23 maggio 2017

Desertec? Ci vorrebbe un secondo Mattei!


Chi si ricorda più del progetto Desertec? Svanito nelle nebbie, anzi nelle sabbie del Sahara.
Un progetto che doveva portare in Europa il 15% del fabbisogno elettrico complessivo, un mare d’energia. Ed un mare di soldi. Tolti ai petrolieri.
Invece, niente. Non se ne fa più nulla. Come mai?
Ufficialmente il progetto è ancora esistente, almeno nelle carte del consorzio delle imprese che lo sorreggevano: in realtà, tutto si è fermato nel 2011.
Di chi la responsabilità? Di tutti, o di nessuno.
Vediamo.

Il progetto nasce nel 2003, e si capisce subito che è “roba grossa” – un investimento di 400 miliardi di euro – ed è spiccatamente tedesco, per i progetti e per le aziende che lo sorreggono. Tecnicamente, Desertec si proponeva di raccogliere energia solare ed eolica, tramite solare termodinamico od a concentrazione, fotovoltaico ed eolico per alimentare le reti interne dei Paesi nordafricani ed esportare il surplus d’energia, stimato pari al 15% del consumo elettrico europeo. Un “fetta” enorme della torta energetica europea.

Si potrà dire che si tratta(va) del solito progetto condotto dalle solite oligarchie finanziarie planetarie per guadagnare i soliti miliardi dagli investimenti ma, del resto, c’è qualcosa che non è prodotto dagli investimenti finanziari internazionali? Certo: l’insalata dell’orto.
Dall’altra, dobbiamo riconoscere che il progetto avrebbe consentito una maggior ricchezza per i Paesi nordafricani ed un considerevole risparmio (circa 30 euro/Megawatt/ora) per gli utenti. Inoltre, avrebbe consentito quella “transizione” verso l’elettrico da fonte rinnovabile che potrebbe essere la salvezza del Pianeta.

Ora, io non so se l’aumento delle temperature – e non venite a raccontare fandonie: ogni anno c’è un aumento “record” delle temperature – sia d’origine antropica o naturale. Non me ne frega un emerito picchio. Quello che so, per certo, è che ogni kg di combustibili fossili produce 3, qualcosa kg di anidride carbonica e la CO2 è scientificamente provato che – insieme ad altri gas nitrosi e a parecchi idrocarburi gassosi – riflette la dispersione verso l’infinito dei raggi solari. Poi, che siano più importanti le centrali termoelettriche o le scoregge delle vacche nella produzione, le foreste oppure il fitoplancton nella fissazione della CO2 non ha nessuna importanza: il dato essenziale è non aggiungerne.

Tutto fila liscio fino al 2009 – occhio alle date! – quando si comincia seriamente a pensare di costruire le prime centrali. Ma, l’aria – anzi, il Ghibli – cambia. Ci sono le cosiddette Primavere Arabe da ascoltare, da gestire, da combinare con i propri interessi.
Appena scocca il 2010 fioriscono, come i lamponi nella taiga: Tunisia, Egitto, Libia. Non se ne può più di questi dittatori che si atteggiano a Presidenti! Ci vuole democrazia! – urla una Clinton che sembra una Albright rediviva.
Oggi, abbiamo i Presidenti che fanno i Dittatori, ma va bene così: nessuno si lamenta più, dal Cairo a Rabat. Chi si lamenta rischia grosso, chi non ne può più scappa in Europa. E tocca a noi mantenerli, mica agli USA.

La Germania – nota a margine – durante la guerra contro la Libia restò muta come un pesce abissale: non solo non vi partecipò, ma neppure mosse un labbro per appoggiare chiunque. D’altro canto, sprecare le parole – quando è inutile – non serve.

L’Italia, invece – Paese sconfitto nella 2° GM come la Germania – si diede un gran daffare per slinguazzare inglesi, francesi ed americani, perdendo fior di commesse e di succosi contratti con la Libia di Gheddafi. Dopo la guerra, la spartizione del petrolio e dei contratti d’appalto fu eseguita con il manuale Cencelli e, guarda a caso, proprio in quegli anni si “scoprì” il petrolio – ed a darsi un gran daffare – in Lucania. Strana coincidenza, vero?

Oggi, perché il progetto Desertec va in malora?
Cominciando da Ovest, c’è l’annoso problema del Sahara Occidentale (ex Sahara spagnolo), spartito fra Marocco e Mauritania, ma considerato dall’ONU una nazione indipendente, con una postilla “non completamente libera”. Con un governo in esilio in Algeria.
La Spagna, per tagliare la testa al toro, decise che non un kW d’energia prodotta laggiù avrebbe attraversato la Spagna. Finis.
L’Algeria, molto semplicemente, ha dichiarato che le riserve energetiche – di nessun tipo – sono sotto il controllo statale, e quindi non disponibili per investitori esteri. Il Marocco è sempre in lotta con la Mauritania per la questione sopra esposta, e quindi poco affidabile.
Cosa rimane?

La Tunisia.
Già, perché né la Libia né l’Egitto sono considerati affidabili per creare infrastrutture costose e, soprattutto, facilmente attaccabili dai vari terrorismi – Al-Qaeda e Daesh (e dai loro padroni) – e dunque…rimane la Tunisia…che è certamente un Paese affidabile, stabile ed inattaccabile. Come no.

La storia termina qui perché, per la produzione solare, è molto importante la posizione dell’impianto – ossia la longitudine (meridiani) dov’è situato – poiché la produzione/consumo non può essere differita nel tempo: siccome la corrente elettrica corre nei fili alla velocità della luce, è perfettamente inutile creare un simile impianto in Arabia Saudita, che potrà servire per alimentare Mosca oppure Kiev, non certo Madrid o Parigi.

Certamente Mubarak e Gheddafi non erano stinchi di santo, però Gheddafi era la sola persona in grado di garantire quegli investimenti: oggi, dopo la “Primavera” è arrivata l’infinita “Estate” libica, nel senso che sono tutti in vacanza e non si sa più a che santo votarsi per governare il Paese.

Il progetto Desertec è sfumato: qualcuno piange ma gli USA, che hanno avuto recentemente ben due presidenti petrolieri, non sono di certo in gramaglie. Anzi. Furba l’Europa dei banchieri, vero?

17 maggio 2017

Incontro con Serge Latouche


Mercoledì 7 Giugno 2017, alle ore21, presso "La cena di Pitagora" via San Ponzo 25, 27050 Ponte Nizza (PV) tel +39.0383.53410 (zona Tortona-Voghera), ci sarà un incontro con Serge Latouche sulla decrescita e sulla mondializzazione dell'economia. Io sono stato invitato ad introdurre gli argomenti ed a moderare il dibattito.
La prenotazione è obbligatoria,
Intervenite numerosi!
Di seguito, un approfondimento dell'evento:
http://www.lacenadipitagora.it/webroot/files/LATOUCHE[1].pdf

 Devo riconoscere che mi sono sentito molto onorato per introdurre un uomo di grande saggezza come Latouche: sono queste le occasioni nelle quali uno scrittore sente d'aver fatto qualcosa di buono.

13 maggio 2017

Addio, Oliviero



Conobbi Beha una sera di tanti anni fa, in una Torino uggiosa, circoncisa dalla nebbia ed immersa in quell’umidore che t’attanaglia la pelle e ti strema il respiro.
Eravamo una cinquantina d’anime dannate che sognavano una “Repubblica dei Cittadini”, qualcosa di molto diverso dai cybernauti che oggi vanno per la maggiore: un po’ per fideismo, un po’ per depressione e sfiducia.
Uscivamo a fumare fuori, dalle parti del Palazzo delle Facoltà Umanistiche – terra di Bobbio e di Abbagnano – che ci rammentavano un po’ una Torino smagata da tempo, dall’altra il senso della misura, oggi perduto nelle risse da balera televisive.
Eppure, Oliviero c’aveva raccontato tante, troppe cose, soprattutto quella ventura di scoprire una partita di calcio fottuta, combinata, comprata…chissà…una come tante, in un campionato dove se ti chiami Fiorentina, per lo stesso reato, vai in serie D, se ti chiami Juventus vai solo in B. Vai a capire: no, non c’è niente da capire.
Quello scoop fu maledetto. Se tocchi il calcio oppure l’ENI, in Italia, sei fottuto per sempre.
Gli lasciarono quel posto in RAI – così mi raccontò – tanto per sbeffeggiarlo, per fargli capire che uno bravo non lo vogliamo, se non è disposto a chinarsi a novanta a comando. Lo lasciamo lì, a rimirare la sua impotenza.
Per questo volevamo un repubblica fatta da cittadini – non da cafoni suburbani – che oggi si litigano per capire chi ti ha telefonato per dirti che non dovevi comprare quella banca…oppure no…che la dovevi comprare…madonna mia, che schifo.
In questo senso eravamo più Bobbio od Abbagnano: sempre meglio che giocare alla capra con Sgarbi. Che finisce, irrimediabilmente, sotto una panca fatta di scoregge e rutti, in un’osteria di periferia.
Dal televoto di Sanremo al cyber voto  per dichiarare che 20.000 persone hanno deciso che tutto va bene, così hanno sentenziato a Milano, e Genova ha approvato.
Hai preferito vivere da signore un po’ scapigliato, con quell’andazzo dal quale lasciavi intendere di vedere le cose un po’ più in là degli altri, con un orizzonte più lasco, meno imbrattato dai verminai politici o dalle madonnine cibernetiche.
Non mi viene in mente altro che la frase della (ipotetica) figlia di Marco Aurelio ne Il Gladiatore: “E’ stato un giornalista italiano. Onoriamolo.

02 maggio 2017

L’Europa è finita, andate in pace

“Quando si perde il Tao, appaiono la moralità e il dovere, più si emanano leggi e decreti, più ci saranno ladri e predoni.”
Tao-te-Ching – Lao-Tse – VI secolo a. C. (?)

Il popolo cinese possiede una “scienza” che trova proprio nel I-Ching il suo metodo tipico di lavoro. Il principio di tale scienza, come molte altre cose in Cina, è oltremodo diverso da quello su cui invece è impostata la nostra.”
Carl Gustav Jung  (1875-1961).


Voglio pormi una domanda che sembra scontata: non noi, ma i nostri nipoti avranno qualche speranza di tornare a vivere in un mondo dove ogni cosa non sia ritmata da un etimo astratto – poiché non corrisponde più al suo archetipo linguistico – ossia l’economia?
L’oggi è perverso, forse il domani sarà anche sanguinoso – non ci credo, ma state certi che quando il saggio di profitto si liquefa, si distrugge tutto per tornare a guadagnare – e il dopodomani?

L’oggi è il parossismo: a Bruxelles, sono accreditati 15.000 lobbisti, più quelli che lo fanno senza dirlo, ma solo lobbisti “doc”, sia chiaro. Per la coca e le puttane da fornire ai nostri rappresentanti (ah,ah,ah), ci sono altre strutture, dedite, appunto, ai giri di coca e di prostituzione atti alla bisogna. Un’organizzazione perfetta, che chiamano democrazia.
Perché – caso appena successo (1) – le fabbriche che sfornano seggiolini da automobile per bambini sono in crisi: guadagnano troppo poco. Ergo, bisogna mettere subito fuori legge tutti i seggiolini esistenti per costruirne di nuovi…tanto i soldi li tirano fuori, è obbligatorio…e poi, l’economia soffre. Come farglielo capire ai parlamentari europei?

Ci pensa Titta Tuttetette la quale, dopo una tirata che ti fa sentire il Leone delle Nevi, per fartelo capire meglio ti succhia il biscottino…vero che la firmerai quella legge? E’ necessaria, altrimenti gli operai vanno in cassa, e piangono. Tu non vuoi che piangano, vero? Se smetto di ciucciare tu piangi, ma io non sono cattiva e continuo imperterrita, voglio farti godere perché tu faccia godere anche quei poveri operai. La democrazia è una cosa meravigliosa: vedrai, per quelli che hanno tre figli faranno lo sconto comitive – come ho dovuto fare io, pensa – perché fra presidenti di commissione, vice presidenti, tecnici, capi-corrente…quanti biscottini mi toccherà ciucciare…
Ma Titta Tuttetette è una professionista seria: il lobbista, incaricato di far mettere fuori legge i vecchi seggiolini, si fida di lei, la conosce bene.

Le elezioni francesi – se ancora ce n’era bisogno! – ci hanno chiarito il loro concetto di democrazia: tutto deve continuare come oggi, il sistema è perfetto…certo, qualcuno rimane indietro…ma, fra Tv, Web e quattro mance elettorali, siamo in grado di resistere ancora molti anni. Tre candidati si sono coalizzati per sconfiggere la Le Pen.

Intanto, i sudditi di Tsipras fanno la fame, mentre il cialtrone corre a Cuba a visionare il “paradiso socialista”, oppure potremmo ipotizzare che Brexit non sia stata voluta a furor di popolo, ma sia stata la vittoria del partito filo-atlantico contro quello europeista: di certo, Trump non ha pianto il giorno del referendum!
Oppure, vuoi vedere che è stata una decisione indigena…ossia…la Banca d’Inghilterra, statale ed azionista della BCE (pur non avendo l’euro!), ha fiutato che l’affare non conveniva più…già…ma come si fa a tirarsi indietro? Eh, il popolo ha democraticamente deciso…

Non starò a tediarvi con queste cialtronerie che tutti ben conosciamo, ma le elezioni francesi ci hanno mostrato una realtà limpida come l’acqua: nessun cambiamento potrà mai avvenire per via elettorale, perché – mediante i giochi associazione/dissociazione (e questo vale per l’Italia) – sono in grado di controllare tutti gli equilibri parlamentari. Se non basta ancora, si va al mercato delle vacche e si comprano, senatori e deputati. Qualche De Gregorio, Razzi o Scillipoti c’è sempre. Non basta ancora? Si creano nuovi movimenti, all’apparenza rivoluzionari chedipiùnonsipuò, che saranno sempre controllati dai vari centri di potere, mediante il denaro o l’omicidio.

Ho sottolineato “i nostri nipoti”, perché i coetanei (sono della “leva” dei nonni) o sono riusciti ad entrare per il rotto della cuffia in pensione – e stanno attenti a come spendono anche i centesimi – oppure sono messi ancora peggio. Chi campa perché moglie/marito lavora, chi perché la mamma – novantenne – ha ancora una pensione (magari l’accompagnamento!) e la povera vecchia si rende ben conto, se la testa non l’ha mollata, della responsabilità che le è piombata addosso con i suoi novant’anni.
Qualcuno ha piccoli redditi da immobili, chi è aiutato dai figli, chi ancora – a 65,66,67 anni – lavora, come può…come gli riesce…e non s’immaginava di certo, quand’era quarantenne, di fare una simile fine. E i figli?
Quelli, sono messi peggio.

Per loro, hanno inventato un nuovo tipo di welfare: il welfare creativo. Su, dai…se non riesci ad essere creativo – ossia a cavare i soldi anche dai sassi – sei un bamboccione, un figlio di mammà che non vuole staccarsi dalle gonne! Sapete che il figlio (maschio) della Fornero fa il regista? Non l’avete mai sentito nominare? Oh, ma come siete poco informati (!)…Andrea Deaglio, è “uno stimato regista e produttore di film socialmente impegnati” (Il Giornale)…come, non l’avete mai sentito?
Per quelli che, invece, non vincono il concorso come amministratori del Quirinale (125.000 euro l’anno)…perché figli dell’ex segretario del Quirinale…c’è sempre un posto da cameriere, prima pagato con i voucher, adesso in nero o con contratto a chiamata, ossia lavori se c’è lavoro, solo quando ci servi.
Il contratto di lavoro – istituto cardine della giurisprudenza del lavoro – quella cosa dalla quale discendeva l’accordo fra le classi sociali…sparito!

Anni fa, per andare in Bosnia passai dalla Croazia: non mi piacque. Sono un popolo di camerieri, pensai, gente che appena ti guarda cerca di capire quante Corone potrà scucirti. Piano, ma ci stiamo arrivando anche noi: privati delle grandi industrie, con le piccole imprese controllate da Paesi stranieri, siamo cotti. Un tempo c’era l’Italsider con 2.000 dipendenti, oggi le navi della Costa caricano/scaricano migliaia di turisti: i nostri ragazzi, che magari sono ingegneri, corrono da un tavolo all’altro. Cuba libre? Due? Grazie, arrivo.

Questa è la realtà dei nostri figli: chi un po’ meglio, chi un po’ peggio.
E i nipoti?

Per ora vanno a scuola od all’asilo, ma scoccherà anche per loro il tempo delle scelte, ossia fra schiavismo od accattonaggio.
Qualcosa può cambiare?
Non certo per movimenti sociali d’opposizione: leggiamo, scriviamo, commentiamo…ma di più cosa possiamo fare? Ah sì, ogni 5 anni andare a crocettare una scheda…chi ci va ancora…

La mia generazione ci provò, e ne fui testimone: una sera mi recai alla riunione di Potere Operaio. Stupito, notai che al banco della presidenza c’erano tre tizi che non avevo mai visto. Fecero in fretta: compagni, noi siamo ex partigiani e vogliamo fare la rivoluzione: le armi ci sono, bisogna prepararsi.
Quella sera capii che stavamo per dichiarare guerra all’arma dei Carabinieri, alla Polizia ed allo Stato in generale: compagni, saluti!
Furono anni duri, ed il dolore per tante vicende mi prendeva allo stomaco…d’altro canto, se credi che si possa affondare una portaerei a forza di testate…

L’unica speranza è in un mutamento di pensiero, che prima o dopo si faccia largo nella popolazione. Anni? No, almeno decenni, se non secoli.
Da dove può scaturire una nuova forma di pensiero sociale?

Europa
Per due millenni l’Europa è stata il centro del mondo: la sua civiltà greco-romana e poi cristiana ha plasmato il pianeta – nel bene e nel male – fino a pochi decenni or sono. Forse, se la costruzione europea avesse tenuto conto d’altri fattori – più Keynes e meno Friedman, a grandi linee – la situazione, oggi, sarebbe forse migliore e ci potrebbe essere una speranza, una “visione” per il futuro, ma così non è.
Da Vilnius a Lisbona, da Atene a Rotterdam, il continente non ha più niente da dare alla civiltà umana, giacché l’Impero Germanico – sconfitto due volte con le armi – ha saputo imporre ugualmente la sua egemonia, senza una cultura cui riferirsi. Poco ascoltati in Patria, i grandi filosofi tedeschi non hanno più nulla da raccontarci: niente visioni del futuro appaganti o, almeno, stuzzicanti.

Stati Uniti d’America
Un popolo di coloni non può far altro che colonizzare, serialmente, come fanno da due secoli: il “sogno” americano si nutre con l’incubo delle popolazioni assoggettate dopo la vittoria nella 2° G.M. Per alcuni aspetti, hanno copiato ciò che l’Europa fece con l’Africa, ossia bloccare lo sviluppo di un intero continente per alimentare il proprio. L’Impero Americano sarà duro a morire, poiché hanno un territorio vasto e per molti aspetti sono autosufficienti: le metastasi che si diramano ovunque, nel Pianeta, alimentano il surplus che deve sorreggere la retorica di supporto alla macchina mediatica statunitense. La cultura, in un simile sistema, non può che essere “embedded” o, per dirla con la nostra lingua, “organica al sistema”. Vale a dire, pari a zero.

America Latina
Ciò che più conta, in questa definizione, è la seconda parte: è terra ispanica, appena sfiorata dagli aliti delle Ande, peraltro scomparsi – come cultura – da parecchi secoli. In questo enorme continente, si vive di ricordo e di sogni: si potrebbe affermare che ogni abitante gira con, sottobraccio, il suo libro di Cervantes. I grandi sogni sono il suo pane quotidiano, la visione di un futuro estatico sono il viatico per il “Paradiso degli Eroi”, da Don Chisciotte a Che Guevara. Ma la cultura che conduce ad un futuro non scaturisce dal sogno, bensì dal pensiero: c’è comunque qualcosa di più vivo che a Nord, c’è almeno la coscienza d’essere umani, con il proprio ricordo di un umanesimo caricato, insieme all’acqua ed ai viveri, sulle caravelle che varcarono l’oceano, dove ammazzarono a più non posso. Ricorderanno la saggezza di Sancho Panza? Chissà...

Africa
E’ il continente che più ha pagato il conto della ricchezza europea ed americana: sconvolto con lo schiavismo, proprio nel passaggio dalla cultura dei villaggi a quella delle città, l’Africa non esiste più. Una grande miniera a cielo aperto, diamanti e petrolio per tutti, meno che per gli africani. Onore a chi, come Gheddafi, propose e pagò personalmente con la vita il sogno di una unità pan-africana, un rinascimento che è stato sconvolto ancora una volta da guerre e massacri, orditi da Washington e da Bruxelles. Africa, addio.

Russia
E’ giusto presentare la Russia come un continente, perché culturalmente la Russia zarista, poi comunista, oggi metà post-comunista e metà neo-zarista, vive di un equilibrio proprio, autoctono. E difficilmente esportabile.
La Russia ha poco interesse per il mondo che la circonda: lo osserva principalmente perché sa d’essere sempre nel mirino per le sue enormi ricchezze minerarie, ghiotto boccone per le economie di rapina. Per questa ragione si arma, quel tanto che basta per scoraggiare chiunque: come colonizzatori, i russi non valgono una cippa. Si notò chiaramente come risolsero le questioni in Ungheria e poi in Cecoslovacchia, da ultimo in Georgia: questo fa parte della mentalità russa, che ingloba nelle vicende umane una quota di sofferenze inevitabili – che fosse il disinteresse zarista o la protervia staliniana, Tolstoj o Dostoevskij – l’importante è che il continente russo continui ad esistere, con la religione ortodossa, la lingua slava ed i popoli slavi. Nulla che ci possa interessare: il “mix”, non è esportabile.
Però, la Russia – diciamo l’era Putin – sarà ricordata come il compromesso – tentato? riuscito? parzialmente? – fra il mercato e lo Stato. Putin ha chiarito che, senza l’economia centralizzata e statale, non ci sarebbe stata la vittoria nella 2° G.M. Lo stesso Putin che ha imprigionato gli oligarchi, i quali erano scappati con l’ex apparato energetico sovietico sotto il braccio: non sputi l’osso? Stai in Siberia: alla Stalin.
Indubbio che risultati ne ha ottenuti, ristrutturando l’industria pesante e la politica estera russa: però, nulla di nuovo. Nel senso che l’URSS vendeva minerali grezzi ed armamenti, ed oggi la Russia non è stata capace (a parte le armi) di far fiorire l’industria leggera e l’agricoltura: per sistemare le centinaia di cartiere sulla Transiberiana, ha dovuto rivolgersi a svedesi, finlandesi ed italiani.
E c’è ancora una realtà da considerare: Putin è uno solo…e il futuro? Certo, la Russia potrà essere sempre grande esportatrice d’energia – se solo intercettassero i venti artici con degli aerogeneratori…oggi non interessa, hanno il metano da vendere – ma questo non significa avere una visione per il futuro, condivisibile ed esportabile.

L’Asia
L’Asia non è un monolite, al suo interno (a parte la presenza geografica russa) si distinguono due aree, il subcontinente indiano e la Cina, con la propaggine insulare giapponese.
L’India è tuttora pervasa dalle sue antichissime tradizioni, alle quali – come espressione di modernità – ha quasi appiccicato le pratiche apprese dal colonialismo britannico. E’ senza dubbio una società giovane e dinamica, ma il peso della tradizione opprime. Stupisce, ma non troppo, che abbia creato come espressione di modernità il doppione di Hollywood: come a riproporre un olimpo di celluloide da sovrapporre al mondo tradizionale. L’India rimane, in sostanza, legata agli archetipi come nessun altro nel Pianeta: sono tradizioni profonde, antichissime, che non possono essere esportate. E che, per alcuni aspetti, li schiacciano e li immobilizzano. Potremmo dire che sono apprese dal latte delle madri: per questa ragione, ritengo che il mondo indiano abbia poco da offrire al resto del pianeta, anche se – paradossalmente – è stata la culla di grandi scuole di pensiero.

Se escludiamo il Medio Oriente, intossicato dall’Uranio impoverito e dalle fiumane di dollari petroliferi, rimane ben poco: una lontana colonia dimenticata, l’Australia.
E la Cina.

La Cina è la più antica cultura del Pianeta e non è mai stata colonizzata. Forse lo sarebbe stata, ma una concomitanza di fattori – il declino dell’Impero Britannico, la rivoluzione russa, la lenta ascesa dell’Impero Americano, la guerra civile in Cina ed i successivi tentativi americani, falliti, in Corea e Vietnam – decretarono l’indipendenza della Cina.
In quanto a cultura, nessuno può competere con i secoli di cultura cinese: basti riflettere che quando Confucio – coetaneo di Socrate e Buddha, VI secolo a. C., mentre Roma era un villaggetto di pastori – completò la sua formazione, studiò sui tre libri classici della cultura cinese: l’I-Ching, il Nei-Ching ed il Tao-te-Ching. Che risalivano (probabilmente) a Lao-Tse e all’epoca, l’epoca…scompare nella notte dei tempi. Confucio dichiarò che alcuni di quei libri erano “molto antichi”: cosa avrà voluto dire? Nessuno lo sa.

I libri non insegnano niente…l’esperienza è tutto…sarà vero, però, un uomo che a quei tempi scrive un libro (I-Ching) basandosi su 64 esagrammi, ciascuno di 6 linee, intere o spezzate: in altre parole, inventa il sistema binario e poi lo commenta per descrivere l’apparente caos della vita…beh…forse qualcosa da insegnare ce l’ha.
Siamo pronti per cambiare alla radice la nostra cultura?

Non ha funzionato: l’accumulazione di capitale, la rivoluzione borghese e proletaria non ci hanno portato a niente, anche se la prima s’è imposta e la seconda ha fallito. La conquista coloniale, il capitalismo, il materialismo storico, la fase imperialista…tutto inutile. Siamo noi euro-americani a fallire: la nostra mente non comprende l’ineluttabilità del caos, tenta d’imprigionarlo, inutilmente.
Il primo cambiamento è capire che il mondo non è eurocentrico, e nemmeno “americocentrico” – ci sono correnti di pensiero in tal senso – anche se le differenze, oramai, sono impercettibili.

In mezzo a noi, i cinesi.
Imperturbabili – che siano camerieri o uomini d’affari – paiono delle sfingi.
Confesso che mi hanno sempre stupito ed incuriosito, ma qualcuno si è chiesto come hanno fatto – solo vent’anni fa esportavano bamboline di pezza e giocattoli – ad imporsi come i primi produttori di tecnologia del Pianeta?

Pochi anni prima, un cinese fermò un carro armato con la sua sola presenza, ma questo avvenne perché l’ordine d‘avanzare, senza ripensamenti, non era ancora stato emanato: poche ore dopo, nella notte, i carri entrarono a Tien-an-men. Il mattino seguente regnava – per dirla con De André – una pace “terrificante”.
I nostri globalizzatori si stracciarono le vesti (non smettendo d’investire!) ma, in un Paese di un miliardo di persone, quanti milioni di morti ci sarebbero stati con una diversa decisione? Una nuova guerra civile?

I cinesi sono il pragmatismo fatto persona, e non perché sono comunisti o cinesi: perché, alla base della loro cultura ci sono il buddismo, Confucio e Lao-Tse.
Oggi, il Partito ha deciso per l’arricchimento: cinesi, lavorate e sguazzerete nei soldi! Fino a pochi decenni fa, il problema – in Cina – era trovare un miliardo di polli il giorno, per sopravvivere un altro giorno. Hanno smesso di centrare la loro attenzione su quei polli: Teng Hsiao Ping inaugurò un congresso del partito affermando: cinesi, arricchitevi!
Ma, subito dopo, chiarì che la fase capitalista era necessaria, era “uno stadio” della crescita verso il comunismo. Cosa significa? Chiedetelo ai cinesi, questa è stata la dichiarazione di Teng:

Pianificazione e forze di mercato non rappresentano l'essenziale differenza che sussiste tra socialismo e capitalismo. Economia pianificata non è la definizione di socialismo, perché c'è una pianificazione anche nel capitalismo; l'economia di mercato si attua anche nel socialismo. Pianificazione e forze di mercato sono entrambe strumenti di controllo dell'attività economica.

C’è, in queste poche frasi, condensata la vicenda universale dei tentativi umani di dar ordine agli eventi economici. La sintesi non esiste, non c’è: noi cerchiamo la sintesi, e perdiamo di vista il fluire degli eventi. Vogliamo una sintesi breve – una sorta di Bignami della Storia e degli eventi – per fare in fretta, per tornare ad investire, lavorare, guadagnare. E non funziona più.

Non posso affermare che la Cina, il pensiero cinese, fornirà le basi per un nuovo umanesimo: oggi, lanciati come sono nell’iper-capitalismo…nessuno potrebbe affermarlo. Però, le parole di Teng sembrano il parto di una mente profonda, indagatrice. Che comprende sia il caos della produzione capitalista sia l’apparente ordine delle economie del socialismo reale, che si guardano, come allo specchio: apparentemente contrapposte. In realtà, speculari.
Bisognerà attendere che la società cinese sia “matura” per avere risposte, ma anche questa dizione è nebulosa: la “maturità” cinese, sarà come quella europea? Ossia, il capitalismo globalizzatore è giunto a frantumare anche le basi, antichissime, della cultura cinese? Nessuno può avere una risposta, però così – a naso – non ne sono convinto.

Per molti anni – essendo buddista – ho avvertito il dolore dei tibetani per la loro terra: non dicevo nulla, perché ritenevo quelle punzecchiature di spillo, da parte tibetana, inutili, pesanti, dolorose proprio per i tibetani. Però, in silenzio, meditavo: il Tibet diverrà cinese – fuor di dubbio – ma…e se la Cina diventasse tibetana?
Ogni cultura fa riferimento al suo retroterra storico/culturale, anche se il fenomeno è spesso spontaneo e non ce ne accorgiamo.
Le “sfingi” cinesi sono esseri umani come noi, ma la loro mente è completamente diversa dalla nostra, non percepiscono, non possono capire la nostra cultura, perché la loro è molto più radicata della nostra e più profonda. A parer mio, non esiste popolo – e qui intendo il buddismo ed il taoismo, più che le nazionalità d’appartenenza – che conosca i meandri della mente umana come gli orientali.

Sulla piazza Tien am men, vicino alla gigantografia di Mao-tse-dong, all’ingresso della Città Proibita c’è un ideogramma: significa “nessuna azione”. Curioso vero? L’accostamento di un leader comunista con (un’apparente) immobilità.
Craxi, quando visitò la Cina (il celebre viaggio con nani e ballerine…), fu colpito da quel logos (non saprei definirlo in altro modo): non così i personaggi del suo seguito, che lo ritennero – miserere! miserere! – un richiamo all’ozio.

In realtà, quel “nessuna azione” significa che il mutamento è la regola, non l’eccezione. Seguire il mutamento, senza opporre resistenza, vuol dire semplicemente plasmarsi allo scorrere degli eventi. E’ qualcosa di molto semplice e, allo stesso tempo, estremamente caotico: come si può definire altrimenti il lasciar scorrere il caos? Questo vale dal kung-fu all’economia, dalla vita familiare a quella sociale.

Se ci riflettiamo, scopriamo che la nostra classe politica esercita ogni tipo di pressione – montagne di denaro, discorsi fumosi, certezze degli economisti (!), pronte sentenze geopolitiche, ecc…un pietoso, inutile affanno – per non mostrarci la realtà: stiamo affondando, e loro tentano in ogni modo d’opporsi all’evento, si sforzano in modo inverosimile per mascherarne gli effetti. Quando un riconoscimento di realtà sarebbe più onesto e, soprattutto, consono per comprendere il nostro futuro.
Dobbiamo diventare un popolo di camerieri? Bene, allora facciamo in modo d’essere i migliori camerieri del Pianeta.
Siamo stati costruttori di dighe e ponti? Vero, lo siamo stati. Passato. Oggi ci cascano in testa ponti e cavalcavia: qualsivoglia possa essere la ragione, è così che vanno, oggi, le cose.

L’ho visto con i miei occhi in un ristorante cinese come intendono le cose della vita: un cameriere, sul finire dell’ora di pranzo, stava già preparando i tavoli per la sera.
In silenzio, la tovaglia fra le mani dinnanzi al tavolo, chiuse per un attimo gli occhi e lanciò la tovaglia, trattenendola da un lato. Per due volte, osservò il risultato e riprese la tovaglia: al terzo tentativo, l’ombra di un sorriso gli traversò sul viso per un istante: prese un’altra tovaglia e s’accostò ad un altro tavolo.

Non ho pretese d’aruspico, né voglio divinare il futuro con mezzucci per travisare gli eventi e farmi dire “bravo” o “scemo”: non ne ho bisogno e non serve.
Però, se c’è un popolo che potrà fornire risposte quando tutti gli altri clamori si saranno zittiti, io punterei sul popolo cinese, o comunque di chi vive in quella cultura. Se non ci riusciranno loro, non so proprio chi potrà farcela.

(1) https://www.altroconsumo.it/auto-e-moto/automobili/news/seggiolini-per-auto-le-nuove-regole