federica Guidi, alla testa di una delegazione di 60 imprenditori, per individuare nuovi settori per gli scambi commerciali fra Italia ed Egitto. Vista la situazione, il ministro torna subito in Italia come atto di protesta nei confronti del Paese africano.

 

Non abbiamo elementi probatori per sostenere nessuna tesi: però, che Al-Sisi avesse tutto quell’interesse nel presentarsi al ministro italiano con quel cadavere sul gobbo, ci sembra veramente fuori da ogni logica. Più probabilmente, aveva interesse a farlo chi desiderava che i rapporti fra Italia ed Egitto precipitassero nel baratro. Torneremo su questo punto, ma cerchiamo di sapere qualcosa di più su Al-Sisi e, soprattutto, sul suo predecessore, Mohamed Morsi.

 

Il Generale (oggi Feldmaresciallo) Abdel Fattah Al-Sisi è l’ennesimo militare salito al potere dopo un colpo di stato, dopo Nasser, Sadat e Mubarak.

Il povero Mohamed Morsi, invece, era un ingegnere eletto democraticamente nelle elezioni del 2012 dal partito della Fratellanza Musulmana, un partito che è stato fondato da un insegnante, Hasan al-Banna nel 1928, che propugnava la “modernità coniugata all’Islam tradizionale”. Non hanno mai sostenuto la lotta armata, seppur centinaia di essi siano stato scannati senza remore da Nasser, Sadat, Mubarak e – oggi – Al-Sisi.

Se nel 2012 gli egiziani elessero democraticamente l’unico presidente che sia mai esistito, potremmo affermare che nel suo unico anno di presidenza Morsi si avvicinò un po’ al modello iraniano: appunto, il tentativo di coniugare l’Islam alla modernità. Il che – ossia un nuovo Iran sulle coste del Mediterraneo – non andò a genio a molti, in particolare a quelli che comandano o che vorrebbero (o potrebbero) contare nello scacchiere mediterraneo. Chi “gioca” la partita mediterranea?

 

Ci sono attori di primo piano, e solitamente più defilati, ed altri di livello inferiore, a vari livelli interessati ad alleanze, territori, giacimenti, contratti…e tutto quello che ruota intorno al Mediterraneo da più di due millenni.

USA e Russia (erede dell’URSS) sono attori di primo piano, ed anche quando la Russia è intervenuta militarmente in Siria, l’ha fatto con il piglio della grande potenza: poco impegno, ma micidiale e conclusivo. Gli americani non sono molto interessati al Mediterraneo, poiché hanno già altre gatte da pelare nei Caraibi e nel Pacifico: si limitano al controllo e, come ha fatto la Russia, se intervengono sono rapidi e micidiali (vedi la Libia) mentre, per il resto, si limitano a “consigliare” i loro alleati. E qui c’è il vero gioco geo-strategico, che coinvolge Francia, Italia, Gran Bretagna e, ultimamente, la Turchia.

 

Si veda, ad esempio, come la situazione libica sia tenuta in stallo da americani ed italiani, a Tripoli, contro francesi, egiziani e russi a Bengasi: in pratica, osservando l’equilibrio delle potenze in gioco, potremmo concludere un bilanciamento perfetto. Gli inglesi, da quando hanno perso Malta ed Alessandria d’Egitto mantengono una scarsa presenza a Gibilterra ed a Cipro: quel che conta, per gli inglesi, è che la compagnia di bandiera inglese – la BP – sia sempre in gioco. Ovviamente, nel gioco strategico, sono più vicini agli americani.

 

La Russia è ancora molto soddisfatta per i colpi messi a segno in Siria (e con la Turchia) che le consente basi aeree sulle coste del Mediterraneo e navali (Tartus): di più, non vuole (e non può) fare, per questa ragione il suo appoggio a Bengasi è più legato alla vendita di armi che altro. Già l’aver venduto il sistema antiaereo russo S-400 ai turchi (che non permetterà loro d’avere l’F35?) è stato un colpaccio: vedremo cosa riserveranno i rapporti con la nuova amministrazione americana. Francia e Italia, invece, meritano un paragrafo più approfondito e, forse, qualcosa che c’entra con la morte di Giulio Regeni.

 

Mentre Chernobyl era stata considerata una iattura, Fukushima è stata la dimostrazione che il sistema nucleare non può essere scevro da incidenti: insieme ai mille problemi incontrati nella costruzione della centrale finlandese di Oikiluoto da parte di AREVA (l’ente nucleare francese) la Francia ha compreso che la sola via nucleare non conduce da nessuna parte, soprattutto per la vicinanza dei Paesi europei eventualmente coinvolti in un disastro. Ciliegina sulla torta, è cascata la miriade di problemi che ha incontrato l’apparato motore (nucleare) della portaerei Charles de Gaulle, che è praticamente inservibile, o solo utilizzabile nei brevi periodi fra una rottura e l’altra.

 

Ma, si sa, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale lo sciovinismo francese è salito a mille: perché  non costruire una portaerei nucleare che possa navigare a lungo in tutti i mari della Terra? Ecco com’è finita.

I francesi mormorano a denti stretti epiteti contro la decisione italiana di una seconda portaerei (la Trieste) che andrà ad affiancare la Conte di Cavour, quando la Garibaldi sarà messa in disarmo o trasformata in semplice portaelicotteri. Portaerei grosso modo corrispondenti alla tanto osannata Charles de Gaulle.

Le due portaerei italiane avranno una linea di volo centrata sul F-35 e ben pochi conosceranno la genesi di questo aereo: molti penseranno che, dovendo sostituire i Sea Harrier, sarà un derivato dei Sea Harrier. Niente di più falso.

La concezione dell’F-35 deriva (controllate le immagini se non ci credete) dai prototipi e dagli studi sullo Yak-141, costruiti nell’URSS prima della sua caduta – e che avrebbero dovuto fornire la linea di volo per le 4 Kiev, poi vendute o travolte nel disastro dell’URSS – che i russi hanno “gentilmente” fornito salvo poi, volendo anch’essi munirsi di un caccia imbarcato, oggi lo stanno riprendendo per migliorarlo rispetto all’F-35 americano. Chiusa parentesi (scusate).

 


Dopo l’apoteosi nucleare, la Francia ha dovuto  rendersi conto che doveva rientrare – e pure velocemente – nel gran gioco del gas, che è quello che consente di produrre energia al minor tasso d’inquinanti: una delle ragioni della guerra libica del 2011 fu proprio questa, non tanto il controllo delle aree fornitrici d’Uranio del Ciad e del Niger, che già controllavano. Ci fu, anche, una collaborazione con l’Italia, ossia lo spiegamento di una forza comune nell’area sub-sahariana per mantenere il controllo del Fezzan e delle aree limitrofe.

Ma, a questo punto, successe qualcosa.

Chi si era avvantaggiato dal parziale abbandono della ricerca di petrolio e gas della Francia, “drogata” dall’apoteosi nucleare?

Principalmente l’ENI (ma anche la BP) perché l’ENI – negli anni successivi alla guerra libica – fece il “colpo da maestro” nell’area del Mediterraneo orientale, scoprendo due giacimenti di gas (Zohr e Noor) dei quali non si conosce nemmeno, con esattezza, la quantità di metano che contengono: si sa soltanto che sono i più grandi del Mediterraneo finora scoperti, più altri minori nelle acque territoriali egiziane ed a terra.

Quando si trovano miliardi e miliardi di risorse fossili, scattano una serie di accettati ed abbastanza comuni accordi e pianificazioni giuridico-economiche, accordi che soddisfano le compagnie, gli Stati proprietari delle compagnie e gli stati limitrofi alle scoperte. Sinteticamente, le compagnie pagano delle royalties agli Stati, che le compagnie pagano in metano direttamente allo Stato limitrofo ai giacimenti (in questo caso l’Egitto), oppure denaro…insomma, ci sono tante “varie ed eventuali”, ma la sostanza è che, da quei giacimenti, guadagnano l’ENI, l’Italia (praticamente proprietaria di ENI, grazie alla Golden Share), e l’Egitto.

Se ci sono collaborazioni in ambito tecnico, vengono suddivise nell’ambito della resa dei giacimenti: è il caso di BP, che partecipa al 50% su alcuni giacimenti e della compagnia nazionale egiziana. Se lo avete notato, Ansaldo ha appena consegnato ad un’azienda di Marghera la più grande turbina a gas per la produzione elettrica che sia stata mai costruita, con rendimenti mai raggiunti. E da dove viene il gas? Dai giacimenti egiziani, trasportato su gasiere nei serbatoi dove rimane allo stato liquido intorno ai -170° e viene scaricato fra Chioggia e Porto Levante, dove ci sono le piattaforme con gli hub dai quali partono i metanodotti.

E la Francia?

La Francia ha ottenuto qualcosa con la guerra in Libia, ma è poco o nulla rispetto ai risultati italiani. Con il governo Gentiloni scaturì uno strano accordo mascherato da fumose “revisioni” dei confini marittimi: ossia, la Francia otteneva delle aree di pesca italiane, mentre l’ENI otteneva libertà assoluta di sondare il Mediterraneo occidentale, in acque internazionali, ad Ovest di Corsica e Sardegna. L’accordo abortì con il nuovo governo: forse, non tutti si fidarono delle assicurazioni francesi su quella “libertà assoluta”.

Mentre in Egitto parecchi pozzi sono affidati ad ENI al 100%, altri a metà con BP, finalmente nel 2017 compare il primo pozzo suddiviso in tre parti, la principale (circa il 40%) ad ENI e le altre due a BP e Total. Nel 2020, ad esempio, per la gestione del pozzo di Nor El-Hammad la ripartizione è stata del 37,5% ad ENI (con il ruolo di Operatore), il 37,5% a BP (GB) ed il 25% a Total (Francia).

 

Come potrete notare, la situazione libica s’è molto raffreddata e non ci sono più colonne corazzate che cercano d’entrare a Tripoli. Sarà avvenuto il miracolo o si è trovato un accordo? Tutti questi movimenti ricordano parecchio l’accordo Sykes-Picot del 1920, ossia la necessità di suddividere le “dipendenze” coloniali (od ex-coloniali) fra le potenze europee, senza dimenticare gli USA ed Israele, che fanno parte anch’essi della torta del metano egiziano. Lawrence sbatté la porta, a Parigi, andandosi a sedere con la delegazione araba – ossia quelli che avevano realmente combattuto nell’Higiaz – ma la “madre” Gran Bretagna lo lasciò sbattere, dimenticandosi di lui.

 

E veniamo all’ultimo arrivato, ossia al nuovo Sultano di Costantinopoli, il quale non vive certo giorni tranquilli: da un lato rischia d’essere gettato a mare dalla NATO, dopo essere stato rifiutato dall’Unione Europea e, dopo aver comprato il sistema di difesa aerea da Putin, di Putin si deve fidare.

Da buon neo-Sultano Ottomano che si rispetti, la butta in caciara: minaccia di tornare a riprendersi la Libia e si comporta come se in Egitto fosse un suo dipendente a comandare, com’era nell’Ottocento.

Qualcosa gli danno, tanto per tenerlo tranquillo, ma quando minaccia con al flotta le piattaforme dell’ENI e le gasiere in transito, bastano due fregate (una italiana, l’altra francese) per fargli mettere le ali ai piedi, mettere la coda fra le gambe e passare subito i Dardanelli, per tornare nel più sicuro Mar Nero.

Possiede uno dei più numerosi eserciti del mondo, ma non ha strutture all’avanguardia per proteggerle, qualora immaginasse qualche sortita da qualche parte del Mediterraneo: insomma, tanta pubblicità ad uso interno e Putin lo usa come “grimaldello” nei confronti della NATO, ma – a mio avviso – non si fiderebbe di lui manco per comprare un’utilitaria. Perciò, Erdogan in questa faccenda di morti e petrolio c’entra come il due di coppe, con la briscola bastoni.

 

Ora, torniamo a Giulio Regeni ed alla sua sfortunata vicenda.

Nel 2015, l’ENI scopre Zohr, il primo grande giacimento di metano in area egiziana: non sappiamo quali siano stati gli accordi internazionali dell’epoca, sappiamo però che l’Italia è in forte contrasto con la Francia per la nuova “suddivisione” del petrolio libico, che non la soddisfa affatto. L’Italia costruisce una flotta di tutto rispetto, non solo portaerei, ma anche sottomarini (di progetto tedesco) e parecchie navi di superficie. La Francia macina male la cosa, perché il suo sciovinismo di nazione “vittoriosa” nella Guerra Mondiale la fa credere onnipotente. Consiglierei i francesi di cercare un pusher migliore: ciò non toglie, però, che qualche bastardata a livello di servizi la possano pure immaginare.

 

Nel 2016 Giulio Regeni va in Egitto e si mette a studiare la società egiziana partendo da un settore che lo solletica: i venditori ambulanti, che in Egitto sono almeno 100.000 (la cifra esatta nessuno la conosce, manco gli egiziani) e che sono la grande distribuzione “porta a porta” in tutto il Paese. Vuole solo completare la tesi, niente di surreale.

Per le sue esigenze, contatta il segretario del loro sindacato il quale, in passato, ha creato parecchi grattacapi al potere politico, al punto che il segretario è attentamente controllato dai servizi segreti, e lui lo sa benissimo.

Il nemico più difficile da stanare e distruggere, per Al-Sisi, è sempre la Fratellanza Musulmana, la quale ne ha ben donde: hanno defenestrato il presidente regolarmente eletto e poi gli hanno fatto fare la solita “brutta fine”. Non più impiccato come Said Qubd o i molti ammazzati in mille modi diversi: ufficialmente muore d’infarto, nel 2019, durante l’ennesimo processo (era stato condannato a morte, poi avevano deciso di rifare il processo: l’esito non è cambiato).

 

Ma per Al-Sisi – per quanto ci sia simpatico come Francisco Franco od Augusto Pinochet – non riusciamo a trovare una logica plausibile per scovare una ragione per gioire, nel giorno della visita della Guidi in Egitto, a sbattergli fra i piedi il cadavere di un ragazzo italiano.

Potrebbe mai, la Fratellanza Musulmana, pensare che l’uccisione di Regeni potesse rappresentare un buon motivo per liberarsi del sadico persecutore? Mi sembra molto strano, e per due motivi: Giulio Regeni era una persona sconosciuta alla popolazione egiziana, inoltre la Fratellanza ha sempre aborrito la via della guerriglia contro il potere. Non ci sembra un valido motivo.

 

Al-Sisi ha cercato più volte di “fare giustizia” all’egiziana per la questione Regeni, perché la cosa è sempre un fastidioso scoglio nelle relazioni fra i due Paesi. Mi rendo conto che, messa così, la vicenda assume tinte di cinismo ma, rediamoci conto che da parte egiziana così viene vista.

Così, fece ritrovare i documenti di Giulio e la Polizia (?) uccise in un conflitto a fuoco 4 terroristi (?) colpevoli del rapimento e quindi dell’uccisione di Giulio. Tutto risolto? Per niente, poiché le prove evidenziate agli inquirenti italiani mostrarono chiaramente che, dai tabulati telefonici, i 4 “terroristi” si trovavano, la sera del rapimento di Giulio, a più di 100 chilometri dalla sua abitazione. Inoltre, i colpi evidenziavano non un conflitto a fuoco, bensì l’uccisione a freddo e da brevissima distanza dei quattro.

 

Da questo, però, possiamo ricavare che Al-Sisi è riuscito a mettere le mani sui veri assassini di Giulio – se aveva i documenti! Scomparsi per anni! – ma, evidentemente, qualcosa gli impedisce di poterlo chiarire.

Quale può essere la ragione, per la quale non può farlo?

Perché, evidentemente, i mandanti – sapere gli esecutori non è poi così importante – sono personaggi vicini ad un’altra potenza e, se si scontenta l’Italia, non si possono scontentare gli altri. Poi, che gli agenti di una potenza straniera – magari per questioni di energia – abbiano deciso di uccidere Regeni per avvelenare le relazioni italo-egiziane, non sarebbe per niente strano. I servizi, spesso, si vendono al miglior offerente: in questo caso, vengono semplicemente definiti “deviati”. Il “lavoro sporco” in questi casi, non viene eseguito dai servizi del Paese interessato, bensì pagando profumatamente settori che si conoscono dei servizi di quel Paese, senza rischiare che un qualsiasi incidente porti in primo piano personale di Paesi esteri.

 

Perciò, la “coda di serpente” del cui prodest ci indica chiaramente che la vicenda è maturata e si è conclusa nell’ambito del mondo dell’energia e dai sussulti internazionali che esso provoca. Ovviamente, senza prove non si possono lanciare accuse. Perché non uccidere, ad esempio, un ministro od un ambasciatore? Troppo pericoloso: storie del genere difficilmente si concludono senza un lancio di missili, magari con il palazzo presidenziale come obiettivo. Gli inglesi, ad esempio, non si fecero problemi a buttare nel cesso Lawrence, dopo che gli aveva consegnato il Medio Oriente su un piatto d’argento! E, tutto sommato, Giulio Regeni era meno conosciuto di Thomas Edward Lawrence.

 

Rimane il dolore di quei due genitori. Potremmo affermare “la persona giusta nel posto sbagliato”, ma questo non acquieterebbe di certo il loro dolore.

Se vogliono, possono domandarsi di chi era la voce (era di un italiano chiaramente del Sud) che alla radio militare – nella concitata sera che portò al rogo del Moby Prince – con voce tranquilla, disse semplicemente “Mobby Prins, pigghiatelo n’tu culo”. I familiari di tutti quei morti ancora se lo chiedono.  

 

(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_di_Giulio_Regeni