31 luglio 2010

Diamo i numeri, va…tanto…

Già che siamo in pieno periodo di vacanze e, contrariamente ad ogni tradizione della politica italiana, si è scatenata la tempesta che da tempo era latente, proviamo a sondare il futuro che c’aspetta. Perché di cose strane ce ne sono, e parecchie.

Una prima notazione a margine, riguarda la stranezza dei tempi nei quali s’è consumata la crisi: sono anni che andiamo dicendo che la politica, nel senso soprattutto delle decisioni impopolari, si svolge d’Estate. Ciò è figlio legittimo e diretto di una legge elettorale che esclude, di fatto, i cittadini dalla possibilità di vera scelta: si sceglie sì un simbolo, ma su nomi che non si sa nemmeno chi siano e, soprattutto, cosa faranno.
Riflettiamo che, alle ultime elezioni politiche, elettori di fede berlusconiana avranno contribuito ad eleggere Bocchino mentre, gli ex AN, avranno in parte eletto Cicchitto (un ex socialista!). Questo per dire che, senza poter esprimere una preferenza su un nome, è l’apparato a decidere.
Perciò, stabilito che gli elettori sono soltanto “parco buoi”, è perfettamente logico aprire una crisi politica dagli esiti molto incerti, ma sicuramente esiziali, proprio quando l’elettorato è in vacanza o meno attento.

La seconda notazione a margine riguarda noi, l’ampio popolo che – oramai – concepisce la politica in modo assai diverso, oseremmo affermare in modo “primigenio”: l’agorà contro l’oligarchia, tanto per semplificare, e che pone veri problemi politici quali economia, moneta, energia, territorio, agricoltura, trasporti, decrescita, ecc.
Per alcuni, non vale la pena di “scaldarsi troppo” per l’attuale fase d’incertezza politica, per altri è invece importante seguirne gli sviluppi.
Forte dei molti articoli nei quali ho sempre sostenuto la necessità del completo ricambio della classe politica (propagandando l’astensionismo), vorrei sposare – in modo pragmatico, quasi “leninista” – la tesi dei secondi, perché la “grande confusione sotto il cielo” è una condizione favorevole per chi desidera imporre radicali mutamenti.
Non vorrei che qualcuno, frettolosamente, la prendesse come un elegante modo per giustificare un mutamento di posizione, l’essere voltagabbana o quant’altro: rimango dell’idea che, da questa classe politica, dobbiamo attenderci un solo evento per noi positivo. Le dimissioni in massa.
Non per questo, però, seguire gli eventi è cosa inutile e – con tutte le precauzioni del caso, senza aspettarsi nulla, ripeto in modo “leninista” – alle prossime elezioni politiche (che giungeranno presto) si potrà anche prendere in considerazione l’ipotesi di votare.
Vediamo quali sono gli scenari.

Per Berlusconi, l’uscita dal PdL dei “ribelli” rappresenta la fine del suo governo, non giriamoci in tondo inutilmente: lui, lo sa benissimo.
Anche il modo, con il quale s’è giunti alla resa dei conti, è assai fumoso: Berlusconi, oggi, sembra adirato con gli ex “colonnelli” di Fini a lui fedeli, i quali pare gli avessero confidato un massimo di 21 “ribelli”. Alla Camera, la differenza fra i 21 ipotizzati ed i 33 reali, è la discriminante per la continuità del governo. Un errore così marchiano? Da parte di una persona che è sempre stata attentissima ai “flussi di mercato”?

Poi, sempre Berlusconi, comunica che – dai sondaggi che ha fatto eseguire – la “pattuglia” di Fini, se si votasse oggi, acquisirebbe il 3% dell’elettorato se alleata al PdL, solo l’1,2% se corresse da sola. L’ultima parola della frase appena conclusa, declinata in romanesco, ben s’adatta per definire questo strano “sondaggio”.
Che sia una “sòla” viene più di un sospetto, giacché i numeri espressi – se si considera che AN raggiungeva circa il 13% solo due anni fa, che il “Secolo d’Italia” è tuttora fedele a Fini ma, soprattutto, che la fondazione “FareFuturo” è molto attiva – non sembrano molto coerenti. Un altro sondaggio – commissionato da Repubblica – assegnava ad una coalizione “centrista” (Fini, Casini, più minori) addirittura un 22%.
In medio stat virtus?
Non lo sappiamo e, forse – siccome i risultati elettorali sono diversi dalle intenzioni di voto espresse mesi e mesi prima – nessuno lo sa per certo.
Sicuramente, partendo dal potenziale elettorato di Fini, quel “1,2%” ci sembra più che altro una speranza del Cavaliere: da tempo, sappiamo che i sondaggi non sono più rilevazione, bensì arma politica. Notiamo, a margine, che nel “sondaggio sòla” berlusconiano manca il dato di una possibile alleanza di Fini con Casini.
E veniamo ai dati politici.

Silvio Berlusconi ha bisogno della Lega per governare, mentre la Lega ha bisogno di Berlusconi per il sempiterno federalismo: ovvio che, “numeri” come quelli che avevano fino a pochi giorni fa, non li avranno più, nemmeno in sogno. Questo, giustifica l’ira di Bossi, che la nasconde dietro al dito medio alzato.
Anche l’alleanza fra Berlusconi e la Lega, però, si regge su un equilibrio assai instabile, giacché la legge federalista richiede cospicue risorse per il famoso “fondo perequativo” dell’art. 119 previsto dalla Costituzione (conditio sine qua non, per non finire cassata dalla Consulta) ma, raggranellare soldi con questi chiari di luna, significa “tosare” l’elettorato, anche il proprio.
La secessione di Fini – ci sono senz’altro più motivi – dal punto di vista economico nasce proprio da qui: la “tosa” eseguita in Finanziaria sui dipendenti pubblici, nel Sud molto vicini alla ex AN ed ai partiti di centro. Era l’ultima fermata, per Fini, nella quale cercare di rinsaldare il legame con il suo tradizionale elettorato: saranno pure questioni di “legalità”, ma si dà il caso che la crisi s’è consumata proprio il giorno successivo al varo della manovra economica.

Se Berlusconi è assediato da Fini, lo è anche da Bossi e da Tremonti: i “risparmi” necessari per varare i decreti attuativi del federalismo gli precludono, al governo, quei “coup de théâtre” ai quali ci ha abituato: pensiamo alla promessa dell’abolizione totale dell’ICI, mediante la quale erose il vantaggio di Prodi (a parte i possibili brogli elettorali).
In altre parole, imbrigliato da Tremonti su una linea di rigore apparente – in realtà, Tremonti sta massacrando il rapporto debito/PIL, che galoppa verso il 120%, probabilmente la “quota di rottura” del “sommergibile Italia” – Berlusconi non ha margini per le solite promesse. Le quali, poi, non è detto che debbano essere mantenute al 100%: nella situazione attuale, però, sono addirittura impresentabili solo come concetti.
Come può, Berlusconi – che come tutti i piazzisti, ad ogni giro dei clienti, deve presentare sempre nuovi sconti – fare promesse accattivanti al suo elettorato, senza essere subito ripreso il giorno seguente da Tremonti?

Per queste ragioni, Berlusconi punta ad elezioni, e presto, prima che gli ex AN s’organizzino e scatenino la bagarre anche negli Enti Locali (la conta, anche lì, è già iniziata). Fare presto, anche per presentare alla Lega un conto salato: l’unica alternativa sono io – per voi, ponti bruciati con tutti – perciò la guida politica ed economica la assumerò io in prima persona e zitti, altrimenti chiudo la baracca, vado a vivere alle Cayman ed a voi non rimane che tirar fuori i fucili. A tappi.
E, abbiamo la presunzione di credere che questa sarà l’impostazione di Berlusconi per l’Autunno: elezioni. La Lega non potrà fare altro che ingoiare il rospo: rassicurerà il suo elettorato con la certezza che l’alleato metterà in campo tutto il suo armamentario mediatico. Come sempre, però, Berlusconi lo farà pro domo sua: questo, però, Bossi non potrà ammetterlo e gli toccherà centuplicare i raduni delle ampolle e delle corna di Brenno.
E gli altri?

Ci sono due scenari: la “Santa Alleanza” da Fini a Di Pietro oppure due alleanze, quella Fini-Casini (e minori) e la PD-IDV con il “recupero” della sinistra radicale e dei Verdi.
La “Santa Alleanza” sarebbe un regalo per Berlusconi: avrebbe la possibilità di scatenare la “caccia al comunista” che gli è così congeniale. Inoltre, tempi così stretti, non consentirebbero ai transfughi del PdL un simile “salto della quaglia”.
Ricordiamo, però, che l’attuale Costituzione prevede che il governo sia espressione del Parlamento: ossia, nulla vieta che un governo nasca infischiandosene della consuetudine d’indicare il candidato premier. La quale è solo, appunto, una consuetudine, mentre l’altra è norma di rango costituzionale.
Potremmo allora ipotizzare, alle prossime e non lontane elezioni, tre schieramenti: Lega-Berlusconi, Fini-Casini-minori e PD-IDV-minori.

Il risultato sarebbe un nulla di fatto: anche con il premio di maggioranza, difficilmente Berlusconi raggiungerebbe l’agognata “governabilità”. Lo scenario più probabile sarebbe una diversa composizione della Camera rispetto al Senato: chi di “porcellum” colpisce, di “porcellum” perisce. E non c’è il tempo, e soprattutto la voglia (ossia prendersi il rischio), di cambiare la legge elettorale.
Un’alleanza fra Berlusconi da un lato, Fini e Casini dall’altro, sarebbe una sorta di governo “sotto tutela” ed il Cavaliere (meno che mai Bossi) lo accetterebbe mai.
Riflettiamo che per tutti – Berlusconi compreso – giocare la partita con gli inevitabili rischi è oramai scelta obbligata: siamo al redde rationem.
Dopo un simile, incerto risultato, l’unico governo possibile sarebbe la “Santa Alleanza” ma, questa volta, nata sui banchi del Parlamento, che scapolerebbe parte degli attacchi berlusconiani in campagna elettorale. La benedizione di Napolitano sarebbe certa e, il Paese, s’avvierebbe verso un governo – in pratica – di “emergenza” e quasi istituzionale. Il grande sogno di Casini.
Come si comporterà l’elettorato?

Voterà, come sempre, per fede o per tradizione, già…ma quanti voteranno? L’ampia area dell’astensionismo, come si comporterà?
Siccome ne facciamo parte, è plausibile porsi il dilemma se continuare nell’astensionismo – con il rischio di consegnare ancora una volta il Paese a Berlusconi – oppure se scegliere uno qualsiasi dei partiti della “Santa Alleanza”, con il rischio di trasformare un governo di “emergenza” in una formazione con forte consenso e, quindi, in un governo politico a tutti gli effetti.

Togliersi Berlusconi di mezzo è senz’altro la prima necessità: non per una mera questione d’antiberlusconismo, bensì perché il Cavaliere rappresenta – da sempre – una fase di “blocco” o di “congelamento” nella società italiana.
Spesso, Berlusconi ha finito per rappresentare tutti gli alibi per chi non aveva una proposta politica, qualcosa di convincente da raccontare agli italiani: basta essere contro il Cavaliere e siamo tutti a posto. La fine dell’alibi, rappresenterebbe anche la fine delle mille scuse: Bersani, ad esempio, dovrebbe avere una posizione chiara sul nucleare, perché Casini e Fini lo esigerebbero.

Sull’altro versante, quindi, le possibilità che un simile governo riesca a governare seriamente sono assai scarse: siccome “governare” – oggi – significa essere meri esecutori degli ordini che giungono dall’alto, dalle consorterie bancarie, da alcune cancellerie straniere, dai più nascosti e misteriosi gruppi di potere…avere sul proscenio un’accozzaglia di mediocri e litigiose comparse, potrebbe essere un vantaggio.
In una fase successiva – fallito Berlusconi, e fallita pure la “Santa Alleanza” che doveva tutto rimettere a posto – potrebbero finalmente dischiudersi gli spazi per una proposta veramente democratica, ossia una legge elettorale che fosse appositamente scritta per il ricambio generazionale e qualitativo della classe politica.

La nuova legge elettorale dovrebbe essere, a quel punto, puramente proporzionale e le leggi che regolano l’ammissione di nuovi partiti dovrebbe essere ricopiate dal modello tedesco: 50 firme di fronte al segretario comunale. Una sorta di nuova Assemblea Costituente.
Sgombriamo il campo dalle possibili interpretazioni complottiste, della serie: il centro sinistra è l’esecutore di Goldman & Sachs, poiché da quelle parti nessuno si salva. Non è forse, Tremonti, un membro attivo del Bilderberg? E allora? Forse che Berlusconi, con il suo impero economico, non ha rapporti con le grandi banche d’affari? Suvvia, non siamo fessi.

L’ipotesi – ripeto, per ora solo un’ipotesi – di poter attuare una strategia da “Orazi e Curiazi”, nel senso d’estromettere prima uno scomodo Cavaliere e, in seguito, dei penosi fantaccini, potrebbe dischiudersi. D’altro canto, anche chi desidera costruire un’alternativa, sa benissimo che prima di costruire una casa bisogna sgombrare le macerie: qui, di macerie, ce ne sono tonnellate.
Perciò, sarebbe utile aprire un dibattito sulla possibilità d’usare il voto come arma contro la Casta, avendo chiaro che l’obiettivo è quello d’eliminarla tutta, diciamo “a sezioni”.

Infine, voglio ricordare che – negli stessi giorni nei quali s’è consumata la crisi politica – due ragazzi italiani sono morti in Afghanistan mentre sminavano delle strade: sono morti per una guerra stupida ed ingiusta, voluta e sorretta da tutte le parti che oggi compongono il Parlamento. Il quale, preso dai suoi affari di bottega, non s’è degnato nemmeno di una parola: proprio quelli che, ad ogni tentativo di criticare le missioni all’estero quando tornano delle bare, subito ricordavano “che, quando ci sono delle vittime, ogni dibattito deve zittirsi, per onorare i caduti.”
Bell’esempio che hanno dato.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

30 luglio 2010

Oggi, 29 luglio…

Strana data per sancire la fine di un’epoca, il canto del cigno di Silvio Berlusconi e del berlusconismo: a metà fra un 25 Luglio di storica memoria ed un 29 Settembre di ricordi canori, quelli di anni che – a loro volta – ricordavano il 25 Luglio come il necessario prodromo del 25 Aprile, ed il 29 Settembre solo per sognare con le note dell’Equipe 84.
Sicuramente, Silvio Berlusconi – così attento ai cicli astrali ed alla Ghematria – ci avrà fatto caso, ma non poteva farci proprio più nulla.

In un certo senso, Berlusconi ha scelto: ha scelto la Lega Nord come alleato – nonostante le tirate d’orecchi da parte dell’UE per le quote latte – ed ha abbandonato al suo destino il Sud che lo votava, che lo credeva l’uomo della Provvidenza.
Perché lo ha fatto?

Sembrerà banale: perché non aveva altra scelta mentre, tagliando il nodo gordiano, spera d’averne ancora in futuro. Anche se, realisticamente, ci sembra assai improbabile.
La vicenda è nota e stranota: un colpo oggi ed uno domani, i “dissidenti” del PdL tagliavano le ali ai fedelissimi del “capo”, anche perché quegli ignavi erano così fedeli da seguirlo sulla via dell’illegalità la quale, da sempre, è stato il suo cavallo di battaglia.
Solo che, un proverbio orientale recita: “Se la volpe pensa di comportarsi come la tigre, finirà soltanto per rompersi la schiena”. Ed è ciò che è avvenuto ai vari Scajola, Cosentino, Brancher (che è passato da “ministro” a pregiudicato, due anni sul groppone) e compagnia cantante. Domani, sarebbe toccato a Verdini e Caliendo, poi ad altri: quando se ne fanno più di Carlo in Francia, dopo non si può invocare la persecuzione. Ma procediamo con ordine.

Silvio Berlusconi ha precisato, nella sua conferenza stampa, che le decisioni dell’ufficio politico del PdL sono state prese subito dopo il varo della manovra economica da 25 miliardi di euro: questa, dovrebbe essere stata la sola condizione posta da Tremonti.
Varata la Finanziaria, non c’è stato nessun pudore nel comunicare che, la legge sulla stampa – il cosiddetto “bavaglio” – era stata rinviata a Settembre, cioè…a data da destinarsi, cioè…alle calende greche.
La rinuncia a quella legge significa, per Berlusconi, l’addio alla legislatura giacché – senza quella legge – verranno a galla tonnellate di macerie politiche, il solito letamaio senza fine.
Perché, allora, mollare?

Diciamolo in modo semplice e comprensibile a tutti: poiché, quando non si riesce più a procedere a cavallo se la schiena duole, si smonta e si prosegue a piedi.
D’altro canto, in questa legislatura e con questi equilibri interni, il PdL non sarebbe mai stato in condizione di garantire all’alleato “strategico” – la Lega Nord – il “pagamento” della “cambiale” federalista.
Meglio quindi rimescolare il mazzo ed uscire verso elezioni anticipate: per Berlusconi – finito nell’angolo – la scelta elettorale lascia intravedere qualche speranza e molti rischi, ma sempre meglio della graticola odierna.

Il primo motivo è senz’altro di natura economica: stabilito che una Finanziaria come questa non s’era mai vista – cancellati i contratti di lavoro di 4 milioni di dipendenti pubblici nel volgere di un voto – c’è da osservare che il debito pubblico continua ad avanzare imperterrito.
Per il prossimo anno, saranno circa 120 miliardi in più, per i quali sarà necessario scovare altri 5 miliardi per gli interessi: dove prenderli? Oggi ha sacrificato l’elettorato del Sud: e domani?

Altre “tegole” economiche sulla testa obbligherebbero il Governo a dover toccare, forzatamente, quei capitoli di bilancio per i quali Berlusconi è giunto quasi alla rottura con Tremonti: soprattutto la tracciabilità dei pagamenti, che vorrebbe dire la fine di quella entante cordiale che, da sempre, il grande evasore ha con i suoi valvassori e valvassini, i medi e piccoli evasori.
Ma, questa, sarebbe veramente la fine del berlusconismo, giacché sarebbe minato alla base quel patto che unisce l’impunità fiscale dei grand commis di Stato con quella, minore ma tollerata per la necessità di prender voti, del popolo delle “Partite IVA”.

In seconda battuta, Berlusconi sorride sotto i baffi al pensiero dello “spettro” di bilancio che, eventualmente, lascerà ad un nuovo governo: qui non c’è più “polvere sotto il tappeto”, qui ci sono le montagne russe.
Tutto sommato, oggi – dopo aver ottemperato ai suoi doveri nei confronti delle burocrazie bancarie ed europee – Silvio Berlusconi può nuovamente giocare “a mani libere” anche se – e lui lo sa benissimo – ciò rappresenterà, al 90%, il rischio d’elezioni.

Tutto sommato, però, la prospettiva di girare sulla graticola ancora per mesi e mesi – oggi scoprono un ministro con le mani nella marmellata, domani un altro – non è accattivante: meglio la battaglia elettorale, nella quale potrà sfoderare le armi che più gli piacciono, a suon di “traditore” nei confronti di Fini, battute e barzellette comprese.
Se, poi – come alcuni sondaggi sembrano indicare – un’alleanza contro di lui da Fini a Bersani lo disarcionasse, potrebbe sempre mettersi sulla riva – forse non proprio al punto d’aspettare il cadavere del suo nemico, sarebbe chiedere troppo… – per creare, giorno dopo giorno, il battage mediatico/pubblicitario a suo favore, cosa nella quale sa destreggiarsi con grande abilità. Della serie: avete visto? Sono dei buoni a nulla: se c’ero io…

Sull’altro versante, Berlusconi sa benissimo di non esser gradito alla Casa Bianca e sa d’avere, anche in Europa, pochi estimatori: vorremmo scommetterci qualcosa ma, qualora dovesse finire nella polvere, riteniamo che anche i tanto vantati “amici” nel Pianeta si scorderebbero presto di lui. Anzi, ne parlerebbero con fastidio, come per una cena iniziata sotto i migliori auspici e finita con gente che vomita.

Senza la legge-bavaglio da approvare, c’è da presumere che le vacanze parlamentari, di fatto, giungeranno assai presto e saranno piuttosto lunghe: bisognerà giungere a Natale – già, praticamente, in campagna elettorale – per sancire la definitiva fine del Governo ed indire elezioni per la Primavera.
Non crediamo che, questa volta – anche con la sua potenza mediatica – Berlusconi riuscirà a sconfiggere un Fato oramai troppo avverso. Riconosciamo però, a Berlusconi, d’aver fatto la miglior scelta possibile: quella che la disperazione imponeva.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

26 luglio 2010

Ci vuole un bel coraggio

Nulla è più triste a vedersi di un giovane pessimista, eccetto un vecchio ottimista.”
Mark Twain

Se l’ennesima querelle estiva della politica italiota fosse soltanto il comune “salto della barricata”, non ci sarebbe troppo da stupirsi: è lo sport più praticato nel Belpaese.
L’unico “bene” che l’Italia sa riciclare sono i politici: la monnezza no, non fa notizia, la lasciamo ai posteri.
Sicché, quando abbiamo letto[1] che il prof. Umberto Veronesi sta meditando d’accettare una poltrona di una certa importanza, niente po’ po’ di meno che da Sua Sultanaggine Silvio I da Arcore, la cosa più di tanto non ci ha strapazzato le budella: uno più, uno meno…
Nemmeno la “rampogna”, subito emessa dal segretario del Politburo Pidieddino Bersanowskj, ci ha stupito: fa parte del gioco rampognare – ma con delicatezza, si tratta pur sempre di un luminare della medicina e…s’am vegn an chencher? – chi lascia la vecchia via per la nuova, i “traditori”, eccetera…

Siamo venuti così a sapere che, l’esimio professore, ha una poltrona senatoriale PD senza nemmeno essere iscritto al partito! Grillo era iscritto e non l’hanno lasciato partecipare alle primarie, questo non è nemmeno iscritto e diventa senatore…che strano partito questo PD, non finisce mai di stupire…
A dire il vero, la “poltrona” offerta da Berlusconi ci potrebbe anche stare: siccome si tratta del ruolo di controllo per le future (a quando? Mah…) attività nucleari italiane, verrebbe da dire che si tratta di una “cortesia” istituzionale. Un po’ come il controllo dei servizi segreti, che spetta per tradizione all’opposizione: Berlusconi fa le centrali e Veronesi, in conto PD, controlla. Ma non è così.
La cosa non quadra perché Veronesi non è minimamente critico nei confronti del nucleare, è entusiasta!

Chiariamo che non è necessario essere degli adoratori del sole per essere ferocemente contrari al nucleare: si può accettare il nucleare come il male minore, esprimendo però tutte le cautele e le critiche del caso. Una posizione che potrebbe ricordare quella di Carlo Rubbia.
Invece, il nostro arzillo gran dottore, non ha il minimo dubbio: è così, naif, proprio come Minzolini è “direttorone”, Veronesi s’appresta a diventare “professorone” nella squadra del Banana.
E’ addirittura pronto a lasciare la poltrona di senatore (vedremo…) pur di partecipare alla Gran Lotteria dell’Atomo, il maestoso gratta e vinci per tutte le tasche (dorate) che dovrebbe andare in onda dopo i vari G8, il terremoto, la “Protezione Civile s.p.a.” (terminata con un aborto procurato), le case al Colosseo e tutta la gran cagnara alla quale assistiamo da troppi anni.
Quel che fa spisciazzare dalle risate, sono le motivazioni addotte per l’adesione: una serie di metastasi para-scientifiche spacciate per il Verbo Divino. Cominciamo dall’inizio.
Anzitutto, herr professor afferma:

“Mi affascina il pensiero che un neutrone scagliato contro un atomo di uranio possa far scaturire una quantità di energia così gigantesca da risolvere buona parte del fabbisogno energetico del mondo.”

Liquidando la faccenda sotto il solo profilo della “fascinazione”, si potrebbe ricordare che 200.000 giapponesi lo furono prima di lui, ma sarebbe scorretto perché Veronesi si riferisce agli aspetti civili. Meno male: non vorremmo ritrovarci, domani, la reincarnazione di Oppenheimer che sorveglia le attività nucleari.

Già che siamo nel girone del “fascino” e della reincarnazione, anche nella mia famiglia siamo rimasti gioiosamente stupiti quando un colombo ha deciso d’abitare – in piena Estate – nel locale caldaia. Esce in cortile, s’accuccia nel vaso del prezzemolo e, quando lo scacci, torna vicino alla caldaia con l’aria offesa, quella dell’onor ferito. A volte, invece, entra dal balcone e si sistema direttamente in cucina: t’osserva con aria di sufficienza e tuba. Mah…
Io l’ho chiamato “ Il Colombo Jonathan Livingstone”, mentre mia moglie è convinta che sia la reincarnazione di Danny – il nostro gatto, che amava spiare i piccioni appollaiato sopra il frigorifero – il quale è sparito misteriosamente qualche mese fa, in completa assenza di vicentini nelle nostre contrade.
Si può rimanere “affascinati” da un piccione il quale, ostinatamente, vuole vivere in famiglia e non partecipare alle comuni attività di volo di squadra con i suoi compagni: non per questo, però, mia moglie ha chiesto la presidenza della Protezione Animali!
Passiamo oltre la prima giustificazione – potremmo classificarla di tipo “filosofico”? Mah… – e veniamo a quelle più pratiche.

La prima, incontrovertibile verità “veronese” – e se fosse, invece, un vicentino mascherato che s’è mangiato Danny? – è che l’attività nucleare “libera” l’uomo dalla schiavitù energetica.
Che l’atomo produca energia è incontrovertibile, peccato però che nessuno ci punti più molto: forse, l’esimio professore, non sa che gli ultimi vent’anni sono stati i più fortunati per l’industria elettro-nucleare.
Il “miracolo” avvenne grazie agli accordi SALT, mediante i quali gli USA e l’URSS/Russia si liberarono di una gran quantità di ferrivecchi degli anni ’50, e l’Uranio ricavato venne messo in vendita per le attività civili.
Non fu amorevole adorazione della pace, bensì una misera storia di convenienza economica: le testate degli anni ’50 erano singole, ossia ogni missile ne portava solo una a destinazione.
Oggi, con il progredire (sic!) della scienza e della tecnologia, è possibile raggruppare in un solo missile più testate (vengono definite “veicoli di rientro”), così un solo missile viene lanciato – poniamo – sull’Italia. In seguito, fuori dell’atmosfera, 12 veicoli di rientro si staccano e portano ciascuno la sua bombetta sulla città prescelta: Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Ancona, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Palermo e Cagliari.
Con un solo missile, l’Italia è belle che fritta! Vuoi mettere il risparmio?

Oggi, quel bengodi è terminato per molte ragioni: per prima cosa quegli arsenali desueti (che rappresentavano un costo) sono stati eliminati, in seconda battuta non circola più molta “aria” di disarmo nucleare. Anzi.
La chiusura dell’hard discount nucleare ha condotto il mercato alle origini, ossia a rifornirsi dai giacimenti d’Uranio, le miniere. E, il prezzo, ha iniziato a salire vertiginosamente.
Il prezzo dell’Uranio – dobbiamo precisare – non è così determinante ai fini del costo finale del singolo KWh, giacché i costi (altissimi) sono da ricercare nella costruzione delle centrali, dei reattori e di tutto l’ambaradan che c’è appresso. Determina solo una frazione del costo finale, intorno al 15%[2]: certo, se il prezzo dell’Uranio continuasse ad aumentare a questi ritmi…
L’IEA stima che ci sarà Uranio a prezzi “paragonabili” a quelli attuali per circa 40 anni, poi altri 40 a prezzi “molto diversi”. Quanto? Mah…il fatto è che il prezzo dell’Uranio aumenta come un’iperbole già oggi. Ah, dimenticavamo: e dopo i 40+40 anni? Fine dell’Uranio.
Le previsioni dell’IEA, però, non tengono conto di possibili “impennate” della richiesta – la Cina, ad esempio, ma anche l’Iran e la Francia che non molla di un centimetro sul nucleare – e le previsioni sono quindi molto aleatorie, da prendere con le molle[3].

Sia come sia, però, negli USA da un paio d’anni la produzione elettrica di fonte eolica ha superato quella di fonte nucleare[4]: attenzione, non la potenza installata, l’energia effettivamente prodotta.
Lo diciamo piano, per non infrangere l’emozione che il professore sta gustando: in ogni modo, quando andrà a sedersi sull’ambita poltrona, potrà chiedere tutte le delucidazioni del caso, sull’eolico, a Denis Verdini e ad Ugo Cappellacci, nonché a Flavio Carboni. A quel punto, saranno tutti suoi “compagni di mer...” pardon, “di cordata”.

Il secondo “fascino” dal quale Veronesi è stato accalappiato è la fine delle guerre per l’energia: basta, maledetto petrolio, hai già succhiato troppo sangue nel Pianeta! Ne è pienamente convinto: non è uno scherzo!
Con tutte le cose che ha da fare Veronesi – medico, ricercatore, senatore, uomo politico – di tempo per informarsi gliene rimarrà poco: niente paura, provvediamo noi per lui.
Certamente sarà all’oscuro di quanto sta avvenendo nel Niger e nelle aree limitrofe, dove la cupidigia “nucleare” francese sta causando una catastrofe umanitaria: decine di migliaia di persone sono in fuga da quelle aree – li ritroveremo fra qualche mese sui barconi – perché i francesi sono stati un po’ troppo “spicci” nelle procedure d’estrazione. Riportiamo un breve estratto dell’articolo/denuncia di Greenpeace[5]:

“in 40 anni di attività, 270 miliardi di litri di acqua sono stati utilizzati nelle miniere, contaminando e impoverendo la falda acquifera…le detonazioni e le trivellazioni in miniera causano enormi nuvole di polvere, montagne di rifiuti industriali e enormi mucchi di fango rimangono esposti all’aria aperta…la concentrazione di uranio…nei pressi della miniera sotterranea di Akokan è risultato circa 100 volte superiore ai livelli normali nella regione…per le strade di Akokan…500 volte superiore al fondo naturale…i tassi di mortalità legati a problemi respiratori nelle zone delle miniere sono il doppio di quelli del resto del Paese…”

Cosa racconta alla sua coscienza di medico, Veronesi, questo quadro apocalittico, nel quale popolazioni ignare sono state precipitate come in un girone infernale, soltanto per consentire alla gente “affascinata” come lei di sognare un mondo “ripulito” dalle petroliere?
Si rende conto che il suo “sogno” è pagato – da sempre – dall’Africa[6]? In Congo, Sudafrica…mille guerre dimenticate per l’Oro, i diamanti i metalli rari e sempre lui, Mister Uranio, il più “effervescente” fra i suoi fratelli.
Nello Zimbabwe[7] viene scoperto un consistente giacimento d’Uranio e, subito, parte un “copione” che già abbiamo visto in atto per l’Iraq: il presidente Mugabe non è gradito alle diplomazie europee ed americane…cosa le fa immaginare una situazione del genere, tanto Uranio in un Paese povero dell’Africa?

Lei si picca d’essere un umanista, uno studioso. Bene. Provi a riflettere su questo semplicissimo assioma: in un pianeta X decidono di ricavare il fabbisogno energetico da fonti finite, e le fonti sono distribuite in modo eterogeneo nel pianeta stesso.
Oggi lo chiamano carbone, domani petrolio e dopodomani Uranio e…tutti li vogliono! Cosa succede?
Non continuiamo per non offendere la sua intelligenza.

C’è poi il capitolo “sicurezza”, sul quale lei ricorda che il rischio per la salute è “ormai vicino allo zero”.
Dottore, dottore…lei si ritiene uno scienziato…va bene…ma la Medicina – ci permettiamo di ricordarlo – non è una Scienza esatta e, quel “vicino” allo zero, non è zero. Al massimo, un limite che tende a zero, che non è zero.
L’unica grande catastrofe nucleare fu Chernobyl ma, negli anni successivi, c’è stato uno stillicidio d’incidenti, alcuni mortali, in tutto il mondo “nucleare”, dalla Francia al Giappone, dalla Slovenia agli USA.

Lei, con l’andazzo italiano d’assegnare poltrone dirigenziali, presidenze di commissioni, istituti di controllo e via discorrendo con il sistema, ben noto, del Manuale Cancelli, si fida del nucleare “italiano”? Ci mette la mano sul fuo…pardon, sul reattore?
E se il prescelto a dirigere una centrale fosse – poniamo, pura ipotesi “di scuola”, i nomi citati sono di pura fantasia – il nipote di Scagliola, che ha sposato la cugina di Dalemme, mentre in prime nozze era sposato con la figlia di Bottiglione? Saremmo certi delle sue competenze? Potremmo dormire sogni tranquilli?
Non succedono mai queste cose, no, siamo solo dei malpensanti.

Già, dice lei, ma al nucleare non ci sono alternative.
Ancora una volta, lei è poco informato: erano più informati di lei i suoi (probabili) futuri “compagni di viaggio” come Verdini & Company, i quali – mentre il loro governo smazzava centrali nucleari ai quattro venti – proprio sul vento cercavano di far soldi (e tangenti). Quella gente sa benissimo cosa può rendere in campo energetico, e se ne fregano se la fonte è tradizionale o rinnovabile: l’unico obiettivo è il denaro.
Per questa ragione, più volte abbiamo proposto – documentando accuratamente il progetto[8] – un eolico pubblico, con destinazione sociale degli utili. Già, ma lei è “affascinato” dai neutroni che si scontrano, come all’autoscontro del Luna Park che frequentava quando era giovanotto.

C’è poi un’altra critica alle energie rinnovabili:

“Per il solare ritengo sia necessaria una politica di grandi investimenti nella ricerca oggi non attuabile. Le potenzialità del solare sono molto elevate, ma la tecnologia è in ritardo e i soldi per accelerarla non ci sono.”

Qui, caro professore, ci sembra che lei stia inviando più che altro un “pizzino” a qualcuno che non è proprio d’accordo con lei, qualcuno che sta dimostrando proprio il contrario. Qualcuno che lo sta realizzando lontano dall’Italia, in Spagna, proprio perché la coalizione politica alla quale s’appresta a fornire i suoi servigi lo cacciò dalla presidenza dell’ENEA nel 2004.
Ed è un qualcuno che ha pure, nel suo carnet, un premio Nobel.

Sicuro, professore, che in questa sua decisione non si sia intrufolato un diavoletto bizzoso, il quale le ha detto, pressappoco: «Ma che sfiga…Rubbia, la Montalcini e Dulbecco hanno vinto il Nobel…io ho oramai 85 anni e non lo vincerò più…in tanti mi hanno proposto e invece…ciccia! Che sfiga, maledizione…ma adesso gliela faccio vedere…»

Per una volta, ci sembra di poterci associare ai “consigli” che le ha dato Bersani – il quale, precisiamo, sul nucleare non è proprio di una chiarezza adamantina, sembra il Papa quando parla di pedofilia dei preti – ma, in questo caso, riteniamo che farebbe meglio a seguire i consigli del suo non-segretario.

A 85 anni suonati, professore, riteniamo che possa accontentarsi della carriera e dei risultati che ha raggiunto: lasci perdere cose più grandi e, soprattutto, più “giovani” di lei.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

24 luglio 2010

Le sere del nulla

“Non c’è più niente da fare
è stato bello sognare…”
Bobby Solo

Sono appena le 18, quando entriamo nell’area del festival dell’Unità…cioè, dei Democratici…anzi no, non è più Festival bensì “Festa”…insomma, quella roba lì…non so che nome abbia adesso, ne hanno cambiati troppi. Siamo andati giacché, in primis, la “cosa” avviene nei giardini prospicienti il mare: dunque, prima un bel tuffo, poi si vedrà.
Ma, la vecchia amica che mi ha chiesto di partecipare all’incontro “La politica al tempo della rete”, mi corre incontro e sembra, a parte il caldo soffocante, “soffocata” da qualcos’altro.

L’onorevole che doveva presiedere l’incontro le ha “dato buca”…è dovuto rimanere a Roma per delle votazioni in Parlamento…ma, ribatto, e “l’aiutante” dell’onorevole, quello che è in Rete, su Facebook…insomma, quello lì, non viene?
No – è imbarazzata, probabilmente abituata, dopo 40 anni di “partito”, ad ogni genere di “sola” – non viene nemmeno lui. E perché?
La risposta è evanescente come l’orizzonte marino d’Estate quando, dietro la cortina di vapori all’orizzonte, potrebbe esserci la Bismarck con i suoi 381 puntati proprio contro il tuo naso e non t’accorgeresti di nulla. Capisco solo che, quando un onorevole la “dà buca”, anche l’aiutante fa lo stesso, tanto per non apparire un minus habens. Già, ma che c’entro io?
Eh, siamo rimasti solo io e te e, quando arriva la gente, che si fa?
Va bene l’antica amicizia, ma io sarei dovuto essere la coscienza critica, la controparte di quel PD che sta “in Rete”…ma…ci sta poi per davvero? Mah…

Mi chiede di buttarle giù rapidamente la mia bio-bibliografia, qualche dato per presentarmi.
Mentre – con il sudore che cola sul volto, nell’afa del tendone – scrivo titoli, anni, case editrici…mi rendo conto di quanto, oramai, mi freghi poco di quel mondo e devo ricorrere alla memoria di mia moglie per ricordare i titoli esatti, gli anni…
Mentre scrivo, tornano alla mente telefonate notturne: “hai sforato di 3000 parole…lo sai che sono quattro trentaduesimi e basta!” “E togli un po’ di pubblicità” “No, non si può fare”. Oppure: “Professore, ce la fa per Martedì a mandarmi le rimanenti 120 cartelle?” “Ma…non era per la settimana ventura?” “Eh sì, ma la stamperia ci fa un buon prezzo da Martedì in poi…”. Al diavolo.
Adesso basta: consegno il foglio, attraverso il piazzale e…finalmente…l’acqua!

C’è un po’ “di mare”, come si dice in Liguria per definire il mare mosso, ma è divertente ballonzolare fra la schiuma, finché si superano i frangenti e si va appena un poco oltre la prima cortina dei bagnanti.
Mentre “faccio il morto”, per riposarmi dopo la nuotata, medito sulla catena dell’ancora della Gretel: 110 metri di sola catena, niente cima. Con quel mare, l’ancora “terrebbe” su un fondale di 30 metri? Speriamo. Valli a trovare però, nel Mar Ligure, 30 metri di fondo un po’ distanti dalla costa…roba rara…
Ma sì, qualche posto c’è…forse verso Alberga…poi c’è la rada di Villefranche, splendida, dove s’ancorava addirittura la corazzata Missouri…qualche posto per dar fondo lo troveremo…
L’ora, però, s’avvicina: devo lasciare le carezze delle onde per andare in un posto dov’ero stato chiamato soltanto come voce critica. Invece, dovrò fare…cosa dovrò fare? Chi l’ha capito?

Quando giungo al tendone l’amica smania: ha solo mezzora per mangiare qualcosa, poi dovrà “tirare dritto” fino a mezzanotte. Così, ci lascia padroni del tendone e se ne va.
Ci guardiamo intorno: tante sedie bianche, vuote, ed un tavolo zeppo di libri. Per mia fortuna trovo un libro fotografico su de André – foto che non avevo mai visto – ed è piacevole tuffarsi nella gran serietà di quei visi, fra un Villaggio ancora giovanotto, un Tenco con il destino già segnato sul viso ed un Mannerini che sembra un Grande Capo Lakota, quello della tribù degli Squinternati Danzanti.
L’amica torna e, piacevole novella, mi rassicura: se ti piace, il libro puoi tenerlo. Ringrazio sentitamente, di cuore. Ma…l’incontro? L’ora è scoccata.
Si guarda intorno: non c’è nessuno. Forse verranno fra un po’…intanto – comunica – s’è ricordata che doveva vedere una persona, parlare con un tizio…e scappa di nuovo. La cosa mi mette un poco d’angoscia: e se viene qualcuno, cosa racconto?
Posato il libro, rifletto meglio su quel che mi circonda.

Un tendone vuoto, con due persone (io e mia moglie) sedute in modo assolutamente anonimo con accanto la borsa “del mare”, quella con le maschere e gli asciugamani. In fondo c’è una signora: forse aspetta il famoso “dibattito”? Il marito? Un improbabile fidanzato, perdutamente innamorato?
Se, quello, doveva essere un incontro sulla comunicazione – rifletto – nel tempo della comunicazione doveva ricalcarne i canoni. Che so…magari un portatile sul quale far vedere Draquila…già, non si può, perché la Guzzanti mostra – nel film – l’impotenza e l’inconcludenza del PD proprio a L’Aquila…magari la famosa intercettazione, nella quale Berlusconi cerca di “comprare” i senatori dell’opposizione…basta andare su Youtube…no, anche lì non si può: era implicato Bordon, senatore dell’allora Ulivo.
Così come stanno le cose, però, pur mettendoci tutta la buona volontà, come fa una persona comune – una delle decine che transitano nei viali – a comprendere che lì ci sarà un dibattito sulla comunicazione, sul legame fra politica e Rete?!?
Legge la locandina, certo, ma quanti la vedono?

Insomma, parlando di comunicazione, è proprio sui canoni della comunicazione nell’era del Web 2.0 che la cosa risulta un non sense; pensato, programmato e gestito come una “cosa” anni ’70: con tutta la buona volontà del caso, un fallimento sicuro ed annunciato.
Niente di nuovo sotto il sole – Grillo l’ha detto mille volte – ma questi non se la cavano proprio a competere con l’altra parte: snobbano Berlusconi, ma non si rendono conto che l’uomo di Arcore ha in mano le “chiavi” della comunicazione.
Prima ancora delle TV, il Banana sa come gestire il feeling con il suo elettorato: tutte le sue goffe battute – dalla “bellezza” della Bindi ai cucù alla Merkel, per terminare con la (fasulla) immagine del “macho” a 360 gradi – sono studiate a tavolino dal suo entourage. La politica è un palcoscenico, gli italiani una razza inferiore da schiavizzare: in questo, qualche punto d’incontro con Mussolini ce l’ha.
L’unica, vera contrapposizione che incontra non è qui – fra questi banchetti da mercato rionale – ma sul Web: per questa ragione gli sta tanto a cuore la legge sulle intercettazioni la quale – non dimentichiamo – contiene il velenoso comma che chiede a tutti i bloggher la rettifica entro 48 ore (o 24, non ricordo) con pesanti multe, sul quale state certi che i grandi giornali non lanceranno campagne di sfida ed anatemi. Anzi.

L’amica torna e pone una diga ai miei pensieri: sono oramai le 21,15: non verrà nessuno, afferma sconsolata. Beh, con queste premesse – penso – se veniva qualcuno era come minimo telepatia.
Andiamo finalmente a mangiare e, al termine, riflettiamo che in qualsiasi spiaggia dove preparano qualche piatto caldo avremmo mangiato meglio e speso qualcosa in meno: devono “finanziare il partito”, mi spiegano.
Lasciamo quel bailamme per tornare a casa, convinti come non mai che – se dipendesse da loro – nel 2312, in Italia, regnerebbe Gian Silvio IV di Berlusconia-Coburgo.
Ma, a casa, c’attende una sorpresa.

La mattina seguente – è il 23 di Luglio – mia moglie fa un estratto conto: sorpresa, non c’è lo stipendio!
Strano, penso – il giorno di paga per gli insegnanti è il 23 d’ogni mese – da sempre, il 23, lo stipendio c’è stato. Mia moglie sostiene che si tratta di un “gioco” sulla valuta: no, perché la valuta parte ugualmente dal 23.
Mi tornano allora alla mente alcune notizie che avevo notato, pallide bottiglie abbandonate nel mare magnum del Web: la disoccupazione viene pagata oramai con forti ritardi, mentre le ASL pagano oramai quando possono, come possono, “sforando” oramai i consueti “120 giorni” contrattuali. Pagano dopo mesi e le aziende che lavorano per loro e – a meno d’essere un trafficante di droga e sesso come Tarantini, che riforniva addirittura di donnine “l’Empireo” di Palazzo Grazioli – devono ricorrere alle banche o alle varie “Leghe”, che poi sono delle banche mascherate.
Siccome vanno quasi a “strozzo”, chi finisce veramente strozzato sono i dipendenti, costretti a salari da fame: tutta la vicenda dei contratti a progetto, nei servizi, nasce qui.

In Sicilia, iniziano ad esserci ritardi nei pagamenti per i dipendenti pubblici mentre, a Napoli, i disoccupati sono stati costretti ad occupare il Duomo per tentare di far scucire qualche soldo alla Regione.
Saltano allora ai miei occhi vecchi ricordi, che i giovani possono leggere ma dei quali non possono avere consapevolezza di “vita vissuta”, d’emozioni, perché era il 1992.
Le elezioni del 1994 sono comunemente accettate come lo “spartiacque” fra la Prima e la Seconda Repubblica (più “cosiddette” che reali) mentre, nel mio ricordo, è il 1992 l’anno nel quale ci fu il “giro di boa”. Perché?

Poiché, proprio quell’anno, un Ministro delle Finanze del quale pochi ricorderanno il nome – Giovanni Goria, morì nel 1994 – andò semplicemente in TV e dichiarò che, nello spazio di pochi mesi, non ci sarebbero stati più soldi per pagare stipendi e pensioni.
Ebbene, dopo aver compiuto lunghi giri come una pianta di zucca – mia madre, ama ricordare “che la zucca gira sempre attorno al letamaio” – siamo tornati da capo: ancora manca il coraggio d’andare in TV per dirlo chiaramente – Tremonti non è certo un cuor di leone – ma la situazione è oramai fuori controllo.

Il debito pubblico, dall’inizio del 2010, è salito di 65,8 miliardi: a fine anno saremo probabilmente a 120, forse più. 120 miliardi, il prossimo anno, richiederanno – solo loro – almeno 5 miliardi in più d’interessi rispetto all’anno precedente: dove li prenderanno?
La FIAT prende i soldi e scappa in Serbia, Bertolaso e la sua Protezione Civile “aziendale” – secondo Sabina Guzzanti – sono serviti per “deviare” 10 miliardi di soldi pubblici in tasche private, mentre con l’attuale Legge Finanziaria e con l’accordo di Pomigliano è stato praticamente cancellato il concetto di contratto di lavoro.
Il numero delle auto blu – secondo Brunetta – corrisponde ad una spesa di “soli” 4 miliardi l’anno ma, se si leggono attentamente i dati che ha presentato, si scopre che alla richiesta di fornire i dati ha risposto meno della metà delle amministrazioni: anche le auto blu sono dunque fuori controllo.
Tutto è fuori controllo per motivi semplicissimi: se riflettiamo che lo “scudo fiscale” ha portato nelle casse dello Stato 5 miliardi – ma, se a suo tempo fossero state pagate le tasse, sarebbero stati 40 – ecco dove il bilancio va fuori controllo.

Può darsi che, qualche giovane, immagini la fine della Prima Repubblica come una colossale “panciata” sull’acqua, quei “botti” che ti fanno voltare: niente di più falso.
Per dirla con un noto verso di De André, terminò con una “pace terrificante”: da un giorno all’altro, con un processo, una condanna, una fuga, delle dimissioni.
Chissà cosa s’inventeranno questa volta.

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18 luglio 2010

La rivoluzione in un piatto di riso, in un refolo di vento

La politica del filo di paglia è fuori della storia, è contro la storia, è prima e dopo la storia. La rivoluzione del filo di paglia è possibile a ciascuno di noi, per scelta.”
Masanobu Fukuoka – La rivoluzione del filo di paglia – Quaderni D’Ontignano – Liberia Editrice Fiorentina – 1980

Siamo in tanti ad affondare la forchetta nel piatto di riso fumante, il “pezzo forte” della nostra cena fra amici, ed i commenti sono entusiasti: certo – aggiungo – un conto è comprare le verdure al supermercato, un altro raccoglierle fresche, dall’orto. E’ tutta un’altra storia di gusti per il palato: come in una sinfonia, si perde il sentore d’ogni singolo strumento per giungere all’armonia, alla magia del concerto.
Talvolta, il concerto è per violino ed orchestra o per pianoforte ed orchestra – così come il risotto può essere con i peperoni o con i funghi, solisti che spiccano – ma non è questo il caso: i piccoli peperoni verdi, accompagnati da mezzo peperoncino piccante, non ce la fanno a “sforare” l’armonia della cipolla, dell’aglio, del sedano…se desiderate provarlo, la ricetta è in nota[1]. I costi sono irrisori, se si ha un orto.
La conversazione, però, s’allontana presto dalla culinaria per indagare altre armonie, per capire se quel modesto piatto di riso sia soltanto il sollucchero di una calda serata estiva, oppure se rappresenta qualcosa di più.

E’ presto detto – aggiungo – in quanti siamo? In dieci. Abbiamo un poco “abbondato”: due etti di riso a testa, più le verdure, facciamo tre chili in tutto di materiale organico vegetale (il caciocavallo è un optional, così come un filetto d’acciuga se qualcuno vuole metterlo). Nessuno, qui, è vegetariano o vegano.
Se avessimo mangiato della carne alla brace, poniamo una misera braciola da 100 grammi (proprio piccina), per produrla sarebbero stati necessari almeno 1,5 Kg d’alimenti vegetali: il rapporto, la “resa” nella trasformazione da alimento vegetale ad alimento animale (ossia carne), varia dal 5 al 10%, ossia da 20 : 1 a 10 : 1, questo secondo il tipo d’animale, le modalità d’allevamento, i vegetali utilizzati, ecc.
La questione è complessa, giacché ci sono le parti non utilizzabili degli animali e dei vegetali (che spostano il “vantaggio” energetico ancor più a favore dei vegetali): la parte utilizzabile del riso è solo la metà circa della pianta, ma il resto sarebbe un ottimo combustibile ai fini energetici, così come gli scarti vegetali – se avviati al compostaggio – si trasformano in ottimo concime per l’anno venturo.
Lo scheletro dell’animale e tante altre parti seguono la “filiera” dell’industria dei saponi, delle colle, della cosmesi… ma stasera fa caldo e non desideriamo andare oltre: facciamo una media di 1 : 15 e chiudiamola qui.

Quel misero chiletto di carne (costo, più di 10 euro) – che, a 100 g a testa, avrebbe lasciato l’appetito quasi intatto – rappresenta, in termini di vegetali, 15 Kg d’alimenti.
Dopo quel “corposo” risotto abbiamo continuato con pomodori, insalata, zucchine in carpione e frittelle di fiori di zucca. Costo: meno di 1 euro a testa. Alla fine, un buon digestivo perché eravamo satolli come lattanti che s’erano prodigati al seno.
Nonostante tutti i nostri sforzi, non siamo riusciti ad andare oltre i 5 Kg d’alimenti (a largheggiare…) ed eravamo sazi: non era minimamente concepibile giungere alla “soglia” dei 15 Kg.

La riflessione successiva è stata più “politica”: ma guarda te che strano – ha aggiunto qualcuno – proprio noi occidentali che corriamo in macelleria ed in pescheria per riempire le sporte, siamo quelli che si lamentano per gli equilibri maltusiani. E lo facciamo nei confronti di popolazioni che, storicamente, sono vissute con diete composte principalmente da vegetali: i neri e gli orientali, rispetto agli occidentali, hanno (avevano?) fisici da sogno.
Aspetto curioso – aggiunge un altro – dopo aver fatto la coda in macelleria ed in pescheria, ci “accodiamo” dal medico per farci prescrivere le analisi del colesterolo.
I record di longevità – ricordalo, Gianluca Freda, così non ci farai più prendere dei coccoloni -)) – sono dei Paesi che attuano diete prevalentemente a base di vegetali. Il Giappone, ad esempio, ma anche la dieta mediterranea.
In termini culinario/musicali, dunque, la dieta carnea monotematica è come essere dei “critici” che preferiscono nutrirsi di singoli “assoli” di questo o di quello strumento, senza mai cimentarsi con il componimento sinfonico od operistico.
Il risultato – per questa povera e disgraziata Gaia, che deve sopportarci – è che dobbiamo moltiplicare, in peso, ogni cosa che ficchiamo in bocca x 15 e, notizie di corridoio, pare che Gaia si stia incazzando, e non poco.

Ogni cosa che viene prodotta necessita, poi, della sua razione d’energia…e allora…via con le petroliere squarciate sugli scogli, che pisciano greggio per miglia e miglia in mare (avvelenando tutto per secoli), oppure avanti con gli “sfinteri” sottomarini che continuano a scagazzare!
Anche queste faccende degli “sfinteri impazziti” non sono casuali: Colin Campbell – mica l’ultimo scemo del villaggio, è quello che ha praticamente scoperto il petrolio nel Mare del Nord – aveva messo in guardia per tempo.
La forsennata ricerca di petrolio avrebbe condotto – parole sue – ad “impiegare l’energia di due barili di petrolio per estrarne uno”.
Oppure, ad andarlo a cercare in posti limitrofi all’inferno: quando succede un guaio come quello del Golfo del Messico, non si può andare in fondo al mare con la chiave da 10 a chiudere la valvola.
Ma, se dalle holding dell’energia giungono premi a profusione per chi scopre un giacimento, siate sicuri che verranno a trivellare, prima o dopo, anche la vostra fossa biologica. Se c’è del metano…

Insomma, un mondo di pazzi che non sa riconoscere l’evidenza: la scienza e la tecnologia ci stanno regalando la possibilità di ricavare il fabbisogno energetico da fonti naturali. La differenza fra il paradiso di un’economia “pulita” (P3 italiana a parte) e l’inferno dei vari “Golfi” petroliferi, passa per un’inezia: chiedere, esigere, urlare, propagandare che un altro modo di vivere è possibile. Un mondo più sereno, per tutti.
Per qualcuno è una notizia terribile: ve l’immaginate, il Ciad che diventa una potenza economica per l’esportazione d’energia elettrica di fonte termodinamica o fotovoltaica? Le isole Spitzbergen che, con l’eolico, alimentano mezza Europa?
No, non si può fare, non si deve fare: e trivellate questa fossa della Marianne, mannaggia! Laggiù ci sarà tanto petrolio da campare ancora per decenni e pagare migliaia di giornalisti che sputtanino le rinnovabili! A metterci il “tappo” manderemo il batiscafo Trieste, non vi preoccupate.
Quei maledetti delle rinnovabili sono dei sognatori, non dimenticatelo! Dovete impestare ogni giornale ed ogni sito Web di notizie – vere o false poco importa – altrimenti, questi ci fottono!

Persino la flebile voce di Tremorti blatera[2] – sembra quasi dall’oltretomba (per favore, meno chiacchiere insulse ed inutili sproloqui latini) – per salvare l’ENI dalle “grinfie” di Obama o di chissà chi altro (aggiungendo che l’Italia non è, storicamente, terra di mulini a vento: sempre “storicamente”, è terra d’antenne televisive e d’automobili? Ma va là, Tremorti del picchio, torna alla tua calcolatrice…): questi mestatori nel torbido, dimenticano che la proprietà dell’ENI ed il suo business non sono due insiemi rigidi e completamente sovrapposti.
Un uomo come Mattei, oggi, diversificherebbe semplicemente la destinazione: tot al tradizionale (che sta scemando) e tot alle rinnovabili (sicuramente in ascesa). Già, ma Scaroni non è Mattei, e Tremorti non è nemmeno il Mago Zurlì.
Già, maledetti sostenitori delle rinnovabili, ma come alimentate i motori? Come fate navigare una nave?

Guarda a caso, la conversazione – a tavola – prosegue su temi meno culinari ed al convivio più cari: come vanno i lavori sulla Gretel? Eh, si gratta: a forza di grattar ruggine, dovrò aggiungere qualche quintale di zavorra…
Lo sapete che i tedeschi hanno sperimentato la prima nave con propulsione ausiliaria a vela[3]? Aggiunge un ospite. Di più: confortati dal risparmio di carburante, stanno sperimentando “torri” eoliche ad asse verticale per uso navale, con l’obiettivo di giungere al 50% di risparmio energetico!
In fin dei conti – rifletto – non è mica l’Uovo di Colombo. Un veliero non ha difficoltà, con venti di media intensità, a navigare a 5-6 nodi: il problema è la direzione del vento, che non a tutte le andature è così vantaggioso.
Un sistema di captazione eolico, invece, se ne frega della direzione del vento: paradossalmente, raccoglierà la stessa energia con vento di prua (0°) oppure di poppa (180°) e la trasferirà ai motori (elettrici) oppure ad un sistema d’accumulo, batterie oppure (meglio) elettrolisi ed idrogeno compresso.
Ma si può fare di meglio.

Mi torna alla mente un piccolo mercantile che presi in esame quando scrissi “Il futuro dei trasporti[4]: un centinaio di metri fuori tutto, una decina circa al baglio maestro (larghezza). Ottimo coefficiente di finezza, aggiungerete voi: no, sono le dimensioni necessarie per transitare nella rete dei canali europea.
Navi del genere possono navigare sia nelle acque interne, sia in mare per il cabotaggio: normalmente, distribuiscono nei piccoli e medi porti il carico delle grandi portacontainer, che seguono una rotta pressappoco equatoriale e toccano pochissimi porti per continente.

Navi del genere hanno apparato motore diesel ed una potenza installata di circa 2.000 CV, che corrispondono a circa 1470 KW.
Il motore diesel, però, in navigazione – ossia alla velocità di crociera, in genere intorno ai 12-15 nodi (nelle acque interne 10) – viene utilizzato al 60% della potenza, giacché quella è la rotazione più vantaggiosa ai fini del risparmio energetico e per la longevità del motore stesso. La massima potenza serve soltanto in caso d’emergenze.

La nostra nave, quindi – se avrà trazione elettrica – necessiterà di una potenza continuativa di circa 880 KW che alimenterà un motore, mentre un altro motore (collegato all’asse con giunto Vulcan o similari) servirà per gli spunti di potenza ed un terzo – di minor potenza – per la navigazione nelle acque interne.
Ipotizzando che la nave sia dotata di due aerogeneratori ad asse orizzontale – quelli comuni, l’asse verticale potrebbe essere preferito per questioni tecniche, ma non è questo il problema – della potenza di 400 KW ciascuno, sistemati a prua ed a poppa ed abbattibili mediante bracci oleodinamici (per navigare nelle acque interne), quanta energia capterebbe in mare?
Siccome in mare il CESI stima[5] (pare che l’atlante eolico on line sia sparito, potenza dell’ENI!) una resa di 3.000 ore l’anno alla massima potenza (le ore annue sono 8.760), siamo all’incirca ad un terzo della produzione rispetto alla potenza di picco.
800 KW di potenza installata, quindi, renderebbero in media 270 KWh, circa un terzo dell’energia necessaria per spingere la nave alla velocità di 12-15 nodi e, questo, perché la Fisica rimane sempre la stessa: con la sola spinta prodotta dagli aerogeneratori, la nave raggiungerebbe gli stessi 5-6 nodi di un veliero. Con il vantaggio, però, di non essere soggetta alla direzione del vento.
Ma, con un po’ d’intelligenza, si potrebbe far di meglio.

Si potrebbe scegliere una velocità pari a quella dei velieri, e chiuderla lì.
In alternativa, con serbatoi d’idrogeno compresso, la nave potrebbe raggiungere (pila a combustibile) gli stessi 12-15 nodi: non dimentichiamo però che, alla fonda od in porto per le operazioni di carico/scarico, gli stessi aerogeneratori potrebbero ripristinare una parte della riserva d’Idrogeno, oppure essere collegati alla rete terrestre in un quadro di conto energia. E, fare rifornimento d’Idrogeno dalla stessa rete, con idrogeno prodotto con energia rinnovabile.

Insomma, come potrete notare, non è la tecnologia a mancare: manca il pensiero, quello che ci dice – semplicemente – che un’auto elettrica con recupero d’energia in frenata e pannello fotovoltaico[6] – consumerebbe probabilmente il 50% dell’energia rispetto ad un motore a scoppio. Per il semplice fatto che un’auto elettrica, ferma in coda, non consuma nulla e l’energia sprecata in coda in autostrada, ai semafori, è enorme. Ma non si deve dire, altrimenti i “santoni” dell’industria automobilistica – legati come bestie al “carro” petrolifero – s’incazzano.
Sono tante le cose che non si devono dire, eppure le raccontiamo.

Le ex aree militari interne alle grandi città, potrebbero diventare orti cooperativi – per le campagne e le medie città il problema non esiste, ci sono le periferie – ma furono “passate” dal demanio militare allo Stato durante l’ultimo governo Prodi: la gran “reggente” dell’operazione fu l’architetto Spitz. Chi è l’architetto Spitz? La moglie di Marco Follini[7]. Pensa te che sorpresa.
Eppure, quelle aree sarebbero state preziose – le caserme prevedevano sempre ampie aree per l’addestramento – per creare una “rete” di cooperative produttori/consumatori, con lo scopo di produrre erbaggi ed altre colture orticole in aree interne alle città, con il gran vantaggio d’accorciare la “filiera” degli ortaggi, quasi completamente in mano alle mafie[8]. In città c’è inquinamento? Gli ortaggi sarebbero inquinati? Provate con le auto elettriche!

Ma, al suo insediamento nel 2001, il secondo governo Berlusconi aveva agito subito con una specifica legge[9], datata Ottobre 2001, con la quale si cancellava la figura del socio-lavoratore nelle cooperative, lasciano intatto – ovviamente – il potere delle grandi e fasulle cooperative le quali, con le vere cooperative di lavoro e di consumo – per come furono pensate dai nostri padri e dai nostri nonni – non hanno nulla a che fare.
Come potrete notare, hanno smantellato quel poco che la Costituzione del 1947 aveva introdotto per consentire agli italiani delle facoltà di scelta, fra un sistema totalmente privato ed uno sociale/cooperativo: gran parte dell’opera non è nemmeno farina del loro sacco, bensì del programma della P2.

Oggi, la nostra dignitosa sopravvivenza sta tutta nella capacità che avremo di analizzare, discutere e propagare la visione di un altro mondo, perché un altro mondo è possibile. Non sottovalutiamo la forza delle idee che si propagano: sono loro, le idee, le basi delle rivoluzioni.
E’ anzitutto necessario riflettere sulle possibilità che hanno ancora le famiglie di sopravvivere ad una simile pressione economico/politica – non a caso difendono la famiglia come “pietra” basilare della costruzione “cristiana”, dimenticando che all’epoca del Cristo la “famiglia” era più simile a quello che oggi identifichiamo come “clan”, quando vogliono ci “marciano” pure col Cristo – poiché forme di famiglia “allargata” rendono più immuni alle loro offensive liberiste.
Una famiglia di tre persone, dove entra uno stipendio, è ben diversa da un nucleo di 15 persone dove entrano 5 stipendi: loro praticano le “economie di scala” nel quadro della globalizzazione. Proviamo anche noi ad attuarle nel quadro della nostra rivoluzione.

Le strade per raggiungere questi obiettivi possono essere tante: dal movimento delle “Transitinon Town[10] a soluzioni più “caserecce”, come l’acquisto in cooperativa di un casale abbandonato, mantenendo le peculiarità della famiglia, ma stemperandole in una vita di gruppo. Prima di diventare degli avamposti di Tzahal, il movimento dei kibbutzim era questo.
Oppure, creare dei movimenti in città, per chiedere l’assegnazione di aree industriali od altro dimesse – sia chiaro, chi sporca pulisce, quindi renderle come le trovarono, senza cemento & affini – per creare le cooperative di produzione/consumo di prodotti vegetali.

L’unico sconforto, se ancora abbiamo le palle, al quale non dobbiamo concederci è quello di pensare che nulla sia possibile: tutto è possibile per la nostra rivoluzione, basta volerlo.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Riso della rivoluzione in cucina (per 10 persone): 7 gambe di sedano verde con foglie, 3 cipolle rosse, 3 spicchi d’aglio, 3 peperoni verdi (friggitelli), mezzo peperoncino rosso (opzionale un filetto d’acciuga). Tritare e soffriggere in olio d’oliva con un po’ di zenzero, un dado vegetale, qualche ciuffo di basilico, un po’ di timo e di salsa Worchester. Aggiungere il riso (2 Kg) acqua e, a cottura iniziata, una birra Lager doppio malto da 66 cl (poi, acqua calda). A cottura quasi ultimata, aggiungere scaglie di caciocavallo. Buon appetito.

12 luglio 2010

Che ne sarà di noi?

“Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri.”
Arthur Schopenhauer

Un tempo, durante l’Estate, regnavano governi “balneari”: non sappiamo se fosse saggezza od ignavia però, quando i problemi s’affastellavano l’uno sull’altro e non si trovavano soluzioni, si decideva d’aspettare il più fresco Autunno per decidere con calma. Si richiamava Giovanni Leone, ed il governo “balneare” era fatto.
Oggi, invece, la “grande politica” (sic!) va in scena solo d’Estate: le schifezze accatastate lungo l’anno traboccano, e allora non c’è di meglio che farle sbordare d’Estate, sperando che gli italiani siano distratti dall’afa, dai Mondiali, dal richiamo di spiagge e monti. Una sequenza incredibile.
La gente dell’Aquila presa a manganellate, un ministro nominato non si sa bene a che cosa – solo per salvarlo da un processo – e poi “ritirato” a furor di popolo, tangenti sull’eolico, dimissioni nell’appena eletta giunta campana…e poi la stizza del Quirinale sempre più evidente, per giungere all’infinita querelle sulla legge bavaglio per l’informazione…non a caso, il Financial Time titolava che, per Silvio Berlusconi, si trattava di un passaggio fra i più difficili della sua carriera politica.

E’ impossibile far finta di non capire la genesi degli ultimi sviluppi di corruzione: il nome di Flavio Carboni è un faro nella nebbia. Esponente della P2 – come Berlusconi e Cicchitto, solo per dirne due – già coinvolto nell’affaire Calvi, IOR, Banco Ambrosiano, ecc…guarda a caso è sempre lui che intesse la trama per far avere ai soliti noti le licenze per l’eolico, che costruisce l’ennesimo “teorema” fra le banche controllate da Verdini ed il territorio sardo, feudo di Cappellacci, uomo fidato di Berlusconi. Uno schifo senza fine.
Meno male che l’eolico era solo un “sogno” per ambientalisti naif! Da anni vado dicendo che è oramai una fonte seria ed affidabile (anche al netto dei Certificati Verdi), che potrebbe fornire circa la metà del fabbisogno elettrico italiano (vedi il mio “Venti nucleari[1]), e lor signori se ne sono accorti, eccome se ne sono accorti!
Solo che noi, nelle nostre proposte, immaginavamo l’eolico pubblico – non l’ennesima privatizzazione – e la destinazione dei proventi a scopo sociale. Vagli a rubare una sola mela, a quelli.
Sempre “di passaggio”, è stato pubblicato[2] un sondaggio elettorale laddove, dalle intenzioni di voto, derivava questa situazione:

Centro Destra (PdL + Lega + altri minori): 41%
Centro: 22%
Centro Sinistra (PD + IDV + altri minori): 36%
Sinistra estrema: 1%

Dal punto di vista dei flussi elettorali, ciò che stupisce (ma vedremo che così non è) è l’affermazione di questo “Centro” che nascerebbe dall’unione tra Fini, Casini, Lombardo e Rutelli. Con la benedizione di Montezemolo.
La cosa non stupisce perché, a nostro avviso, è figlia legittima e diretta della manovra economica che il Governo sta per varare. Una manovra economica giocata sul filo del rasoio, nella quale i contrasti fra Berlusconi e Tremonti sono stati tenuti nascosti solo grazie alle pallide foglie di fico che Bonaiuti – da oggi, soprannominato “cortina fumogena” – ha steso.

Avevamo già previsto simili esiti in parecchi articoli – “Eutanasia di una nazione[3], “Fine del miracolo liberista italiano e di un’epoca[4] per giungere al più vecchio ma significativo “Quattro milioni di congelati? E cosa volete che sia…[5]” – ed oggi ne notiamo semplicemente la maturazione dei frutti.
La scelta, ritenuta obbligata per Berlusconi, di “blindare” il proprio elettorato non concedendo, ad esempio, aumenti delle aliquote per le rendite finanziarie, oppure dover soddisfare le molte “pruderie” dei grand commis di regime – basta una telefonata della Marcegaglia e cambia il vento – ha condotto, inesorabilmente, a far cadere la falce sui dipendenti pubblici.
Se qualcuno ha gioito bene ha fatto, perché si tratterà di una gioia assai breve: perché? Poiché, in Italia, chi tocca i dipendenti pubblici, muore. Da sempre, così è stato.

L’equazione berlusconiana – i dipendenti pubblici al centro sinistra e le partite IVA a noi – non funziona perché la realtà è più sfaccettata. A parte i lavoratori autonomi che non sorreggono Berlusconi (non saranno molti, ma esistono), quel che fa virare la cartina di tornasole è la fallace inferenza che i dipendenti pubblici siano tutti di centro sinistra. Il che, è falso.
Soprattutto nel Centro-Sud – dove le amministrazioni pubbliche sono piuttosto “gonfie”, ma non dimentichiamo la scuola o il comparto della sicurezza (ed altri ancora) – il “pubblico” non è mai stato, storicamente, un serbatoio di voti per la sinistra. Ha sempre diretto, invece, le sue preferenze verso il centro, del quale la DC era la signora e padrona.
Poi, con il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, quei voti furono acchiappati anche dal centro sinistra, ma soprattutto da Alleanza Nazionale.
Oggi, se Berlusconi fa la conta dei parlamentari ex AN a lui fedeli oppure parte per la “campagna acquisti”, come già fece con Mastella e con Dini nel 2008, potrà anche acquistare qualche numero parlamentare ma, parallelamente, non acquisirà più i voti che li espressero.
Se consideriamo l’area di centro-destra, il sondaggio indica che si tratta probabilmente di uno spostamento del 7-8% verso il centro: certamente, in quei numeri, c’è parecchio dell’elettorato che fu di AN. Non è forse neppure giusto affermare che si tratti di una “corsa” verso il centro: si tratta, semplicemente, d’aver scoperto d’esser stati cornuti e mazziati.

Da più parti si è sempre affermato che il potere berlusconiano si regge sulla potenza mediatica – ed in parte è vero – ma solo fin quando la situazione economica presenta una “scivolamento” costante (e, quindi, meno percettibile) del potere d’acquisto e della ricchezza disponibile, come avviene da circa 20 anni.
Berlusconi ha sbagliato a non “spalmare” i costi della Finanziaria su più settori e quel sondaggio – unito alla frammentazione sempre più evidente della sua maggioranza (di più: ad Ottobre sarà superata la metà della legislatura …e quindi…pensioni assicurate per tutti i peones!) – indica che c’è una sofferenza grave, che non è poi così difficile da capire.

Le retribuzioni italiane[6] sono fra le più basse dell’UE, ed abbiamo alle spalle – a parte alcuni Paesi dell’Est – solo la Spagna. La media europea delle retribuzioni è di 37.677 euro/anno mentre il dato italiano è di 31.462.
Proviamo ad immaginare cosa si è provato in milioni di famiglie italiane di dipendenti pubblici nel sapere che, fino al 2014, le retribuzioni “non aumenteranno di un euro” (parola di Tremonti).
Di là del dato puramente economico, si tratta di un modo di porre la questione che ferisce, perché è come sputare in faccia a 4 milioni di persone (ed alle loro famiglie), dicendo loro “tu non servi a niente, per te solo carità”. A fronte, quegli stessi lavoratori, sanno benissimo che c’è un’evasione fiscale tollerata e stratosferica, nell’ordine dei 100 miliardi l’anno a dir poco.

Ora, che la pubblica amministrazione italiana sia sovradimensionata e poco efficiente è vero, ma questa responsabilità non può essere assolutamente scaricata sui dipendenti di media e bassa fascia (ossia, sulla gran maggioranza).
Sarebbe forse l’uopo di chiederne conto ai dirigenti ma, guarda a caso, gli alti papaveri della P.A. sono di nomina prettamente politica (palese o sottesa) e quindi “intoccabili”. E il numero?
L’ammontare del personale è ancora quello pensato in era “pre-computer”, quando gran parte del lavoro avveniva su base cartacea, e sarebbe stato auspicabile un ricambio generazionale (come c’è stato all’estero) per velocizzare il mutamento delle procedure. Qui, però, sono intervenuti più fattori a frenare il processo.

Il primo è conseguente alle varie “riforme” delle pensioni (delle quali, oramai, si stenta a tenere il conto), le quali hanno “congelato” il settore pubblico come se fosse possibile “fermare” in un fotogramma l’evoluzione del tempo in termini sociali, lavorativi, generazionali.
I tentativi di “aggiornamento in itinere” servono, ma è inutile e controproducente aggiornare persone che hanno più di 55 anni, poiché troppo breve è il periodo nel quale metteranno a frutto le competenze apprese. Inoltre – esperienza personale, di chi ha tenuto corsi d’aggiornamento – si nota chiaramente che, molte persone nate e cresciute in era “pre-computer”, fanno una fatica boia a comprendere i termini di un mondo così diverso da quello che hanno calcato per decenni: ci provano, ma rimangono ancorate a modalità che hanno interiorizzato per troppi anni. Si prenda, come esempio, l’acclarata “ignoranza informatica” di gran parte del mondo politico.
Si noti, inoltre, che l’innalzamento dell’età pensionabile riguarda – quello che sarà dopo il 2015 è, per ora, difficile da analizzare – quasi solo il settore pubblico: l’industria privata non avrebbe mai accettato di congelare fino a 65 anni tutti i dipendenti e, questo, non per improvviso amore verso i lavoratori, bensì per esigenze contingenti alla produzione.

Da un lato vecchie (spesso grandi) aziende che muoiono – dal mio, modesto punto d’osservazione ho potuto osservare la fine degli stabilimenti Montedison, ACNA ed ora di Ferraia/3M a me vicini – e che si trovano a dover gestire grandi masse di lavoratori (Pomigliano, Termini Imerese, altre…è sempre la medesima solfa). Una normativa “rigida” a 65 anni non potrebbe mai essere accettata, poiché non coerente con i tempi delle ristrutturazioni industriali. Difatti, esistono mille modi per uscire dal sistema privato: cassa integrazione, poi mobilità “lunga” fino ad uno spregiudicato uso della legge sull’amianto, che è servita spesso per sanare tutt’altro.
Questo per dire, in sintesi, che quando i padroni hanno bisogno di “far fuori” un po’ di lavoratori devono poterlo fare a “costo sociale tendente a zero”: ci deve pensare lo Stato. Insomma, il vecchio andazzo: le vacche grasse a noi e quelle magre scaricate sulla collettività. Difatti, le vendite d’auto di lusso e di grandi yacht vanno a mille.
Dove trova le risorse, lo Stato?

“Congela” il settore pubblico, s’appropria dei bilanci degli istituti previdenziali – come sta facendo con l’INPS il quale, ricordiamo, era una gestione separata dalla cosa pubblica mentre oggi, con l’azzeramento del suo consiglio d’amministrazione, diverrà una “costola” del Ministero dell’Economia – “storna” sul bilancio dello Stato 3,5 miliardi del fondo TFR alla voce della spesa corrente, “diluisce” (a quando?) il pagamento dei trattamenti di fine rapporto (liquidazioni) del settore pubblico.
Per fare in questo modo il Ministro dell’Economia, tutti saremmo in grado di sedere su quella poltrona: si tratta di un colossale gioco di “storni” da un capitolo all’altro, senza mai tentare di capire cosa si possa ancora fare per questa economia, quel mercatismo così osannato e considerato über alles. Se è ancora possibile: la schietta opinione di chi scrive è che siamo oramai al capezzale di un moribondo.

Il secondo aspetto riguarda più da vicino l’attuale governo, giacché attrezzare la nazione per una gestione informatica dell’amministrazione, del commercio, dell’istruzione…e via dicendo…significa creare infrastrutture (la banda larga, ad esempio) che non si vogliono attuare, pur mantenendo i finanziamenti per grandi (e dubbie) opere come le colossali colate di cemento.
Ad essere dei malpensanti, verrebbe da dire che tutto ciò che è “Web” risulta essere in aperta contraddizione con gli interessi privati del Presidente del Consiglio e poco gradito per gli aspetti politici (non è un mistero che l’attuale legge-bavaglio sia pensata soprattutto per “tagliare” la piccola e diffusa informazione Web) mentre, tutto ciò che è cemento, lo aiuta a mantenere fedeli le schiere che consumano territorio, cementificando a profusione. Così facendo, producono costanti flussi di tangenti: si veda, per una più approfondita trattazione del legame politica/cemento, il mio “La guerra di Cementland[7].

Un altro fattore, che rende difficile – in un quadro d’economia di mercato – la forte riduzione del numero dei dipendenti pubblici è rispondere alla domanda: eliminando milioni di dipendenti pubblici, poi, che ne facciamo? In altre parole, come mangiano quei milioni di famiglie?
Spostandoli, con l’azzeramento del turn-over, verso il settore privato? Ma se quello chiude o sposta all’estero le produzioni! Verso l’agricoltura? Certo: bisognerebbe, però, iniziare a “far fuori” tutto il mondo dell’intermediazione sui prodotti agricoli – di stampo camorristico e mafioso, a scelta – che regna nel settore, quello che paga le carote al produttore 9 centesimi e, al consumo, le vende ad un euro, con un ricarico di più del 1000% sul prezzo d’acquisto[8]!
Il turismo? La Francia – che non ha il 70% del patrimonio artistico mondiale come l’Italia – ci supera per presenze turistiche. Noi, a parte i soliti “santuari” – Venezia, Roma, Firenze – non siamo in grado d’attrarre il turismo nelle migliaia di piccoli borghi medievali, perché non sappiamo organizzare l’offerta. Si pensi a tizi come Bondi o la Brambilla (che dovrebbero pensarci!), agli spot di Berlusconi od a quelli che furono di Rutelli, e si capisce tutto.

La somma di questi fattori – l’innalzamento dell’età pensionabile, il mutare delle tecnologie mai compreso, l’impossibilità di spostare verso altri settori quelle persone, ecc – determina la stasi.
Quelle persone, però, votano: questo è il significato del sondaggio.
Torniamo al nostro sondaggio e cerchiamo di capire cosa possono pensare gli attori politici.

Berlusconi ne ha paura: ha paventato a Tremonti la possibilità di sostituirlo se non cambia la manovra economica, se non la rende meno distruttiva sotto l’aspetto del consenso, ma Tremonti – ingabbiato dallo stesso “mercatismo” che a parole disprezza (ma, allora, che ci sta a fare?) – ha risposto che a Bruxelles, carte alla mano, qualcuno dovrà pur andarci. Ed è rimasto al suo posto.

Fini medita, ovviamente, che la prospettiva di un partito di centro intorno al 20% (seppur in coabitazione) gli restituirebbe libertà di manovra politica e – siamo certi che nell’animo la cosa lo fa sorridere – gli consentirebbe una spietata vendetta nei confronti dei “colonnelli” di AN che l’hanno tradito.

Casini, ovviamente, tira un sospiro di sollievo per quella soglia del 6% che difficilmente riesce a superare: Rutelli e Lombardo, semplicemente, trovano casa.

Per Bersani la partita è interessante: seppur in coabitazione, un governo tecnico od istituzionale gli toglierebbe tante castagne dal fuoco, non ultima l’insperato ritorno nella “stanza dei bottoni” che tanto agogna, che taciterebbe le tante “anime dolenti” del partito. Per questa ragione, il PD – chiacchiere a parte – non si strappa le vesti per una finanziaria “lacrime e sangue”: già sa che dovrà dire di sì a tutto, basta ritornare al potere. La “lunga marcia” del partito, per depurarlo anche del minimo afflato di ciò che fu la sinistra lo rende, oggi, perfettamente coerente con un centro anonimo ma completamente appiattito su posizioni atlantiste e confindustriali.

Di Pietro, in questa situazione, è fra i meno desiderati. Proviamo a fare qualche somma: l’alleanza da Fini a Di Pietro prenderebbe il 58%, Berlusconi il 41%. Ma, se sottraiamo circa un 8% (Di Pietro), resta pur sempre un buon 50% dell’elettorato, sufficiente per estromettere Berlusconi dal potere.
L’attuale fase d’incertezza (usiamo un tiepido eufemismo) politica non deriva da chissà quali “difficoltà” per estromettere Berlusconi dal potere, bensì dalla trattativa fra i vari attori per la spartizione della torta. Ai più attenti, non sarà sfuggito che siamo già nell’era “post-Berlusconi”.
Una simile “Santa Alleanza” non sarebbe facile da gestire, perciò riteniamo che Di Pietro non sarebbe della partita, poiché troppo inaffidabile. In egual modo, sarebbero da decidere i destini d’alcuni “transfughi”, il più importante dei quali potrebbe essere lo stesso Tremonti, visto che la Lega – in quel caso estromessa da qualsiasi velleità di federalismo o di secessione – non sarebbe certo più il suo angelo protettore.
Cavalcando la furia dell’antiberlusconismo, un’alleanza un po’ sui generis avrebbe buone chances di successo, soprattutto perché avrebbe la benedizione d’Oltretevere e d’Oltreoceano, del Colle e di buona parte di Confindustria. Senza dimenticare Mario Draghi, che potrebbe anche rimanere alla Banca d’Italia, poiché Tremonti (o chi per lui) sarebbe messo sotto tutela dalla triade Fini-Casini-Bersani.

I margini di manovra per Berlusconi sono strettissimi, per non dire nulli. L’uomo ha scarsa autonomia politica, poiché vorrebbe interpretare una sorta di liberismo estremo in salsa Thatcher o Bush, invece lo fa in salsa italiana, rendendo quel sistema ancora più incongruo e difficile da gestire.
Basti pensare che, nei Paesi anglosassoni, nessuno mette in dubbio che le tasse vadano pagate, poiché quello è uno dei cardini del liberalismo economico e, il susseguente liberismo (o mercatismo), non si discosta da questa impostazione. Negli USA liberisti, per frode fiscale si va in galera.
In teoria anche in Italia, con l’attuale ordinamento giuridico, ciò sarebbe possibile, ma un groviglio di norme – affastellate, abrogate, riscritte, contraddittorie, ecc – non lo rende possibile: in salsa italiana, appunto, vedi l’anacronistica cancellazione del reato di falso in bilancio. Inopportuno, in primis, per chi si dichiara liberista!

La semplice teoria berlusconiana – un mix di TV, condoni, “tolleranza mille” per l’evasione fiscale, aumento della spesa centrale clientelare con scaricamento a mare delle amministrazioni periferiche, ecc – non regge più di 2-3 anni, poi inizia a disgregare il bilancio dello Stato. E’ avvenuto nel 2004, sta avvenendo ora.
Paradossalmente, i “consigli” di Fini potrebbero allungare la vita del berlusconismo, ma qui entra in gioco l’alleanza – sempre passata come “naturale” – con la Lega mentre, in realtà, non lo è per niente.
Il referendum costituzionale del 2006 fu presto dimenticato e poco valutato per la sua importanza: dimostrò, senza ombra di dubbio, che una via costituzionale (o cecoslovacca) per la secessione (o per un federalismo che risultasse una secessione mascherata) non è attuabile. “Figli” di quel referendum furono l’MPA ed ora lo strano “animale politico” denominato PdL Sicilia, un anacronismo anche nell’ottica della più estremizzata teoria delle alleanze asimmetriche.

Sull’altro versante, la Lega Nord sa benissimo che – a parte le corna di Brenno, i fiumi di birra e le invettive di Gentilini – nessun “Gallo” scenderà mai a Roma con il forcone. E neppure si vedranno mai “milizie” legaiole nel Nord-Est: gli italiani amano chiacchierare, ma l’ultima cosa alla quale pensano è alla guerra, sia essa di liberazione, di religione, di conquista od altro. Da noi, vince sempre l’antico “armiamoci e partite.”
Il gioco della Lega è dunque semplice: distruggere dall’interno lo Stato, fare in modo che risulti così impresentabile da rendere in fin dei conti “giustificabile” un ricorso a Bruxelles per ottenere forme d’autonomia più marcate: la nota “teoria” del “Bordello”. Qui, allora, è sullo scenario internazionale che bisogna ragionare: l’UE è favorevole ad uno smembramento dell’Italia?

Lo era la Bundesbank all’epoca del sen. Miglio e della guerra balcanica ma, da quei giorni, molta acqua è passata sotto i ponti. Ricordiamo, per chi l’avesse dimenticato, che la secessione jugoslava iniziò con la suddivisione del debito jugoslavo (imposta dal FMI) fra le repubbliche, mentre – per dare una chance alla pace (!) – l’allora ministro degli esteri tedesco Kinkel “girò” alla Croazia l’armamento leggero e pesante appena ricevuto dalla ex DDR. Il risultato, dall’interazione fra questi fattori, era assicurato: le religioni, poi…quelle servono a scaldare gli animi per farti morire dissanguato, con la bocca nel fango, sull’argine della Drina.

Oggi, una dirigenza europea, farebbe un buon affare a soffiare sul fuoco della secessione? Non ci sembra proprio.
Se, oggi, esiste per l’Italia un “rischio greco” domani – con il Sud abbandonato a se stesso – diverrebbe una certezza. Con l’aggravio di un nazione che nascerebbe da una secessione, con poca chiarezza sui suoi equilibri costituzionali, con una classe dirigente raccogliticcia e poco affidabile e, dulcis in fundo, le più potenti organizzazioni criminali europee concentrate in un fazzoletto di territorio. Un buon affare per Bruxelles?

Non ci sembra proprio e, la “corsa” di Tremonti a Bruxelles – non dimentichiamo i legami del ministro con il Bilderberg – pare mostrare un altro scenario: non vi daremo scampo, sembrano recitare dai santuari dell’economia, ma non crediate di salvarvi facendoci lo scherzetto, ovvero mollarci un Sud allo sfascio e buonasera.
Se avete di queste panzane per la mente, provate a riflettere su una “cura” greca ma per tutta la nazione, senza esclusione di colpi e di confini “federali”.

Ecco dove s’arena la strana alleanza fra Bossi e Berlusconi: come due attori che hanno oramai voltato l’ultima pagina del copione, devono recitare a soggetto ed inventare delle parti senza averne le capacità. In fin dei conti, sono entrambi due stegosauri della prima repubblica.
Il secondo, inoltre, vede il personale del teatro, le comparse e qualche attore non protagonista che iniziano a squagliarsela alla chetichella, mentre il primo – all’ultima battuta sul copione – legge “Con questa legge, con il federalismo fiscale, finalmente i diritti dei popoli padani sono stati riconosciuti!”. Non potendo pronunciare la battuta finale (sotto, in corsivo, c’è scritto “applausi del pubblico”), balbetta: corre da Napolitano, corre da Fini, corre al cesso.

E noi?
Ci tocca assistere a questo teatrino d’infima categoria, però siamo anche confortati dal fatto che – alle ultime elezioni regionali – più del 40% non s’è recato alle urne od ha invalidato il voto: siamo quasi a metà!
Non tutti, ovviamente, avranno scelto l’astensionismo consapevole però – fra i massimi storici sulla partecipazione al voto e questo minimo – c’è un 30%, circa 12 milioni d’elettori.
Questa, non è un più una semplice questione di flussi elettorali: siamo di fronte ad un problema o, se preferite, ad un evidente mutamento sociologico.

Dopo anni ed anni nei quali, sul Web, si sono intrecciate liti e discussioni su ogni argomento, una buona fetta d’italiani non si riconoscono più in questo modo raffazzonato di gestire la cosa pubblica, sono presi da conati di vomito quando ascoltano le solite battutine sceme oppure le schermaglie prive di senso e senza nessun fondo di vera politica. Per giunta, urlate: la disfida dei vuoti pneumatici.
Una consistente parte della popolazione ha maturato molti argomenti politici: dall’energia alla moneta, dall’agricoltura di qualità alla gestione del territorio, da trasporti meno energivori ad una scuola meno stupida. Non continuiamo per non tediare i lettori.
Pur con delle differenze e dei distinguo, questi (ed altri) sono gli argomenti che interessano la parte che consideriamo più “evoluta” (in senso politico) della popolazione italiana: ossia, quelli che sanno riconoscere il significato del termine “politica”. Trovare le migliori soluzioni per il governo della nazione: oggi, fanno a gara per scovare le peggiori!

Nei mesi che verranno, gli equilibri politici saranno destinati a cambiare – non dimentichiamo quanto si senta meno “legato” un parlamentare che ha maturato la sua bella pensione in 30 mesi – anche perché si sono oramai varcati dei livelli di guardia: la gente dell’Aquila bastonata in piazza è un evento inaudito.
Inoltre, sembra che fuori dal “giro G8/Maddalena/L’Aquila/Eolico…tangenti varie, siano rimasti soltanto la Gelmini, Bondi e qualche peones. Un po’ poco per tentare una risalita.
Un governo di “salute pubblica”, però, non cambia molto la questione poiché gli attori che avanzano sono tutti degli sfegatati mercatisti, gente vecchia, senza idee, senza verve, solo colmi di gusto per il potere.

Una delle prime cose che si dovrebbero chiedere a gran voce – riteniamo molto improbabile che gli italiani scelgano la piazza per regolare i conti – è l’abolizione di questa legge elettorale per tornare, almeno, ad eleggere qualcuno che non sia solo un “senatore del Re”.
Una tornata elettorale con un sistema proporzionale puro – preceduta da uno sfoltimento delle procedure per la formazione di nuovi partiti (50 firme come in Germania) – avrebbe il gran pregio di “liberare” le energie che ci sono, che sono presenti nella società italiana e di proporle all’attenzione del pubblico.
Soprattutto, sarebbe necessario eleggere gente più giovane – 40enni, ad esempio – ed in questo senso Beppe Grillo ha ragione. Proviamo a chiederlo in tanti, ad assordare qualsiasi governo salga in cattedra.
Quel Parlamento, eletto in quel modo, sarebbe la vera fotografia della società italiana: lì, potrebbe veramente iniziare un percorso di rinascimento politico. Ovvio che, per l’attuale ceto politico, la proposta sarebbe fumo negli occhi ma dovrebbero rendersi conto – tutti – di non avere più niente da dire, da proporre, da provare, salvo le solite alchimie di bilancio viste in chiave di fedeltà elettorale. Ma, le ultime elezioni e quel sondaggio indicano che la fedeltà elettorale è sempre più evanescente.

Sarebbe necessario iniziare a discuterne ed a proporlo da più parti – senza più le pelli di salame agli occhi della Destra e della Sinistra – perché non crediamo che ciò che compare sul Web scompaia il giorno dopo. Semmai, questo è vero per la carta stampata: il giorno seguente, è solo più buona per incartare le uova.
Siamo convinti che, la discussione e la propagazione di questa semplice ma corrosiva proposta politica, potrebbe generare frutti.
Senza una simile, drastica decisione, anche quei politici che – in buona fede o, più spesso, in cattiva fede – affermano la necessità di un cambiamento, si devono rendere conto che la questione, oramai, si pone in termini di classe politica, non di partiti.
Qualcuno potrebbe essere intimorito per ansie di “ingovernabilità”.

Scusate, la cosa ci fa sorridere: tutto il can can creato ed organizzato prima con il maggioritario, poi con questa roba assurda, che è solo buona per eleggere segretarie compiacenti e cialtroni vari – non a caso denominata “Porcellum” – servirebbe per governare?
Ah, ah, ah, ah, ah…

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

[1] Vedi : http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[2] Fonte: http://www.repubblica.it/statickpm3/rep-locali/repubblica/speciale/2010/sondaggi_ipr/terzopolo.html?ref=HREC2-1
[3] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/eutanasia-di-una-nazione.html
[4] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/fine-del-miracolo-liberista-italiano-e.html
[5] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/05/quattro-milioni-di-congelati-e-cosa.html
[6] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2010/07/07/news/disoccupazione_top_dal_dopoguerra_italiani_agli_ultimi_posti_per_i_salari-5446114/?ref=HREC1-6
[7] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/02/la-guerra-di-cementland.html
[8] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2010/07/07/news/agricoltura_crollo_prezzi-5440229/