29 marzo 2019

La paura del Dragone

Sinceramente, volevo parlare di lingue: non quelle bollite, in bagnèt verde, salmistrate o con capperi ed acciughe bensì quelle che ci servono per comunicare. Poi…Il dibattito sull’accordo italo-cinese ha raggiunto tali livelli che ho rimpianto il vecchio bar Sport all’angolo, dove almeno se si nominava Gigi Riva tutti tacevano ed assentivano, pensosi, e così ho pensato di dare una mano. Non per spingere qualcuno giù nel dirupo, ma per aiutare a non finire tutti nella rupe Tarpea dell’insipienza, ammanigliati ed uniti dall’unico desiderio: dirla (sul web non ha senso farla) più grossa dell’altro.
Che dite, ci proviamo?

Tutto iniziò con un popolo di emigranti disgraziati per loro parte, che ebbero una particina marginale nel tentativo blasfemo di dare un giro di volta al Great Game del’Asia che, come ben saprete – nell’ultimo ventennio dell’800 fino alla 1GM – occupava le scacchiere con tre attori: Russia, Cina ed Impero Britannico.
Orbene, quel popolo di sgomitatori, che anelavano a qualcosa in più di qualche uadi desertico in Africa Orientale, per l’incrinarsi dell’Impero Cinese si videro assegnare una porticina laterale chiamata Tien-Tsin, che distava da Pechino quanto Oslo da Palermo.
Questo per dire che noi, italiani, inviammo un corpo di spedizione – con annessa flotta – per tentare di colonizzare l’unico Paese al mondo che colonia non era mai stata, ossia la Cina la quale, mezzo secolo dopo, si presentò seduta, alla conferenza di pace che doveva giudicarci in quanto vinti, sullo scranno dei vincitori.
Una vicenda lapalissiana: Pirandello ci avrebbe sguazzato alla grande.

E’ interessante, per parlare dell’oggi, appressarsi a quei giorni così lontani – ricordate “L’ultimo imperatore” di Bertolucci? – eppure non c’è paragone più calzante.
Un popolo colonizzato fino all’altro ieri, che tentava di colonizzare – in sest’ultima fila, sia chiaro – chi non conosceva nemmeno il significato della parola “colonizzazione”, non perché avessero vissuto chissà quali nirvana nei secoli precedenti, bensì poiché ogni sopraffazione era stata interna, proveniente da una parte del suo stesso insieme. E cos’era questo insieme?
La lingua.

I cinesi sono stati fra i primi a giungere alla lingua come mezzo di comunicazione, e come contenitore degli eventi passati di un popolo. Che cambia: incessantemente, rovinosamente, gloriosamente.
Crearono una lingua ideogrammatica, come gli egizi, ma mentre i secondi finirono sotto il giogo Romano, loro non ci giunsero, perché Traiano si fermò a Ctesifonte e non osò dare la mazzata finale all’impero dei Parti (o persiano che dir si voglia), che fungeva da “cuscinetto” con il grande Oriente cinese – del quale i Romani erano perfettamente a conoscenza, giacché Roma era invasa da sete cinesi, al punto che ci sono giunte le lamentazioni degli imperatori per i troppi “aurei” che volavano in oriente – del quale, però, avvertivano “a naso” la potenza, e non si fidarono a sfidarlo. I Germani bastavano ed avanzavano.

E passano così due millenni. Ma la Cina aveva già alle spalle un paio di millenni di Storia, e così assommava a quattromila. Dio com’è lungo da scrivere: “quat-tro-mi-la”…E cos’avevano fatto in quei 4000 anni? Di tutto. Di più e di meno, di meglio e di peggio: sempre all’interno della stessa lingua, vergata col pennello dalla sapiente casta dei mandarini, i funzionari imperiali che celavano le mani nelle lunghe maniche per mostrare a tutti che loro non le usavano per lavorare, bastava la mente.

A parte le quisquilie, come la metallurgia finissima, la polvere da sparo – bistrattata! Usata per giochi di luce! – la bussola, la stampa…cos’aveva partorito quella mente collettiva, di generazioni di sapienti?
Tre Libri.

l’I Ching – il libro del Mutamento – il Nei-Ching, il canone medico cinese, ed il Tao-Te-Ching, il libro del Tao Universale. Kung-Fu-Ciang (Signore del Kung-Fu), detto in Occidente Confucio, coetaneo di Budda Sakyamuni e Socrate, li definiva “molto antichi”.
Vi potrei raccontare d’altre “avventure” cinesi – come quando, nel 1400, giunsero fino all’attuale Mozambico con una flotta d’alto mare (non giunche) e 25.000 uomini d’equipaggio ed armati, e poi tornarono indietro – e di quando Vasco da Gama fu condotto fino alle Mollucche proprio dai discendenti di coloro che avevano fatto i piloti per i cinesi. Ma a che servirebbe?

Siamo stati noi ad aprire lo scrigno cinese, “noi” nel senso di russi, inglesi, francesi, tedeschi, australiani, americani…sì, nell’ultima fila anche qualche italiano…e adesso ci domandiamo, angosciati: cosa vogliono da noi?

Noi, che non ci siamo domandati cosa volevano gli spagnoli, cruenti dominatori, gli scaltri francesi, sempre pronti a propalare il meglio ed appoggiare il peggio che esista, per puro interesse, oppure gli stupidissimi, ma armatissimi, americani ed i loro scaltri cugini britannici…cosa volevano? Dominarci, sfruttarci.
Oggi, sembriamo pazzi di paura perché un cinese ci propone un accordo commerciale. Giungiamo a dire che inquineranno i nostri porti, vomiteranno nelle nostre acque i loro veleni e dimentichiamo che, fino a ieri, i sottomarini atomici USA scaricavano quel che volevano nei nostri mari, che le petroliere a stelle e strisce o con la Union Jack, ci affumicavano e lavavano le loro cisterne appena oltre l’orizzonte (a volte meno)…adesso no, abbiamo paura addirittura dei gamberetti in agrodolce.
Dominare, vincere, brutalizzare, umiliare: questi sono i verbi che conosciamo.

I cinesi non credono in questo principio, ossia non pensano che una vittoria economica o militare sia un obiettivo da raggiungere perché porta stabilità. Nel loro modo di pensare – che è molto simile al nostro, antico panta rei – sanno che la mutazione, il cambiamento sono il leitmotiv dell’avventura umana, e dunque non se ne preoccupano, credono di più nell’armonia del mutamento. Se avete letto il Libro del Mutamento (I Ching) – miracolosamente scampato alla distruzione del V secolo a.C. – ne capirete (rectius: sorseggerete) meglio il significato (migliore la traduzione di Richard Wilhelm).
La Cina è sempre rimasta, dunque, un enorme contenitore culturale isolato: almeno, la Cina che conosciamo, perché nel V secolo a.C. un imperatore si svegliò la mattina e decise che tutto quello che c’era stato prima andava abolito, distrutto, dimenticato. Almeno un millennio di vita cinese andò in fumo, con il rogo di tutti gli archivi.
Riflettiamo che, nell’epoca nella quale i cinesi bruciarono i loro archivi, in Europa la lingua scritta non era ancora giunta: i più bravi, in quell’epoca, mungevano le pecore.
Si corse lo stesso rischio durante la “rivoluzione culturale”, quando le Guardie Rosse si presentarono all’Archivio di Stato per darlo alle fiamme: per fortuna si presentò di fronte a loro un vecchio, con una pistola in mano, che disse “Dovrete passare sul mio cadavere”. Era Ciu-En-Lai, l’ex Ministro degli Esteri. E non osarono.

Qualcuno ricorda il Tibet, per avere ancor più paura. Lo venite a raccontare a me, un buddista di tradizione tibetana? Avete mai parlato con un Lama tibetano? Avete conosciuto S.S. il XIV Dalai Lama, Tenzin Ghiatzo?
La Cina del dopoguerra era un Paese affamato, che giunse a maturare una sciagura per sfamarsi: non lo dico io, lo dicono gli stessi Lama tibetani: raccontano di “gare” per accaparrarsi un torsolo di cavolo marcio nel fango, fra prigionieri e popolazione civile.
Le soldataglie cinesi presero tutto quel che riuscirono a prendere, dall’oro al legno: fu un’amara lotta fra poveri dignitosi (i tibetani) e miseri senza dignità (i cinesi). Ma fu. Allora.

Oggi molte cose stanno cambiando: i cinesi hanno collegato Lhasa al mondo con un aeroporto ed una ferrovia – non lo fanno certo per carità – ma hanno costruito anche scuole ed ospedali. Può darsi che si giunga, in futuro, ad una pacificazione definitiva: in fin dei conti, i Lama tibetani erano considerati i “protettori” dell’Impero Cinese.
Tutto, ricordiamolo, iniziò sempre con noi, gli occidentali – russi od inglesi poco cambia – che destabilizzarono un sistema equilibrato da secoli, da millenni: le truppe inglesi entrarono in Lhasa nel 1904.

E noi ci spaventiamo, abbiamo paura che taglino il codino alle nostre Mercedes? Vedremo. Tanto, che ci possiamo fare? Siamo stati noi, con la smania dei nostri investimenti, a svegliare il Dragone: smettiamola di lamentarci come donnicciole.

08 marzo 2019

Così era scritto

La ferrovia Savona Ventimiglia nei pressi di Pietra Ligure


Errare humanum est, perseverare diabolicum

La disfida che va in scena in questi giorni non è la mera vicenda di fare o non fare un tracciato ferroviario: è un discrimine, apparentemente troppo “caricato” di nodi politici che sono venuti al pettine. Ma, osservando con più attenzione gli eventi, si può affermare che non poteva non accadere, e non per mera convenienza di questo o di quel partito: sono in gioco i valori fondanti di un partito (M5S) e una parte dei valori dell’altro (Lega).
Sorvoliamo brevemente la vicenda:

1) E’ verissimo che i traffici ferroviari sulla linea incriminata sono in calo costante, dal 1992 ad oggi;
2) E’ altrettanto falso che la TAV sposterebbe volumi di traffico dalla gomma al treno, poiché questo evento – di per sé utilissimo – comporta altre azioni, ossia una gestione intermodale dei trasporti che in Italia è ancora oltre l’orbita di Saturno, e nessuna TAV le sposterebbe di un millimetro. Chi non ne è convinto, prima si legga il mio “Il futuro dei Trasporti” (pdf) e poi ne riparliamo (1);
3) Un investimento su infrastrutture ferroviarie sarebbe più utile e meno costoso se si raddoppiasse – finalmente! – la linea costiera, tuttora a binario unico e fatiscente, fra Finale Ligure e Ventimiglia.

Questo, ultimo punto, richiede alcune precisazioni.
A parte che converrebbe rifare totalmente la linea spostandola più a monte (come è stato già fatto per la Savona - Finale Ligure), giacché le differenze di costo da un binario unico ad uno doppio sono minime, ci sarebbero altre ragioni per farlo: chi usa queste linee di trasporto per le merci?

Principalmente, si tratta di trasporti provenienti dal Sud della Francia e dalla penisola iberica (o dai suoi porti) che viaggiano verso l’Europa dell’Est e viceversa, o diretti in Italia: chi sbarca a Cherbourg od a Rotterdam, non passa certo per Bardonecchia, avendo a disposizione una linea più diretta che, attraverso la Germania, poi va ovunque. Si aggiunga che la stessa Maersk sta attrezzando Vado Ligure come secondo porto europeo per le merci del Sud Europa, in alternativa alla sempiterna Rotterdam.

Quali sono le ragioni per le quali questa scelta è la più conveniente?
1) Chi sale dalla penisola iberica verso – poniamo – Trieste o Tarvisio, cerca l’arco minimo, perché più corto e più conveniente: perché dovrebbe salire fino a Lione per ridiscendere a Torino? Inoltre, già a Savona, c’è una prima tri-forcazione ferroviaria: verso Torino, verso Milano (via Acqui, Alessandria) e verso Genova. Tutte linee elettrificate, solo la Cairo-Acqui è a binario unico, ma la notte è deserta e con scarso traffico diurno.
2) C’è già una forte concorrenza – segno che il mercato è vivace e la richiesta c’è – fra la ferrovia ed il mare: la Grimaldi ha due enormi traghetti che fanno la spola fra Genova e Barcellona, ciascuno dei quali porta circa 300 TIR.

In definitiva, la TAV servirebbe soltanto ai traffici frontalieri fra l’Italia e la Francia centrale, che sono quelli che sono e non sono destinati ad aumentare: è stato il “sogno” della commissaria ai trasporti della UE Loyola de Palacio (1950-2006), che la pensò in anni lontani, senza nemmeno riuscire a convincere gli spagnoli a fare un tunnel sotto i Pirenei: nessuno le diede ascolto.

Ho condensato in poche righe un discorso che sarebbe enorme, ma questo non è un libro ma solo un articolo, perciò andiamo alle conclusioni più politiche.

Oggi, i due attori di governo, o trovano una sintesi soddisfacente oppure il governo va a casa: hanno giocato fino all’ultima carta e, quando Salvini ha tentato di giocare duro, stavolta Di Maio ha risposto “vedo”.
Perché?

Perché la TAV non è soltanto una ferrovia, è un simbolo di questa Unione Europea (e della sua mammella del Liberismo sfrenato) contro il quale il M5S ha cercato di opporsi, mentre la Lega ha semplicemente cavalcato la tigre. Il governo ha dovuto cedere dove c’erano penali su contratti firmati (da altri) che non concedevano spazi, vedi TAP e Italsider.
Qui, si è di fronte a due scelte: quando si commette un errore, è meglio scusarsi e riconoscerlo oppure correre fino in fondo alla china e poi urlare “Si salvi chi può”? Perché la TAV, proprio questo è: fra vent’anni porteremo i nostri nipoti ad osservare i ruderi della possente, ed inutile ferrovia?

Sarebbe sciocco vedere in questo scontro la classica tenzone fra destra e sinistra, perché questi nove mesi di governo, se non altro, hanno dato una potente picconata a questo granitico concetto. “Lo dice perché è di sinistra”, “ma se è di destra…”
Eppure, non tutti i 5S sono poveracci che aspettano il RdC e non tutti i leghisti sono imprenditori che aspettano di “ciucciare” dalla TAV. Ossia, una parte dei rispettivi elettorati ha scoperto che, forse, per la prima volta da tanti anni, qualcuno cercava di fare l’interesse degli italiani. In modo bipartisan, magari commettendo degli errori, delle ingenuità…ma hanno apprezzato il coraggio di provarci, almeno.
Difatti, la stampa di regime non è stata tenera, né con il M5S e né con la Lega. Ma gli elettori non hanno accolto molto bene lo “stop” al governo di Salvini, condito con i “contatti” fra Grilli, Saccomanni, Draghi ed il sottosegretario leghista Giorgetti, che anche le margherite sanno essere il trait d’union fra Berlusconi e Salvini.

Tornare a sentir parlare di decreti “mille proroghe” approvati sul filo di lana, grazie al provvido soccorso di +Europa più qualche franco tiratore del PD solletica l’appetito? Può essere, ma l’appetito si trasforma presto in mal di stomaco. Soprattutto quando si rammenta quel contratto, firmato, di governo…già…perché non ho contato fino a dieci…
Credo che Salvini, questa volta, cederà, perché ha compreso che un (inevitabile) ritorno sotto l’ala del cavaliere sarebbe la sua fine politica.

Da un lato chi si pone il problema di risolvere cose per la gente (senz’altro più difficile), dall’altra chi si pone l’obiettivo di rimpinguare i bilanci delle holding del cemento e del ferro (senz’altro più facile): scegliere, scegliere, scegliere.