26 dicembre 2007

Una sola vocale

Qualcuno afferma che non si dovrebbe scrivere nei giorni delle feste comandate, tanto meno a Natale, ma è pomeriggio, ho pranzato abbondantemente ed ho un bel peso sullo stomaco. Il cibo ingurgitato? No, ho ancora “sullo stomaco” l’articolo che il Times ha dedicato all’Italia pochi giorno or sono. A dire il vero, non ho sullo stomaco l’articolo in sé, ma la risposta che lei ha dato – presidente Prodi – a quelle righe.
Alcune frasi – riportate dai media nazionali – mi hanno colpito non perché raccontassero chissà quali novelle, ma per la capacità – in poche righe – di tratteggiare la nostra realtà. Pare quasi che, su una nave che affonda, gli ultimi ad accorgersene siano proprio quelli che ci stanno sopra.
Che la “Perfida Albione” non sia tenera con l’Italia lo sappiamo, che i tedeschi non aspettino altro che un fatto di sangue per gettare sui rotocalchi una pizza con una pistola nel mezzo, è altrettanto vero, ma le parole del Times sono pietosamente, intrinsecamente, ferocemente vere. Di là delle possibili interpretazioni e dietrologie.

"Gli italiani sono i meno felici d'Europa" afferma il quotidiano inglese. Sentenza dura: gettata con troppa approssimazione?

L’imprecisione è intrinseca in ogni universale, in quanto generalizzazione di un’entità composita – tutti lo sanno – ma ci sono dati che è difficile “dribblare” perché riportano a realtà comuni, espanse nella società che si esamina.
La prima è la natalità: che piaccia o non piaccia, il trend demografico è un numero che qualcosa indica. Gli italiani sono i meno prolifici d’Europa, e si “salvano” soltanto per la maggior prolificità degli immigrati: il 10% dei nuovi nati, secondo l’ISTAT, ha genitori stranieri, quando gli immigrati sono il 5% della popolazione. Esattamente il doppio.
La natalità è un indice da “prendere con le molle”, ma da non sottovalutare: proviamo ad “incrociare” il dato con altri, questa volta pubblicati dalla rivista RIZA psicosomatica.

La forza di volontà si spegne a 30 anni: ben 6 giovani su 10 confessano di non sentirsi abbastanza coraggiosi e volitivi…Secondo i dati della ricerca, ben il 62% degli intervistati ritiene di non essere abbastanza dotato di forza di volontà…E a ben vedere è proprio la fascia che va dai 25 ai 40 anni a dare maggiori segni di cedimento…”

Se riflettiamo che la fascia d’età compresa fra i 25 ed i 40 anni è proprio quella che dovrebbe “reggere” la natalità, il dato si spiega da sé: quando mai, persone sfiduciate e dalla volontà appannata, fanno figli con ardore?
Interessante è anche la risposta – in qualche modo autocritica – che gli italiani forniscono: quel 62% che affermano di non aver sufficiente volontà, sembrano volerci raccontare la loro inadeguatezza, il non sentirsi all’altezza dei compiti richiesti.
La stessa rivista approfondisce le motivazioni della sfiducia:

Per i più giovani gli insuccessi negli studi (22%), genitori incapaci di incoraggiare (20%) e i fallimenti con l'altro sesso (18%). Fra i 30 e i 40 anni a falciare la forza di volontà ci pensano l'insoddisfazione sul lavoro (27%), un matrimonio rivelatosi troppo presto sbagliato (24%) o l'ambiente di lavoro troppo competitivo (23%).”

La principale causa di guai – si evince da questi dati – è da ricercare nell’ambiente esterno, ossia nei rapporti sociali, soprattutto sul lavoro.
Qui, gli italiani, compiono una troppo frettolosa autocritica: sono proprio così certi d’essere intrinsecamente “inadeguati”?

A volte mi giungono alle orecchie storie di ex allievi. Altre di conoscenti, lontani parenti, amici.
Il denominatore comune di queste storie è l’incertezza: sento raccontare di “posti di lavoro” nei quali si “lavora”, nella stessa settimana, due giorni nel profondo Sud e tre a Milano. Oppure si fanno turni obbligatori (pena il licenziamento) e continuativi di 12 ore, alla faccia della legge 626 e di tutte le normative sulla sicurezza: poi ci stupiamo dei poveri morti della Thyssen-Krupp. Anche trascorrere due notti la settimana sul treno, dormendo in cuccetta per presentarsi al lavoro il giorno seguente, non è proprio uno scherzetto.
Sarebbe giusto sentirsi “adeguati” al confronto di simili trattamenti? L’unica persona che si sente “adeguata” a simili violenze, si fa presto a definirla: lo schiavo.
Ma ritorniamo al Times.

Il problema non riguarda solo prezzi e salari, con un 'mood' che raggiunge il cuore del dibattito dell'Italia con se stessa sulla propria anima e identità

La frase – un po’ contorta (dove sono finiti i buoni traduttori?) – sembrerebbe affermare che gli italiani sono afflitti oltre misura, anche rispetto al cattivo andamento economico. Qui, c’è una percezione diversa fra realtà ed aspettative.
Oggi è Natale e credo che quasi tutti l’abbiano trascorso in famiglia: di là delle diverse tradizioni, s’è cucinato parecchio, s’è riempito il frigorifero d’avanzi e in qualche angolo della cucina sono rimasti “fondi” di vino nelle bottiglie.
Apparentemente, siamo ancora benestanti: rispetto a gran parte del pianeta, è senz’altro vero.

Il problema inizierà domani: Adusbef, Codacons, Adoc e Federconsumatori hanno già stilato la “tabella di marcia” dei rincari per il prossimo anno. Considerando generi alimentari, energia, mutui e quant’altro, per ogni nucleo familiare è previsto un aumento di spesa di circa 800 euro. Una mazzata.
Mi passano nella memoria le immagini delle tante “nonnine” italiane, pensionate fra i 500 ed i 700 euro il mese: come faranno? Già oggi fanno i salti mortali e, talvolta, campano a caffelatte. Eppure, forse perché nella vita hanno visto di peggio, si fanno forza e cercano ancora – come possono – di rendersi utili per figli e nipoti.
Anche “figli e nipoti”, però, non se la passano certo allegra: per tantissimi giovani che – per amore o per forza – vivono da soli, l’aumento di 800 euro di bollette varie rappresenta circa una mensilità. Hai voglia di metterti a fare figli.

Anch’io – che sono un “privilegiato”, con stipendio fisso e ruolo a tempo indeterminato – inizio a sentire il “peso” di quei 60 euro circa che ogni mese si prendono Regioni, Province e Comuni, sullo stipendio o nella bolletta dell’ENEL: 720 euro l’anno per che cosa? Per fare una carta d’identità che potrei ricevere on-line? Per realizzare opere pubbliche, nelle quali la metà dei costi sono tangenti mascherate? Per mantenere in vita evanescenti “progetti di avviamento” al lavoro?
I fattori economici non sono, da soli, determinanti (come si sopravvive alle guerre?) ma contribuiscono ad acuire i naturali problemi familiari: se, quando c’è “maretta”, ci sono i soldi per “staccare” un momento e prendersi un pausa – magari una semplice vacanza in un fine settimana – ci sono più possibilità di capire la persona che vive con noi, di comprendere, anche di perdonare se ci sembra d’aver subito un torto.
Se, invece, il “forcing” del lavoro è costante, martellante e senza gratificazioni (bassi stipendi) si generano sempre più tensioni interne alla famiglia: nei casi “limite”, assistiamo alle tragedie. Cosa che, peraltro, ci viene “passata” oramai come un fatto comune: è “normale” sgozzare il cane, uccidere a martellate la moglie e poi impiccarsi. E’ “comune” sparare a moglie e figli nei loro letti, per poi puntare il fucile sotto il mento e premere il grilletto. Questa è oramai la cronaca di un giorno qualsiasi: siamo diventati “inadeguati” alla vita? Svegliamoci dal sogno, anzi: dall’incubo.

Le ragioni che il Times indica come i “mali” dell’Italia sono fotografati con impietosa precisione:

Il passato é la gloria dell'Italia, ma ne è anche la sua prigione, con la politica e l'economia dominate da una gerontocrazia, mentre gli imprenditori e i politici più giovani sono tenuti a freno…Sebbene ci siano buoni registi, non c'é nessuno che possa essere paragonato a Fellini o Visconti…

A parte il fatto che in Italia ci sono tuttora ottimi attori e registi – Giovanna Mezzogiorno, Margherita Buy, Stefano Lo Cascio, Sergio Rubini, la Archibugi, Soldini (svizzero-italiano), ecc – e che la critica è quindi errata alla base, ossia scambia la presunta mancanza d’artisti con le carenze della classe politica nei confronti dell’arte, il resto è quasi drammaticamente vero. Quasi perché la differenza non è tanto fra giovani e vecchi imprenditori, ma fra coloro che vivono all’ombra della Casta e quelli che credono, coraggiosamente, di vivere in un paese normale.
Sulla gerontocrazia esistente, nulla da eccepire: dal Quirinale fino ai consigli comunali.
Laddove il Times sbaglia (?) clamorosamente è nell’affidare il “controcanto” a Lucherino da Montezemolo, che si lancia in una ricetta, a suo dire, vincente per il nostro paese:

Il nostro paese non si è solo fermato, ma sta andando indietro…Siamo un paese pieno di eccellenze e di energie positive. Possiamo invertire questo declino aprendo il paese al mercato, sbarazzandoci della burocrazia e liberando il talento dei giovani…”

Insomma, la ricetta è sempre la stessa: meno Stato e più mercato. Il che, potrebbe essere discusso ed approfondito, se non fosse clamorosamente inaffidabile il pulpito dal quale viene la predica.
Vogliamo ricordare i tanti “salvataggi” della FIAT, pagati con i soldi dell’aborrito Stato? Oppure, scivolando nel tempo, le tante vite di giovani piloti italiani, morti sbucazzati dagli Spitfire mentre combattevano su antiquati biplani CR-42 FIAT? Ancora indietro: le colossali e marcescenti commesse di guerra della Prima Guerra Mondiale, quando gli Agnelli s’arricchirono consegnando autocarri che si rompevano ad ogni passo? Peccato che l’autiere che “abbandonava il mezzo” – all’epoca – fosse immediatamente fucilato: così, durante la ritirata di Caporetto, tanti poveri autieri italiani pagarono con la vita le “combine” fra lo Stato e gli Agnelli.
Decenza, Montezemolo, decenza.

Da ultimo, il quotidiano inglese cita il “sorpasso” che la Spagna ha compiuto nel PIL pro-capite nei confronti dell’Italia. Non che questi arzigogoli dei banchieri c’impressionino più di tanto: basta essere passati per la Spagna negli ultimi anni per rendersi conto che laggiù campano meglio.

E, questo, è ciò che l’ha fatta inalberare – presidente Prodi – che non le è proprio andato giù: non il resto, non prendere coscienza dell’infelicità degli italiani, della vostra pochezza, che siete diventati oramai un inutile peso. Voi, compresa quella massa informe che oggi si ritiene “opposizione”: in realtà, siete gli uni i supplenti degli altri.
Lei non si è limitato a minimizzare, bensì ha contrattaccato:

E' singolare che questo articolo esca proprio quando i dati sull'export evidenziano come l'Italia avrebbe superato la Gran Bretagna.”

Per prima cosa – lei m’insegna – sui condizionali non si gioca manco un’unghia: l’Italia “avrebbe” superato nell’export la Gran Bretagna? Cos’è, una nuova moda? Dopo le “scommesse” sui future, scommettiamo anche sui dati macroeconomici?
Anche scambiando quel condizionale con un più rassicurante indicativo presente, la risposta non c’azzecca per niente. Lo sa che, nel 1914, la Russia zarista superò la Gran Bretagna imperiale nella produzione di ghisa?
A quel tempo, le produzioni di ghisa e d’acido solforico erano considerate – con qualche approssimazione – una sorta di “PIL” dell’epoca. Eppure, come la storia ha evidenziato, la Russia del 1914 – per citare Marx (non Karl) – “non stava troppo bene”, tanto che precipitò nel volgere di pochi anni.
Anche la sua ostinata sicumera nel propagandare come riesca a governare con un solo voto di maggioranza – al suo posto – la risparmierei: e questo, vale anche per i divertenti “saltafossi” come Fini, Casini e Veltroni che stanno confezionando le strenne per il nuovo anno, ossia una sorta di legge elettorale/pateracchio per “blindare” ancor più la Casta al potere. Presentandola, ovviamente, come il non plus ultra della democrazia.

Il problema centrale di una classe politica è l’identificare correttamente la propria funzione, ossia stabilire con certezza gli obiettivi da raggiungere, i mezzi per attuarli ed i tempi. Questa è la vera politica, che non si sottrae con dei mezzucci al giudizio degli elettori, scrivendo ogni giorno che passa una nuova legge elettorale per fregarli, oppure medita di tappare la bocca alla gente con il Decreto Levi. Peggio ancora, la tappa a due magistrati coraggiosi come la Forleo e De Magistris.
Quando una classe politica smette di svolgere queste funzioni, si trasforma nel vuoto simulacro di se stessa, diventa un carapace senza cuore e cervello, un inutile orpello. Invece di svolgere una funzione, inizia a praticare la finzione della sua realtà, di ciò che dovrebbe essere e dovrebbe fare. Finisce per avvitarsi tragicamente su se stessa, per chiudersi a tutte le critiche, per incensarsi negli agoni televisivi, per essere – sintetizzando – completamente auto-referente. E boriosa.

Stupisce osservare che, nel nostro idioma, le due realtà siano separate da una sola vocale: funzione e finzione. Curioso, vero? Una vocale che finisce per essere la maledizione di noi tutti.
Mi torna allora alla mente cosa rispose Luigi XVI, quando gli fu comunicato che Parigi era in rivolta: «Che problema c’è: schierate il reggimento delle Fiandre!»
Poco tempo dopo, cercava lui stesso di raggiungere le Fiandre, camuffato, su una carrozza: tutti sappiamo cosa successe a Varennes.
La Storia è allo stesso tempo prodiga ed avara, poiché ci racconta come le situazioni, giunte al loro limite, trovino in qualche modo soluzione. A volte in modo cruento, altre con passo più lieve, ma ci racconta che gli equilibri divenuti troppo instabili hanno già in sé il seme dell’evoluzione. Esempi a decine: da Cesare all’URSS. L’avarizia della Storia è che non ci può dire quando, ma la Storia è Storia, non profezia.
Chissà che nome avrà, quale sarà il luogo della vostra Varennes: magari una sola vocale, o una consonante, faranno la differenza. Chissà.

19 dicembre 2007

Ma chi credono di prendere in giro?

«Sogno o son desto?» mi viene da pensare mentre scorro le pagine di Televideo del 16/12/2007, quando TERNA (la società che gestisce la rete elettrica) comunica l’ultimo “record” dei consumi elettrici nazionali: 56.810 MW, registrato nella medesima giornata.
Per chi non è abituato a valutare questi dati, si può spiegare – con qualche approssimazione – che la rete elettrica è come la rete idrica: se spilliamo una determinata quantità d’acqua, altrettanta deve essere immessa negli acquedotti.
A differenza della rete idrica, però, la rete elettrica non può rimanere “a secco”, poiché subirebbe gravi danneggiamenti: in tal caso, vengono staccati segmenti di rete per mantenere in tensione il resto della rete, oppure viene immessa più energia dalle centrali, sia italiane sia estere, poiché la rete elettrica europea è interconnessa.
Gli ultimi “record” di richiesta energetica erano avvenuti in estate: 56.450 MW il 19-7-2007; precedentemente, nel 2005 s’era raggiunto un massimo di 54.100 MW e nel 2004 di 53.600 MW, ma sempre nei mesi di Giugno e di Luglio.
La ragione di tali alte richieste estive è in gran parte da addurre ai climatizzatori, sempre più diffusi, che consumano parecchia energia. Quello che non era atteso era un picco invernale.
Ciò che mi ha fatto sobbalzare è stata la giustificazione addotta da TERNA: “è colpa degli addobbi natalizi”. Signori: spegnete gli Alberi di Natale, altrimenti mandate in rovina la rete nazionale!
Questa non è disinformazione: questa è bieca disinformazione. False comunicazioni sociali: è addirittura un reato.
La prima obiezione da muovere a TERNA è che tutti gli inverni, gli italiani, addobbano case e giardini con collane di luci, e mai era successo che la richiesta fosse così alta. La seconda obiezione è che queste luminarie sono accese per lo più di notte, quando i consumi elettrici scendono al 15% rispetto ai massimi diurni (secondo i dati che TERNA stessa comunica alla Borsa Energetica).
La terza obiezione è che, per quanto s’accendano Alberi di Natale, non si tratta di consumi che incidono un gran che: sono le applicazioni in campo termico dell’energia elettrica ad essere le vere sanguisughe del sistema, come i climatizzatori.
Cosa non ci vogliono raccontare?
Non ci vogliono dire che, da anni, viviamo oramai in una continua emergenza: la richiesta aumenta e facciamo fatica a “tenere il passo”. Come mai questa anomala richiesta invernale?
Alberi di Natale a parte, a nessuno è venuto in mente che un’ondata di freddo s’è abbattuta sull’Italia? Niente di così eccezionale, data la stagione.
Il freddo, però, ha colpito di più le regioni meridionali che quelle settentrionali, più la parte adriatica che quella tirrenica. E qui è la differenza.
Durante la stagione invernale, che faccia più o meno freddo, al Centro-Nord sono in funzione gli impianti di riscaldamento: metano, gasolio, legna o pellets, sono sistemi che bruciano in loco il combustibile, senza coinvolgere la rete elettrica.
Al centro-Sud, invece, la situazione è un po’ diversa: a differenza del Nord, al Sud non tutte le case sono provviste d’impianto di riscaldamento, giacché la stagione è meno fredda.
C’è differenza dalle aree interne a quelle costiere, ma moltissime grandi città del Sud sono sprovviste d’impianti di riscaldamento centralizzati, e spesso non c’è nemmeno una stufa a metano in casa.
I climatizzatori – che al Sud, d’estate, sono quasi indispensabili – possono anche fungere da riscaldatori: semplicemente, tantissime persone hanno acceso i climatizzatori per riscaldare gli ambienti.
Non è priva di senso la rinuncia ad un costoso impianto di riscaldamento (per condominio o singola abitazione), poiché è raro che al Sud si raggiungano temperature così fredde, ma quando accade la rete elettrica è sottoposta ad un superlavoro, e tutte le centrali devono fornire il massimo, più le importazioni.
Ciò che non c’azzecca proprio niente è la puerile giustificazione addotta da TERNA: gli Alberi di Natale!
Non si tratta, in questa sede, di ritornare ancora una volta sugli abissali ritardi italiani in campo energetico: basti pensare che il termodinamico – nato in Italia dagli studi di Rubbia e realizzato dall’ENEA – non ha avuto la sua prima applicazione nel nostro paese, bensì in Spagna.
E’ bastata la permanenza in Spagna di Rubbia per due anni (2004-2006, quando lo cacciarono dall’ENEA) e la collaborazione con Juan Antonio Rubio – direttore generale del CIEMAT, il principale centro di ricerche energetiche, ambientali e tecnologiche spagnolo, dipendente dal Ministero dell’Educazione e della Scienza, già collega di Rubbia al CERN – perché la Spagna riuscisse ad avere il suo primo impianto operativo dal Giugno 2007 (10 MW), mentre l’Italia “pensa” d’iniziare l’attività dell’impianto sperimentale di Priolo Gargallo (5 MW) nel 2009. Forse.
Da noi si “parla” di nuovi impianti in Calabria ed in Sardegna, in Spagna ci sono già 40 progetti approvati o in costruzione. Solo la Spagna? No, anche in Israele. Solo nei paesi ricchi? No, anche in Algeria e Marocco.
Siccome stiamo diventando sempre più poveri (proprio in questi giorni la Spagna ci ha superati per PIL pro-capite), può darsi che ci arriveremo dopo l’Algeria e il Marocco.
Non manca nemmeno la querelle sugli aerogeneratori: le mappe che il CESI sta stendendo (il primo studio sistemico della ventosità italiana per l’utilizzo energetico) stanno fornendo risultati confortanti. Non avremo le 2.200 ore annue dell’Olanda, ma abbiamo moltissimi siti che superano le 1.500 ore annue, che rendono competitivi gli aerogeneratori.
Da noi vanno di moda gli “esteti” come Sgarbi – che s’oppongono agli aerogeneratori perché rovinano il paesaggio – oppure elucubrate considerazioni sulle speculazioni basate sui Certificati Verdi.
Osservo la lunga catena alpino/appenninica che si stende da La Spezia a Ventimiglia – 250 Km di crinali deserti e privi (salvo alcune eccezioni) di bellezze artistiche – e mi chiedo perché non installano lì i mulini, lontano dalle spiagge e dalle città.
Certamente il paesaggio non sarebbe più quello di prima, ma – dalla costa – sarebbe addirittura difficile scorgere gli aerogeneratori. Qualcosa mi dice che – la stessa gente che spende fiumi d’inchiostro per salvare il paesaggio – non si scompone allo stesso modo per le centrali a carbone. Io, almeno, non li sento mai urlare di sconcerto per il carbone come fanno, invece, per i mulini a vento.
Inoltre, mi piacerebbe tanto sapere chi compra l’inchiostro a questa gente, visto che Scaroni – presidente dell’ENI – ebbe a dire che “per fortuna, l’Italia non ha venti costanti come il Nord Europa”. Bella fortuna.
Il gioco è oramai chiaro e scontato: a parte questo rumore di fondo, il tentativo dei “poteri forti” è un altro.
A forza d’accendere Alberi di Natale – cari italiani – verrà il giorno che capiterà un bel black-out, magari d’inverno, così si fermeranno anche gli impianti di riscaldamento a gas (le pompe di circolazione sono elettriche).
Milioni di caldaie in blocco: tanta paura, consenso facile.
Forse non riusciranno ad imporci le centrali nucleari – anche se tanti finti ambientalisti ci contano ancora – ma un bel po’ di carbone per molti anni sì, ce lo dovremo beccare.
L’unica cosa da non fare è seguire l’esempio spagnolo, laddove le società iberiche hanno iniziato ad “intaccare” la colossale bolletta energetica che spendiamo ogni anno – 46 miliardi, in Italia, nel 2007 – per dirottare una parte di quei soldi sulla produzione nazionale, arricchendo la propria popolazione, non impoverendola come fanno – d’amore e d’accordo – Prodi, Berlusconi & soci.
Perché? Perché il sole e il vento sono di tutti, il carbone no. Non pensavo però – nel fondo che sta toccando questo paese di sapienti baldracche – che riuscissero ad inventarsi anche quella degli Alberi di Natale. Non c’è proprio mai fondo al fondo.

15 dicembre 2007

Le autostrade dei sogni (mancati)

Gentile Ministro Bianchi,
è con gran pena che mi rivolgo a lei, così canuto e all’apparenza saggio, perché l’essere ministro – quel ministerium che sa di servizio – ci dovrebbe consentire di rivolgerci a lei come in confessione, nel pubblico confessionale del Web.
Ho dovuto per forza scriverle perché sono stato colpito da due eventi, nella medesima sera, che la riguardano: come supremo gestore dei trasporti italiani e come comunista. Almeno, così dicono di lei.

E’ notte, la buia notte di dicembre che ottenebra le strade dell’Appennino, quando nel fascio dei fari m’appare un conoscente. Non fa l’autostop, non fa nulla: attende nella notte. Come non fermarsi per chiedere se ha bisogno d’aiuto?
Vuole conoscere il tenore dei miei pensieri mentre guidavo? Presto fatto.
Ronzava ancora nelle orecchie l’omelia dell’arcivescovo di Torino, durante le esequie dei quattro operai morti alle acciaierie Thyssen-Krupp (i “fabbri” di Hitler, ricorda?), che scagliavano nell’etere – urbi et orbis – il messaggio ripetuto da tutti i cantori di regime: «Mai più, mai più esseri umani bruciati, carbonizzati, resi cenere dal fuoco della fabbrica!» Memento, homo.
Finalmente, verrebbe da dire.
M’arresto: «Successo qualcosa?»
«No, aspetto la corriera.»
«Qui?»
«Sì, dovrebbe passare fra tre quarti d’ora.» Tre quarti d’ora nella notte a due sotto zero. Verrebbe quasi la voglia di raccontarlo al Ministro dei Trasporti.
«Sali, dai, che si va a casa.»
«Come va?» i soliti convenevoli. «Hai finito di lavorare a quest’ora?»
«Sì». «Ma che orario fai?»
Ancora lo ricordo, ragazzo, sui banchi di scuola. Non so che titolo di studio ha e che scelte fece, ma ora lo ritrovo solo, nella notte, che aspetta una corriera più evanescente di quelle che portano da Kabul a Mazar–I–Sharif.
«L’orario di lavoro è dalle 7 del mattino alle 19, continuato: l’altro turno» – ci vuole tanto ad indovinarlo? – «è dalle 19 alle 7.» Settore? Edile, grandi costruzioni.
E così scopro che, quel ragazzo che osservavo giocare sul campo di calcio, ora manovra per 12 ore continuative qualche marchingegno che scava, trita, carica, stende, liscia, batte terra o cemento, asfalto o ghiaia. Per dodici ore, continuate.
«Lo hai scelto tu di fare 12 ore il giorno?»
«No: è così, oppure non lavori.»
Questa è la strategia della "sicurezza" dopo i morti di Torino.

Verrebbe la voglia di raccontarlo al ministro del lavoro, ma è troppo occupato a gustare il frutto delle sue alchimie strategiche che riguardano lavoro e pensioni, e allora m’avvicino al confessionale, scosto la tenda e lo racconto ad un ministro comunista. Almeno, così mi hanno raccontato: un tizio che è docente d’Economia dei Trasporti, che è stato messo lì da un altro accademico che fa di nome – per mostrare d’essersi affrancato dalla schiavitù – Diliberto.

Ascolteranno, questi libertari comunisti? Non lo so: se non ascolteranno loro, udranno gli italiani.
Mentre si celebrano sante messe – con le liturgia della Chiesa, dei partiti e dei media di regime – sui poveri morti di Torino, nell’indifferenza di tutti c’è chi continua a lavorare per dodici ore filate con delle pericolose macchine operatrici. E poi si grida all’incidente.
Ci arrabbiamo – giustamente – per i giovani laureati sottoccupati nei call-centre, e ci dimentichiamo dei dannati della terra, di quelli che per strappare un tozzo di pane devono giocarsi brandelli di vita.
Verrebbe la voglia d’urlarlo in faccia ad un ministro comunista. L’unico che si riesce a trovare: l’altro, è sempre occupato a tradurre, dal latino che giunge da Oltretevere, il nuovo verbo della “solidarietà sociale”.

Non faccio in tempo a salutarlo ed a salire le scale di casa che giunge un’altra sorpresa: è proprio la tua sera, Ministro Bianchi.
E’ arrivata una bella multa di 160 euro per eccesso di velocità, più cinque punti in meno sulla patente. La data è “solo” del 10 di Agosto, ma non fa nulla: anche i treni non arrivano mai in orario.
“Ha raggiunto la velocità di 93 Km orari nel comune di Cassine…” per una attimo, mi tornano alla mente Tenco e gli anni della mia gioventù.
Ma, quel tratto di strada, non è la tanto osannata “superstrada” Acqui-Alessandria?!?
Eccome! Eh, lo ricordo bene: fine dei problemi di traffico nell’alessandrino: c’è la superstrada! Ricordo suoi colleghi – per carità, inferiori per censo, “solo” sindaci e amministratori provinciali – che tagliavano nastri e si davano gioiose pacche sulle spalle: ce l’abbiamo fatta, finalmente abbiamo la superstrada!

Io, ingenuamente, credevo che su una superstrada si potesse raggiungere la folle velocità di 93 Km orari, ma ho scoperto il tranello e qui – nella quiete del confessionale – glielo voglio raccontare. Così, nell’attesa di traslare la salma di Lenin nella casa di Diliberto, potrete colpire questi sordidi controrivoluzionari.
All’insaputa di tutti (!), certi oscuri nemici del popolo – amministratori comunali, forse vigili urbani ligi al dovere, chi mai lo saprà? – hanno posizionato cartelli con il divieto di superare i 70 Km orari in alcuni punti – deserti come la ridotta dei Tartari – della superstrada e così, quando il settore vinicolo non va tanto bene, “vignano” lo stesso grazie alla tecnologia dell’autovelox. E voi potete, appagati e garruli, tagliare ogni anno le risorse finanziarie per gli Enti Locali. Tanto, paghiamo noi.
Forse, se volessimo aumentare la sicurezza sulle strade, non sarebbe meglio pensare a forme di segnaletica attiva, oppure non consegnare ai neo-patentati auto che corrono a 160 Km/h? Come dice? La FIAT ha storto il naso? Beh, ma lei è un ministro comunista...

Ora, caro Ministro Bianchi (onomatopeico), non m’adombra il pensiero di quei cinque punti: siccome ho quasi 40 anni di patente e non ho mai – forse per mia fortuna – avuto un incidente ritengo che, se la fortuna continuerà ad arridermi, potrò assommare tanti punti da vincere una lavatrice.
I soldi? Anche quelli non sono importanti: “vanno e vengono”. Vanno da noi, per giungere a voi.
Ciò che mi deprime è il ricordo. Sì, ha ragione: un figlio dei fiori non pensa al domani. E io penso a ieri. Lei ha appena scapolato il gran tranello dello “fermo” dei TIR, e starà senz’altro confortandosi per lo scampato pericolo con robuste dosi di coramina.

Era appena l’altro ieri, quando lei fu incaricato di sovrintendere allo scassato regno delle mulattiere nazionali: ancora ricordo cosa affermò come suo indirizzo, la Stella Polare che l’avrebbe guidata nel suo ministerium.
«Finalmente, darò il via alle “autostrade del mare.”» Aspetti, ministro, non scappi dal confessionale: ci sono i filmati RAI e le ANSA dell’epoca che la inchiodano. La prego, non si nasconda dietro l’altar maggiore…
Non voglio tediarla – queste cose lei le sa benissimo – ma voglio confortarla: aveva ragione da vendere!

Il modello di trasporto italiano – fino all’avvento ferroviario – fu un modello marittimo e fluviale: per la forma stessa dell’Italia, anche i bambini comprendono che, le merci che si spostano dal Nord al Sud, è meglio se occupano spazi in mare che nelle autostrade. Oltretutto, una modesta nave con 2.000 tonnellate di portata utile, “toglie” dalle strade 85 TIR, quei maledetti che stavano per farle la festa. Quei poveracci, quei dannati del volante che devono correre come matti, altrimenti rischiano il posto.
L’altro segmento di trasporto era rappresentato dalla rete dei canali veneti e dal Po. Posso ricordarle che, nel 1819, l’arciduca Ranieri d’Austria inaugurava la rete di canali che, dalla Svizzera, portava a Venezia via Lago Maggiore, Ticino, Naviglio Grande, Naviglio Pavese e Po? Già, ma lei insegna economia dei trasporti, mica storia…
Eppure, tutti i nostri problemi nascono da quella negazione. Come dice? Nessuno lo chiede, dall’Europa non è giunto nulla…
No, ministro: adesso non mi faccia arrabbiare, altrimenti – al posto dell’assoluzione – le arriverà un cazzottone.
Non mi dica che non lo ha letto. Non ha letto il Libro Bianco “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”? Lo so, sono 138 pagine fitte fitte, e nelle tiepide sere romane viene voglia di far dell’altro.
Lì, l’UE ci tirava le orecchie proprio per la scarsa attenzione posta alla navigazione interna, per la nostra scellerata disattenzione per la navigazione marittima. Qui da noi, pare che tutto ciò che esula dalle autostrade non esista.
E la TAV? Ma, Buon Dio, era l’UE stessa che le raccomandava cosa fare: “…il trasporto via mare fra porti europei, che avrebbe potuto alleggerire la congestione nella Comunità, in particolare quella attorno alle Alpi e ai Pirenei, non ha conosciuto lo stesso sviluppo…(rispetto alla ferrovia N. d. A.).
Il trasporto marittimo intracomunitario e il trasporto fluviale sono due elementi chiave dell'intermodalità che devono permettere di far fronte alla congestione crescente delle infrastrutture stradali e ferroviarie…Il loro rilancio presuppone la creazione di autostrade del mare…(pag. 44).

Insomma, Ministro, aveva visto giusto! Domanda: perché non ha fatto niente?
Mancavano i soldi?
Non mi sembra, visto che la stessa UE era disposta a finanziare il 50% delle spese di progetto, ed il 10% di quelle di realizzazione, per il collegamento fluviale di Milano via Cremona, Po, con i porti adriatici. Qual era la stima dei lavori?
Il Consorzio Navigare sul Po li stimò, nel 2001, in 400 miliardi di vecchie lire: mettiamoci un po’ di rivalutazione – e i contributi europei – e forse la spesa sarebbe inferiore ai 200 milioni di euro. Troppo poco? Eh, lo so: è una miseria…

Poi, prima dei tre rituali Pater, Ave e Gloria, voglio ricordarle che sono un po’ stufo di ricevere sempre posta che – ad onor del vero – dovrebbe sbrigare lei.
Come quella del signor Albert Mairhofer – un simpatico altoatesino – che ha fondato a Londra una società, la Tirol-Adria, che si propone di creare un collegamento fluviale fra le valli dell’Adige e dell’Inn. So che ha capito: qui si parla di mettere in collegamento il Mediterraneo con il Danubio, mica roba da ridere. Piatto ricco: già ci pensava Franz Josef.
La prego, intervenga: non so più cosa rispondere ad Herr Mairhofer, perché ha già ricevuto risposte – per ora solo interlocutorie – dal governo federale tedesco e da quello austriaco, da quelli regionali del Tirolo e della Baviera.

Recentemente mi ha fatto sapere che anche la regione Veneto si è mossa ed il progetto verrà presentato a Berlino: “Gentile dott. Albert Mairhofer…sono ad informarla che sarò io a rappresentare la Regione Veneto al convegno di Berlino, e che nel corso dell’intervento provvederò ad accennare la possibilità di realizzare il collegamento fluviale in oggetto…Cordialmente, Paolo Menegazzo.
Ma, è possibile che lei non ne sappia proprio nulla? Qui fanno convegni, fondano società ed associazioni, siti Web: lei, dov’è nel frattempo?
Mairhofer continua a chiedermi perché “Herr Prodi” non gli risponde: magari Herr Prodi ha passato una “velina” ad "Herr Bianchi", ed era così velina che è volata via nel ponentino. Faccia qualcosa, perché lo sa come sono questi italiani di lingua tedesca: sono gente seria, d’altri tempi: ritengono che, quando si scrive al proprio governo, s’abbia da ottener risposta. Per loro, non c’è differenza fra il governo di Roma (!) e quello di Berlino.
Insomma, io mi pento e mi dolgo per quei 93 Km l’ora, ma lei non mi faccia fare – gratis – il supplente!

Ora la saluto, e le confesso che sono moderatamente ottimista per il vostro futuro. Dopo tanti mesi di tentennamenti – nei quali avete lasciato passare riforme che nemmeno il centro-destra si sarebbe immaginato di fare, come lavoro e pensioni, RAI, sicurezza, scuola e tutto il resto – ho visto che oggi state risollevando la schiena per protestare. Finalmente.
Come dice? Sono solo proteste per una legge elettorale che vi vedrebbe svantaggiati? Allora siete solo capaci a protestare per salvare le vostre poltrone! E le “autostrade del mare”? Erano solo un sogno del giovane Werther?
Grazie, Ministro Bianchi: no, non fa nulla per l’assoluzione. Faccio a meno. Saluti “comunisti” (sic!).
P.S. La storia dei turni di 12 ore è tutta vera e sacrosanta: ho dovuto solo – nell’Italia dei diritti sanciti dai partiti “amici” dei lavoratori e dai sindacati rampanti – confondere un po’ le acque per non rendere riconoscibili luoghi e situazioni. Non per me, che non rischio nulla, ma per chi me l’ha raccontata. Capirà: c’è l’Italia dei ministerium, e c’è quella di chi “tiene famiglia”.

07 dicembre 2007

Poveri noi

Dimenticata e negletta, la nostra povera scuola torna a far parlare di sé soltanto in due occasioni: quando vengono pubblicati sul Web filmati di dubbia provenienza e liceità, oppure quando arrivano le “pagelle” europee. Il discorso, come vedremo in seguito, tocca sì la scuola, ma varca il portone di tutti gli istituti dello Stivale e s’espande nelle strade.
Quando giungono le “pagelle” dall’Europa, ogni Ministro della (Pubblica) Istruzione trema, come se si trovasse – imberbe diciannovenne – di fronte alla commissione di maturità.
Purtroppo, il nostro candidato sa di non aver studiato molto e dunque spera, tremante, nella Dea Bendata e nella benevolenza (o distrazione) della commissione.
I risultati, però, sono sempre deludenti: 33° nella lettura, 26° nelle scienze, 38° nella matematica…
A fronte di una simile débacle, l’attuale inquilino di Viale Trastevere ha escogitato di ripristinare i vecchi esami di riparazione, poiché – a suo dire – la situazione era intollerabile. Mi sa che, se non prenderà presto altri provvedimenti, fra pochi anni sarà ancora peggio.
Non è questo però l’aspetto che mi ha colpito nell’azione di Fioroni – ossia la questione di merito, pur discutibile – ma il metodo.
Con una circolare ministeriale, sono stati surrettiziamente reintrodotti gli esami di riparazione, che il ministro D’Onofrio aveva abolito nel 1994.
Non entriamo, per ora, nel merito del provvedimento ma fermiamoci al metodo, perché la forma è anche sostanza.
La riforma D’Onofrio ebbe un regolare passaggio parlamentare, mentre l’opposto percorso è stato attuato con una semplice circolare: a sua giustificazione, il Ministro Fioroni ha opposto l’argomentazione giuridica che non si trattava di reintrodurre gli esami di riparazione, bensì di modificare soltanto il sistema di recupero dei debiti scolastici. Il tutto – chi ha seguito un poco gli interventi dell’attuale governo sulla scuola lo sa – fa parte della cosiddetta “strategia del cacciavite”, tesa a cambiare le cose senza chiedere nulla al Parlamento perché – questo Fioroni lo sa benissimo – su molti provvedimenti l’attuale governo non avrebbe una maggioranza sufficiente per approvarli.
Ora, se per un solo debito non saldato si dovrà ripetere l’anno scolastico, chi ancora ha vissuto la stagione degli esami di riparazione non trova sostanziali differenze. Un bel ritorno al passato.
L’aspetto più curioso, nelle giustificazioni addotte da Fioroni per l’insolita via giuridica scelta, consentirebbe, ad un ipotetico governo che volesse ripristinare la pena di morte, d’usare il medesimo approccio.
Basterebbe cambiare il regolamento carcerario con una circolare interna del Ministero di Grazia e Giustizia, nella quale s’afferma che i condannati per omicidio – primo del loro ingresso in carcere – dovranno essere allineati di fronte ad un muro ed un plotone di guardie dovrà collaudare i mitragliatori in dotazione sparando loro nel petto. Fra l’altro, era il metodo usato nel Giappone medievale per collaudare le migliori spade.
Come si potrà notare, nessuno menziona la pena di morte. E gli esami di riparazione.
Ora, uscendo di metafora, rimane il problema di decisioni prese senza l’intervento del Parlamento, passate dall’Esecutivo e giunte sulle nostre teste senza il minimo controllo. E, in aggiunta, spesso alcuni ministri non partecipano nemmeno ai lavori di preparazione di tali provvedimenti: i ministri della sinistra radicale, ad esempio, non furono mai “invitati” alle trattative che sfociarono nell’accordo del 23 Luglio sul welfare. Una “dimenticanza” provvidenziale? Oppure consapevole?
Ecco, allora, che una decisione (ripeto: non stiamo parlando di merito) così importante per milioni di studenti, è stata partorita da un ristretto numero di persone (il Ministro, il Consiglio Superiore d’Istruzione e qualcuno del suo staff, presumiamo), è transitata in Consiglio dei Ministri praticamente “sulla fiducia” ed è giunta a modificare profondamente la scuola italiana. Senza discussione, senza confronto, senza dibattito né approvazione: questa è democrazia?
Ritorniamo allora per qualche istante ad analizzare come sono partorite le leggi: se hai una solida maggioranza parlamentare – come Berlusconi nella scorsa legislatura – ti puoi permettere il lusso del passaggio parlamentare. Non dimentichiamo, però, che la maggioranza di Berlusconi viveva in un Parlamento coatto, reso schiavo dai diktat di un padre-padrone che poteva – in qualsiasi momento – rovinarti vita e reputazione agendo su ben sei reti televisive, come le recenti inchieste hanno dimostrato. Solo poche settimane or sono, le reti Mediaste partirono all’attacco di Fini e Casini, tirando in ballo le loro vite private per screditarli e cercare di ricattarli sotto l’aspetto politico.
Se, invece, la maggioranza è risicata o – ancor peggio – divisa al suo interno, ecco che lo strumento principe per legiferare diventa il decreto, splendida “scorciatoia” istituzionale.
Si parla poco di questo aspetto, ma è molto, molto importante.
La Costituente, nella stesura della massima carta giuridica, previde come mezzo principe per legiferare il percorso ordinario, ossia l’approvazione da parte d’entrambi i rami del Parlamento. Oggi, possiamo discutere se sia ancora attuale avere due Camere “fotocopia”, ma dal punto di vista giuridico l’approvazione di una legge in Parlamento garantisce (almeno, dovrebbe…) che i rappresentanti eletti ne prendano visione, discutano, modifichino, approvino.
Siccome i Costituenti erano persone di grande equilibrio, compresero che – in particolari situazioni – quel percorso sarebbe stato troppo lungo: fu affiancato quindi dal Decreto Presidenziale e dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa approvazione del Parlamento entro (se ben ricordo) 60 giorni.
La ragione di tale impostazione è chiara: se devo stanziare delle risorse per un terremoto od un’alluvione, lo farò immediatamente ed il Parlamento – trattandosi di norme di buon senso – approverà.
La Decretazione, nella Costituzione Italiana, prevede l’esistenza di un’urgenza, ossia che lo stesso provvedimento – con il normale passaggio parlamentare – giungerebbe “fuori tempo massimo”.
Notiamo che, oramai, si legifera quasi esclusivamente per decreto, e se non giunge in tempo l’approvazione del decreto si reitera lo stesso, fino all’approvazione. Alcuni decreti legge, si trascinano da una legislatura a quella successiva.
Così, provvedimenti come il riassetto del welfare e delle pensioni, nascono con un decreto, un collegato alla Finanziaria, e vengono approvati senza discussione, con un semplice voto di fiducia.
Tutti usano ed hanno usato, da decenni, questo metodo, soprattutto dopo il 1994. In quale democrazia viviamo, allora?
Viviamo da molto tempo in una sorta di “Colpo di Stato” strisciante, nel quale i rappresentanti eletti non hanno voce in capitolo e, talvolta, non sono nemmeno chiamati a votare. Secondo Fioroni, un aspetto importante come la valutazione di milioni di studenti non vale nemmeno una discussione.
Per questa (ed altre) ragioni – non sussistendo mai una vera discussione di merito – viviamo una continua stagione di “riforme” laddove, in realtà, non si cambia mai nulla o molto poco, per tornare domani all’altro ieri.
Ecco perché le leggi appena emanate iniziano quasi sempre con “Visto il Regio Decreto numero…”: altro che futuro, altro che democrazia. Regi Decreti: accontentati e corri.

03 dicembre 2007

Invidiosi?

La notizia – una novità annunciata – che il partito del Presidente russo Vladimir Putin ha conquistato il 64% dei voti, e quindi la maggioranza assoluta alla Duma, ha squassato le cancellerie europee, come se non se lo aspettassero da tempo. O sono degli sciocchi, oppure – qualificandosi come “diplomatici” – possono da domani cambiare mestiere.
Pare quasi – da una sponda all’altra dell’Atlantico – che se delle elezioni non finiscono sul filo di lana, con un pugno di voti (quelli non sono mai comprati, chiaro?) a fare la differenza, oppure con interminabili strascichi sulla correttezza del voto, non siano elezioni democratiche. Da quali pulpiti vengono le prediche!
Alle ultime elezioni politiche italiane, tutti gridarono ai brogli, ma furono considerate pienamente democratiche: peccato che, nei cassonetti dei rifiuti della capitale, furono ritrovati scatoloni di schede. «Tutto normale, tutto sotto controllo» affermarono subito le autorità preposte, che nemmeno spiegarono come mai – a notte fonda – il ministro dell’Interno (Pisanu) di un governo dimissionario si recò a casa del Presidente del Consiglio. Era in programma una partita a scopone scientifico? A rubamazzetto? No, perché sia Berlusconi e sia Pisanu non fornirono nessuna spiegazione: e le “stranezze” dei comuni dov’erano sparite centinaia di schede bianche?
Saltiamo di là dell’Atlantico, e sollazziamoci dalle risate: laggiù, utilizzarono per votare nel 2004 le macchinette della Diebold, il cui software fu curato da un certo Jeff Dean – pregiudicato per 23 capi d’accusa legati al furto – e nelle cui mani fu lasciata la macchina elettorale che – come quattro anni prima in Florida – “lavorò” per il Presidente, invalidando d’autorità almeno 200.000 voti in Ohio, lo stato di Michael Moore.
La Diebold – la società che s’occupava (insieme alla ES&S) della macchina elettorale, per la quale lavorò Jeff Dean – aveva sede, guarda a caso, in Ohio. Inoltre, il vice presidente della Diebold ed il presidente della ES&S erano fratelli, e Dean fu proprio colui che stese il software di gestione del sistema elettorale – che non lasciava copia cartacea dei voti – cosicché qualsiasi controllo successivo sarebbe stato inutile.
Un fatto casuale? No; negli stessi anni, gli USA gestivano le elezioni-farsa in Iraq, distribuendo i certificati elettorali insieme alle tessere annonarie per l’acquisto del pane: c’è altro di cui meravigliarsi?
Sì, perché furono invalidate anche 100.000 schede in Alaska e, quando i Democratici chiesero conto di quelle invalidazioni – ossia di poter prendere visione del sistema elettronico che aveva condotto a quelle scelte – fu loro risposto che non era possibile, giacché si trattava di una questione di “sicurezza nazionale”. Niet.
Possibile che le nostre classi politiche non si siano ancora rese conto che, a fronte della loro inconsistenza, la Russia ha una dirigenza con i fiocchi?
Intendiamoci: ci sarà corruzione anche in Russia, non è certo tutto oro quello che luccica, ma gli atti politici non sono fumo e sogni, e li possiamo verificare.
Appena eletto, Vladimir Putin si ritrovò un paese a pezzi: nessuno avrebbe giocato mezzo centesimo sull’ex colonnello del KGB, di soli 47 anni, un pivello!
Il “pivello”, per prima cosa, fece un lungo tour – fra il 2001 ed il 2002 – nelle capitali dove sapeva d’essere ancora ascoltato: Tripoli, Damasco, Hanoi, Pechino…ossia, le vecchie alleanze dell’URSS.
Aveva pochissimo da offrire, ma lo offrì: 12 caccia Sukhoi-27 non cambiano certo la faccia del pianeta, ma il Vietnam li ricevette. Non si fece impressionare dagli ayatollah iraniani, e procurò loro avioniche derivate dal Mig-29. Quel poco che aveva.
Nella sua smisurata insipienza, George Bush non si rese conto che ogni dollaro d’aumento del greggio corrispondeva ad un parallelo incremento di prezzo del gas siberiano: fece spallucce e continuò a mangiare noccioline.
Fu a Mosca, però, che avvenne la mossa vincente: a fronte della scelta di privatizzazione del sistema energetico – propugnata da Eltsin – Putin compì un’inversione a 180 gradi, ripartendo dal concetto che la proprietà mineraria è dello Stato.
Potremo giudicare poco ortodossi i metodi usati – come se in Occidente s’usasse sempre il tappeto rosso! – ma oggi Gazprom è il secondo colosso economico mondiale, dietro solo a Microsoft (fino a quando?).
Già nel 2003, Putin reinvestiva il 50% del surplus derivante dagli introiti energetici nell’industria aerospaziale: oggi, la Russia ha in previsione un caccia di V° generazione per il 2012 (in collaborazione con l’India) ed una miriade di nuovi prodotti, aeronautici e missilistici, militari e civili.
Risultato: l’economia va meglio, al punto che Putin ha creato un “fondo di compensazione”, vale a dire una “cassa” da riempire nei periodi di vacche grasse, per non dover soffrire in caso di vacche magre. Lo facevano già nell’Antico Egitto.
Il tenore di vita della popolazione è migliorato, l’industria ha commesse e produce alta tecnologia, il sistema energetico produrrà utili per molti decenni, e non saranno pochi oligarchi a goderne i frutti, bensì lo Stato e la popolazione.
Si potrà criticare questo strano connubio fra ortodossia clericale e vecchi metodi da falce e martello, però in Russia ha condotto ad un miglioramento generalizzato delle condizioni di vita e, soprattutto, alla consapevolezza che alla guida della nazione c’è qualcuno che lo sa fare. Come Presidente? Come Primo Ministro? Dal punto di vista costituzionale, Putin non ha infranto assolutamente nulla.
Come risponde l’Europa? Ah, la risposta c’è stata, siate sicuri!
Da Tirana, Romano Prodi – un po’ premier italiano, un po’ ex Presidente europeo – ha risposto per le rime: vogliamo l’Albania nell’UE e nella NATO!
Bene – viene da dire – aggiungiamo anche l’Albania alla Bulgaria ed alla Romania – paesi che non erano e non sono pronti per gli standard europei – continuiamo ad estendere la “cittadinanza romana” fino ai confini dell’impero. Fin quando, avremo una guardia pretoriana composta da soli Ostrogoti, che si mangeranno anche l’ultimo imperatore. Serbia e Croazia no: noi vogliamo l’Albania per fare uno “sgarro” ai russi. I quali, se vorranno, ci faranno passare i sorci verdi in Kosovo e ci chiuderanno (un pochino, tanto per farci soffrire un po’…) il rubinetto del gas.
I metodi di Putin sono veramente esecrabili – parola dei nostri politici – che nella stessa giornata hanno assistito alla condanna a due anni e quattro mesi di reclusione, per bancarotta fraudolenta mediante falso in bilancio, di Donatella Pasquali Zingone, moglie del “fustigatore di costumi” Lamberto Dini. Ovviamente, la signora non vedrà mai le patrie galere: ci ha già pensato l’indulto di Mastella.
Oppure vogliamo chiedere com’è finita la vicenda di Previti? Con il medesimo indulto.
Forse, i tantissimi “fregati” dai bond Parmalat, da quelli argentini, fino ai milioni di cassintegrati e disoccupati, che generazioni di boiardi di regime, i quali hanno sciacallato l’Italia, hanno creato in questi anni, non si farebbero problemi se – un Putin locale – ne mandasse qualcuno al fresco. Anzi, notizia fresca di giornata: ci sarà anche la “rottamazione” in Finanziaria, tanto per non scontentare Lucherino da Montezemolo. La tradizione, anzitutto.
Se la Russia fa fortuna con le commesse energetiche, cos’hanno fatto i nostri governi per contrastare quella tendenza, ovvero per “intercettare” qualcosa dei 48 miliardi di euro (esborso 2006) che spendiamo per l’energia?
Hanno creato holding, catalizzato la produzione locale con ampi e generalizzati “conti energia”, mandato avanti il piccolo e micro idroelettrico, l’eolico, il solare termodinamico…insomma, hanno fatto qualcosa?
No, criticano Putin. Poco democratico: ci dispiace, venga a “ripetizione” da noi.
Da Mosca, un “marameo” lungo 5.000 miglia.