26 giugno 2015

Addestrare alla precarietà








La prima cosa che notai, nella grande libreria del centro, fu il prezzo. Un solo euro. Siccome conosco un poco il mercato dei libri “buttati” – ed avevo letto per soli 6 euro le vicende relative all’invasione inglese di Lhasa d’inizio ‘900, praticamente introvabili – ne acquistai due, il libro di Gatti ed un altro, che narrava la vicenda di un cattolico altoatesino che s’era opposto al servizio militare sotto Hitler, con finale scontato.
Lo lasciai dormire un po’ sullo scaffale, poi decisi d’aprirlo: l’Africa m’attira, senza esserci mai stato devo avere un po’ di mal d’Africa, insieme al mal di Balcani che ho interiorizzato da decenni. Lì, almeno, ci sono stato in lungo ed in largo.
Il libro di Fabrizio Gatti – Bilal – però è una chicca di vero giornalismo: (che buttiamo per un euro nel panorama dell’editoria), farò un abstract di un solo paragrafo e chi l’avrà letto potrà tranquillamente saltarlo.

Fabrizio Gatti è un giornalista de “L’Espresso” che decide di compiere il viaggio dei disperati insieme a loro: scende in aereo a Dakar, poi – senza mai rivelare la sua vera identità – attraversa Senegal, Mali, Burkina-Faso e Niger, in treno o sulle vecchie carrette dei migranti. S’arresta a Madama, sul confine libico – dopo 4000 chilometri di savana e deserto – perché comprende che i libici hanno fiutato l’inganno e, se attraversa il confine, lo fanno fuori. E’ ancora la Libia di Gheddafi, qualcuno da Roma ha inviato un “pizzino”? Può darsi. Torna indietro, prende un aereo per l’Algeria, passa in Tunisia, ma non riesce a salire sul barcone che lo condurrà a Lampedusa, troppo bianco, troppi sospetti. Si getterà da una scogliera di Lampedusa e finirà nel famigerato CPT dell’isola: si fingerà curdo e rivelerà la sua vera identità solo alla biglietteria ferroviaria della stazione di Palermo, dopo essere stato un “curdo” espulso con decreto.

Il libro di Gatti è stupendo e terribile, non solo perché è una fotografia della miseria umana, della povertà endemica di quel mondo e della violenza atavica di chi può permetterselo solo perché ha una qualsiasi divisa addosso. E’ stupendo, soprattutto, perché non dimentica mai l’empatia, l’afflato d’umanità verso tutti e, in questa disperata umanità, ricorda Vittorio Arrigoni “Restiamo umani”. Già.

Mi sono permesso di scrivere un articolo su quel libro perché è un pezzo di pesce crudo servito su un piatto di latta, sotto una tettoia tropicale: deve restare sullo stomaco, questo è il suo scopo. Digerirlo meglio può servire – soprattutto di questi tempi – ma allora servono quattro notizie in più, il contorno, che non può che giungere dalla Storia, quella recente della cronaca e quella sepolta nei libri. Comunque Storia è. Che non si vuol conoscere per rimanere agnostici, per non doversi fare delle domande, per non capire le risposte: troppo ingombranti, troppo comodo restare nella vulgata imperante.

Nel 2014 i migranti giunti sulle coste italiane sono stati circa 170.000; nel 2015, è attesa un’ondata migratoria pari a 400.000 unità: per questa ragione l’Europa è entrata in fibrillazione, Francia, Svizzera e Danimarca hanno chiuso le frontiere (infischiandosene del Trattato di Shengen) ed altri meditano di farlo.
Eppure, non era difficile prevederlo.
Cos’è diventata l’Africa? Conosciamo a menadito la storia europea, i trattati, le guerre, gli armistizi...eccetera...un po’ di meno quella americana, per niente quella africana. Eppure, di cose ne sono successe a Sud di Tunisi, solo che è la Storia di un Dio minore. Gli dei diventano maior et minus al salire e scendere delle azioni, dell’economia dei loro Paesi: oggi, s’inizia – guarda a caso – a parlare di Storia cinese.

L’Africa ha avuto il maggiore splendore quando l’Europa ha toccato i suoi minimi, ossia nell’Alto Medioevo, quando fiorirono culture dei “gentili” simili a quelle dei trovatori: l’Alto Volta fu la culla di quelle gesta. L’Europa – impossibilitata ad intromettersi per mancanza di forze, ed impegnata nelle crociate per difendere le vie della seta e delle spezie – s’inventò la storia del “Prete Gianni”.
A ben pensarci, la prima false flag della Storia: interessante leggere il contributo di Wikipedia, sembra proprio l’enciclopedia dei sogni scritta per l’uomo medievale. Anche l’Ariosto se ne servì ed i portoghesi – siamo ancora nel 1400 –  che “scalavano” lentamente la costa occidentale africana per giungere al Cabo Tormentoso (poi ribattezzato di “Buona Speranza”), non disdegnarono brevi puntate nell’interno del continente. Per cercare oro, diamanti, metalli preziosi e ricchezze? Ma no! Cercavano il Prete Gianni, ovvio.
Poche notizie, invece, sul millenario (e reale) Regno di Songhai (690 – 1591): anche all’epoca, la leggenda era preferita alla Storia, poiché la leggenda nutrirà (e nutre tuttora) le menti d’avventurieri, asceti e Re, una miscela esplosiva che si manifesterà, secoli dopo, ai danni degli indio amerindi.

Ma c’è bisogno di realismo, soprattutto per l’Africa. Dopo il 1600 gli europei occupano saldamente entrambe le sponde dell’Atlantico e, terminata la caccia all’oro, devono far rendere le conquiste territoriali. Le case regnanti d’Europa lo chiedono, lo intimano, lo ordinano: bisogna incrementare le ricchezze delle monarchie, le loro possibilità d’accedere a truppe mercenarie, Dio non voglia che la Rivoluzione Inglese si ripeta. Cromwell deve rimanere un fantasma, uno spauracchio per bambini impertinenti.

L’alfabeto della schiavitù è lungo...ananas, cacao, caffè...fino alla zeta di zucchero sono la maledizione che sta per abbattersi sull’Africa: nasce la moderna economia, prende vita e prospera con il Triangolo degli Schiavi.
Materie prime dalle coltivazioni delle Americhe, elaborate in manufatti nelle fabbriche europee (soprattutto inglesi), vendute (anche) agli arabi a caro prezzo, i quali s’occupano di provvedere per la mano d’opera da inviare nelle Americhe: ecco il triangolo perfetto, la quadratura del cerchio.
Ciò che dagli imperi antichi fino a quel momento era rimasta più che altro una curiosità – il nero che regge l’ombrellino a milady sul London Bridge oppure a madame a Montparnasse – diventa un’industria. Rombano le macchine nelle Midland, rimbombano le cantilene dalle schiene nere che perdono la libertà, che attraversano il mare per terminare la loro vita nei campi, spremuti fino all’ultima goccia di sudore. Spesso, diluito nel sangue.

Non pensate a vicende così lontane: ancora agli inizi del ‘900, i mercanti arabi assalivano i villaggi all’alba per procurarsi schiave, ed ai maschi tagliavano semplicemente una gamba, morivano dissanguati. Nel 1949, l’ispettore portoghese per il Mozambico invia una protesta ai governatori locali: non si può chiedere continuamente schiavi poiché si sfruttano fino alla morte per consunzione quelli già presenti!

Questa è stata l’Africa per tre secoli, questa è stata la nostra economia negli stessi secoli: ci siamo arricchiti al costo delle loro schiene, delle loro vite prosciugate e cancellate. La schiavitù divide le famiglie e rompe i matrimoni, anche quelli celebrati dai primi missionari cattolici? Ma figuriamoci...dopo la balla del Prete Gianni ecco la seria elucubrazione sancita dal Concilio di Trento: il matrimonio è valido solo se ci sono state le pubblicazioni. Avete notato uno straccio di pubblicazione affisso ad un albero della savana? No? Allora via, il marito in Brasile, la moglie in Virginia ed i figli venduti all’asta al miglior offerente.

Tutto ciò basterebbe per far sobbalzare le coscienze, se questo fosse un tempo nel quale le coscienze s’interrogano e dialogano: nulla di tutto questo avviene fra una dozzina di canali televisivi, un centinaio di Tv-Sat e migliaia di siti internet. Nei caffè, si parla di calcio oppure si beve, soli ed in silenzio.

La parola chiave è “realismo”, e l’accettiamo di buon grado, anche se ci va un po’ per traverso: abituati come siamo più alle “ragion teoretiche” che agli empirismi vari, camuffati sotto le spoglie più diverse, dalle urla degli xenofobi nei parlamenti e sulle piazze per terminare coi buonismi esasperati da decenni d’addestramento al Vangelo. Mi scusino i cattolici ma, prima di lanciare l’ostracismo, riflettano un attimo.

Il realismo ci racconta che, in questo anno che fra pochi giorni virerà la boa della metà percorso, giungeranno 400.000 immigrati. Dovranno giungere, dovrebbero giungere: bisogna sottrarre quelli che moriranno in mare o fra le sabbie del deserto. Gli xenofobi gioiranno, i cattolici lacrimeranno ed entrambi si distanzieranno miglia e miglia dal punto del naufragio. Perché la storia di queste migrazioni inizia in Africa, mentre noi tentiamo di giudicare col nostro metro distante migliaia di miglia e centinaia d’anni.

Il Ciad è uno stato maledetto, perché ha minerali d’Uranio. Ci pensa Areva. L’energia nucleare francese si nutre dell’Uranio ciadiano, lo mangiano le sue fameliche centrali. La raffinazione? Avviene in loco, spandendo le scorie (che emanano ancora un elevato livello di radiazioni) ai bordi delle strade: i bambini del Ciad sono i più “tossici” del pianeta, se la giocano con i loro coetanei in Iraq, “infarinati” con le munizioni all’Uranio impoverito. Ma non basta. Serve petrolio, serve a tutti: agli USA ed ai famelici cinesi.
Ecco allora il delta del Niger trasformato nell’inferno dantesco, girone zero, con le lanche del fiume dove s’accumula petrolio greggio, con la gente del luogo che non ha combustibile per cucinare e va a rubarlo, con qualche sbadato che accende fuochi, con le torce umane che finiscono per crepare nel fiume, portate via dalla corrente oramai rattrappite, mangiate nelle carni fino all’osso dal fuoco.

Due soli esempi: poi, ci sono le guerre per i diamanti, per l’Oro, per i minerali rari...ogni contrada ha la sua guerra innescata dalle corrispondenti compagnie minerarie. L’Africa, oggi, è un inferno dove aleggiano solo miseria ed AIDS: ci meravigliamo se scappano? Provate a parlare con qualche immigrato africano, chiedetegli della sua terra: vi dirà che tutto è “good”, che tutto è “Ok”, perché non se la sente d’iniziare nemmeno il discorso, non vuole più sentirne parlare.

Parlai a lungo, molti anni fa, con un nero musulmano centellinando whisky. Aveva una laurea in economia e parlava quattro lingue, una formazione molto utile per fare il guardiano di capre. Domanda: come vivevi in Senegal?
Risposta: Bene, la mia famiglia era composta da padre, madre, io e mia sorella. Avevamo una coltivazione d’arachidi. La mente fugge: subito immagina una capanna dello zio Tom, canti tribali, lunghe file di zappe che sventagliano l’aria.
Ma le sue parole incalzano e distruggono le tue immagini mentali: avevamo due trattori, un Fiat ed un Renault, io e mia sorella aiutavamo nei campi e, nel mentre, studiavamo all’Università. Tutto andava bene, fino a quando ad un presidente USA (dedito anch’egli alle noccioline per fare olio e derivati vari – Jimmy Carter) non venne in mente che coltivare in Africa era “risparmioso” per la sua azienda, così non doveva più pagare operai americani. E l’appetito vien mangiando. Ogni anno che passava, il prezzo delle arachidi diminuiva, fin quando non rese più nulla, ci pagavi a malapena il gasolio.
Venni in Europa a cercare lavoro, forte della mia laurea, della mia cultura e delle lingue parlate correntemente...scusami...adesso devo andare, devo mungere e poi ricoverare le capre, e sono stato fortunato. Ho una stanza per dormire, un gabinetto ed un padrone che non fa storie: basta che tutto vada bene e che il guadagno, per lui, non cambi. A me, le briciole: però con quelle briciole riesco a campare, mica come gli schiavi dei campi di pomodori.

Qual è la mossa politica che ha portato alla nuova edizione del cosiddetto neocolonialismo?
In ogni capitale africana c’è un palazzo dei sogni, con parco abbondantemente irrigato, alberi d’ogni tipo, frescura, cocktail, pranzi raffinati e puttane bionde, per lo più europee dei paesi dell’Est. A volte anche inglesi, francesi ed italiane. E’ il palazzo presidenziale.
Alla diplomazia USA basta giungere lì, al cuore del problema, ed esporre i desideri USA per quel Paese: tot d’Uranio, tot di Petrolio, Tot di diamanti...eccetera, eccetera. Si racconta che, alla prima visita di un nuovo ambasciatore, oppure inviato della Segreteria di Stato o della CIA (se la situazione è più complicata) l’inviato si presenti con due valigette, una piccola ed una grande. Nella grande ci sono dollari, dollari a profusione. In quella piccola c’è una pistola.

I presidenti africani sono dei capibanda che hanno ammazzato tutti i pretendenti al trono, dei malfattori. Anzi: i più furbi fra i malfattori, fino ai prossimi, i tempi di Shengor, il “presidente poeta” sono lontani. Capiscono subito. In paesi del genere, fare fuori un presidente è come da noi ammazzare una mosca.
Così si depredano le ricchezze dell’Africa, dal petrolio ai diamanti, dall’Oro al Tungsteno, al Molibdeno, al Rodio, al Vanadio, al Nichel, al Rutenio...a tutto ciò che necessita alla macchina Occidentale/Orientale. Le popolazioni? Si fottano, se ne vadano, emigrino, muoiano. Ecco, meglio: forza AIDS! Forza Mediterraneo! Forza Deserto!
Ecco da dove arrivano i disperati delle carrette del mare. E dove arrivano?
Qui è la sorpresa.

Non giungono in terre felici, arrivano in posti – ecco il paradosso! – che per loro rappresentano la felicità (giacché la mera sopravvivenza è già felicità): sono luoghi nei quali le popolazioni stanno subendo l’attacco alle loro condizioni di vita più subdolo e terribile della Storia. Si tratta di un attacco coordinato e silente, spacciato per una faccia della modernità: si tratta dell’addestramento alla precarietà, che varia da Paese a Paese, secondo le potenzialità di “assorbimento” delle popolazioni. Ovvio che è molto diverso dalla Grecia alla Germania, dalla Francia alla Spagna o all’Italia, ma la matrice è la stessa.

Senz’altro le strutture di coordinamento sono la Trilaterale od il Bildenberg, per giungere fino ai piccoli tirapiedi come Renzi o la Merkel, ma basta rivolgersi per un attimo a Carletto Marx per capirlo.

Il saggio di profitto totale è crollato: in altre parole, il totale che il capitalista ricava dall’investimento del suo capitale è enormemente sceso. Ci sono però dei distinguo: ciò avviene nella vecchia Europa e negli USA, mentre in Cina, India e Sudamerica la situazione è molto diversa.
E non avviene per tutti i “capitalisti” – comprendendo in questo termine tutti i fornitori di capitali (da Soros alla vecchietta che ha un buono da 100 euro alle Poste) – giacché i grandi capitalisti possono disporre di mezzi d’indagine più evoluti della vecchietta, la quale non può far altro che guadagnare ciò che Poste e Banche consentono (ossia quasi nulla). Ecco, allora, che la vecchietta chiede all’impiegata quanto renderanno i buoni, mentre il capitalista caccia il broker che gli ha fatto guadagnare solo il 5% su un determinato investimento in Cina. Tecnicamente, però, sono entrambi capitalisti.

Se, invece, consideriamo il saggio di profitto sul singolo bene, tutto dipende dal tipo di bene: se si tratta di un’automobile sarà bassissimo, se invece è un nuovo sistema energetico o medicale, ecco che il profitto per singolo bene è alto. Da qui discende l’enfasi sul sistema scolastico: non più luogo dove si creano cittadini consapevoli e coscienti – anzi, meglio l’opposto! – bensì cervelli all’ammasso, che se non sono in grado di progettare la grande “pensata” per i capitalisti, non servono a niente.
Ecco, allora, la logica dei 700 euro mensili: la pura sopravvivenza, tanto per fare la commessa o il giardiniere basta qualche immigrato, oppure un italiano che non ha altra scelta. Il tempo dei contratti di lavoro è finito: basta un Job Act l’anno per demolirne ogni giorno un pezzo.

L’Africa deve spopolarsi: è solo una grande miniera ed una ragnatela d’oleodotti, basta pochissima popolazione da pagare un’inezia per la manutenzione o la costruzione di questi “servizi”, gli altri si fottano.
L’Europa (o gli USA, ma lì c’è anche la “centrale” militare dell’impero capitalista) serve soltanto come testa pensante per il sistema, anche qui – però – basta meno gente e, soprattutto, che non abbia pretese. Renzi docet.

In un recente articolo ho indicato come, in vent’anni, sia stato distrutto il sistema ferroviario: non si tratta soltanto di risparmi o di guerra fra aereo e treno sulle medie tratte, bensì di cancellare dalle menti dei cittadini il concetto di un mezzo di trasporto popolare ed a disposizione di tutti.
Con la logica delle cancellazioni dei convogli, non si è più sicuri di nulla: un passo importante verso la precarietà. Come nel Teneré, in Libia od in Nigeria non si sa mai quando partirà il prossimo camion per il Mediterraneo, così anche in Italia non sai se riuscirai a fare un Genova-Bologna in giornata, senza intoppi o sorprese. A che ora arriverai? Non si sa, dipende dai ritardi e dalle cancellazioni: tutto diventa precario.

Anche il sistema autostradale inizia ad adeguarsi, avrete notato i cartelli: dalle 22 alle 7 chiuso tratto...eccetera. Ieri, poi, chiuso un lungo tratto della Torino-Savona (per incidente). Centinaia di camion ed auto hanno invaso Fossano in giorno di mercato...l’apocalisse. Infine, ad Ivrea – senza nessun avvertimento – chiusa la “bretella” per Milano. Ed i casi sono oramai molti, in tutta Italia. Come mai?

Fino ad una decina d’anni or sono, era rarissima la chiusura di un’autostrada, roba da segnare sul calendario come la caduta di un meteorite: la prima che vidi fu in Liguria “per vento”. Ufficialmente, le ragioni dipendono dai mutamenti delle norme in fatto di sicurezza: difatti, quando ho detto al casellante “Ve le inventate tutte, vero?”, m’è arrivata una mitragliata di leggi ed una valanga d’improperi. Ma ciò è consentito per altri motivi.
E’ vero che molte cose sono cambiate, ad iniziare dagli autisti dei camion che sono tutti rumeni e, quando ritirano loro la patente, vanno in Romania e se ne fanno stampare un’altra. Ma il concetto che solo le menti più “eccelse” sanno cogliere è sempre il solito: aumentiamo la precarietà, abituiamoli al fatto che nulla più è certo!

Una persona che non si sente più tutelata dalla legge, diventa più fragile: dopo, si può far passar di tutto, anche che il sindaco di Firenze – tanto per citarne una – diventi capo del governo senza essere mai stato eletto. Lo so che è costituzionale...il trucco c’è sempre...però quel che conta sono le “risposte” – direi quasi subliminali – che si ottengono dalla popolazione.
Quando t’abituano a vivere in un ambiente d’incertezza – il treno non parte, l’autostrada è chiusa, la macchina per le ecografie s’è improvvisamente rotta, l’ufficio è stranamente chiuso per “emergenza”... – la gente non reagisce più incavolandosi, bensì con un sentimento a metà fra la depressione e lo sconforto. Ed è esattamente quello che vogliono: fare in modo che non ci sia partecipazione, opposizione, consapevolezza.

Le vie dell’incertezza finiscono nella precarietà, esattamente come i camion dei migranti s’insabbiano negli uadi del deserto...e s’innesca la guerra dei poveri, fra proletariato e sotto-proletariato...l’um Proletariat del quale già parlava Marx.

Credo, almeno per quel che riguarda il M5S (gli altri sono solo vuoto a perdere), che ci vorrebbe maggiore attenzione e riflessione su questi temi, non una misera oscillazione fra la Lega Nord e l’Estrema Sinistra.
Come si sarà capito, le ragioni di questa situazione sono legate al capitalismo internazionale e non alla volontà dei migranti o dei nostri giovani a 700 euro il mese. Cosa si può fare? Per ora, smetterla di gridare “al lupo”, poi si vedrà.

Il sistema Tolemaico era semplice ed intuitivo, la gravitazione universale un po’ più difficile da capire: il mondo dei satelliti, però, ha dovuto fare a meno di Tolomeo...troppe sfere celesti di vetro da frantumare...e non si può immaginare un “dopo” se si rimane prigionieri e non si frantuma il “prima”.

06 giugno 2015

Ferrovie di burro (fuso)


Domenica 7 Giugno, sciopero delle ferrovie

Sette e mezza di sera, stazione di Savona, mia moglie aspetta il treno che proviene da Ventimiglia per Torino. Quanto ha di ritardo? Solo un quarto d’ora, risponde. Ah beh, stasera riusciremo a cenare ad un’ora decente...niente da fare per l’audizione della soprano...o mangiamo, oppure andiamo al concerto...niente, non ce la faremo mai – rispondo – a meno di non cenare...
Intanto che aspettavo sono andata al supermercato che c’è proprio qui in stazione: ho comprato del burro, era in offerta...hai fatto bene...aspetta, stanno annunciando il treno, finalmente...vado al binario, ciao. Ciao.

Quello che la poverella non sapeva, salendo sul treno, era che oltre al ritardo – business is usually – c’era anche un guasto all’aria condizionata ed il treno era strapieno. Finestrini sigillati: sono treni progettati per l’aria condizionata! Non vogliamo che qualcuno si prenda il mal di gola per un finestrino aperto!
Quando arriva a casa non chiede più niente – concerto o cena? – ma s’abbatte su una poltrona con una bottiglia d’acqua fra le mani: è tutta arrossata, sudata fradicia...ripete solo: io non so come potranno fare quelli che proseguiranno fino a Torino, poveracci...il controllore non è nemmeno passato: o nel suo scompartimento aveva un finestrino “old style”, oppure si vergognava.
Mezz’ora di treno (in ritardo) ed ho una moglie distrutta e tre panetti di burro liquido fra le mani: grazie, Ferrovie dello Stato. Ma di quale stato, del Bangladesh? O Trenitalia? E di quale Italia?

Scusate: sembra un articolo banale, desueto, da sempliciotti dell’informazione. Ma vi sembra normale?!? Perché nessuno fiata?!? Un caso isolato?

Ancora ho nelle orecchie la voce di mio figlio – all’epoca quindicenne – che tornava dal Conservatorio di Cuneo: papà, sono a Ceva, ho preso “al volo” un treno in ritardo a Fossano, perché il mio l’avevano soppresso...ma non ci sono più treni fino a domattina...vieni a prendermi? Macchina carica di disperati dei mille treni perduti, cancellati, giustiziati, persi nelle nebbie della Langa, rotti, disabilitati, senza personale...che arranca sulle strade strette, su per la collina, con una luna che è uno splendore ed il magone in gola: ma com’è possibile? La linea delle Langhe – con le sue gallerie – l’ha fatta costruire Cavour! I treni andavano piano, ma andavano!

Stazione di Santhià, stazione di Santhià, il treno intercity Milano-Torino è in arrivo...uff...ce l’abbiamo fatta...appena in tempo, c’è tutto, sì...ma manca il biglietto. Biglietteria chiusa (pieno giorno, giornata feriale): ah, ma c’è la biglietteria automatica. Fuori servizio, rotta, non funziona. Busso con discrezione alla sala di controllo, esce un capostazione, gli spiego. Ah, madona, madona...sbraita in buon piemontese scotendo la testa, sempi parei, sempre così...manca il personale? Si chiude. Ma lo sa che, ai miei tempi – fra un anno andrò in pensione, se Dio vorrà – se cancellavi un treno ti chiamavano alla direzione del compartimento, a Torino? E dovevi portarti dietro fior di documenti, altrimenti erano grane, grosse grane!
La cosa si risolve all’italiana: pronto? Ciao...mia moglie sale sul treno, un controllore giovanissimo e dall’aria depressa l’accoglie senza nulla chiedere...ah, è lei, venga signora, s’accomodi, buon viaggio...

Passano gli anni e...arrivano le Frecce! Rosse, Bianche, Blu, Verdi, a pallini gialli e rosa, a strisce...
Mio figlio, per questioni di lavoro, deve essere a Napoli alle otto di mattina. E’ un bel problema, oggi.
Elucubrazioni al computer, sottrazioni, moltiplicazioni, prodotto per 3,14...il viaggio è pronto: parti da Savona la sera, cambi a Genova, arrivi a Salerno – papà, io devo andare a Napoli...lo so, ma non c’è altro modo... – prendi la Freccia che torna indietro e alle 8 sei a Napoli...uff, che fatica...ma le biglietterie di un tempo?!? Chiedevi e ti facevano il biglietto, preciso, senza fiatare.
Tutto Ok, salvo che – a Salerno – la Freccia è in ritardo! Per fortuna avevamo calcolato il “quarto d’ora accademico” anche per i treni, e ce la fa ad arrivare in tempo.

Dove vogliamo andare a finire? Non cito nomi perché non servirebbe a niente: è, probabilmente, una volontà politica che va avanti da decenni, e decine di governi in carica hanno proseguito su quel sentiero. Non può essere un caso, a meno d’ammettere che siamo governati da deficienti seriali.
Una nazione senza un servizio di trasporto ben disposto ed organizzato sul territorio, non va da nessuna parte: sono sì necessarie le reti telematiche ad alta velocità, ma senza un sistema di trasporto (ed il treno, in questo senso, è perfetto) diffuso sul territorio il lavoratore non può lavorare, lo studente non può studiare, l’agricoltore non può spedire, l’azienda non può consegnare...e tutto arranca, fino a fermarsi.

Non pretendiamo la precisione delle BundesBahn, ma almeno il trattamento delle vecchie Ferrovie dello Stato che, al confronto odierno, paiono fantascienza.

01 giugno 2015

Sindrome ligure







Una Primavera di tanti anni fa, era il  mitico anno 2000, un certo Sandro Biasotti – un neo-berlusconiano dal passato sfumato fra la Lanterna ed il Porto – s’insediò sulla più alta poltrona ligure, quella di presidente della Regione. Nella ex regione rossa fu un terremoto, poiché le avanguardie berlusconiane avevano varcato il passo del Turchino: erano giunte al mar Ligure, sconvolgendo equilibri che parevano immutabili nell’ex genovesato.
Quella Repubblica di Genova che solo chi vive qui ancora percepisce come reale, tangibile, presente: le due Riviere sono soltanto le ali dell’uccello, mentre tutto ciò che pulsa, che scalda, che ragiona non fuoriesce da confini non tracciati ma ben presenti nelle menti, fra Nervi e Vesima. Il Tg regionale appena sfiora ciò che avviene nei 200 chilometri delle due ali, e subito torna fra De Ferrari e Brignole, ad interrogare i palazzi del potere.

Oggi, pare che non sia avvenuto nessun terremoto: al più, un insipiente rottame di partito come Claudio Burlando è stato sostituito da un apparatcik delle Tv berlusconiane e nessuno grida allo scandalo, nessuno fiata. In definitiva: a nessuno frega un accidente, solo fra i perdenti s’ode qualche insignificante remescio.
Cos’è mutato dai tempi di Biasotti? Praticamente tutto: nel mondo, in Europa, in Italia ed in Liguria è fuorviante fare paragoni con il passato. Ecco perché nessuno sbraita o festeggia più di tanto: nella guerra per bande delle cosche, il “laboratorio Liguria” (sic!) ha fornito un risultato. Renzi ha osato troppo e, da domani, dovrà scendere a patti – capitemi: dividere la torta – con l’ala cosiddetta “sinistra” del suo partito a livello nazionale. Ma si tratta solo di un avvertimento politico/mafioso, nulla di più.
La Regione...gli affari interni al genovesato...bah, quelli andranno avanti con la solita divisione del malloppo (come vanno avanti ovunque), mentre a livello nazionale giungeranno – e saranno subito messi in pratica – gli “avvisi di tempesta” spediti da Genova: peggio di un voto contrario in Parlamento, la prossima volta potrebbe toccare al Piemonte o, addirittura, all’Emilia.
Renzi è avvertito: coloro che sono stati “rottamati” non ci stanno a raccogliere le briciole sotto il tavolo, vogliono piatto, posate e bicchiere e partecipare al banchetto. Svolta politica? Ma quando mai! E’ d’altro che si sta parlando...

Osserviamo, ad esempio, ciò che capita dalle parti delle cosche dell’edilizia: leggete il collegamento in nota, non by-passatelo come una semplice notazione a margine, perché lì è spiegato nel dettaglio di cosa stiamo parlando (1). Anche le alluvioni tornano utili (come L’Aquila, del resto): per questo Burlando minacciò i giornalisti di una troupe televisiva di Primocanale “Farete una brutta fine...” (2)

E’ quasi una storia comica: per tutto l’Inverno, notai questi camion della Pa.Mo.Ter (gruppo Mamone) che uscivano dal casello di Albisola e prendevano la via del Giovo, la strada per Acqui Terme, per raggiungere Stella, il paese natale di Sandro Pertini. Provenivano dal sito di scavo del Terzo Valico alle spalle di Genova, quasi ai confini con l’alessandrino: circa 100 chilometri di strada. Sei camion il giorno per 6 corse ciascuno: 36 camion movimento terra che scaricavano a 100 chilometri dal luogo di scavo. Bel viaggio per della semplice terra: va beh che i rifiuti ne fanno anche 1000...ma quella è merce preziosa.

Il Comune di Stella, vista la “montagna” che si stava creando, chiese se fosse possibile utilizzarne una parte per un riempimento: voleva costruire un nuovo impianto calcistico.
Alt! Verboten! Questa terra è solo qui di passaggio, perché – dopo (non si capisce dove, quando e come) – dovremo riportarla a Prà (Genova) per lavori di riempimento. Così, la terra farà 150 chilometri: sempre che Prà sia la destinazione finale!

Questo, per capire come la vittoria o la sconfitta, ma anche il semplice conteggio dei voti, siano parte di una complessa operazione di distribuzione. Dde che? Ma dai, devo anche spiegarvi l’acqua calda...
Non importa se Toti vince e la Paita perde, perché nessuno – in realtà – perde mai nel gran gioco dell’Oca chiamato “Edilpolitica”. Al più, perde qualcosa, ma mai troppo: tutti lo sanno, oggi a te, domani a me...
Poi, bisogna osservare chi ha vinto e chi ha perso. Ma veramente vinto o perso.

Gli elettori, stufi, se ne vanno al mare il giorno delle elezioni: scelta più saggia, almeno dal punto di vista morale, non potrebbe esistere.
Qualcuno, invece, pensa di “punire” i partiti con questa disaffezione ma, per i partiti, il calo d’affluenza è tutta manna che piove dal cielo!

E’ scaduto il tempo del voto per appartenenza (ideale) ed è rimasto solo quello per convenienza (politica): esclusi gli elettori del M5S e d’alcune, sparute ali estreme, tutti gli altri votano per un ben preciso interesse di gruppo, che si trasforma in convenienza personale. Il grande fiume dei soldi pubblici, che si suddivide in mille ruscelli per guadagnare voti.
Oggi, il problema del voto (per i partiti, ovvio) non è tanto quello di guadagnare voti, quanto quello di stabilizzare, “solidificare” il proprio elettorato, sulla base di ben precisi vantaggi personali...che possono essere una sovvenzione all’editoria oppure un appalto, o ancora uno studio da commissionare, una ricerca (inutile) da attuare...ma tutte azioni che tendono al controllo di persone, famiglie, gruppi.
Da qui, si comprende come qualsiasi forma di reddito di cittadinanza o distribuzione paritetica e senza controllo sia vista come il fumo negli occhi.
Questo, vale per tutti.

Fatto 100 il numero dei votanti, con un’affluenza del 100% – se il mio partito ha 10 elettori – prendo il 10% ma, se l’affluenza cala al 50%, il mio partito “sale” al 20%: per questa ragione, in un panorama di calo dell’affluenza a due cifre (10-15%) anche le percentuali dei partiti sono, per lo meno, da prendere con le pinze. Anche quelle del M5S, tanto per capirci: il partito che “sale” al 30%, in realtà ha gli stessi voti di due anni fa, anzi, forse di meno.
E’ chiarissimo che l’elettorato del PD si è dileguato – in questo senso, la Liguria è un “laboratorio” – ma la gestione bipartisan della cosa pubblica (a tutti i livelli) impedisce qualsiasi intrusione sul modello spagnolo di Podemos. Quando mai un PD – che può avere l’appoggio di Forza Italia, della Lega (non crederete mica a Salvini, vero?) e d’altri “compari” – dovrebbe (sul modello spagnolo) cedere la poltrona di sindaco di Madrid/Roma ad uno sconosciuto “non-mazzettaro”?

Come diceva Enrico Berlinguer nella famosa intervista a Scalfari di una vita fa, la questione morale è veramente il nodo centrale della vicenda, ed è inutile – da qui in avanti – fare qualsiasi ragionamento politico.
Che li faccia la Magistratura, se ne ha l’opportunità ed il coraggio.