28 dicembre 2018

Strane coincidenze





E’ passato Natale, verrà Capodanno e l’Etna si è svegliata. Per fortuna il vulcano catanese non è come il suo collega napoletano e non combina sfracelli: rutta, vomita, ma non provoca nubi piroclastiche che ammazzano intere popolazioni. Questo perché è un vulcano a magma basico, vale a dire che la non acidità del suo magma non procura…stitichezza, ossia non permette la formazione di “tappi” nel condotto magmatico i quali, quando i gas interni premono, fanno saltare per aria tutto.

Qualcuno, però, pensava all’Etna in modo diverso…

“Nel 1953 Mattei aveva tentato la via della geotermia, costituendo insieme alla Finelettrica, la Società Italiana Forze Endogene (SIFE). La nuova società, in cinque anni, e con un investimento di due miliardi di lire, doveva incrementare la ricerca nel settore; ma il mancato accordo sul prezzo di vendita dell’energia elettrica prodotta con i vapori naturali fece fallire il progetto e la SIFE fu subito sciolta (1954).” (1)

Mattei era un uomo volitivo e coraggioso: non si poneva limiti al suo agire, giacché il suo compito fu quello di trovare risorse energetiche per un’Italia che s’apprestava a diventare un grande Paese industriale. La questione si chiuse rapidamente poiché il prezzo del barile di petrolio, all’epoca, era veramente  irrisorio (pochi dollari il barile). Perciò, Mattei si gettò a capo fitto nella ricerca d’accordi con i Paesi produttori, che terminò con lo schianto di Bascapè, deciso dagli “stati maggiori” internazionali dell’energia, e non solo energia. Ma non è questa la sede per approfondire quei lontani eventi.

La domanda che giunge spontanea è: l’Italia, ha mai esplorato la possibilità di trarre dal sottosuolo una porzione importante del suo fabbisogno energetico?
Stupirà, ma – a parte Larderello, tuttora attivo – non ci sono stati altri tentativi: eppure, siamo un Paese  che ha sul suo territorio ben 4 vulcani in attività e, cosa non meno importante, tutta l’aera tosco-laziale è un’area di “letti caldi” e mica poco caldi!

La storia dell’energia geotermica, in Italia, è quasi tutta confinata fra gli anni ’30 e gli anni ’60 del Novecento e sono giunte fino a noi le memorie – potremmo dire quasi “testamentarie” – d’ingegneri e geologi che lavorarono e sperimentarono, cercando di gestire al meglio il poco esistente (Larderello), nella totale indifferenza della classe politica e, soprattutto, delle aziende (ENI, ENEL, ecc) che ebbero in mano il destino energetico del Paese.

Fa quasi tenerezza leggere le memorie del Dr. Claudio Sommaruga che, nel 1974, cercava di raccontare i termini di un’avventura vissuta in perfetta solitudine, nel senso che nessuno gli diede retta (2). Eppure, grazie alle pompe di calore, riuscì a soddisfare le esigenze di riscaldamento della città di Ferrara (ed altre) ed un grande impianto a Milano, che funzionò per il riscaldamento civile dal 1935 al 1971. Poi, amaramente, concluse che tutto fu “modernizzato” con alimentazione a gasolio o metano.
Nel 2010, infine, fu organizzata una manifestazione in ricordo di quegli anni eroici e le conclusioni, assai amare, furono espresse (immagino dallo stesso Sommaruga, o da uno dei suoi allievi) con orgoglio unito ad amarezza:

Concludo, con un conforto e un rammarico. Questa carrellata e testimonianza di una storia dimenticata, ma tessuta in primo piano dai geotermici italiani: la constatazione oggi che le nostre speranze giovanili degli anni ’50 non erano utopie e il rammarico che non siamo stati abbastanza convincenti nella promozione del ruolo che le fonti geotermiche meriterebbero tra le energie rinnovabili.” (3)

A latere, queste vicende ricordano altri primati dell’ingegno italiano – il dirigibile, che con Umberto Nobile ci rese celebri nel mondo, ricordando che il celebre Norge, il dirigibile norvegese che per primo giunse al Polo Nord era, in realtà, l’N-1 della Regia Marina venduto ai norvegesi – o come Carlo Ghega, ingegnere veneziano, che costruì parecchie, ardimentose ferrovie austroungariche, al punto da essere immortalato nelle banconote da 20 scellini e d’avere una tomba monumentale al Cimitero Centrale di Vienna. Potremmo continuare con Meucci, Marconi, ed altri…ma non è il caso: tutti siamo a conoscenza del grande genio italico. Oggi, in tutto il mondo, si tornano a costruire dirigibili, e noi ce ne siamo…dimenticati!

Lasciamo queste lamentazioni e torniamo ai nostri vulcani: tralasciamo il vulcanesimo quiescente (quello che genera i “letti caldi” e che sta tornando in auge con le pompe di calore), e vediamo i vulcani attivi.
Due sono nelle Eolie (Stromboli e Vulcano) e la ristrettezza degli spazi agibili, più i legittimi interessi turistici, non consigliano di costruire chissà quali meraviglie della tecnologia su quelle isole.
Poi c’è il vulcano che più di tutti ha dato preoccupazioni, sin dal tempo di Plinio il Vecchio: il Vesuvio e tutta l’area flegrea. Il ragazzo è un tipo imprevedibile, perché è a magma acido: forma spessi “tappi” che occludono il canale di scorrimento delle lave, poi si sveglia di colpo e combina sfracelli. Ci sono alcuni studi sullo sfruttamento energetico del Vesuvio ma, domandiamoci: siccome è capace di restare silente per decine o anche centinaia di anni per poi svegliarsi come un dio irato, vale la pena d’investire quattrini su quel vulcano? E non basta: tutta l’area flegrea è ricca di sorgenti d’acqua calda e sarebbe perfetta per lo sfruttamento energetico, ma è soggetta a fenomeni di bradisismo, si aprono voragini, ci sono stati terremoti devastanti.

Rimane l’Etna, che è il maggior vulcano italiano, ed anche quello che sì ha dato problemi, ma solo per le “sciare” di lava che si aprono in alta quota e poi scendono in canaloni devastando ogni cosa.
Il vulcano, però, ha le sue bocche più recenti (da secoli) sul versante sud-orientale, mentre l’area nord-occidentale è da secoli tranquilla. E, anche se si aprisse una bocca di sfogo su un altro versante, si potrebbe intervenire (com’è già stato fatto) con canali artificiali di scorrimento: l’importante, è che l’Etna non è un vulcano esplosivo per sua natura, come il Mauna Loa delle Hawaii, che da decenni erutta senza mai esplodere.

Anni fa, m’interessai all’eruzione del 2001: ebbene, in quella eruzione, l’Etna vomitò una quantità di lava ad alta temperatura corrispondente, all’incirca, al 6% del fabbisogno energetico complessivo annuo italiano.
Non si tratta, ovviamente, di far bollire dell’acqua nelle lave a 1.200 gradi centigradi, perché sarebbe da folli, però ci sono alcuni interessanti studi sullo sfruttamento del vulcanesimo attivo.

Il maggior impianto, per importanza e funzionalità nel tempo, è senza dubbio “The Geysers”, nel Nord della California, che alimenta di energia elettrica l’intera città di San Francisco. Con una potenza installata di circa 1600 MW, fornisce circa 1.000 MW di energia in modo costante: è molto, è l’equivalente di una grande centrale nucleare.
E’ stata costruita in una località dove già i Nativi sapevano dell’esistenza dei soffioni d’acqua calda poi, grazie alla tecnologia, è stato possibile lo sfruttamento.



L’Islanda (insieme al Giappone) è all’avanguardia negli studi e nello sfruttamento dell’energia geotermica, già si produce energia elettrica e quasi tutta l’energia termica per il riscaldamento delle abitazioni. Presto, mediante perforazioni, raggiungeranno un sito dove le rocce sono a circa 500 °C, e quindi produrranno vapore supercritico per alimentare le turbine. L’Islanda, presto, diventerà esportatrice d’energia, e la Gran Bretagna si è detta disponibile ad importare l’energia elettrica islandese in eccesso.



In molte parti del Pianeta la geotermia sta interessando il settore energetico: non è inquinante, non è pericolosa, sfrutta tempi “geologici”, che agli investitori piacciono. Necessitano ingenti investimenti, però una volta compiuti la resa degli impianti è costante nel tempo, per molti anni, decenni…forse secoli…

Mi domandavo se l’Etna non sia sfruttabile in questo senso: grazie all’innovativo sistema HDR (Hard Dry Rocks) è possibile, dopo aver scavato un pozzo, immettere acqua fredda e ricavare vapore alla temperatura di centinaia di gradi, rimanendo all’esterno della caldera del vulcano (4). Dopo, funziona tutto come in una centrale termoelettrica, solo che non si consuma un grammo di carbone, né di petrolio o gas.
Probabilmente, gli sviluppi di quella tecnologia giungeranno a far circolare l’acqua/vapore non a contatto con le rocce vere e proprie, bensì solo all’interno di tubi piazzati nei pozzi: le acque termali sono ricche di sali e corrodono facilmente le attrezzature. In quel modo, circolerebbe solo acqua distillata.

Non voglio, però, toccare molto gli aspetti tecnici, giacché questa è materia per geologi ed ingegneri minerari, piuttosto capire come, dove, quando e perché si potrebbero/dovrebbero attuare queste tecnologie, come già ricordava il Dr. Sommaruga nel suo accorato ricordo del tempo dei “pionieri”.

Purtroppo, in Italia non esiste una “centrale operativa” per quanto riguarda gli aspetti energetici: oddio, c’è, ma è esterna alle istituzioni democratiche. Ossia il complesso ENI-ENEL, che tutto fa e decide: s’è visto quale potere abbia messo in gioco l’ENI per il caso Regeni – di là della sua gravità o delle implicazioni che si possono leggere in quella tragedia – soprattutto per la caparbietà con la quale ENI ha difeso i suoi interessi (i nuovi giacimenti di gas egiziani), che sono anche gli interessi italiani nell’energia e nel Mediterraneo, ma che non sempre sono sovrapponibili e conciliabili. Forse, se fosse esistita una struttura statale al riguardo, Giulio Regeni sarebbe stato fermato prima d’infilarsi in guai più grandi di lui.

Mi ha molto stupito che il M5S abbia fatto poco nel settore energetico – non m’aspettavo niente dalla Lega, che ha sempre ignorato il problema – perché parte del suo elettorato era ed è molto sensibile al riguardo: qui, c’entra poco la questione del riscaldamento ambientale, mentre si entra nel territorio che fu di Mattei, ossia l’indipendenza energetica o, almeno, la certezza delle fonti.
Nulla da eccepire sul secondo punto per quanto riguarda l’ENI, che non ha mai fatto mancare il rifornimento energetico al Paese, però suscita un po’ d’apprensione che non vi sia una controparte pubblica che dialoghi con i due colossi dell’energia italiana. Domani, dovremo gestire la transizione al trasporto elettrico: sicuri che non serva un qualcosa che funzioni come un Ministero per l’Energia? Senza più utilizzare i “servigi” di una società privata e quotata in Borsa per questioni che sono legittimamente e squisitamente d’ordine politico?

L’ENI è una società quotata in Borsa, come del resto lo è l’ENEL, ma per entrambe esiste ancora la “Golden Share”, ossia la possibilità, da parte pubblica, d’intervenire per le questioni strategiche. Si tratta di un quadro normativo fragile, che non consente un reale dialogo fra le parti: sa più di ricatto per entrambe le parti, non di dialogo.
Abbiamo ancora nella mente l’immagine di Carlo Rubbia che sbatté la porta e se ne andò in Spagna, per costruire là quelle centrali termodinamiche nelle quali credeva (Andasol 1,2 e 3), mentre la prima (ed unica) centrale termodinamica italiana (Priolo Gargallo) fu associata ad un impianto ENI termoelettrico, depotenziando le peculiarità dell’impianto e temporeggiando, per la costruzione, finché nessuno si ricordo più (e dubito che qualcuno lo ricordi ancora) della piccola centrale sperimentale che, peraltro, è un decimo di potenza installata rispetto a quelle spagnole.

I Paesi produttori hanno il Ministero per l’Energia, mentre i consumatori hanno soltanto strutture private per acquistarla: è conveniente? Per qualcuno senz’altro, per la gran parte dei cittadini, ne dubito. Perché lo Stato, vale a dire quello democraticamente eletto, non può intervenire per le questioni tecnologiche d’importanza primaria? O un Paese è in grado di decidere autonomamente, almeno sul suo territorio, le proprie scelte energetiche, oppure è inutile parlare di sovranità. Tertium, non datur.
  

(*) By Stepheng3 - Own work, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19087599


13 dicembre 2018

Una lettura alla Tsipras


Il solito balletto delle cifre e dei decimali ha condotto il governo in un vicolo cieco, per la mancanza di memoria storica e per non aver capito che il nocciolo della questione non è economico, è politico. In altre parole, i nostri politicanti non si sono accorti d’essere precipitati in una lettura della nostra Storia recente delle politiche europee “alla Tsipras”, una lettura che ci conduce al fatidico 1992, all’inutile – e profondamente sbagliata – “difesa” della Lira che attuò l’allora presidente di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi.

Molti hanno incolpato Ciampi personalmente di quell’errore che, non dimentichiamolo, derivò direttamente dalle prime avvisaglie dell’enorme errore politico di voler accomunare i Paesi europei – situati sì in una modesta penisola e qualche isola, però molto diversi per storia, economie, culture, religioni e modi di vivere – in un solo insieme. Questo lo dico senza voler, in nessun modo, difendere la memoria di Ciampi, che era un economista, e dunque doveva sapere quel che faceva.
Tragicamente, si scelse la moneta come “mezzo” per unificare l’Europa: come usare una sola taglia di mutande per far diventare “uguali” tutti gli abitanti.

Senza comprendere che i processi storici durano secoli e comportano differenze che vanno rispettate, altrimenti è il disastro: gli USA sono un vero stato federale, con una sola moneta, ma – pur essendosi installati a spese dei Nativi (e, dunque, con una certa omogeneità di base) – hanno più rispetto costituzionale dei vari stati. Ah, già, noi una Costituzione europea non l’abbiamo nemmeno…
La Russia/URSS era quasi nelle medesime condizioni: un territorio immenso, quasi disabitato. Eppure, il tentativo di unificazione forzata di Stalin finì per produrre il 1989, ossia la fine. La Russia di Putin, oggi, usa tutt’altri metodi.
La Cina, invece – salvo modeste differenze – è uno Stato monoculturale, la lingua degli Han ha il sopravvento, le differenze fra Buddismo e Taoismo non sono poi così esiziali.
Ecco, il grande errore: prendere a calcinculo la Storia produce questi risultati.

Se, aprendo una parentesi fantastorica, Traiano non si fosse limitato a conquistare Ctesifonte per poi ritirarsi, ossia se avesse completamente conquistato e dominato l’Impero dei Parti (grosso modo l’area persica), si sarebbe trovato di fronte l’Impero Cinese. Ma, saggiamente, non lo fece, come non l’aveva fatto Alessandro, che si limitò ad una “toccata e fuga” fino al fiume Indo. Bisogna aver rispetto del volere degli Dei, che così avevano organizzato il Mondo.

Tornando a noi, Ciampi, nel 1992, “bruciò” inutilmente 70.000 miliardi di vecchie lire, una cifra enorme, per difendere un progetto, un sistema, un modus vivendi et operandi che era stato cancellato già dagli accordi del cosiddetto “Serpente monetario”: difatti, ne uscimmo, guarda a caso (!) insieme alla sterlina.
Da quella sconfitta non ci risollevammo più: l’antecedente, di pochi anni prima, fu la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, che tolse la possibilità di acquistare parte dei titoli di Stato emessi e non venduti alla parte pubblica. Magari generando inflazione, però con il corrispettivo della maggior “attrattiva” per le nostre merci.

Oggi, tutti i quotidiani titolano della “insoddisfazione” di Moscovici per l’accordo raggiunto – un accordo che prevede 8 miliardi in meno nella manovra – perché Moscovici fa bene a comportarsi così: se il nemico fugge disorganizzato, inseguilo e distruggilo, eviterai d’averlo di fronte in futuro (Sun-Tzu).

I due poveri pulcini – uno che gioca a fare il bullo di paese sui social, l’altro che già si vede come una sorta di De Gasperi in nuce – sono riusciti a “bruciare” anch’essi una bella fetta di miliardi di euro grazie alle variazioni dello spread, ed oggi si rifugiano con delle affermazioni strampalate, come quella d’aver una sorta di “tesoretto” di 18 miliardi. Rassicurazioni inutili: quei soldi sono soltanto una sorta di “cartolarizzazione” alla Tremonti: sono proprietà pubbliche che mai si sa chi e quando le comprerà oppure, peggio, pezzi d’apparato produttivo: quelli sul mercato sono ben accetti, soprattutto se si vendono per quattro stracci.

Sono caduti nella trappola, esattamente come Tsipras, ma avevano più carte da giocare nella faretra rispetto ai poveri Danaos, che non fanno più paura nemmeno quando portano doni. I due poveracci, sono riusciti a compiere un miracolo. In negativo.

Un’Europa claudicante come il suo Presidente, un’Europa ferita dall’uscita della Gran Bretagna, compressa dall’Orso Russo che se ne fotte degli ucraini e delle loro provocazioni, sbeffeggiata dagli americani per il suo modo truffaldino e levantino d’agire. Per i cinesi, sempre sorridenti, si tratta soltanto d’inviare sempre più portacontainer cariche d’ogni merce, dalle perline ai diamanti di vetro. L’Europa sta tramontando: la Germania si salva con il suo export verso i Paesi extra-UE, ma dove viene prodotta questa merce?
Nelle varie dependances dell’impero germanico: dalle periferie dell’Est – laddove i cinesi misurano le retribuzioni per attuarle nel loro Paese, fidando sul fatto che l’organizzazione cinese è in un solo Stato, con una logistica più conveniente, difatti le retribuzioni cinesi sono già superiori ai paesi dell’Est Europa – fino all’Italia dove, a Taranto, nello stabilimento della Vestas, sono state finora prodotte 18.000 pale eoliche, ossia 6.000 aerogeneratori. I bilanci, ampiamente in attivo, sono conteggiati nell’economia tedesca.

Dopo aver declassato l’industria dell’auto – grazie alla “provvidenziale” morte degli eredi naturali Agnelli – gli Elkann, EUsraeliani, hanno consegnato la nuova FIAT alla produzione di semplici commesse internazionali. I centri di ricerca FIAT sono stati chiusi. L’industria informatica di Ivrea – Olivetti – distrutta da De Benedetti: dava fastidio ad  IBM. Che fu, poi, “mangiata” dai cinesi di Lenovo.
Sulla produzione italiana di zucchero – ben 34 zuccherifici – è bastato sopprimere le draghe (regionali) fluviali che rendevano conveniente il trasporto dal campo alla raffinazione: oggi rimangono 3 zuccherifici, in via d’estinzione. A vantaggio dei produttori del Nord Europa.
Insomma, gli USA hanno un bilancio federale: come possiamo pensare di sommare spezzoni di singoli bilanci senza fornire quella omogeneità di prassi che richiede la formulazione di un vero bilancio?

Mi chiedo se i grandi “rivoluzionari”, che propalavano urbis et orbis il nuovo Verbo dell’indipendenza da questo circuito infernale – via dall’Euro! via dall’Europa! – si rendono conto dei frutti delle loro azioni, del loro cedere senza condizioni ai ricatti europei.
Mi sovviene quando Berlusconi, per le elezioni del 2006, incontrò e raggirò i rappresentanti dei No-Euro per avere qualche voto in più (poi ottenuto semplicemente comprando il senatore De Gregorio), senza sapere nemmeno cosa volessero o quali fossero gli obiettivi del loro agire.

C’è, in più, un’aggravante: Conte, Di Maio e Salvini hanno ceduto in un momento politico nel quale c’erano molte premesse di successo: il clamoroso “sforamento” del 3,5 % della Francia – che ha, in termini monetari, un debito maggiore del nostro – la difficoltosa trattativa del Regno Unito per uscire dall’Europa, le elezioni europee incombenti, il “tiepido” appoggio americano, l’interessato “appoggio” russo…ma quando mai simili situazioni si ripresenteranno?

L’errore primigenio è stato l’essere stati irretiti nel vortice delle trattative di levatura economica, senza comprendere che la vera contesa era di ordine politico: la Francia va sorretta perché, domani, i giubbotti gialli non giungano al potere. L’Italia va massacrata poiché, in qualche modo, la protesta ha raggiunto il potere.

Soluzione? Fare in modo che la “protesta al potere” sia enucleata, derisa, accumulata nel coacervo delle rêverie di provincia, nel sogno ad occhi aperti di una possibile rinascita. Per mantenere in vita l’oligarchia europea.

Stamani mi sono recato alla Posta, per pagare l’IMU e la spazzatura, per la quale ero in ritardo: 801 euro. Tredicesima: circa 1.300 euro. Un tempo, almeno sotto Natale, si faceva in modo che l’economia si riprendesse grazie, almeno, all’importo delle tredicesime. Anche questo sogno è sparito: sempre solo tagli, economie, risparmi da consegnare all’Europa.

Alla mia constatata malinconia nel consegnare la tredicesima all’Europa, ha fatto coro l’impiegata delle Poste: “Mi ero ripromessa di non votare più: poi, questa volta ho ancora votato perché mi son detta…proviamoci, se si riuscirà a cambiare qualcosa…la prossima avrò fatto tesoro di questa delusione.”

Così la pensano gli italiani, checché ne dicano i nostri governanti.

09 dicembre 2018

La Lega del Cemento

Il luogo dove s'arresta il canale, a 12 km da Crenona.

Ma di cosa stiamo a blaterare? Sarebbe ora che i vari Di Maio e Toninelli la smettessero di chiamare a consulto “esperti”, di fare “valutazioni” di parlare di “costi e benefici” per la TAV, d’ascoltare chi dice che “una cosa iniziata si deve portare a termine” e tutta una serie di facezie del genere. Una cosa è chiara: la Lega è il partito del Cemento, il M5S no. Tutto qui: volete un esempio?

Roberto Maroni è un esponente di spicco della Lega? Per qual che ne so io, un anno fa era il Presidente della Regione Lombardia, un presidente della Lega Nord. L’attuale Lega di Salvini sconfessa il suo passato? Non mi pare. Maroni è tuttora un politico della Lega, non è stato sconfessato, non è stato cacciato, non è stato zittito. E’, come usa dire, soltanto “dormiente”.
Perché chiamo in causa Maroni?

Perché, il nostro presidente leghista con cravatta verde, fu chiamato a dirimere una questione non proprio di secondaria importanza: quella del canale navigabile fra Milano e Cremona, e poi a Mantova fino a Venezia (1).
E’ una storia che ho già raccontato, ma che non mi stufo di raccontare perché è una vicenda sintomatica di chi comanda in Italia: fra i pochi che hanno sempre il potere di veto, c’è senz’altro il partito dei Cementieri, una lobby ascoltatissima, di qua e di là del Tevere. E, in un canale, c’è troppo poco cemento e molti che storcono il naso. Perché ci perderebbero sui pedaggi e meno traffico sulle faraoniche linee ad alta velocità ferroviaria. Un’alleanza di ferro. E cemento.

Correva l’anno 2015 e, il 6 di Novembre, fu indetta a Cremona una riunione (2) che doveva dire finalmente una parola chiara – Sì o No, per capirci – per sapere se il canale Milano-Cremona andava terminato oppure no: faccio presente che 12 chilometri del canale erano già stati costruiti, ed il canale è fermo in località “Tencara di Pizzighettone”. Perché?
Perché Maroni, nel miglior stile cattocomunista, si fece portare una bacinella d’acqua – rigorosamente padana, non so se raccolta alle sorgenti del Po – e, come Ponzio Pilato, chiese: Cristo o Barabba?
Passò la mano, e sentenziò con gran saggezza e tormentandosi il pizzetto della barba: “Facciamo un bel tavolo di consultazione!”
Così fu fatto. Avete sentito ancora parlare del canale? Silenzio.

Toc, Toc. Chi è? “Sono l’Europa, quella cattiva, quella della Trojka e del Lussemburgo uber alles…vorrei sapere cos’avete deciso…”
Silenzio.

Perché l’Europa non capisce perché non accettiamo di terminare un canale che ci consentirebbe di “sturare” il traffico autostradale: una nave fluviale del Tipo V porta l’equivalente di 84 TIR o una trentina di convogli ferroviari. Un canale che ci costerebbe 2 miliardi, ma la metà ce la darebbe l’Europa. Promesso: anzi, chiesto, richiesto, sollecitato. Vuoto, Maroni attende il “tavolo”: il tavolo è silente, no, qualche volta giocano a scopone. Mentre loro giocano, io vorrei ricordare che nel 1946 il traffico merci fluviale italiano era pari a 16 milioni di tonnellate, oggi è soltanto di un milione. Alla faccia del risparmio energetico. 

Sulle vicende di questo canale potrete informarvi da soli: coinvolge un po’ tutti, da Maroni (2015) a Prodi (1996), poi Mussolini (1941), Zanardelli (1902)…tutta gente che voleva fare il canale (?)…fino a chi davvero lo realizzò, ossia l’Imperial-Regio governo Austroungarico che, nel 1829, con la presenza dell’arciduca Ranieri d’Austria, inaugurò il collegamento fluviale/marino Locarno-Milano-Cremona-Mantova-Venezia. Erano altri tempi, altre navi (ossia chiatte), altri uomini e donne, altra cultura.

Così, domandiamo alla Lega: come mai per il canale Maroni propose il salomonico “tavolo di consultazione” mentre oggi, la stessa Lega (e non raccontatemi che sia diversa!), vuole fare la TAV ma non vuole il canale?
Qualcosa ci ha insegnato anche la tragedia di Genova: mentre nei primi giorni era un solo, unico coro di tregenda nei confronti di Benetton – si rischia di perdere consensi, che la storia dei clandestini s’ingolfi, stiamo zitti che è meglio – poco dopo, anche grazie ai buoni uffici di Toti (FI), le posizioni divennero più sfumate e, oggi, sappiamo solo che “in questo mese” comincerà la demolizione con l’esplosivo.
Mentre, un pool d’ingegneri aveva consigliato di verificare se la parte Ovest del ponte (la meno coinvolta nel disastro) non potesse essere utilizzata per ricostruire un ponte in acciaio, ossia come semplice struttura di servizio.
No! Esplosivo! Via! Boom! Le Tv sono pronte? Preparate Renzo Piano, mettetegli un po’ di cerone…forza!

Insomma, lo capite da soli chi c’è dietro? Gli stessi che, oggi, guadagnano come matti per il “giro” di 126 chilometri in più che i TIR che giungono dalla Spagna devono fare per arrivare a Genova? Qualcuno ha spodestato Benetton? Toninelli, prontoooooooo!!!
La vicenda del canale è una storia italiana, di quelle che i soldi devi spenderli ma, dopo, non puoi toccare troppo altri interessi: la Lega lo aveva capito, continua a capirlo, e vuole cementare la val di Susa per niente. Il M5S no. E fare un “tavolo di consultazione”, stavolta, la vedo dura: perché Salvini non richiama Maroni?
Ma per favore.

03 dicembre 2018

L’Europa ha ragione: non è finita la pacchia


Una sera, discorrevo con un sindaco: un bravo sindaco, uno che fa pagare l’acqua (pubblica, del Comune) ai suoi abitanti una ventina di euro l’anno, che fa pagare poco la spazzatura…insomma, un bravo sindaco. Della Lega.
Ciò che mi disse, mi meravigliò. Parlando di bilanci, mi confessò che lo Stato aveva tagliato non ricordo più quante decine di migliaia di euro per il suo Comune (come per gli altri) e di come fosse arduo mantenere le promesse fatte agli elettori. Poi, sbottò in una frase che mi colpì: “Però, se non si ruba, ci sono i soldi per fare tutto”.

Già…si ruba…però ci sono leggi precise, ci sono la Magistratura, i Carabinieri, La Finanza, la Polizia…come si fa a rubare? Molto semplice.

In Italia ci sono (Aprile 2017) 7982 Comuni: ogni comune un consiglio comunale, ogni consiglio comunale un assessore al Lavori Pubblici. L’assessore ai Lavori Pubblici è molto spesso un Geometra, un Ingegnere o un Architetto ed è quasi sempre supportato da uno o più Geometri comunali.
C’è da asfaltare una strada. Che si fa?

Non si può certo “razziare” una parte del denaro stanziato – roba d’altri tempi – oppure farsi beccare con la classica “bustarella”. No, ci vuole finezza, “ci vuole orecchio” – come narrava Gaber – per non farsi beccare.
Il nostro bravo assessore, che chiameremo Caio, apre uno studio, nel quale la gente sa che sarà più facile ottenere l’approvazione di un progetto…ma queste sono cose di poco conto…pubblicità elettorale. Di cosa si occupa lo studio?
Accatastamenti, restauri, costruzioni…gli architetti aprono gli studi, i politici le fondazioni: stessa roba.

Il nostro assessore può benissimo fare un po’ di compravendita d’immobili in proprio: e chi glielo può proibire?
Caio ha appena acquistato un rudere od un vecchio fabbricato, sapendo che in quella zona ci saranno possibili acquirenti. Lo compra per quattro soldi, ad esempio 30.000 euro ma…dopo…quanto costerà rimetterlo a posto? Mettiamo 20.000 euro. Spenderà in totale 50.000 euro: dovrà venderlo almeno ad 80.000 se vorrà guadagnarci qualcosa, tenendo conto delle spese accessorie, burocrazia…eccetera.
Il signor Tizio, ad esempio, ha un’impresa in grado di restaurare l’immobile, mettere a norma gli impianti, insomma, quello che serve. Ed è anche in grado d’asfaltare una strada. Bene, anzi, benissimo.

C’è un appalto comunale di – poniamo – 50.000 euro per asfaltare la strada: sono previsti tot ore di lavoro per eseguire l’opera, tot di materiali…ma, in realtà, non c’è nessun controllo su tempi e costi. E nemmeno sulla durata nel tempo dell’opera. L’appalto, come si fa di norma, è al ribasso: chi fa l’offerta minore, a parità di servizio, vince.
Tizio, ovviamente, ci tiene a quell’appalto e allora…cerca di sapere quali sono le offerte della concorrenza…ma…come si fa?
S’interpella Caio, il quale potrebbe conoscere anzitempo le offerte – giacché giungono sulla sua scrivania – e potrebbe dunque spifferare qualcosa. Immaginiamo il colloquio?

L’assessore fa presente quei ventimila euro che deve spendere per la ristrutturazione…eh, un bel problema…e Tizio, ovviamente, si propone d’eseguire il lavoro…in economia, certo…però una fattura ci vuole, mica si può fare tutto in nero! La concorrenza non sta a guardare! Ed è pronta a denunciare.
Giungono ad un accordo: lavori per 20.000 euro e fattura, reale, di 4.000. L’appalto, sarà dato a Tizio per 49.000 euro.

L’assessore è contento, perché il costo totale del suo immobile non supererà i 35.000 euro…quindi: o più guadagno, oppure una vendita più veloce (la scelta più gettonata) per far rientrare i soldi in circolo e metterli su un altro affare. Una scuola, un ponte, un’altra casa…non importa: il sistema è questo.
Anche Tizio è contento, perché ha vinto l’appalto e, armandosi di pazienza, è  certo, prima o poi, d’incassare 49.000 euro. Il lavoro?
Beh, per la casa non sarà difficile: qualche ora in più in “nero” da parte di gente fidata e competente e, soprattutto, qualche albanese, moldavo, senegalese…o quant’altro che lavori in fretta e per poco. In nero? Una buon parte sì.
Ma non basta.

Sapendo d’averla fatta sporca entrambi, i due sono legati da un patto segreto – a volte addirittura “di sangue”, perché potrebbe esserci di mezzo una lupara – e dunque, beh…l’assessore non farà fare controlli…magari darà al Geometra del Comune del lavoro per il suo studio – in nero, ovviamente – cosicché non dovrà affaticarsi a controllare.

Adesso, però, Tizio dovrà ridurre le spese all’osso: meno centimetri d’asfalto da grattare e poi da ri-asfaltare, minor qualità dell’asfalto…insomma, un lavoro più “veloce”, una “passata” e via. Tutto funziona così: dagli appalti per i lavori stradali allo sgombero della neve. Ogni appalto ha la sua “cresta”.

Chiedetevi, adesso, come mai è comparso l’adesivo che ho letto sul retro di un’automobile: “Non sono ubriaco, sto cercando di scansare le buche”. E perché, anni or sono, le strade duravano il doppio.
Chiedetevi anche perché il consumo di cemento pro-capite, in Italia, era di 801 kg negli anni ’80: il doppio del consumo europeo (1). Quattro volte la superficie vergine ricoperta ogni anno rispetto alla Germania. Ecco cosa scrissi anni fa ne “La guerra di Cementland”:

Nel 1998, in Germania, ad esempio, una nota rivoluzionaria proveniente dalla ex DDR – tale Angela Merkel, all’epoca Ministro per l’Ambiente, oggi Cancelliere – fissava per decreto la massima cifra di 30 ettari/giorno da concedere a Cementland, contro i 120 di prima. In Gran Bretagna, Cementland fu fermata nel 1946 con il New Towns Act, che sostanzialmente ricalcava lo stesso principio: la comunità definita “Stato” decide il massimo (in superficie) che può essere concesso all’invasore depotenziandone, così, le mire.” (2)

L’hanno fatto in Germania ed in Gran Bretagna: noi, invece, abbiamo aree industriali abbandonate per anni mentre, accanto, un bel prato o campo sarà cementato per costruire capannoni.

Adesso, moltiplicate il tutto per 7982 Comuni, 100 ex Province, 20 Regioni ed un Governo: quanto fa? Non lo sappiamo.
Ci sono cifre vaghe, che raccontano di una forbice che parte da 10 ed arriva a 60 miliardi l’anno (3): anche perché la corruzione sull’edilizia presa in esame è appariscente: ponti che crollano, strade che cedono appena dopo l’inaugurazione, scuole che dopo tre anni sono da buttare. Il Sole24 Ore definisce la cifra di 60 miliardi “una bufala” poiché proviene da una rilevazione media internazionale che, sulla base del PIL italiano, ricava questa cifra: non vorrete mica dire che l’Italia sia corrotta come le repubbliche delle banane! Cosa non si fa per accontentare i propri lettori…
Solo per avere un raffronto, il sistema scolastico costa sui 70 miliardi l’anno, quello sanitario sui 100. Tutta la lite per il RDC verte su una decina di miliardi.

Meno appariscenti sono le corruzioni in campo medico – convegni (leggi: vacanze) pagati dalle case farmaceutiche in cambio di prescrizioni a valanga sul solito antibiotico – oppure, gli stessi farmaci che costano pochi centesimi a Cuba (documentato da Michael Moore nel film “Sicko”) mentre da noi costano decine e decine di euro o dollari: perché? Poiché i prezzi dei prodotti chimici per sintetizzarli vanno a tonnellate, non a milligrammi! E finisce (con poche eccezioni) che i principali preparati farmaceutici, nel mercato all’ingrosso, non costano quasi niente. Tutta scatoletta, blister, colori e…pubblicità! Legale od occulta. La ricerca? L’acetilsalicilico (Aspirina) ha più di un secolo!

Sui prodotti petroliferi e chimici, poi, è un tripudio: il gasolio per uso agricolo (agevolato) che nelle cisterne torna ad essere gasolio per autotrazione (cambia il colore, ed il prezzo), oppure l’alcool denaturato per le pulizie che non viene denaturato (con l’aggiunta di colorante), e diventa spirito per liquori (gravato da 10 euro il litro d’imposta, che viene così elusa)…ci sono mille contraffazioni che sfuggono, mascherate con mille trucchi, chimici e contabili. Anni fa, alcune note raffinerie, in Sardegna, incameravano il famoso contributo “CIP6”, che pagavamo sulla bolletta dell’ENEL per le energie rinnovabili, perché “riciclavano” le frazioni più pesanti del greggio: operavano una semplice operazione di cracking, del tutto normale nelle raffinerie petrolifere, e lo facevano passare per un “recupero ecologico”. Dopo quella vicenda, l’ENEL “rinominò” il “CIP6” in qualche altro modo. Confondere, per offendere.

Siamo un popolo di corrotti, ma non per lombrosiana memoria: semplicemente perché le leggi lo consentono e/o nessuno riesce a controllare. Fuori d’Italia le cose cambiano: in Danimarca, se non rispetti le norme ed i tempi sulle grandi opere, giungono a ritirare il passaporto ai dirigenti.

Basterebbe inserire nei codici degli appalti (e nel codice penale) ben poche righe di testo, e la corruzione diminuirebbe, e di molto: avete visto che fine ha fatto la legge sulla prescrizione? Sarà discussa insieme alla riforma del codice di procedura penale il prossimo anno…campa cavallo, che l’erba cresce. Non bastava annullare le famose leggi che Berlusconi fece approvare per se stesso?

Chiediamoci perché succede così, perché questo governo s’avvia al suo fallimento: perché quel terzo dei votanti italiani che votò i 5 Stelle, oggi storce il naso.
Hanno accolto con favore la fermezza sul fronte dell’immigrazione, per niente le buffonate di Salvini sul fatto che “finiva la pacchia”. Per chi? Per chi speculava sui barconi senz’altro, per quelli dei barconi…beh…almeno un po’ di comprensione…e poi si dicono cristiani…
Ma, di tutte le grandi promesse dei 5 Stelle, non ne è passata una: il RDC staremo a vedere cosa sarà e, soprattutto, se e quando arriverà. Intanto, Berlusconi e Renzi (più migliaia d’altri personaggi) si fregano le mani per la prescrizione “sfangata”, tranquilli: “non è finita la pacchia”.

Lo scorso anno, abbiamo pagato 64 miliardi d’interessi sul debito pubblico: sono stati scritti centinaia, migliaia di articoli per spiegare, capire, comprendere cos’è quel debito, se sia giusto o sbagliato pagarlo. Lo scorso anno, come tutti gli anni, abbiamo pagato 60 miliardi anche per il “debito” verso i nostri amministratori corrotti ed i loro sodali, ma niente è stato fatto. Niente di concreto, niente che non consenta loro di temere la legge, niente che faccia loro capire quel vecchio monito latino: “dura lex, sed lex”.
Centinaia di ore passate su Facebook a rassicurare, blandire, inseguire chi scappa o vorrebbe scappare, ancora una volta, dall’ultimo partito nel quale ha creduto: il decreto anti-corruzione, per quella gente è acqua fresca. Conoscono solo una legge: quella di chi ti viene a prendere, una mattina, e t’infila le manette ai polsi.
Se non riusciremo a mettere fine a questo andazzo, a nulla serviranno le alchimie finanziarie e monetarie: giusto chiedere una moneta sovrana, ma – se dovrai pagare il pizzo per ogni metro cubo di asfalto, cemento od altro – la tua moneta sovrana evaporerà, come neve al sole. 

Ci voleva poco a capirlo: Salvini poteva permettersi di rompere non con Berlusconi, ma con le decine di migliaia d’amministratori corrotti, con le migliaia di Tizio e Caio che fanno parte del suo elettorato? Cosa potrebbe rispondere a Cota e Molinari, a Bossi e Belsito, se passasse la legge sulla prescrizione?

Quel signor Sindaco, che mi raccontò questa (ed altre) storie, fu anche candidato alle elezioni regionali ed eletto: arrivò, però, una telefonata da Milano, da via Bellerio. “Sai…sarebbe meglio che tu rinunciassi, avevamo un accordo con…”. E lui, obbediente, rinunciò. Ma restò al suo posto, nella Lega e in Comune.
Avete capito com’è la faccenda? Se non l’avete capito, tornate a rileggere le mille alchimie su come fare, rifare, rifondare, riavere, la famosa “Nuova Moneta” che vi renderà liberi dal debito pubblico, liberi dalla schiavitù europea, liberi dalle basi americane, liberi dall’orso russo, liberi dal lavoro di m…Liberi tutti!
Come a nascondino.


1) Enrico Deaglio, Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto, Milano, Feltrinelli, 1993.