“Il torto, o la disgrazia del partito dottrinario è stato di creare la gioventù vecchia. Prendevano degli atteggiamenti da sapienti, sognavano di innestare un potere temporale sul principio assoluto ed eccessivo, al liberalismo demolitore opponevano, talvolta con rara intelligenza, un liberalismo conservatore.”
Victor Hugo – I Miserabili – II vol. – Libro Terzo – Requiescant.
Ogni popolo, quando s’avvicina al limite di default, non cerca soluzioni e s’affida più alla speranza che al raziocinio.
Uno dei cardini di questa politica vigliacca, il frutto più perverso di anni di reality, è credere che la buona stella – lo “stellone” italiano – sia una risorsa inesauribile, duri eternamente e per tutti. Provarono la stessa sensazione gli abitanti di Sarajevo.
Alen Custovic – nel suo bellissimo Eloì, Eloì[1] – fa pronunciare al protagonista (professore di Storia in una scuola di Mostar) una frase sibillina che, in qualche modo, ci chiama in causa:
“Forse solo gli italiani sono più meticci di noi. Qui la storia è complessa, e in ogni caso gli italiani sono arrivati a uno stato unitario molto tempo prima di noi (jugoslavi N. d. A.)”
Non è certo il caso di metterci a sfogliare la margherita per decidere chi sia più meticcio: di certo, la genesi risorgimentale assemblò popoli probabilmente non “meticci” in senso razziale o religioso, ma diversissimi per culture e, soprattutto, per abitudini consolidate, prassi quotidiane, sistemi di governo.
Giunse una flaccida stagione post risorgimentale, quindi il Fascismo che tentò anch’esso la difficile amalgama, fino ai governi della Prima Repubblica che fecero assai poco per cercarla: la perenne sudditanza del Sud fu sfruttata come serbatoio di voti da contrapporre alle classi lavoratrici del Nord, che cercavano riscatto votando (purtroppo, credendoci) le sinistre. Quelle sinistre.
La storia unitaria, che s’avvicina ai 150 anni, può essere considerata lunga ma ha prodotto assai poco: forse, l’unica spinta verso una cultura condivisa avvenne negli anni ’60 del secolo scorso, con la grande emigrazione verso il Nord. In qualche modo, ci avvicinò.
Dall’altra, per decenni i politici di maggioranza (soprattutto la DC) non fecero altro che presentare il “conto” della pace sociale al ceto imprenditoriale del Nord, che lo onorava conferendo loro l’assenso d’attingere denaro pubblico per pagare i famosi milioni di false pensioni d’invalidità. Uno scambio “equo e solidale” che riuscì a rimanere a galla fin quando non cambiò la situazione internazionale: dopo il 1989, il PCI divenne una tigre di carta “certificata”, mentre prima poteva almeno millantare velleità e crediti.
Dopo il 1989, tutti gli equilibri saltarono, e saltò anche la necessità – per il ceto imprenditoriale del Nord – di mantenere quella gabella. E si giunse al fatidico 1992.
Tutto parte da quel maledetto 1992, quando la mafia – fra Maggio e Luglio – uccide Falcone e Borsellino: “menti raffinatissime” sono alla guida di quegli eventi. Nella stessa estate, sul Britannia, i destini dell’economia italiana – quel pezzo di “socialismo reale” che la improntava – passano nelle mani degli Angli. Ma c’è dell’altro.
A settembre va in scena la seconda parte di quel piano, perché anche i crucchi – padroni del supermarco e gestori del futuro euro – chiedono banco, e la lira perde il 30%. Giuliano Amato deve varare una legge Finanziaria con “tagli” per 100.000 miliardi di lire: sarà la prima di una lunga serie.
Se qualcuno cerca il “default” dell’Italia non deve cercarlo avanti: esso è già avvenuto, nel 1992.
Come un motociclista che corre a tutto gas, nel 1992 avvenne la fatale scivolata ed il ricovero in ospedale: dopo, tutto ciò che è avvenuto è solo cronaca dal coma farmaceutico.
Nel 1998, Bettino Craxi – da Hammamet, dov’è oramai in esilio – chiede conto a Giuliano Amato (all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio) della sciagurata strategia che condusse la Banca d’Italia a gettare nella fornace di un’impossibile difesa della lira 70.000 miliardi. Amato, risponde “che stava intervenendo su Helmut (evidentemente Kohl) per rafforzare la linea di difesa della lira, e quindi che la partita era ancora aperta. Evidentemente il Governo italiano contava su di un massiccio intervento di sostegno da parte della Deutsche Bank (forse Bundesbank?, n.d.r.) [2].
Il costo finale di quel madornale errore – o tranello teso dai tedeschi? – furono 14.000 miliardi di perdita secca, dovuta alla successiva, inevitabile svalutazione.
Qualcuno, però, aveva avvertito.
Tre giorni prima della svalutazione, Gianfranco Miglio, senatore della neonata Lega Nord, recapita un “pizzino”, un avvertimento chiarissimo: vendete lire, acquistate marchi, fin quando siete in tempo.
Qualcuno, dalla Germania, aveva forse contatti più stretti ed obiettivi convergenti con l’allora regista della Lega Nord (Bossi era solo, all’epoca, un “giovane di studio”). Perché?
Vediamo cosa successe, parallelamente, molto vicino a noi.
Negli stessi anni, iniziò il processo che condusse alla disgregazione jugoslava e i due fenomeni non furono né casuali e né slegati. Le due repubbliche – italiana e jugoslava – erano entrambe “sotto sorveglianza”: la prima con il più forte Partito Comunista dell’Occidente (e, soprattutto, moltissimi contatti ed affari con l’URSS: si pensi alla lunga collaborazione con il gruppo FIAT, oppure le forniture di macchine di vario tipo per l’industria sovietica), la seconda che non fece mai parte del Patto di Varsavia e contrattò sempre finanziamenti sia con l’URSS, sia con l’Occidente capitalista.
La situazione, per gli aspetti geopolitici, fino a quel momento era d’equilibrio: la non appartenenza della Jugoslavia al Patto di Varsavia impediva all’URSS l’accesso ai porti adriatici, mentre l’equilibrio interno italiano consentiva affari a 360 gradi, anche nel “pianeta” del socialismo reale.
Qui, moltissimi fattori dovrebbero essere approfonditi, ma per quanto riguarda i nostri obiettivi basterà sottolineare che, fra il 1989 ed il 1992, quel mondo scomparve, trascinando con sé gli “accomodamenti” che ne consentivano l’equilibrio.
Per la Jugoslavia, è l’attivissimo ministro degli esteri tedesco Klaus Kinkel ad attivarsi, giungendo a “rispolverare” antichi contatti che risalivano alla Seconda Guerra Mondiale, soprattutto in Croazia. Quando il FMI intimò la suddivisione del debito jugoslavo fra le singole repubbliche, e Kinkel “girò” gli armamenti ricevuti dalla Germania Est in Croazia, la mattanza ebbe inizio.
Non fu possibile gestire la disgregazione jugoslava in modo chirurgico, limitandosi al lavoro “di fino” dagli uffici centrali delle banche, poiché la struttura economica della repubblica socialista era basata sull’impianto cooperativo: bisognava tagliare nella carne, la pelle non bastava. E si giunse a Sarajevo ed al Kosovo.
L’obiettivo, che a quel tempo la Bundesbank perseguiva, era la cosiddetta “Europa a due velocità”: prima dentro “i buoni”, per gli altri si vedrà.
C’erano, però, dei “buoni” che erano legati a nazioni “cattive”: la Slovenia era senz’altro “buona”, come “buonissimo” era l’antico Lombardo-Veneto. Ma la Slovenia era legata alla “cattiva” Serbia ed al pozzo senza fondo della Bosnia, mentre il Lombardo-Veneto era legato al sempre inconcludente meridione italiano.
Siccome fondare un partito e condurlo ad una buona visibilità politica costa parecchi denari – tralasciamo, per ora, il “dopo” della Lega Nord – i lettori potranno avere un’idea di chi sorresse i primi passi di Bossi & Co, dalla “cannibalizzazione” della Liga Veneta di Rocchetta ai vari parlamenti “padani”.
La scomparsa di Miglio, la sconfitta della linea della Bundesbank (le due “velocità), l’ingresso nell’euro ed il quasi parallelo ingresso della Lega Nord nei governi Berlusconi, proiettarono nel baratro della Storia quegli eventi, ma le cause sottese rimasero, al punto che – oggi – la Lega Nord si trova nella difficile situazione d’essere il partito che vota gli “sforamenti” di bilancio di Scapagnini a Catania e di Alemanno a Roma, fino a dover incassare il declassamento di Malpensa.
La risposta della Lega Nord è tutta contenuta nella speranza del “federalismo fiscale”, ma è uno specchietto per allodole: come abbiamo già ricordato nella prima parte di questo articolo, non si possono conciliare le esigenze di un Sud clientelare con quelle di un Nord che cerca, disperatamente, livelli di reddito e di welfare europei! Difatti, Tremonti è bombardato da richieste di fondi proprio per questa legge – “tutti saranno garantiti” ha affermato Calderoli, e sono pronte nuove gabelle per salvare Comuni, Province, Regioni, ecc – ma, non si doveva trattare di una legge che avrebbe condotto a dei risparmi? Eppure, la Lega Nord avanza nei consensi.
In definitiva – paradossalmente, vista l’alleanza con la Lega Nord – oggi Berlusconi è il garante dell’unità nazionale e la esercita ricorrendo alle vecchie prassi della Prima Repubblica, con alcune differenze.
Ha inaugurato la “caccia” al pubblico dipendente – che s’avvia a diventare lo zimbello della nazione: a quando la stella gialla? – per nascondere altro: in fin dei conti, non basta la “tosa” dei lavoratori dipendenti (TFR del settore privato, domani di quello pubblico, “congelamenti” vari, pensioni il giorno del mai…) e il Nord dovrà comunque pagare per un Sud inconcludente.
Basti pensare che, nel quinquennio 2000-2005 (centro destra), le pensioni d’invalidità concesse, in massima parte nel meridione, aumentarono del 47%[3].
Una risposta, a questo anomalo incremento, giunse da Lorena Ciorra dell’ANMIC[4]:
“…la pensione di inabilità (di misere € 255,13 mensili, che moltissimi ignorano), per tanta parte dei nostri concittadini è un vero e proprio assegno alimentare. Ma è un assegno così misero che vi ricorrono solo coloro che si trovano in miserrime condizioni, che non hanno un occupazione e vivono della bontà di vicini e familiari, ecco perché l’incidenza è maggiore al centro sud piuttosto che al nord.”
Ciò che venne ignorato nel passaggio alla cosiddetta “Seconda Repubblica” – ossia che le condizioni del Sud sono un dato strutturale – tornò ad affacciarsi dalla finestra, poiché la dismissione delle Partecipazioni Statali aggravò ancora il quadro del Meridione. Le eterne pensioni d’invalidità – o forme equipollenti – non sono altro che il pietoso welfare per il Sud, in cambio dei soliti voti. Può contare, Berlusconi, di proseguire con questo andazzo?
I più recenti dati economici italiani sono sconfortanti: la produttività è in calo o stagnante da almeno un decennio, al quale vanno aggiunte la deindustrializzazione in atto, soprattutto al Nord, e la fuga dei giovani laureati verso l’estero, la mancanza di ricerca e d’innovazione e di seri piani politici nei settori produttivi. Il debito pubblico, però, è forse l’allarme più evidente.
Il debito pubblico italiano ha raggiunto, a Maggio 2009, un nuovo record a quota 1.741,275 miliardi di euro: rispetto alla rilevazione di Febbraio 2009 (1.707,410)[5], un incremento del 2% in un trimestre! Di questo passo – con le entrate fiscali in calo – ci stiamo avviando verso incrementi record: l’8% annuo? Sulla base di un PIL in calo del 4-5%? Mentre veniamo incantati dal tourbillon delle veline e del regal divorzio, non è che – per caso – qualcuno ha già lanciato il treno sul binario morto, ed aspetta soltanto l’istante per saltar via prima dello schianto?
Questi sono numeri da Argentina, anche se non sarà l’Argentina il nostro futuro: gli argentini sono un popolo dignitoso.
Questo quadro non potrà reggere ancora per molto, e lo sa anche l’attuale governo: ulteriori riforme sulla previdenza potranno “dare un po’ di fiato”, ma l’esito è segnato.
Le occasioni sprecate dalla classe politica, negli ultimi quindici anni, sono state tante ed importantissime: aver bloccato la produzione d’energie rinnovabili – sia con grandi impianti, sia con quella diffusa sul territorio – ha privato l’economia reale di ampie fonti di ricchezza. Basti pensare che 850 MW di produzione idroelettrica da piccoli impianti ancora aspettano che qualcuno vada a “raccoglierli”[6]. Lo stesso accade per l’eolico, per il termodinamico, per le biomasse: è sintomatico che, i pochi impianti per la produzione d’energia elettrica da biomasse, siano quasi tutti di proprietà del gruppo Marcegaglia (!).
Il “diverso corso” italiano sarebbe dovuto iniziare con la produzione diffusa e l’incentivazione della cooperazione, in tutti i settori economici, dall’agricoltura all’energia, dai trasporti alla cooperazione nella ricerca legata all’industria: invece, come è stato evidenziato nella prima parte di questo articolo, motivazioni di “cassetta” elettorale condussero a scenari esattamente opposti, a concentrare la ricchezza, ed oggi è troppo tardi per porvi rimedio.
Per il futuro, non possiamo che aspettarci Berlusconi fin quando vorrà o potrà, giacché l’opposizione è inesistente, velleitaria ed incapace di un progetto politico alternativo, quando non collusa[7].
Fin quando Berlusconi “potrà”?
Dai dati economici che giungono, non ha più molta “aria”: forse un paio d’anni, poco di più. E dopo?
L’ipotesi avanzata da Paolo Guzzanti: prospettiva “alla Putin”, ossia Presidenza della Repubblica all’uomo di Arcore e nomina di un Presidente del Consiglio totalmente inconsistente – Guzzanti fece il nome della Gelmini – per continuare a governare dal Quirinale, è praticabile per l’aspetto istituzionale (ci sembra, però, che Gianfranco Fini stia “studiando” con profitto da Presidente), ma non regge nello scenario economico-sociale, che è il vero problema.
L’uomo, che scese in campo con toni di salvatore, potrebbe lasciarlo con egual stile, ossia con un’uscita di scena “alla Cincinnato”: non sarebbe difficile, per i media che controlla, partorire e pianificare l’evento per farlo apparire come il nobile atto di chi tanto ha fatto per il Paese. Non sono questi, però, i veri problemi, come per le veline.
Chi raccoglierebbe l’eredità di Berlusconi?
Nessuno, è presto detto, ma Berlusconi non è mica eterno.
Il PdL, con l’uscita di scena di Berlusconi, si sfalderà come neve al sole: già nella precedente legislatura, Scajola si vantava di “controllare almeno 80 parlamentari di Forza Italia”.
Si giungerebbe ad una nuova stagione di grande instabilità, poiché la frantumazione del PdL non consegnerebbe all’Italia una forza politica conservatrice di destra – un partito gollista, per intenderci – bensì degli spezzoni di “fu” democristiani, socialisti, radicali, missini…ai quali s’aggiungerebbero ex “forzisti” di tutti i tipi. Grande confusione sotto il cielo.
Ovviamente, tutti cercheranno d’approfittarne e Casini sta giocando già oggi “a babbo morto”, ossia aspetta sulla riva del fiume per raccogliere il maggior numero di profughi ed esuli. Ma non sarebbe lui a godere del maggior vantaggio politico.
L’unico partito che uscirebbe fortemente rafforzato da questo scenario sarebbe la Lega Nord, ma – attenzione – in un quadro di forte squilibrio territoriale. Forse, vale la pena di dare una rapida occhiata ai più recenti sondaggi elettorali[8]:
Popolo della Libertà: 37.4%
Partito Democratico: 26.9%
Lega Nord: 9.8%
Italia dei Valori: 7,7%
UDC: 5,6%
MPA-La Destra-Pensionati: 3,5%
Sinistra e Libertà: 3,1%
Rifondazione/Comunisti Italiani: 2,7%
Altri: 3,4%
Ciò che colpisce (ma non stupisce) è l’avanzare costante della Lega Nord, che è il primo partito dell’area lombardo-veneta:
“La Lega e' la prima forza politica in Veneto con il 28,7 per cento rispetto al 27,1 delle Politiche. In Lombardia 22,2 per cento dal precedente 21,6. Balzo anche in Piemonte: dal 12,6 per cento al 14,9. In Liguria passa dal 6,8 al 7,3 per cento e in Friuli Venezia Giulia dal 13 al 14,6. Notevole l'incremento anche in Emilia Romagna, dove il partito del Senatur passa dal 7,8 per cento delle Politiche 2006 all'8,9%[9]”
Quando avverrà il default del PdL – causa abbandono di Berlusconi (in qualsiasi modo) – quel terzo circa d’italiani che votano il PdL, a chi si rivolgeranno?
Con la Lega Nord che sfiorerà (o raggiungerà?) la maggioranza assoluta nel Lombardo-Veneto, come sarà possibile arrestare il processo di frammentazione?
L’UE non parteciperà – almeno, ufficialmente – alla eventuale querelle che si scatenerà, considerando anche un ulteriore aspetto: i poteri economici e finanziari del Nord potrebbero puntare proprio sulla secessione per salvare il salvabile dell’economia del Nord Italia.
Neppure la consistenza del Sud come “mercato”, in tempi di globalizzazione, avrà più peso.
L’ipotesi della secessione non è più valutata soltanto dai politici della Lega Nord o da quelli vicini ad essa: anche alcuni “insospettabili” – Riccardo Illy, ex Presidente del Friuli Venezia Giulia da un lato, e Sergio Chiamparino, sindaco di Torino dall’altro – ammettono una “questione del Nord” usando un eufemismo, non potendo dichiarare che esiste oramai una secessione “strisciante”.
A raccogliere il testimone di una eventuale secessione, potrebbe anche non essere questa Lega Nord, ma una coalizione di forze politiche oggi ancora inesistenti, che potrebbero nascere dalla disintegrazione del PdL.
Una secessione, a quel punto anche formale, del Veneto o del Lombardo-Veneto scatenerebbe probabilmente un “effetto domino” non solo sul Nord Ovest, ma anche in alcune aree del centro.
La futura suddivisione dell’Italia potrebbe non essere più quella immaginata dal sen. Miglio – tre aree: Nord “padano”, “Etruria” (aree centrali) e Sud (tutto il resto) – poiché, nel frattempo, regioni come le Marche si sono avvicinate più al Nord, come sistema economico, che all’originaria appartenenza allo Stato della Chiesa. Lo stesso si può dire per la Romagna, e forse anche per l’Umbria, più, ovviamente, la Toscana.
La situazione economica delle due sole repubbliche (Nord e Sud) sarebbe molto diversa, pur considerando una suddivisione del debito interno pro capite: alcune analisi, molto approssimative, sostenevano che il PIL italiano sia prodotto per il 70% al Centro-Nord e per il 30% al Centro-Sud, mentre i consumi sono ripartiti all’incirca per il 60% al centro Nord e per il 40% al Centro-Sud. Un trasferimento di ricchezza del 10% non è poco.
Vorrei pregare i lettori di prendere “con le molle” questi dati, poiché bisognerebbe approfondire ulteriormente la natura di quella “produzione”: anche il settore pubblico partecipa alla produzione di ricchezza, e ben sappiamo che gli apparati pubblici, nel Sud, sono spesso “gonfiati”.
In definitiva, il Nord potrebbe “aggiudicarsi” subito un 10% di reddito e, potendo far fronte meglio al problema del debito, in pochi anni potrebbe avere redditi nell’ordine di quelli francesi, il 15% in più circa rispetto all’Italia. Duemila euro diventerebbero 2.300, che già modificano lo stile di vita, e non c’è quindi da stupirsi per l’incremento della Lega: gli italiani sanno far di conto meglio di quel che si crede.
Il Sud diventerebbe, inevitabilmente, la nazione più povera d’Europa, forse al pari d’alcune aree portoghesi e greche.
E’ veramente difficile ipotizzare quale potrebbe essere il futuro del Sud, tante sono le variabili, soprattutto la presenza, soffocante, del connubio politico/criminale.
Volendo osservare il bicchiere mezzo pieno, la secessione potrebbe finalmente far emergere le molte energia positive che al Sud esistono, giungendo ad un vero e proprio redde rationem nei confronti del potere criminale. Sarebbe il miglior augurio.
Se, invece, dovesse prevalere il bicchiere mezzo vuoto, il Sud s’incamminerebbe sulla via delle piccole repubbliche “criminali” – Kosovo, Colombia, ecc – con esiti difficilmente prevedibili nei confronti dell’Unione Europea.
Siamo giunti a questa conclusione non solo osservando le dinamiche sociali, le impostazioni dei governi negli ultimi 15 anni, la situazione economica e quant’altro, bensì “incrociando” le situazioni ed osservandole alla luce delle leggi che regolano i sistemi complessi.
Qualunque sistema complesso – in Fisica, in Chimica, in Biologia – è sempre alla ricerca dell’equilibrio più stabile, anche quando gode di un equilibrio giudicato “accettabile”. Non sfuggono a questa legge le dinamiche sociali.
Marx immaginò la rivoluzione socialista in due Paesi – Germania e Gran Bretagna – poiché erano le due nazioni più evolute industrialmente, con un vasto proletariato.
Invece, la Rivoluzione d’Ottobre avvenne in Russia, poiché la situazione sociale in quel Paese – per una serie di cause ben note – era diventata insostenibile, al punto che una manciata di rivoluzionari riuscì nell’impresa, per poi incontrare mille impedimenti e difficoltà, soprattutto legate alla constatazione che la gran parte dei russi erano contadini, e non operai.
In altre nazioni (Italia 1922, Germania del dopo Versailles) situazioni di grande instabilità condussero a sistemi di governo autoritari, poiché la strada del confronto democratico era divenuta insostenibile per molte cause, soprattutto economiche.
In tutte le vicende del Novecento, però, la stabilità dei confini non fu quasi mai messa in discussione, salvo modesti “aggiustamenti” che non rappresentarono mai le soluzioni ai problemi (l’occupazione francese del Saarland, il confine polacco, ecc): Danzica, ricordiamo, fu un pretesto e non la causa.
Per tutto il Novecento, la soluzione dei problemi sociali fu ricercata all’interno delle dinamiche sociali: dall’URSS al Fascismo, da Keynes a Friedman.
Oggi, lo stato nazionale non è più un tabù: la globalizzazione dei mercati rende poco importanti confini, culture e popolazioni. Dunque, nuove ripartizioni territoriali sono completamente all’interno della logica globalizzatrice: non esiste nessuna rivoluzione “padana” (o ceca, o slovacca, ecc) ma soltanto la logica che consente, al più forte economicamente, d’imporre al più debole la propria legge. Quella del denaro: nient’altro.
Chi scrive non partecipa con i propri sentimenti a queste scelte, giacché le considera soltanto dei mezzucci e non vere soluzioni. Riconosce, però, che – inevitabilmente – se un sistema non trova più all’interno delle dinamiche sociali soluzioni a problemi soffocanti, le trova riaggiustando i confini.
Una divisione dell’Italia non sarebbe certo l’ecatombe della civiltà: oltretutto, rimanendo in Europa entrambe le repubbliche, non ci sarebbe nessun “muro” né confini paragonabili a quelli di un tempo.
Non si può, però, nascondere che una simile (a nostro avviso, molto probabile) “soluzione” cela il seme mai germinato di una sconfitta: per questo abbiamo desiderato compiere un parallelismo con la Jugoslavia, anche se ci sarà risparmiato il sangue che inondò i Balcani.
La Spagna ha saputo uscire dal Franchismo con grande dignità, e non solo: ha ritrovato rispetto per l’avversario politico ed un plafond di valori condivisi anche nell’aspro dibattito politico, come può essere in una nazione che è permeata dai valori cattolici forse più dell’Italia. Pur con diverse impostazioni, i PACS furono accettati sia da Aznar, sia da Zapatero.
Si dirà: la Spagna è nazione antica, al pari della Francia e della Gran Bretagna. E la Germania? E’ nazione “recente” al pari dell’Italia, ma nacque da un accordo doganale condiviso e meditato, mentre l’Italia fu solo conquistata da uno dei tanti reucci.
Tutto ciò, non basta come giustificazione: abbiamo avuto a disposizione un secolo e mezzo per trovare il nostro equilibrio, e non siamo stati in grado di farlo, con equivalenti responsabilità al Sud ed al Nord.
Qualcuno, quando gli avvenimenti precipiteranno, potrà gridare alla conquistata indipendenza, altri al tradimento dei valori risorgimentali, altri ancora affermeranno che non è la soluzione ai nostri problemi.
Il che, è vero: sarà solo la triste nemesi del nostro fallimento.
Victor Hugo – I Miserabili – II vol. – Libro Terzo – Requiescant.
Ogni popolo, quando s’avvicina al limite di default, non cerca soluzioni e s’affida più alla speranza che al raziocinio.
Uno dei cardini di questa politica vigliacca, il frutto più perverso di anni di reality, è credere che la buona stella – lo “stellone” italiano – sia una risorsa inesauribile, duri eternamente e per tutti. Provarono la stessa sensazione gli abitanti di Sarajevo.
Alen Custovic – nel suo bellissimo Eloì, Eloì[1] – fa pronunciare al protagonista (professore di Storia in una scuola di Mostar) una frase sibillina che, in qualche modo, ci chiama in causa:
“Forse solo gli italiani sono più meticci di noi. Qui la storia è complessa, e in ogni caso gli italiani sono arrivati a uno stato unitario molto tempo prima di noi (jugoslavi N. d. A.)”
Non è certo il caso di metterci a sfogliare la margherita per decidere chi sia più meticcio: di certo, la genesi risorgimentale assemblò popoli probabilmente non “meticci” in senso razziale o religioso, ma diversissimi per culture e, soprattutto, per abitudini consolidate, prassi quotidiane, sistemi di governo.
Giunse una flaccida stagione post risorgimentale, quindi il Fascismo che tentò anch’esso la difficile amalgama, fino ai governi della Prima Repubblica che fecero assai poco per cercarla: la perenne sudditanza del Sud fu sfruttata come serbatoio di voti da contrapporre alle classi lavoratrici del Nord, che cercavano riscatto votando (purtroppo, credendoci) le sinistre. Quelle sinistre.
La storia unitaria, che s’avvicina ai 150 anni, può essere considerata lunga ma ha prodotto assai poco: forse, l’unica spinta verso una cultura condivisa avvenne negli anni ’60 del secolo scorso, con la grande emigrazione verso il Nord. In qualche modo, ci avvicinò.
Dall’altra, per decenni i politici di maggioranza (soprattutto la DC) non fecero altro che presentare il “conto” della pace sociale al ceto imprenditoriale del Nord, che lo onorava conferendo loro l’assenso d’attingere denaro pubblico per pagare i famosi milioni di false pensioni d’invalidità. Uno scambio “equo e solidale” che riuscì a rimanere a galla fin quando non cambiò la situazione internazionale: dopo il 1989, il PCI divenne una tigre di carta “certificata”, mentre prima poteva almeno millantare velleità e crediti.
Dopo il 1989, tutti gli equilibri saltarono, e saltò anche la necessità – per il ceto imprenditoriale del Nord – di mantenere quella gabella. E si giunse al fatidico 1992.
Tutto parte da quel maledetto 1992, quando la mafia – fra Maggio e Luglio – uccide Falcone e Borsellino: “menti raffinatissime” sono alla guida di quegli eventi. Nella stessa estate, sul Britannia, i destini dell’economia italiana – quel pezzo di “socialismo reale” che la improntava – passano nelle mani degli Angli. Ma c’è dell’altro.
A settembre va in scena la seconda parte di quel piano, perché anche i crucchi – padroni del supermarco e gestori del futuro euro – chiedono banco, e la lira perde il 30%. Giuliano Amato deve varare una legge Finanziaria con “tagli” per 100.000 miliardi di lire: sarà la prima di una lunga serie.
Se qualcuno cerca il “default” dell’Italia non deve cercarlo avanti: esso è già avvenuto, nel 1992.
Come un motociclista che corre a tutto gas, nel 1992 avvenne la fatale scivolata ed il ricovero in ospedale: dopo, tutto ciò che è avvenuto è solo cronaca dal coma farmaceutico.
Nel 1998, Bettino Craxi – da Hammamet, dov’è oramai in esilio – chiede conto a Giuliano Amato (all’epoca dei fatti Presidente del Consiglio) della sciagurata strategia che condusse la Banca d’Italia a gettare nella fornace di un’impossibile difesa della lira 70.000 miliardi. Amato, risponde “che stava intervenendo su Helmut (evidentemente Kohl) per rafforzare la linea di difesa della lira, e quindi che la partita era ancora aperta. Evidentemente il Governo italiano contava su di un massiccio intervento di sostegno da parte della Deutsche Bank (forse Bundesbank?, n.d.r.) [2].
Il costo finale di quel madornale errore – o tranello teso dai tedeschi? – furono 14.000 miliardi di perdita secca, dovuta alla successiva, inevitabile svalutazione.
Qualcuno, però, aveva avvertito.
Tre giorni prima della svalutazione, Gianfranco Miglio, senatore della neonata Lega Nord, recapita un “pizzino”, un avvertimento chiarissimo: vendete lire, acquistate marchi, fin quando siete in tempo.
Qualcuno, dalla Germania, aveva forse contatti più stretti ed obiettivi convergenti con l’allora regista della Lega Nord (Bossi era solo, all’epoca, un “giovane di studio”). Perché?
Vediamo cosa successe, parallelamente, molto vicino a noi.
Negli stessi anni, iniziò il processo che condusse alla disgregazione jugoslava e i due fenomeni non furono né casuali e né slegati. Le due repubbliche – italiana e jugoslava – erano entrambe “sotto sorveglianza”: la prima con il più forte Partito Comunista dell’Occidente (e, soprattutto, moltissimi contatti ed affari con l’URSS: si pensi alla lunga collaborazione con il gruppo FIAT, oppure le forniture di macchine di vario tipo per l’industria sovietica), la seconda che non fece mai parte del Patto di Varsavia e contrattò sempre finanziamenti sia con l’URSS, sia con l’Occidente capitalista.
La situazione, per gli aspetti geopolitici, fino a quel momento era d’equilibrio: la non appartenenza della Jugoslavia al Patto di Varsavia impediva all’URSS l’accesso ai porti adriatici, mentre l’equilibrio interno italiano consentiva affari a 360 gradi, anche nel “pianeta” del socialismo reale.
Qui, moltissimi fattori dovrebbero essere approfonditi, ma per quanto riguarda i nostri obiettivi basterà sottolineare che, fra il 1989 ed il 1992, quel mondo scomparve, trascinando con sé gli “accomodamenti” che ne consentivano l’equilibrio.
Per la Jugoslavia, è l’attivissimo ministro degli esteri tedesco Klaus Kinkel ad attivarsi, giungendo a “rispolverare” antichi contatti che risalivano alla Seconda Guerra Mondiale, soprattutto in Croazia. Quando il FMI intimò la suddivisione del debito jugoslavo fra le singole repubbliche, e Kinkel “girò” gli armamenti ricevuti dalla Germania Est in Croazia, la mattanza ebbe inizio.
Non fu possibile gestire la disgregazione jugoslava in modo chirurgico, limitandosi al lavoro “di fino” dagli uffici centrali delle banche, poiché la struttura economica della repubblica socialista era basata sull’impianto cooperativo: bisognava tagliare nella carne, la pelle non bastava. E si giunse a Sarajevo ed al Kosovo.
L’obiettivo, che a quel tempo la Bundesbank perseguiva, era la cosiddetta “Europa a due velocità”: prima dentro “i buoni”, per gli altri si vedrà.
C’erano, però, dei “buoni” che erano legati a nazioni “cattive”: la Slovenia era senz’altro “buona”, come “buonissimo” era l’antico Lombardo-Veneto. Ma la Slovenia era legata alla “cattiva” Serbia ed al pozzo senza fondo della Bosnia, mentre il Lombardo-Veneto era legato al sempre inconcludente meridione italiano.
Siccome fondare un partito e condurlo ad una buona visibilità politica costa parecchi denari – tralasciamo, per ora, il “dopo” della Lega Nord – i lettori potranno avere un’idea di chi sorresse i primi passi di Bossi & Co, dalla “cannibalizzazione” della Liga Veneta di Rocchetta ai vari parlamenti “padani”.
La scomparsa di Miglio, la sconfitta della linea della Bundesbank (le due “velocità), l’ingresso nell’euro ed il quasi parallelo ingresso della Lega Nord nei governi Berlusconi, proiettarono nel baratro della Storia quegli eventi, ma le cause sottese rimasero, al punto che – oggi – la Lega Nord si trova nella difficile situazione d’essere il partito che vota gli “sforamenti” di bilancio di Scapagnini a Catania e di Alemanno a Roma, fino a dover incassare il declassamento di Malpensa.
La risposta della Lega Nord è tutta contenuta nella speranza del “federalismo fiscale”, ma è uno specchietto per allodole: come abbiamo già ricordato nella prima parte di questo articolo, non si possono conciliare le esigenze di un Sud clientelare con quelle di un Nord che cerca, disperatamente, livelli di reddito e di welfare europei! Difatti, Tremonti è bombardato da richieste di fondi proprio per questa legge – “tutti saranno garantiti” ha affermato Calderoli, e sono pronte nuove gabelle per salvare Comuni, Province, Regioni, ecc – ma, non si doveva trattare di una legge che avrebbe condotto a dei risparmi? Eppure, la Lega Nord avanza nei consensi.
In definitiva – paradossalmente, vista l’alleanza con la Lega Nord – oggi Berlusconi è il garante dell’unità nazionale e la esercita ricorrendo alle vecchie prassi della Prima Repubblica, con alcune differenze.
Ha inaugurato la “caccia” al pubblico dipendente – che s’avvia a diventare lo zimbello della nazione: a quando la stella gialla? – per nascondere altro: in fin dei conti, non basta la “tosa” dei lavoratori dipendenti (TFR del settore privato, domani di quello pubblico, “congelamenti” vari, pensioni il giorno del mai…) e il Nord dovrà comunque pagare per un Sud inconcludente.
Basti pensare che, nel quinquennio 2000-2005 (centro destra), le pensioni d’invalidità concesse, in massima parte nel meridione, aumentarono del 47%[3].
Una risposta, a questo anomalo incremento, giunse da Lorena Ciorra dell’ANMIC[4]:
“…la pensione di inabilità (di misere € 255,13 mensili, che moltissimi ignorano), per tanta parte dei nostri concittadini è un vero e proprio assegno alimentare. Ma è un assegno così misero che vi ricorrono solo coloro che si trovano in miserrime condizioni, che non hanno un occupazione e vivono della bontà di vicini e familiari, ecco perché l’incidenza è maggiore al centro sud piuttosto che al nord.”
Ciò che venne ignorato nel passaggio alla cosiddetta “Seconda Repubblica” – ossia che le condizioni del Sud sono un dato strutturale – tornò ad affacciarsi dalla finestra, poiché la dismissione delle Partecipazioni Statali aggravò ancora il quadro del Meridione. Le eterne pensioni d’invalidità – o forme equipollenti – non sono altro che il pietoso welfare per il Sud, in cambio dei soliti voti. Può contare, Berlusconi, di proseguire con questo andazzo?
I più recenti dati economici italiani sono sconfortanti: la produttività è in calo o stagnante da almeno un decennio, al quale vanno aggiunte la deindustrializzazione in atto, soprattutto al Nord, e la fuga dei giovani laureati verso l’estero, la mancanza di ricerca e d’innovazione e di seri piani politici nei settori produttivi. Il debito pubblico, però, è forse l’allarme più evidente.
Il debito pubblico italiano ha raggiunto, a Maggio 2009, un nuovo record a quota 1.741,275 miliardi di euro: rispetto alla rilevazione di Febbraio 2009 (1.707,410)[5], un incremento del 2% in un trimestre! Di questo passo – con le entrate fiscali in calo – ci stiamo avviando verso incrementi record: l’8% annuo? Sulla base di un PIL in calo del 4-5%? Mentre veniamo incantati dal tourbillon delle veline e del regal divorzio, non è che – per caso – qualcuno ha già lanciato il treno sul binario morto, ed aspetta soltanto l’istante per saltar via prima dello schianto?
Questi sono numeri da Argentina, anche se non sarà l’Argentina il nostro futuro: gli argentini sono un popolo dignitoso.
Questo quadro non potrà reggere ancora per molto, e lo sa anche l’attuale governo: ulteriori riforme sulla previdenza potranno “dare un po’ di fiato”, ma l’esito è segnato.
Le occasioni sprecate dalla classe politica, negli ultimi quindici anni, sono state tante ed importantissime: aver bloccato la produzione d’energie rinnovabili – sia con grandi impianti, sia con quella diffusa sul territorio – ha privato l’economia reale di ampie fonti di ricchezza. Basti pensare che 850 MW di produzione idroelettrica da piccoli impianti ancora aspettano che qualcuno vada a “raccoglierli”[6]. Lo stesso accade per l’eolico, per il termodinamico, per le biomasse: è sintomatico che, i pochi impianti per la produzione d’energia elettrica da biomasse, siano quasi tutti di proprietà del gruppo Marcegaglia (!).
Il “diverso corso” italiano sarebbe dovuto iniziare con la produzione diffusa e l’incentivazione della cooperazione, in tutti i settori economici, dall’agricoltura all’energia, dai trasporti alla cooperazione nella ricerca legata all’industria: invece, come è stato evidenziato nella prima parte di questo articolo, motivazioni di “cassetta” elettorale condussero a scenari esattamente opposti, a concentrare la ricchezza, ed oggi è troppo tardi per porvi rimedio.
Per il futuro, non possiamo che aspettarci Berlusconi fin quando vorrà o potrà, giacché l’opposizione è inesistente, velleitaria ed incapace di un progetto politico alternativo, quando non collusa[7].
Fin quando Berlusconi “potrà”?
Dai dati economici che giungono, non ha più molta “aria”: forse un paio d’anni, poco di più. E dopo?
L’ipotesi avanzata da Paolo Guzzanti: prospettiva “alla Putin”, ossia Presidenza della Repubblica all’uomo di Arcore e nomina di un Presidente del Consiglio totalmente inconsistente – Guzzanti fece il nome della Gelmini – per continuare a governare dal Quirinale, è praticabile per l’aspetto istituzionale (ci sembra, però, che Gianfranco Fini stia “studiando” con profitto da Presidente), ma non regge nello scenario economico-sociale, che è il vero problema.
L’uomo, che scese in campo con toni di salvatore, potrebbe lasciarlo con egual stile, ossia con un’uscita di scena “alla Cincinnato”: non sarebbe difficile, per i media che controlla, partorire e pianificare l’evento per farlo apparire come il nobile atto di chi tanto ha fatto per il Paese. Non sono questi, però, i veri problemi, come per le veline.
Chi raccoglierebbe l’eredità di Berlusconi?
Nessuno, è presto detto, ma Berlusconi non è mica eterno.
Il PdL, con l’uscita di scena di Berlusconi, si sfalderà come neve al sole: già nella precedente legislatura, Scajola si vantava di “controllare almeno 80 parlamentari di Forza Italia”.
Si giungerebbe ad una nuova stagione di grande instabilità, poiché la frantumazione del PdL non consegnerebbe all’Italia una forza politica conservatrice di destra – un partito gollista, per intenderci – bensì degli spezzoni di “fu” democristiani, socialisti, radicali, missini…ai quali s’aggiungerebbero ex “forzisti” di tutti i tipi. Grande confusione sotto il cielo.
Ovviamente, tutti cercheranno d’approfittarne e Casini sta giocando già oggi “a babbo morto”, ossia aspetta sulla riva del fiume per raccogliere il maggior numero di profughi ed esuli. Ma non sarebbe lui a godere del maggior vantaggio politico.
L’unico partito che uscirebbe fortemente rafforzato da questo scenario sarebbe la Lega Nord, ma – attenzione – in un quadro di forte squilibrio territoriale. Forse, vale la pena di dare una rapida occhiata ai più recenti sondaggi elettorali[8]:
Popolo della Libertà: 37.4%
Partito Democratico: 26.9%
Lega Nord: 9.8%
Italia dei Valori: 7,7%
UDC: 5,6%
MPA-La Destra-Pensionati: 3,5%
Sinistra e Libertà: 3,1%
Rifondazione/Comunisti Italiani: 2,7%
Altri: 3,4%
Ciò che colpisce (ma non stupisce) è l’avanzare costante della Lega Nord, che è il primo partito dell’area lombardo-veneta:
“La Lega e' la prima forza politica in Veneto con il 28,7 per cento rispetto al 27,1 delle Politiche. In Lombardia 22,2 per cento dal precedente 21,6. Balzo anche in Piemonte: dal 12,6 per cento al 14,9. In Liguria passa dal 6,8 al 7,3 per cento e in Friuli Venezia Giulia dal 13 al 14,6. Notevole l'incremento anche in Emilia Romagna, dove il partito del Senatur passa dal 7,8 per cento delle Politiche 2006 all'8,9%[9]”
Quando avverrà il default del PdL – causa abbandono di Berlusconi (in qualsiasi modo) – quel terzo circa d’italiani che votano il PdL, a chi si rivolgeranno?
Con la Lega Nord che sfiorerà (o raggiungerà?) la maggioranza assoluta nel Lombardo-Veneto, come sarà possibile arrestare il processo di frammentazione?
L’UE non parteciperà – almeno, ufficialmente – alla eventuale querelle che si scatenerà, considerando anche un ulteriore aspetto: i poteri economici e finanziari del Nord potrebbero puntare proprio sulla secessione per salvare il salvabile dell’economia del Nord Italia.
Neppure la consistenza del Sud come “mercato”, in tempi di globalizzazione, avrà più peso.
L’ipotesi della secessione non è più valutata soltanto dai politici della Lega Nord o da quelli vicini ad essa: anche alcuni “insospettabili” – Riccardo Illy, ex Presidente del Friuli Venezia Giulia da un lato, e Sergio Chiamparino, sindaco di Torino dall’altro – ammettono una “questione del Nord” usando un eufemismo, non potendo dichiarare che esiste oramai una secessione “strisciante”.
A raccogliere il testimone di una eventuale secessione, potrebbe anche non essere questa Lega Nord, ma una coalizione di forze politiche oggi ancora inesistenti, che potrebbero nascere dalla disintegrazione del PdL.
Una secessione, a quel punto anche formale, del Veneto o del Lombardo-Veneto scatenerebbe probabilmente un “effetto domino” non solo sul Nord Ovest, ma anche in alcune aree del centro.
La futura suddivisione dell’Italia potrebbe non essere più quella immaginata dal sen. Miglio – tre aree: Nord “padano”, “Etruria” (aree centrali) e Sud (tutto il resto) – poiché, nel frattempo, regioni come le Marche si sono avvicinate più al Nord, come sistema economico, che all’originaria appartenenza allo Stato della Chiesa. Lo stesso si può dire per la Romagna, e forse anche per l’Umbria, più, ovviamente, la Toscana.
La situazione economica delle due sole repubbliche (Nord e Sud) sarebbe molto diversa, pur considerando una suddivisione del debito interno pro capite: alcune analisi, molto approssimative, sostenevano che il PIL italiano sia prodotto per il 70% al Centro-Nord e per il 30% al Centro-Sud, mentre i consumi sono ripartiti all’incirca per il 60% al centro Nord e per il 40% al Centro-Sud. Un trasferimento di ricchezza del 10% non è poco.
Vorrei pregare i lettori di prendere “con le molle” questi dati, poiché bisognerebbe approfondire ulteriormente la natura di quella “produzione”: anche il settore pubblico partecipa alla produzione di ricchezza, e ben sappiamo che gli apparati pubblici, nel Sud, sono spesso “gonfiati”.
In definitiva, il Nord potrebbe “aggiudicarsi” subito un 10% di reddito e, potendo far fronte meglio al problema del debito, in pochi anni potrebbe avere redditi nell’ordine di quelli francesi, il 15% in più circa rispetto all’Italia. Duemila euro diventerebbero 2.300, che già modificano lo stile di vita, e non c’è quindi da stupirsi per l’incremento della Lega: gli italiani sanno far di conto meglio di quel che si crede.
Il Sud diventerebbe, inevitabilmente, la nazione più povera d’Europa, forse al pari d’alcune aree portoghesi e greche.
E’ veramente difficile ipotizzare quale potrebbe essere il futuro del Sud, tante sono le variabili, soprattutto la presenza, soffocante, del connubio politico/criminale.
Volendo osservare il bicchiere mezzo pieno, la secessione potrebbe finalmente far emergere le molte energia positive che al Sud esistono, giungendo ad un vero e proprio redde rationem nei confronti del potere criminale. Sarebbe il miglior augurio.
Se, invece, dovesse prevalere il bicchiere mezzo vuoto, il Sud s’incamminerebbe sulla via delle piccole repubbliche “criminali” – Kosovo, Colombia, ecc – con esiti difficilmente prevedibili nei confronti dell’Unione Europea.
Siamo giunti a questa conclusione non solo osservando le dinamiche sociali, le impostazioni dei governi negli ultimi 15 anni, la situazione economica e quant’altro, bensì “incrociando” le situazioni ed osservandole alla luce delle leggi che regolano i sistemi complessi.
Qualunque sistema complesso – in Fisica, in Chimica, in Biologia – è sempre alla ricerca dell’equilibrio più stabile, anche quando gode di un equilibrio giudicato “accettabile”. Non sfuggono a questa legge le dinamiche sociali.
Marx immaginò la rivoluzione socialista in due Paesi – Germania e Gran Bretagna – poiché erano le due nazioni più evolute industrialmente, con un vasto proletariato.
Invece, la Rivoluzione d’Ottobre avvenne in Russia, poiché la situazione sociale in quel Paese – per una serie di cause ben note – era diventata insostenibile, al punto che una manciata di rivoluzionari riuscì nell’impresa, per poi incontrare mille impedimenti e difficoltà, soprattutto legate alla constatazione che la gran parte dei russi erano contadini, e non operai.
In altre nazioni (Italia 1922, Germania del dopo Versailles) situazioni di grande instabilità condussero a sistemi di governo autoritari, poiché la strada del confronto democratico era divenuta insostenibile per molte cause, soprattutto economiche.
In tutte le vicende del Novecento, però, la stabilità dei confini non fu quasi mai messa in discussione, salvo modesti “aggiustamenti” che non rappresentarono mai le soluzioni ai problemi (l’occupazione francese del Saarland, il confine polacco, ecc): Danzica, ricordiamo, fu un pretesto e non la causa.
Per tutto il Novecento, la soluzione dei problemi sociali fu ricercata all’interno delle dinamiche sociali: dall’URSS al Fascismo, da Keynes a Friedman.
Oggi, lo stato nazionale non è più un tabù: la globalizzazione dei mercati rende poco importanti confini, culture e popolazioni. Dunque, nuove ripartizioni territoriali sono completamente all’interno della logica globalizzatrice: non esiste nessuna rivoluzione “padana” (o ceca, o slovacca, ecc) ma soltanto la logica che consente, al più forte economicamente, d’imporre al più debole la propria legge. Quella del denaro: nient’altro.
Chi scrive non partecipa con i propri sentimenti a queste scelte, giacché le considera soltanto dei mezzucci e non vere soluzioni. Riconosce, però, che – inevitabilmente – se un sistema non trova più all’interno delle dinamiche sociali soluzioni a problemi soffocanti, le trova riaggiustando i confini.
Una divisione dell’Italia non sarebbe certo l’ecatombe della civiltà: oltretutto, rimanendo in Europa entrambe le repubbliche, non ci sarebbe nessun “muro” né confini paragonabili a quelli di un tempo.
Non si può, però, nascondere che una simile (a nostro avviso, molto probabile) “soluzione” cela il seme mai germinato di una sconfitta: per questo abbiamo desiderato compiere un parallelismo con la Jugoslavia, anche se ci sarà risparmiato il sangue che inondò i Balcani.
La Spagna ha saputo uscire dal Franchismo con grande dignità, e non solo: ha ritrovato rispetto per l’avversario politico ed un plafond di valori condivisi anche nell’aspro dibattito politico, come può essere in una nazione che è permeata dai valori cattolici forse più dell’Italia. Pur con diverse impostazioni, i PACS furono accettati sia da Aznar, sia da Zapatero.
Si dirà: la Spagna è nazione antica, al pari della Francia e della Gran Bretagna. E la Germania? E’ nazione “recente” al pari dell’Italia, ma nacque da un accordo doganale condiviso e meditato, mentre l’Italia fu solo conquistata da uno dei tanti reucci.
Tutto ciò, non basta come giustificazione: abbiamo avuto a disposizione un secolo e mezzo per trovare il nostro equilibrio, e non siamo stati in grado di farlo, con equivalenti responsabilità al Sud ed al Nord.
Qualcuno, quando gli avvenimenti precipiteranno, potrà gridare alla conquistata indipendenza, altri al tradimento dei valori risorgimentali, altri ancora affermeranno che non è la soluzione ai nostri problemi.
Il che, è vero: sarà solo la triste nemesi del nostro fallimento.
[1] Alen Custovic – Eloì, Eloì – Oscar Mondatori – Milano – 2008.
[2] Fonte: Corriere della Sera. http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/30/Craxi_svalutazione_Amato_avviso_prima_co_0_9701307812.shtml
[3] Fonte: Il Giornale, 11-08-2005.
[4] Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili.
[5] Fonte, ANSA, 13/5/2009. http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_961022165.html
[6] Fonte: Tondi, ENEA.
[7] Vedi le dichiarazioni di Violante alla Camera nel 2003. http://www.youtube.com/watch?v=swntE1iWB5Y
[8] Fonte: Termometro Politico, pubblicato l’8 Maggio 2009.
[9] Gennaio 2009. Fonte: http://www.diariodelweb.it/Articolo/Italia/?d=20090107&id=65089
29 commenti:
Vedi Carlo la tua analisi è seria e fondata su dati inoppugnabili. Devo però dissentire su un punto, quello della possibilità di un sud che esce in positivo dalla secessione e si libera o incomincia a liberarsi dei poteri politico-criminali. Purtroppo devo puntualizzare che vi è un diversità, in peggio, tra sud e Sicilia. In definitiva la Sicilia è molto più corrotta del resto del sud, Campania compresa e non da poco. Già Gramsci lo aveva intuito e compreso, esponendolo in una delle sue lettere dal carcere. Temo che le forze veramente democratiche in Sicilia, anche se ci sono, in un confronto con le forze politico-mafiose siciliane, in un'eventualità di secessione, sarebbero annientate fisicamente e la Sicilia diverrebbe un Kosovo mediterraneo. Dove gli USA si terrebbero le loro basi militare e tre milioni di siciliani languirebbero per secoli sotto un élite mafiosa e all'occorrenza assassina. Quindi nord europeo, centro e sud lievemente democratici e Sicilia a sovranità mafiosa.
Verissimo Orazio, ed io stesso avevo posto in essere entrambe le ipotesi anche se, sinceramente, ho scarsa fiducia che la Sicilia riesca a scrollarsi quel potere mafioso che fu imposto addirittura dagli angloamericani dopo lo sbarco.
Come dire...pur essendo anch'io profondamente pessimista in materia, non si può mai negare una pur minima possibilità anzitempo.
Il dato che più ci tenevo a discutere con voi è però l'altro: esistono altre vie d'uscita?
Ciao
Carlo
ciao Carlo,
io penso di no e lo dico con molta tristezza. Purtroppo l'Italia secondo il mio modesto vedere, paga il grande scotto di non aver raggiunto la propria unita dal basso, come in Spagna, con una rivoluzione popolare ma ci è stato tutto imposto dall'alto. Se guardiamo la situazione italiana prima dell'unita d'Italia non poi tanto differente da quella che tu prospetti nel tuo articolo. Alternative se ci sono potranno nascere solo dalla pancia di questo paese perchè ormai la testa, politi e industriali, è orientato solo in una direzione soldi. Come dici tu gli italiani sanno fare bene di conto non a caso siamo il paese con il più basso indebitamento personale, che forse questa crisi, e la situazione contrattuale dei lavoratori, aiuterà a far aumentare ma non come altri paesi. Questa potrebbe essere una chiave di volta perchè agli italiani toccagli tutto ma non i soldi quando ci accorgeremo che la forbice è diventata troppo ampia forse scenderemo di nuovo in piazza, la cosa ormai è avanzata è evidente dalla prima parte del tuo articolo. Purtroppo la coesione sociale che permette grandi prese di coscienza che portano a coinvolgimenti popolari in Italia non c’è mai stato o almeno non è perdurata tanto da diventare sistema propulsivo per una diverso modo di pensare ai soldi al lavoro e soprattutto alla vita. Per parte mia vedo un certo fermento in un nuovo tipo di economia basata sulla decrescita e la condivisione di altri valori oltre il denaro, o almeno una diversa visione dei soldi, anche in polita vedo una piccoli focolai di persone che cercano di riportare la politica al funzione primordiale del suo significato. Ma non credo che la cosa possa attecchire in modo cosi radicato per creare grandi sconvolgimenti negli italiani. Però ci spero.
ciao Luca
Per me basterà togliere il tappo...
meglio: basterebbe
si perché, se ci penso alla luce della tua profonda disanima, forse non basterà...o almeno mancano meno di 2 anni (sic)...
Ieri ho sturato un lavandino (ho tre figli fra i quali due ragazzette e moglie con lunghi capelli e sempre davanti allo specchio...almeno le ragazzette, ché la moglie non ne ha più il tempo)...era pieno di acqua 'sporca' saponata e 'gellata'...
tutto al suo interno, intendo tutte le componenti: acqua, sapone, capelli, gel, (e cioè sinistra, destra,centro, intelettuali, operai, ecc) era nello stato confusionale più entropico (o meno entropico a seconda del riferimento) e nessuno, vedeva un buon futuro,
nessuno vedeva alternative allo 'stallo' in cui erano...
vabbè, 'loro', sono finiti male:
ho sturato e se ne sono andati nelle fogne...però il lavandino è tornato pulito e netto, bianco e brillante come prima del 'caos'...
secondo me dal '92 siano tutti nel lavabo e l'acqua, torbida come è, non ci fa vedere il futuro con chiarezza...non vediamo nemmeno il tappo sul fondo, lo vediamo 'sopra'! (forse perché ha messo i tacchi?)
comunque caro Carlo è dal 92' che io faccio risalire, in tutti i commenti in rete o fra amici ecc, tutti i mali dell'Italia, io specifico meglio ed aggiungo anche '93 (anno scesa in campo) ma solo per motivi 'mediatici' (se lo ricordano meglio)...siamo nella stessa lunghezza d'onda...anzi -per come siamo messi- direi: "non fate l'onda!"...
nondimeno sono convinto che una 'via' d'uscita c'è, un bel fiume forte e vigoroso c'è senz'altro...però PRIMA dobbiamo levare il tappo eppoi dobbiamo passare, per un certo periodo, per le fogne...
salutations
GMG
In Italia la prima economia viene dalla criminalità organizzata che risiede in alcune aree del sud Italia, ma che investe ovunque in Europa. Tale organizzazione, che è profondamente collusa con la politica, non potrà che diventare ancora più forte economicamente in presenza dell'attuale crisi. Non credo dunque che questo scenario da te prospettato possa realizzarsi senza il consenso della mafie. Le domande che ti pongo Carlo, sono: 1) condividi questa mia opinione? oppure pensi che le forze in movimento di questa crisi epocale che stiamo vivendo possano essere anche al disopra delle mafie? 2) pensi che alle mafie possa convenire un nord indipendente politicamente ed economicamente dal sud?
Volevo avvertire Carlo ed i suoi lettori che ho aperto una discussione sul forum di Crisis basata su "Non può che finire così".
Trovo veramernte inquietante il tuo post, però ,anche se spesso me la sono augurata io stesso la seccessione la vedo come un fallimento assoluto e spero che ciò si possa evitare anche se come chiaramente mostri tu con i dati economici e come ci capita sempre più a noi di vedere nel quotidiano l' intolleranza aumenta e ciò non lascia presagire niente di buono.
Nella pancia degli italiani del nord, la voglia di secessione è forte. Lasciate perdere quello che sentite in TV, prendete ad esempio la razzista idea di Salvini sui posti nei bus riservati ai milanesi, ebbene i nord-italiani, specie quelli di recente trapianto al nord dal sud, sono come i neofiti e vedono di buon occhio questa proposta aberrante. Segno di una sovrastruttura che segue alla struttura materiale che di fatto ha già secessionato. Un default italiano, una crisi politica prolungata e il nord può andarsene senza fare tanto rumore. Il nano di Arcore tiene l'Italia unita con il nastro adesivo, ma quando può durare ciò? Oggi Rinaldini le ha prese, brutto segno di future violenze, prepariamoci a cose più gravi.
Cari amici,
Quanta carne al fuoco! C'era da aspettarselo.
Vedo, però, che sulle questioni di fondo dell'articolo non ci sono sostanziali differenze.
Che esista un nuovo movimento, per ora solo sul Web, che inizia a proporre decrescita, energia rinnovabile, ecc. non ci piove.
E' il frutto di tanto lavoro, di un nuovo giornalismo del Web.
Una minoranza, però, che ogi non può insidiare i reality ed i Grandi Fratelli. Potrebbe, però, diventare importante domani, per rifondare questo paese (o paesi).
Sul fatto che una catarsi c'attenda non ci piove: sono gli attributi del default a non essere prevedibili. Quanto ci sconquasserà l'acqua del lavandino? Cosa lascerà? E se riportasse a galla vecchi ingorghi?
Per quanto riguarda il peso delle mafie, ritengo che esse siano parte dello stato, non esterne ad esso.
Perciò, qualora divenissero fattore essenziale di default economico, sarebbero in qualche modo rimosse. Non certo da questo stato ma, dopo una catarsi o secessione...
In fin dei conti, è il potere economico ad avere le maggiori leve, e la criminalità è soltanto una branca della holding. Quindi, qualora fosse d'impedimento, verrebbe relegato distante dai centri di produzione.
Da ultimo, mi sembra che Rinaldini fosse l'ultimo a meritare l'attacco, ma solo perché gli altri non si fanno nemmeno più vedere!
Adesso vi saluto perché sono stanco: sono tornato all'economia "reale", ed il sabato lo dedico all'orto. Bastasse un po' di verde rame...
Grazie a tutti
Carlo
Ci sarà pure un motivo per cui circa vent'anni fa il progetto italo-germanico (forse sarebbe più esatto dire, il progetto di alcuni potentati economici anglo-mittleeuropei-norditalici), di separare l'Italia non ha avuto successo, o no?.
Nella interessante analisi fatta da Carlo credo che non siano presi in considerazione altri fattori che invece entrano in gioco e che non possono essere perciò trascurati. A parte la solita scesa in campo del Papi (che allora ancora gliela faceva, a differenza di oggi che non gli serve più neanche la papaverina...., e meno male per Noemi)
Ad esempio.
La situazione del sud d'Italia.
Se il sud si dividesse dal nord non credo che diverrebbe la zona più povera d'Europa, addirittura peggiore o di alcune regioni del Portogallo e della Grecia.
Il sud non è povero come appare dalle statistiche ufficiali. Tutt'altro.
Il sud ha solo il grave problema di una presenza dello Stato molto inefficente e disorganizzata, con conseguenti servizi pubblici scarsi e poco affidabili. Questo ha fatto sì che la criminalità organizzata ivi presente prosperasse e moltiplicasse il suo potere economico attingendo a piene mani al flusso di denaro pubblico (prima solo italiano ed ora anche europeo), per finaziarsi gratis et amore dei (perchè spesso c'è anche la connivenza delle gerarchie ecclesiastiche - altro potere la cui presenza soffocante pervade tutta l'Italia e non ha riscontro in altri paesi del mondo "sviluppato" - Budget Bozzo ideologo ufficiale di un partito, un prete?! puoi credere una roba del genere??).
L'unico welfare che ha successo al sud è quello clientelare, alimentato ed amplificato dalla politica che utilizza le strutture dello stato e della amministrazione pubblica per "dare lavoro". Ma a chi? A chi non ne ha? Ufficialmente sì. In realtà no, poichè di doppi e tripli lavori e lavoretti è pieno il sud (che bel quadretto, miiiii....)
Dunque, il sud non eccelle nel modello sociale che è molto lontano dagli standard svedesi.
Ma questo no vuol dire che sia un area povera. Come faccio ad affermare cio? Chi sono io per smentire le statisiche ufficiali, nientemeno, ISTAT? O altri autorevoli pareri di emeriti studiosi ed economi italiani, europei, mondiali ed extraterrestri?
Una considerazione forse banale ma che credo possa essere utilizzata a mio favore è che di solito dove c'è una grave e forte depressione economica con conseguente povertà e sottosviluppo c'è solitamente anche un notevole flusso migratorio che porta la povera gente del posto a cercare altri lidi dove sbarcare il lunario. Noi Italiani ne sappiamo qualcosa, visto che nel secolo scorso abbiamo praticamente "colonizzato" tutti i paesi ricchi di questo pianeta (senza considerare i flussi interni che hanno coinvolto milioni di italiani nelle varie direttrici nord-sud-est-ovest-sudest-nordovest-sudsudest).
Oggi non mi pare che al sud si stia verificando una migrazione di massa. Certo persone che partono per cercare una migliore condizione di vita ce ne sono ancora, ma è un fenomeno limitato e che spesso coinvolge persone di un livello culturale più elevato della media (mi riferisco alla fuga di cervelli, che comunque è una vergogna che colpisce più o meno tutta l'Italia da Predoi a Lampedusa).
Per il resto al sud si può vivere, la situazione non è economicamente drammatica. Si vive anche bene. Di soldini ne girano anche per i giovani (e non stavo pensando a Noemi, che comunque per quanto riguarda un certo fenomeno di costume è la punta di un iceberg). Non si vedono questi soldi, sono "sottomarini", underground, alternativi, lo stato non ne è a conoscenza, ma ci sono, miiii se ci sono.
Ecco quindi perchè secondo me il paese non è tenuto insieme dal Papi. Ma si tiene insieme perchè dopo la caduta del muro, tangentopoli e qualche bomba messa sapientemente qua e là, si è determinato un nuovo equilibrio tra i diseguali nord e sud italiani.
Di questo equilibrio l'artefice non è stato Ilvio, lui è stato solo abile ad intuirne le potenzialità politiche e a sfruttarle all'uopo.
A mio avviso la fine del berlusconismo non determinaerà la divisione dell'Italia. Per bacco, ci stiamo così dentro che riteniamo che non possa più esistere l'italia senza di lui!
Il fatto che non vi siano dei leader in grado di sostiutirlo è solo apparente, e un effetto stupefacente del berlusconismo, che ti fa sembrare il Papi insostituibile.
Ma vedrete che al momento opportuno un bel leaderino alternativo del tipo VeltroniRutelliFranceschiniProdiFini uscirà fuori.
Scusate e sono stato un pò lunghetto :-)
Guten nacht
Alex
P.S.: per poter tamponare i travasi di bile e mitigare gli sbalzi pressori che i post di Carlo a volte possono provocare per la loro sintetica fondatezza e crudezza, vi consiglio di ascoltare, mentre leggete, un pò di rilassante musica al seguente indirizzo http://www.radiosvizzeraclassica.ch/it Hanno una programmazione musicale decisamente interessante, oltreché altamente taumaturgica per l'animo ed i suoi malanni.
bellissimo articolo, mi dà (come se ne avessi bisogno) ancor più la conferma che la Lega fa parte di un progetto più grosso che porta alla divisione dello stato nazionale. Non che la cosa mi disturbi, anzi. Presupponendo questo l'ho votata molte volte e mi appresto a farlo nelle prossime elezioni.
Ovviamente pensando ad una prospettiva come la divisione dell'Italia non possono che balzare alla mente i problemi che essa comporterebbe, primo fra tutti il problema della suddivisione del debito pubblico nazionale. Ma visto che per vari fattori oggettivi mi sono fatto l'idea che esso fra due anni (alla risalita dei tassi d'interesse) non sarà più sostenibile, ecco che la tempistica da lei suggerita (2 anni da ora) assume uno spessore più consistente. Infatti il problema della divisione del debito pubblico decadrebbe nel momento in cui esso si trovasse già in default, e la strada obbligata e spianata sarebbe quella di dividere la "bad Italy" dalla "good Italy", voilà. In questo modo il prezzo della divisione nazionale verrebbe pagato dai detentori di Bot e Btp (al 50% stranieri) così come la recente prassi nei salvataggi ci ha insegnato, ma anche gli euro banchieri preferiranno a quel punto dividere la parte del corpo sano da quella in putrefazione..
La valutazione delle potenzialità del Sud non può prescindere dal significato che assegniamo al termine "ricchezza".
L'Argentina, per fare un solo esempio, è forse la nazione più ricca per risorse naturali, territorio disponibile, ecc.
Ovvio che il Sud poteva essere la regione che produceva più energia pulita d'Europa, quella con il turismo più evoluto, con l'agricoltura modello Israele. Ma non è stato.
La ricchezza potenziale è cosa assai diversa dalla ricchezza effettiva. I funghi possono abbondare, ma se non so dove raccoglierli, se per mille ragioni non vado a cercarli, quei funghi per me non esisteranno.
Il grande default del Sud è la sua classe dirigente, mutuata dalle baronie che già lo tennero sotto scacco.
La presunta ricchezza diffusa fra le gente e mai venuta a galla esiste - io viaggio, ed ascolto - ma dipende dal settore pubblico, che a sua volta è gestito dalle moderne baronie politiche.
Perciò, senza quei trasferimenti di denaro, il Sud è destinato a sgonfiarsi come un palloncino al quale viene tolto l'elastico che lo chiude.
Giustissimo il paragone con le "bad company": è proprio quello che sostenevo.
Grazie a tutti
Carlo
Vorrei dare un contributo all'analisi di Carlo. In Sicilia la percentuale di coloro che hanno l'esenzione dal ticket sanitario è del 56%, sembra assurdo ma è drammaticamente vera questa cifra. Pensate cosa succederebbe se lo stato riducesse questa percentuale a solo coloro che ne hanno reale bisogno(non più del 30%). Il palloncino di Carlo in Sicilia si ridurrebbe a mille brandelli e i siciliani sentirebbero i morsi della fame. Questo del ticket è solo un esempio, ma se ne potrebbero fare altri.
Basta solo questo per mandare all'aria il SUD, e ci stanno già pensando...
http://www.corriere.it/cronache/09_maggio_17/piano_tagli_comuni_sergio_rizzo_4a633672-42be-11de-94da-00144f02aabc.shtml
bozza di intervento sulle autonomie locali: nessun limite di mandato per i primi cittadini
Il piano-tagli: via 1.612 enti «dannosi»
Nei Comuni meno poltrone e sindaci a vita
Il progetto di Calderoli: addio alle comunità montane e ai difensori civici
Grazie Orazio: come si può notare, gli esempi sono tantissimi.
Non credo alla "bozza Calderoli", per quel che viene spacciata: la partecipazione di Fitto al "tavolo" indica che "Papi" vuole mantenere il controllo.
Se fosse approvata dal CdM, comporterebbe un dissidio insanabile con la parte "meridionale" dell'elettorato del PdL.
Avete notato che Lombardo è "migrato" alla Destra ed ai Pensionati? Un pizzino?
Grazie a tutti
Carlo
Molto interessante anche la seconda parte della tua disamina. E la prospettiva che indichi per il futuro di qui a qualche anno mi sembra drammaticamente plausibile.
La cosa che mi preoccupa di più per un eventuale Sud distaccato non è principalmente la mafia, ma il fatto che una situazione come quella evoca in me alcune paroline "magiche": Fondo monetario internazionale, amministrazione controllata, bolla speculativa, e... dulcis in fundo, bancarotta.
Del resto non è detto che per immaginare una prospettiva simile ci voglia la secessione.
Uno scenario da incubo, più che probabile...stanno nascendo come funghi in tutta italia (anche al sud questo è l'assurdo) movimenti seccessionisti.
Spero che riusciremo a rimanere uniti...ma lo credo poco.Una eventuale divisione sancirebbe ,come afferma lei, Il nostro fallimento come popolo.
Bell' articolo e bellissima analisi.
ciao Giovanni
Pensate, Luca e Giovanni, che su altri blog dove l'articolo è comparso ci sono stati commenti "entusiastici" da parte di "veneti d'assalto" ed altrettanto caustici da parte di "meridionali con onore". E' proprio per questa ragione che ritengo lo scenario plausibile: siamo nella m...eppure continuiamo a giocare ai guelfi ed ai ghibellini, mentre i grandi potentati internazionali ridono e sfregano le mani soddisfatti, pensando al bel "boccone" che riusciranno ad ingurgitare.
Un boccone double face, ma per loro solo un boccone in più. Che tristezza.
Grazie a tutti
Carlo
Mah, vedi, io i veneti d'assalto li capisco anche... i meridionali "con onore" mi sa che non hanno capito quello che li aspetterebbe (anzi, che CI aspetterebbe, dato che dopotutto io sono romano).
Un sud in mano ai poteri politico-mafiosi assassini è un incubo che porterebbe quelle popolazioni a soffrire come e più del Guatemala anni '50, del Salvador anni '80 o dell'Argentina di Videla. Se c'è un suddista che pensa bene di cavarsela, o è uno stupido e non sa cosa lo aspetta, oppure è un amico degli amici e pensa che starà nel paese di bengodi. Carlo hai in previsione una terza parte del tuo illuminato e illuminante testo?
Ho letto con interesse la tua analisi Carlo. Lo scenario che dipingi è plausibile, anche in considerazione del fatto -da te notato- che le persone sembrano non percepire i possibili disastri che ne deriverebbero.
Orazio chiedeva se hai in previsione una terza parte.
Probailmente una terza parte potrebbe riguardare le possibili soluzioni cui tutti siamo chiamati a partecipare.
Non so, ma così di getto, mi viene da pensare alle liste locali con organizzazione nazionale, come da te considerato nella critica che facevi dei limiti del fenomeno Grillo.
Forse i tempi sono maturi.
Ciao
Massimiliano
Cari amici,
non ho in previsione una terza parte, ma sono un tipo lunatico e magari la scriverò con un altro titolo. Finché camperò, mi piacerà scrivere quel che penso.
Il succo dei vostri interventi è che la gente non si rende conto di quel che l'aspetta, ed avete ragione.
Purtroppo, non siamo in tanti ad averlo capito: la maggior parte si scervella sullo scudetto dell'Inter.
Come potrete verificare, il sito www.italianova.org è lì, che aspetta, ed il dominio è a mio nome.
Non è affato facile creare una nuova formazione politica: ci lavorammo insieme per nove mesi io ed altre persone, poi tutto finì per una serie d'incomprensioni che furono - purtroppo - legate perlopiù alla distanza.
Ci si conosce poco, e basta una scintilla per scatenare un incendio.
Italianova fu anche on line per un giorno - come Marinella, verrebbe da dire, "durò un solo giorno, come le rose" - eppure aveva un programma politico, una prassi d'azione, degli obiettivi, una redazione. E' ancora tutto lì, che aspetta.
Abbiamo contro poteri "forti" soprattutto per la quantità di denaro che riescono a gettare nel vuoto - il nostro denaro - ed è difficile partire dal "vuoto" per approdare alla terra promessa.
Che dire: Italianova non l'ho dismessa, forse perché ancora ci spero, ma anche appoggiare Montanari - che è persona onestissima - non è sbagliato.
Poi venne Contragorà - c'erano Cloro, Martinez, Cedolin, altri... - ma anche lì finì per qualche incomprensione che ancora oggi non riesco a capire.
Non tutti scrivono sui blog con lo spirito del samurai, ossia che ogni istante può essere l'ultimo, ed immaginano chissà quali radiosi futuri per loro, per la soddisfazione dell'ego.
Io, lascerò queste pagine quando andrò in pensione e me ne andrò via con la barca, perché voglio osservare Itaca all'alba, come la vide Telemaco, ed approdare in quelli che, ancora oggi, sono chiamati i "campi di Laerte".
Consentitemi, almeno, il sogno.
Il problema - per tutti - è lasciare questo vuoto pneumatico nel quale veleggiamo per scendere finalmente a terra, conoscersi, parlare, perché il Web tanto dà e tanto omette.
La nazione più antica del pianeta - la Cina - fu retta per millenni da una casta di letterati. Non furono rose e fiori, ma fu la Cina.
Oggi, pletore d'inconcludenti parvenu occupano il proscenio, e persone degne d'ascolto scrivono sui blog, commentano, discutono , si conoscono, litigano, "fanno" democrazia.
Verranno forse nuove albe, e spero che ci sarà qualcuno ad onorarle.
Un abbraccio a tutti
Carlo
Carissimo Carlo,
il tuo doppio post sulla situazione italiana e su una sua possibile (e sottolineo possibile) evoluzione ha colpito molto, a giudicare da quanti, me compreso, hanno sentito il bisogno di postare e ripostare dei commenti.
Io continuo ad essere perplesso sul fatto che, a causa delle cattive condizioni economiche e della pessima classe politica, possa esserci una divisione in due dell'Italia. Se nella m... dobbiamo finire, è molto probabile che ci finiremo uniti!
Spesso chi auspica la secessione, afferma che sarebbe una cosa meravigliosa tornare ad una situazione prerisorgimentale.
Ma un nord ed un sud in Italia così esattamente definiti non sono mai esistiti nè politicamente nè economicamente, neanche prima del Risorgimento e della spedizione dei mille, quando nella penisola c'erano Imperi, Regni, Granducati, Ducati e l'inossidabile Stato Pontificio, altro che nord e sud.
Affermare che oggi si possa arrivare ad una secessione tra nord e sud è solo una mezzo utilizzato da qualche partito per attrarre a se elettori (favorevoli o contrari a seconda del partito): quelli lì sono tutti terroni, quegli altri lì sono tutti polentoni. (geulfi e ghibellini, appunto)
L'unica cosa che per me ha senso dire è che la nascita della Lega di Miglio è stata accompagnata da un tentativo politico-economico di portare "dentro l'Europa" (a servizio della Germania?!) un non meglio definito territorio del nord Italia, lasciando il resto "fuori". Tutto quì. Non è poco, ma non è nenache dell'altro.
Del resto dove dovrebbe finire questo nord-Italia? E dove inizierebbe il sud? 'Sti confini non mi sembrano affatto definiti. E di solito, se dei confini non sono ben definiti, e i due contendenti non sono proprio d'accordo, è necessaria qualche "scaramuccia", per venirsi incontro e capire dove dovrebbe passare il confine. Una secessione pacifica non la vedo proprio in un paese di guelfi e ghibellini.
Oltretutto la differenza esistente tra noi italiani, la vediamo in modo così marcato, netto e, aggiungerei, esasperato, solo noi italiani. Fuori dai nostri confini gli italiani sono tali dall'alpi allo ionio, nel bene e nel male.
Ad esempio, per un tedesco, un italiano è sempre e solo un italiano. La recente vicenda fiat-opel lo dimostra bene. I tedeschi non si fidano di un partner italiano soprattutto se questo partner possiede le leve del comando. Non stanno certo a sottilizzare sull'origine dell'italiano: nord, sud, ecc... E' italiano, punto. Meglio non fidarsi. E tale immagine non proprio positiva si è oggi molto rafforzata grazie alle performace internazionali del nostro Papi, che è nato a Milano....
Il nord è diventato quello che è diventato (tra l'altro è una delle cinque regioni più inquinate al mondo!!), grazie al sud. L'italia è unita dal 1860 (più o meno) e dal quel momento i destini di noi abitanti si sono intrecciati e fusi inevitabilmente, diventando destino comune.
Un esempio di tale destino comune, che non viene spesso presa in considerazione, è che, in più o meno tutti gli apparati dello stato centrale (istruzioni, interni, esercito, ecc.) e in molti di quello locale (come sanità, province, ecc.) c'è una maggioranza di dipendenti provenienti dalle regioni del sud. Questi uomini e donne hanno consentito e consentono con il loro lavoro di far funzionare la macchina pubblica lasciando agli abitanti del nord la possibilità di arricchirsi con le loro industrie.
Di esempi ce ne sono tanti. Non è difficile trovarne di altri.
Come tu giustamente dici Carlo "La presunta ricchezza diffusa fra le gente (del sud) e mai venuta a galla esiste...... ma dipende dal settore pubblico, che a sua volta è gestito dalle moderne baronie politiche."
Queste baronie politiche sono molto accorte, e prosperano in tutta l'Italia, e non solo al sud. Sono proprio le stesse che, quando hanno fiutato il pericolo, hanno stoppato il movimento leghista e lo hanno riportato "nell'ambito istituzionale" affossandolo definitivamente.
Dunque concordo con quanto afferma LucaCec "....non è detto che per immaginare una prospettiva simile (il default dello Stato) ci voglia la secessione" e mi unisco a massimiliano p. quando auspica che forse i tempi sono maturi per una nuova forma di fare politica. Ne vedo gli embrioni ed i germogli un pò dappertutto nella penisola, e credo che qualcosa di concreto si inizierà a vedere presto.
Ed anche tu, quando starai per giungere ad Itaca con le vele tese al soffio del dolce zefiro, vedrai la tua meta allontanarsi e sarai furiosamente spinto via dai venti impetuosi delle passioni, usciti dall'otre degli ardori che i tuoi compagni di navigazione (web), avranno aperto nell'impeto dell'entusiasmo.
ed anche tu, come Ulisse, raggiungerai l'agognata Itaca solo dopo innumerevoli peripezie ed avventure nelle terre italiche.
:-)
Buenas Noches
Alex
Vorrei concludere questa lunga "maratona" cercando di tirare qualche somma, se ha senso farlo.
Come ricorda Alex nel suo ultimo intervento ed altri prima, non è detto che si finisca nella m...divisi, si può finirci anche insieme.
Io, però, non riesco a scorgere gli attributi di quel "insieme": Argentina? Paradossalmente, la crisi argentina fu quasi solo finanziaria, ma l'economia (main street) reale continuò a funzionare perché gli argentini sono pochi, hanno ricchezze naturali sconfinate e possiedono un forte sentimento nazionale.
Se ipotizziamo un futuro senza secessione, allora dobbiamo analizzare lo scenario con un'analisi che sia rigorosa, senza cedere al "finiremo nella m...e ci resteremo".
La storia c'insegna che il livello della m...ad un certo punto diventa insostenibile, e lo "scivolamento" dell'Italia verso il basso sta diventando una ripida china.
Cosa può significare un nuovo default per gli anni futuri?
Vorrei credere ad un nuovo rinascimento, ma l'attuale classe politica sa che sarebbe la sua fine, e lo distrugge con ogni mezzo, addirittura (legge D'Alia) cercando d'imprigionare Internet.
Non nego che ci possano essere anche altre soluzioni - mica ho la bacchetta magica - solo che stento a visualizzarle, ad osservare un quadro credibile sia di "uscita" dal pantano, sia di "annegamento".
La situazione balcanica ci ha mostrato che la teoria della "bad company" vale anche per gli stati. Se andate in Slovenia od in Croazia (ma anche la Serbia non è da meno), vedrete che la situazione non è poi così terribile, anzi.
Rimangono le "sacche": Bosnia, Kosovo, Novi Pazar, per le quali nessuno ha soluzioni.
In questo frangente, è vero che i potentati economici hanno fermato la Lega Nord istituzionalizzandola, ma è altrettanto vero che - se decidessero un'operazione modello Alitalia - non ce lo farebbero certo sapere urbi et orbi.
E, a me che vivo qui al Nord, sembra che il messaggio che stanno facendo passare sia questo: aspettiamo il momento buono. prima che fra i partiti, è fra la gente che il leitmotiv si sta espandendo.
Il che, come ho ricordato nell'articolo, non mi riempie di certo di gioia, ma così lo avverto.
Sul fatto che l'apparato dello stato sia composto in larga parte da meridionali non ci piove: ma cosa significa?
Non crederete mica che sarà schierato l'esercito! Fu minacciato nel 1992 a Bossi, ma da allora di acqua ne è passata.
In definitiva, credo che ai potentati del Nord la mossa convenga, ed è questo che più mi fa temere.
Grazie a tutti
Carlo Bertani
Salve a tutti,
volevo fare una riflessione non tanto sul tema del post, quanto sull'"esperimento" di Italianova per capire che cosa, nonostante l'impegno, non è andato per il giusto verso.
Sono infatti convinto che una delle questioni fondamentali che contribuiscono alla stagnazione e al degrado sociale qua da noi sia proprio il fatto di non riuscire a trovare una forma condivisa e produttiva di aggregazione tra persone di buona volontà.
C'è una sorta di muro di gomma che fa sì che vada tutto bene quando si tratta di lamentarsi per questo e quello, ma quando si tratta di unirsi per fare qualcosa di buono assieme...
Bonggg!
Qualcosa non va, e il muro di gomma ci respinge, frammentati, orgogliosamente solitari e inefficaci, Cassandre solo in grado di piangersi addosso, sia pure per una giusta causa.
Perchè?
Perchè non parliamo un po' di questo muro virtuale e cerchiamo di capire come e perchè è così efficace a mantenerci nel limbo?
Caro "S",
già il fatto di parlarsi tramite pseudonimi è il primo attributo del "muro di gomma". Fosse per me, nome e cognome alla luce del sole: chi ha paura di chi?
Abbiamo ereditato la sindrome dei Pasquini, ma i pasquini vissero fin quando un drappello di Bersaglieri sfondò a Porte Pia. Nel bene e nel male.
Italianova finì perché, quando si giunse alla pubblicazione, chi più aveva lavorato era teso come una corda di violino.
Tieni presente che Italianova aveva un programma politico completo, una sintesi del problema energetico ed addirittura delle proposte operative. Fu un gran bel lavoro.
Fu il semplice dissidio per la pubblicazione di una vignetta sull'Alitalia fra me ed il webmaster - da me ritenuta essenziale, da lui un po' meno - a far precipitare tutto.
A ritroso, forse tutto quel can can può sembrare una tempesta in un bicchier d'acqua, ma tieni conto che chi ci stava lavorando - gratis, ci tengo a sottolinearlo - era teso come non si può immaginare.
Chi lavora nelle redazioni dei giornali di partito, fa spesso un copia/incolla la settimana, cambia un po' di sinonimi e pubblica.
Sa benissimo che c'è un limite da rispettare, lo rispetta ed i suoi padroni non tirano il guinzaglio, anzi.
Chi lavora gratis per la gloria, s'aspetta un riconoscimento - ma sono tutti nella medesima condizione! - ed al minimo intoppo salta tutto.
Domanda a bruciapelo: chi, fra i frequentatori di questo blog (compresi quelli di Italianova che, sicuramente, leggono in silenzio), è disponibile a trascorrere le sere a correggere articoli, a scriverli, a cercare notizie, a smistare tonnellate di mail?
Ecco il problema, ridotto ai minimi termini. Io, nonostante quel che accadde, ho grande stima per il gruppo di Italianova: almeno, ci provarono.
Ciao
Carlo
Mmmmh, penso che la questione meriterebbe forse uno spazio diverso, per aver modo di approfondire meglio.
Comunque, per quel che mi riguarda...
Io sono "S." più per comodità che per altro, dato che era necessario avere un Google Account per interagire col blog.
Il fatto che io sia "S.", piuttosto che Simone, Samuele o Sant'Eusebio non fa poi molta differenza ai fini di ciò che intendo esprimere.
Generalmente non amo associare un'idea sempre e comunque ad un volto o ad un personaggio con un'identità "ben definita", in quanto ritengo che le idee siano onde che attraversano le menti delle persone e le identità non siano mai così ben definite come un nome potrebbe far credere.
Internet dà la splendida possibilità di comunicare senza volto e senza nome, e a me piace molto questo gioco, pur non amando chi ne abusa.
E' un discorso che può apparire un po' fumoso o pretestuoso, ma è quello che penso.
Per chi sia così pazzamente interessato alla mia misteriosa "vera" identità, ebbi modo di scrivere il mio nome e cognome proprio su questo blog in un commento ad un vecchio post che dovrebbe essere ancora là, dunque... buona caccia!
Per rispondere sulla questione delle serate passate a "sgugnarsi" montagne di articoli, mail e notizie, ritengo che innanzi tutto sia sbagliato impostare la questione in questi termini.
Per come la vedo io, l'impegno volontario a un progetto simile non dovrebbe MAI diventare una sorta di martirio da superlavoro, ma dovrebbe avere un ritmo e una dimensione "umani". Cercare di riproporre lo stesso calvario che ha portato al (temporaneo?) fallimento dell'impresa non mi sembra una buona idea.
Questi "dettagli" andrebbero definiti con cura prima di ripartire nell'impresa per impedire un carico di lavoro eccessivo su chi sia più entusiasta e disponibile e tenda "naturalmente" a farsi un mazzo eccessivo.
Per ora mi fermo qui, ma penso sarebbe necessario approfondire nella sede opportuna, magari con un post su Italianova o qualcosa del genere, su questo blog o altrove.
Bye bye
S.
Caro Simone,
l'invito al non anonimato non era, naturalmente, diretto a te o a chiunque scriva su questo ed altri blog. Il problema è diverso.
Quando si passa da una fase di discussione ad una propositiva, i legami si "stringono", inevitabilmente.
L'anonimato è in qualche modo la forma che scegliamo per mantenere una certa indipendenza di giudizio: come ben ricordi, un modo per attraverasare le menti senza violarle.
I problemi - di Italianova e di tutti (vedi, ad esempio, i problemi di Pandora) - sono tutti centrati su uno squilibrio apocalittico fra gli apparati di sistema e il mondo di chi si oppone e propone sul Web.
Da un lato soldi a palate, tempo a iosa, mezzi a disposizione.
Dall'altro, una tastiera o poco più.
Eppure, se vuoi fare informazione ed incidere, devi in qualche modo riuscire a farti ascoltare e ad ascoltare.
E, più gente ascolta e si fa ascoltare, più tempo, persone e capacità (d'ogni tipo) ci vogliono.
Io non so se Italianova avrà ancora un futuro: non ho lasciato il dominio più che altro per scaramanzia.
Certo, ci vorrebbe uno spirito diverso e non compiere gli errori (di tutti, anche miei) che caratterizzarono Italianova.
Forse, la cosa migliore sarà parlarne con un articolo qui, sul mio blog, e cercare altre idee, proposte, intuizioni, con "calma e gesso".
Penso che sia l'unica soluzione, perché Italianova è un cadavere che non vuol rimanere sotterra.
Ciao
Carlo
Potrebbe finire peggio d quanto ci immaginiamo.
Ricordo che i miei amici di Mostar, nel 1992 profughi dalla guerra balcanica, erano esterefatti dal "tono" politico dei "leader" politici: "a Sarajevo i politici dicevano le stesse cose prima della guerra". Ci "salvammo" da una guerra civile telecomandata dall´estero, essendo ammessi all´area EURO.
Non so se ci andrà cosi bene anche nel futuro e vista dalla Germania è anche peggio.
http://retiglocali.it/letteredallagermania
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