22 settembre 2018

Economia o finanza?




In tempi di Legge Finanziaria, ogni arma è valida – verrebbe da dire – perché lì si decide chi vivrà meglio nel prossimo anno e chi pagherà. E chi raccoglierà consensi: tutto qui. Casalino ha lanciato un segnale pesante come un macigno, ma vero fino al midollo: il MEF è infarcito di Troll delle lobby economiche, di uomini che sono lì soltanto per controllare che i soldi vadano da una certa parte e non dall’altra, di certo non verso il RdC del M5S. Ma c’è dell’altro.

Il governo è chiamato, ogni Autunno, a redigere un documento Finanziario. E chi lo redige? Il Parlamento, sotto l’attenta osservazione del Ministero dell’Economia, ossia il MEF. I parlamentari, che sono dei politici – ossia i governatori della Polis – sono chiamati semplicemente a cambiare, controllare o stornare dei flussi di cassa. Mentre, un politico, per sue formazione dovrebbe segnare col dito alcune direttrici verso le quali si dovrà muovere l’Economia, che – ricordo sempre – è letteralmente Ekos-Nomos, ossia norma (governo) della casa.
In altre parole, l’Economia comprende di gran lunga i termini della pura Finanza, che ne risulta essere solo una sua componente: cambiano direzione e soggetti i denari stanziati, ma se non c’è un obiettivo economico da perseguire, ogni anno si rischia solo che qualcuno, oggi, sia più o meno ricco, e domani lo sia un altro. Vi sembra Economia questa?

Se vogliamo espandere un poco il termine originario, il compito dell’Economia è quello di stabilire i settori o gli ambiti d’importanza primaria per una nazione: accertati i quali, ecco che la Finanza diventa il mezzo per intervenire. Ma nulla più.
Chi è ancora ipnotizzato dai “miracoli” della Finanza, ricordi che l’Economia mondiale sta ancora leccandosi le ferite dal “crollo” del 2008, mentre i soliti attori stanno preparando nuove trappole per il futuro. Perché – e tutti dovremmo averlo capito – le cosiddette e ricorrenti “crisi finanziarie” assomigliano a delle “prese di beneficio”. Ossia, appena c’è nuovamente un poco di ricchezza diffusa, si procede al “taglio”: ieri furono i subprime, domani altro…non è questo il problema. E’ il concetto ad avere importanza.

Lo Stato mantiene alcuni apparati produttivi in sua proprietà (parziale o totale) come l’ENI, ENEL  Italcantieri, e poco altro. Ma, se se ne ravvisa la necessità, può farlo quando vuole. E nessuno può dire nulla: questo sarebbe un modo per essere – orgogliosamente e con vantaggio – “sovranisti”.
 Vi citerò un esempio, così la faccenda sarà meglio comprensibile.

Quest’anno, chi usa il pellet per il riscaldamento domestico, ha avuto una brutta sorpresa: dopo anni che si sosteneva un uso di prodotti “riciclabili”, il prezzo è schizzato alle stelle: aumenti dell’ordine del 20%.
Le ragioni?

La prima è d’origine finanziaria e la dobbiamo a Renzi, che ha portato l’IVA sul pellet dal 10 al 22% (un regalo per ENI? Grazie Matteuccio! Sempre a rovistare nelle nostre tasche) ma c’è una seconda ragione: il pellet è quasi tutto d’importazione, cosicché la forte domanda in alcuni Paesi esteri (che sono anche produttori) ha avuto come conseguenza il “pellet a peso d’oro”.
Perché lo importiamo? Non abbiamo boschi? Andiamo a vedere.

Secondo Rete Rurale (1) la superficie boschiva italiana è aumentata di circa 600.000 ettari negli ultimi 10 anni e raggiunge, oramai, un terzo della superficie italiana, come potrete osservare in figura:



Come la usiamo?
In Europa, la media di prelievo della biomassa forestale è, annualmente, del 60% della crescita annua: in altre parole, il bosco continua ad espandersi per circa il 40% annuo. In Italia, invece, ci si ferma al 30-35% annuo, prelevando solo 12 milioni di m3 dei 30 milioni disponibili. Va detto subito che, questi prelievi, non intaccano minimamente la specificità del bosco – trattandosi di boschi cedui – di trattenere il terreno dal punto di vista idrogeologico.
Potremmo prelevare, quindi, altri 18 milioni di m3 sempre rimanendo ben sotto la crescita annua: quanto fanno, in miseri euro, 18 milioni di m3 di pellet, al prezzo di 350 euro la tonnellata(2)?
Tenetevi forte: 6,3 miliardi di euro.

C’è un antefatto, che voglio ricordare.
Cercando sul Web, troverete (soprattutto su youtube) molti filmati dove si osservano macchine “stellari” per il taglio e la triturazione del legno, direttamente nel bosco, che rimane pulito, giacché viene triturato tutto, anche le ramaglie.
Anni fa – in epoca Prodi/Berlusconi, non ricordo chi regnava dei due – l’associazione dei produttori di macchine agricole si rivolse al Governo per sapere che tipo di macchine avrebbero dovuto progettare e produrre in futuro, visto che il mercato si stava orientando verso le biomasse – giustamente – una fonte rinnovabile.
Il silenzio fu fragoroso.

Così, adesso – a parte qualche piccolo impianto – importiamo dalla Romania, dalla Polonia, Lituania, Canada…ovunque, e siamo così più esposti alle variazioni del mercato.
Ci voleva tanto?

Eppure, il fatterello che ho citato, corrisponde in pieno alla visione guercia dei politici italiani, che sanno contare benissimo i voti, gli 0,qualcosa di perdita o d’aumento, ma non sanno programmare nulla per migliorare la vita dei loro cittadini, limitandosi a questo sport autunnale della Finanziaria – tutto basato sulle risorse esistenti – senza meditare su come ampliarle.
Ci devono pensare i privati! E se non ci pensano? Se de-localizzano le produzioni in un amen?
Lo Stato ha i mezzi per farlo – può usare la leva fiscale, ad esempio – per invitare i capitali ad entrare in un mercato. Oppure può farlo lo Stato stesso: a ben vedere, nessuno glielo impedisce.

Direte: ma chi ci va a tagliare i boschi…
Certo, avete ragione.
Io ho dei boschi: mio nonno, mio padre ed io li abbiamo tagliati, anche in epoca pre-motosega. Ma non mi sogno minimamente di chiederlo a mio figlio. Sarebbe inutile.

Però, guarda a caso, abbiamo in Italia circa 500.000 immigrati irregolari i quali, vuoi per le difficoltà interne (leggi farraginose) o esterne (e chi se li prende?) per ora siamo riusciti a rimpatriarne circa 6.000. Gli altri? Li manteniamo: male, da poveracci, magari a raccogliere uva e pomodori, ma li manteniamo. Prima di procedere, vediamo come si comportavano i Latini, e cerchiamo d’imparare qualcosa.

L’Impero Romano fu il primo grande impero veramente multietnico della Storia: rispettavano tradizioni, usi e costumi, ma chiedevano il pieno rispetto delle leggi.
Nel primo secolo dell’Impero, a difendere le frontiere – dal Portogallo all’Armenia, dalla Germania all’Africa – erano in servizio 250.000 effettivi. Pochi? Tanti? Fate voi: l’attuale Esercito Italiano – che non ha certo da difendere quelle estensioni ed è un esercito tecnologico – ha in servizio (escludendo i Carabinieri) circa 190.000 effettivi.
Come facevano i Romani?

Semplicemente, di quei 250.000 uomini solo la metà erano cittadini romani, mentre l’altra metà era composta da ausiliari (ossia ex barbari “romanizzati”), che ricevevano una paga pari a circa 2/3 rispetto ad un legionario romano ed erano schierati, in battaglia, in prima linea.
Qual era la “spinta” per farli marciare e rimanere nei ranghi a fronte del nemico? La promessa della cittadinanza romana, dopo anni ed anni di servizio.
La cosa funzionò sempre e, se cercate la causa della fine dell’Impero, cercatela pure da altre parti: nella gestione finanziaria, nella corruzione, negli errori strategici compiuti da uomini che non erano più un Tiberio, un Vespasiano, un Traiano od un Marco Aurelio.
E, adesso, torniamo all’oggi.

Che ne facciamo di quel mezzo milione d’immigrati?
Non mi raccontate storielle che se li prenderà l’Europa o che saranno rimpatriati: dai, su, siamo uomini e non caporali, non stiamo a credere alle promesse elettorali. Appena aperta la trattativa, la Tunisia ha subito chiuso i battenti e, attenzione, finora era stata l’unica a riprendersi qualcuno.

C’è un particolare che non ho evidenziato nella figura sopra esposta: il “verde” – che indica le foreste – corrisponde in pieno ad aree disabitate, o che stanno per essere abbandonate. Decine di chilometri senza una casa abitata, ovunque, dall’Appennino Ligure all’Aspromonte. Comuni che, a parte qualche ritorno estivo, si riducono a 50-100 abitanti. Fra un decennio non ci sarà quasi più nessuno. E non parliamo dell’arco alpino, all’infuori delle aree turistiche “quattro stagioni”: un deserto.

Io ritengo che un salario pari ai due terzi rispetto a quello degli italiani sarebbe giusto, perché – se cerchi una nuova patria – te la devi guadagnare, devi dimostrare di meritarla. E di rispettarla.

Tecnicamente come si fa?
Non è compito mio. Chi è al governo ci deve pensare: oltre alle foreste, c’è tutto il complesso agro-pastorale che, fra pochi anni, rimarrà deserto per mancanza di personale. Per avere il pecorino devi allevare le pecore, e mungerle, ogni giorno.

Se non siete d’accordo non importa, ma ricordate che non possiamo permetterci il lusso d’ignorare un terzo del nostro territorio, poiché se non è abitato, pagheremo lo stesso – e con gli interessi – per le alluvioni che, puntuali, stanno per arrivare con l’Autunno. Se nessuno regola i flussi in alto, cosa può fare chi è in basso?

Chi è al Governo, però, deve imparare la differenza fra programmare l’economia di un Paese e la semplice gestione finanziaria dei flussi perché quello, anche un semplice ragioniere, sa farlo. Essere degli economisti è tutt’altra cosa: bisogna avere una visione storica di lungo periodo. E molta immaginazione.

Ci riusciranno? Mah…

(2) Il peso specifico adottato (m3 > tonnellata) è stato una media fra i vari legnami, pari a 0,85.

06 settembre 2018

Esimio signor Macron

Militari francesi in Niger

che l'Unione Europea fosse il più grande fallimento del continente già lo sapevamo, senza che lei ci mettesse il becco per dimostrarlo: sarebbe l'ora di finirla, dopo 150 anni di guerre per un pezzetto d'Africa? No, pare di no: eppure, la Francia sta andando incontro al maggior smacco della sua storia repubblicana, dalla Prima alla Quinta Repubblica…invece lei fila dritto come un treno, senza accorgersi che – nel Pianeta – non le è rimasto, come alleato, che un oscuro generale di Tobruk. Un po' pochino per calcare la scena internazionale? Veda lei, ma io non andrei tanto fiero d'esser rimasto l'ultima Potenza Coloniale della Terra.

In realtà, ci sono due (o più) vicende che s'incrociano, come sempre, in questa storiaccia di politica estera: la stranezza (a dir poco) di mantenere in vita il Franco Coloniale Africano (1) nel 2018 – cosa che, più accorto, nemmeno il Regno Unito si sognò di fare dopo la 2GM, preferendo la via meno appariscente (e più attraente) del Commonwealth – ed il fallimento della scelta nucleare francese, sancito definitivamente dalle enormi perdite di Areva nella costruzione della centrale finlandese di Olkiluoto (2).
Se vogliamo calare anche l'asso di Bastoni, mettiamoci pure i due spettacolari successi nell'esplorazione energetica dell'ENI nel Mediterraneo orientale, più un altro giacimento a terra (3). Miliardi di metri cubi di metano, che cambieranno la vita dell'Egitto (ed anche qualcosa per l'Italia), ed ingrasseranno gli azionisti di ENI ed il ministero del Tesoro, che detiene circa il 20% delle azioni ENI. E, soprattutto, la Golden Share, l’azione “speciale” che rende l’ENI un’azienda strategica, di Stato.
Crediamo bene che lei sia incazzato, ma non pensi di poter fare un solo boccone della Libia, poiché lo zio Sam potrebbe non essere d'accordo che lei s'allarghi così tanto ed in fretta (4).

Parigi ha sempre mal digerito la grande capacità di ENI d'accaparrarsi giacimenti dove gli altri non trovavano nulla: è una questione di superiore tecnologia, iniziata in anni lontanissimi da Enrico Mattei. Oggi, ENI sta mostrando di cosa è capace e, ai francesi, tornano alla mente anni lontani, l'epoca di Moro, quando a decidere gli assetti mediterranei erano “summit” informali fra Roma, La Valletta, Tripoli e Tunisi. Una ragnatela ben studiata da Moro e prima da Mattei, guarda a caso entrambi uccisi in circostanze mai del tutto chiarite.
Ma, all'epoca, la Francia si trastullava con l'Uranio, combatteva dal Ciad contro le milizie libiche – battaglia di Quaddi-doum, 1986 – poiché in Ciad estraeva Uranio, come oggi macina le montagne in Niger per lo stesso motivo. Solo che il tenore di Uranio puro nei minerali è sempre più scarso, mentre dopo Fukushima le azioni del nucleare sono drammaticamente calate.

Così, la Francia dopo Fukushima decise d’intervenire nel “Great-game” petrolifero, che aveva trascurato per molto tempo e Sarkozy ritenne che l'avversario più “digeribile” fosse l'Italia. La Libia crolla: sembra fatta.
Ma, mentre gli americani s'accorgono che decenni di trattative, conoscenze, scambi, consuetudini hanno scavato più profondamente di quanto si creda nei rapporti italo-libici, la Francia (ribadiamo: ultima potenza coloniale) medita di buttar quattro missili, prendersi i pozzi petroliferi  e finirla lì. Ma la via – sbarrata alle truppe – è un'autostrada per i servizi italiani: la Tripolitania è saldamente in mani italiane, mentre nel Fezzan (il Sud) le posizioni sono più sfumate e all'Est le velleità egiziane si fanno sentire.
Ma, all’Est, il grande alleato del Ministero dell’Energia Italiano – ossia l’ENI – è l’Egitto, che guarda all’Est libico con ingordigia perciò, l’alleato scelto da Macron, ossia l’uomo forte di Bengasi, potrebbe domani trovarsi preso da due fuochi, l’Egitto all’Est e le forze appoggiate dagli italiani all’Ovest. Anzi, l’abortito attacco improvviso a Tripoli, pare più un segnale di disperazione che di forza.
Le ipotesi sono sempre molte nel Great Game dell’energia, come in quello della finanza.

Ciò che, invece, stride è che nel Terzo Millennio ci sia una nazione – la Francia – che continua a trattare i cittadini di Benin, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Ciad ed Isole Comore come dei sudditi la cui moneta – il Franco Coloniale Africano – è convertibile in altre monete solo passando attraverso Il Ministero del Tesoro francese, con un cambio fisso con l’euro stabilito a circa 656, ossia 656 FCA per un euro.
Come avviene questa truffa? Semplice: il 50% delle riserve di cambio dei Paesi della zona del Franco Coloniale Africano devono essere depositate su un conto della Banca di Francia, a Parigi. Stop: lo abbiamo deciso noi, ça va bien?
Ciò significa che le esportazioni di questi Paesi sono gravate da una “tassa di convertibilità” del 50%, che frutta alle finanze francesi circa 10 miliardi di euro di depositi l’anno, i quali gravitano nell’economia francese invece che in Africa (5). Si ritiene che l’1,5% del debito francese sia pagato, ogni anno, proprio con questi proventi: inoltre, per mancanza di liquidità (trattenuta dalla Banca di Francia) queste nazioni sono obbligate a contrarre, a loro volta, corrispondenti debiti con nazioni estere.


Mali, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Niger, Senegal, Togo…ma non sono proprio gli Stati dai quali provengono i migranti che la Francia rifiuta, per i quali erige le barricate a Ventimiglia e Bardonecchia?
Lo crediamo bene: fin che abbiamo avuto la Lira, anche noi siamo stati in grado di dirigere la nostra economia secondo gli interessi nazionali – pur con una guerra persa alle spalle, meglio non dimenticarlo – mentre da quando dobbiamo elemosinare i “preziosissimi” euro dalla BCE, le cose non possono che andar male. Una moneta a debito come l’euro è un non-sense economico, politico, sociale: ha solo una reale validità sul piano finanziario, poiché tutto ciò che serve ad accumulare capitali senza passare attraverso il lavoro, per la finanza, è non solo valido, bensì eccellente. Figuriamoci una moneta “coloniale”.
Con questo non voglio sostenere che fosse giusto l’andazzo degli sbarchi indiscriminati e delle permanenze “sotto” la Legge, come è avvenuto per molti anni, ma voglio far notare che – sotto il giogo di una falsa moneta – circa 200.000 italiani se ne vanno, ogni anno che passa, dall’Italia: chi per cercare un vero lavoro, chi per godersi (o sopravvivere) la pensione in Stati dove non viga lo strozzinaggio della popolazione.
Così come fuggono gli africani, costretti da un giogo coloniale ad “affidare” metà del valore del loro lavoro ad una banca straniera.

Pare che Gheddafi avesse in mente di soppiantare il Franco Coloniale Africano grazie alla grande quantità di preziosi (Oro, Argento, diamanti) accumulata come garanzia per il “dinaro africano”. Anche se ci sono precise informazioni in merito, come le mail fra la Clinton e Sarkozy (6), non ho mai creduto fino in fondo a questa teoria: Sarkozy mirava, in primis, a sottrarre le esportazioni petrolifere della Libia verso l’Italia, giacché il nucleare stava portando in rovina la Francia, la quale non aveva nemmeno provato ad iniziare una vera politica sulle rinnovabili, come i Paesi del centro-nord Europa, ma anche Italia e Spagna.
Perché non mi convince? Perché Gheddafi era, sostanzialmente, un militare.
A meno che, con l’età, la follia avesse fatto capolino nella sua mente, non comprendo come si possa pensare di scrollarsi di dosso il giogo coloniale fidando le proprie speranze su una Nazione che aveva rinunciato alle armi chimiche/batteriologiche ed ai relativi vettori (d’origine coreana), che lui stesso fece distruggere.
Fidando solo sulla debole, per forza – visto che il petrolio libico faceva gola a USA, Francia e GB – protezione italiana? La quale, forzatamente, capitolò: la partecipazione del 2011 alla schifosa guerra contro Gheddafi non deve essere percepita solo come uno “sgarro” fatto all’alleato. Perché la Libia si condannò da sola (vedi: Corea del Nord) quando si privò degli armamenti strategici. Operando dietro le quinte, ma conoscendo a fondo il Paese, l’Italia riuscì a mantenersi un “porta aperta” su Tripoli, e solo Dio sa quanto sia importante, in diplomazia, mantenere aperte certe porte!

Oggi, invece, gli equilibri sono cambiati: l’ONU – leggi: USA – ha imposto subito un cessate il fuoco, ed ha dichiarato che la situazione libica sarà discussa in una conferenza che è programmata per la fine di Novembre in Italia, riconosciuta da Washington come partner primario per la questione libica.
Macron è stato costretto a rimettere le pive nel sacco, perché anche la sua strampalata idea di far svolgere elezioni in Libia nella prima decade di Dicembre, ovviamente, decade.
Forse la Francia non aveva capito che – per la guerra libica del 2011 – era considerata, da Washington, appena un centimetro in più dell’Italia: la diplomazia francese è più edotta allo sciovinismo che al realismo politico, e lo scivolone di questi giorni lo dimostra. E, questo, è un leitmotiv che a Parigi si sente aleggiare dal 1919 in poi: salvo il breve periodo della liaison con i nazisti, ben più pregnante e sentita di quella della (alleata) Italia.

Gli americani hanno compreso che, se vuoi andar tranquillo in Libia – senza schieramenti con Mosca, tanto meno con bande guerrigliere che non si sa mai come va a finire – devi affidarti di più all’Italia ed al suo Ministero (ombra) dell’Energia. Nei Paesi fonte primaria di produzione petrolifera non si ammettono comportamenti che possano distruggere le infrastrutture: l’Iraq insegna, velocemente si fa e si chiude. La guerra per il confronto geopolitico si fa in Siria, in Afghanistan o nello Yemen, non in Arabia Saudita, Libia, Nigeria, Iran, ecc.

Dopo tutto questo, però, a noi rimangono l’Euro ed i nostri migranti che scappano all’estero, mentre l’Africa dovrà sempre fare i conti con il suo vecchio Franco che sa di cose muffite, di fucili con la baionetta innestata, del mito della “Légion”, dello sconfinato “Honneur” dei giovani virgulti francesi che partivano per l’Africa – al tempo della Rivoluzione, ma anche ai tempi di Zola – per sanare un debito di gioco o per riscattare il casato perduto.

E, in questi infiniti giochi, sguazza la finanza, il great game petrolifero e questa diplomazia dei balordi. Basta: parto per un viaggio: vado a disintossicarmi nel Pianeta Verde (quello del film), non so se tornerò…bye, bye!

PS : Bonne chance monsieur Macron, à la proxième fois !

(6) https://scenarieconomici.it/clamorosa-intercettazione-guerra-sarkozy-allitalia-libia-gheddafi/