26 settembre 2009

Fottuti

“…proprio sopra di voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti, che sfruttate la vitaper i vostri sporchi giochetti allora…allora…ammazzateci tutti!
Noi siamo qui, prigionieri del cielo come giovani indiani…risarciteci i cuori, noi siamo qui, senza terra né bandiera, aspettando qualcosa da fare che non porti ancora dei torroni a Natale…telegrammi «ci pensiamo noi»…condoglianze! condoglianze!”
Antonello Venditti – Canzone per Seveso – dall’album Ullalla – 1976.

E’ fin troppo facile prevedere il seguito della vicenda che i giornali relegano oramai in terza e quarta linea sulle loro pagine, tradizionali od elettroniche, perché la tragedia delle navi cariche di veleni, affondate dalla ‘ndrangheta, è il più grave attacco subito dall’Italia nel dopoguerra.
E’ facile perché in questo sciagurato Paese si ritiene che le notizie non siano tali se solo si riescono ad occultare, oppure a ridimensionare, ma non è così: quando Der Spiegel farà un servizio sulla vicenda, addio turismo tedesco. E la stessa cosa avverrà quando lo faranno i giornali inglesi, francesi e americani: siamo irrimediabilmente fottuti.
Per prima cosa voglio tracciare i confini di questo articolo, il quale non si occuperà delle indagini e dei retroscena – che sono tanti – della vicenda, giacché mi riprometto di farlo in un prossimo pezzo, che sarà necessariamente lungo (e che ho già iniziato a scrivere), il quale richiede molto lavoro di ricerca: per ora, fermiamoci all’evidente. Che è già tanto.

Partiamo da una riflessione: il mare non ha confini, sono gli uomini ad imporli.
Per questa ragione non ha nessun senso parlare di “tragedia calabrese”, poiché se è vero che il pentito Foti fu creduto soltanto quando i medici s’accorsero di una “impennata” dei tumori in quelle aree[1], è altrettanto vero che, per semplici principi chimico-fisici quali l’osmosi ed il prodotto di solubilità, quei veleni sono destinati a diffondesi non solo nel Tirreno, bensì nell’intero Mediterraneo. Comprendiamo che sia difficile da capire per la gran parte del pubblico, ma quelle navi rappresentano – per l’ambiente – il corrispettivo di una bomba atomica sganciata sulla Calabria, una sorta di fall-out che durerà secoli. E, questo, anche se non saranno ritrovate scorie radioattive.
La Procura competente – nemesi della Storia, il magistrato che se ne occupa si chiama Giordano Bruno – non ha nemmeno i soldi per far svolgere dettagliate ricerche, al fine di conoscere il contenuto di quei relitti.

Il Ministro Brunetta ha trovato, invece, 40.000 euro da consegnare a De Michelis, suo antico mentore nel PSI, per “consulenze” ed il vecchio “Unciòn" – come lo chiamano a Venezia, ossia “unto” (non certo dal Signore) bisunto, capello sporco, ecc – ha ricambiato comunicando che, stante la cifra, considerava il suo lavoro al Ministero come “volontariato”[2]. Noi, che per la metà di quei soldi lavoriamo tutti i giorni, ricambiamo ricordando come lo appellò Enzo Biagi: “un avanzo di balera”.
Per prima cosa, quindi, chiediamo al Governo, come misura immediata – ma anche a Walter Veltroni che si dice “molto allarmato” – di cacciare questo “pendaglio di storta” (è un chimico…) dal Ministero (se fosse possibile fare “ambo” con Brunetta, se non è chiedere troppo…), per consegnare quei 40.000 euro ad un rappresentante delle “élite di merda” – come definisce il nostro Brontolo veneziano chi ha ancora un cervello – e, specificatamente, nelle mani del magistrato competente. Meglio, con una cerimonia a Campo dei Fiori.
La dimensione della tragedia non è stata nemmeno avvertita dalla popolazione, poiché per “comprenderla” bisognerebbe sapere, e per sapere servono soldi, tanti soldi.

Partiamo da quello che sappiamo.
Foti parla di una trentina di navi affondate, di fronte ai litorali del Tirreno e dello Ionio (ma la “Anni” fu colata a picco in Adriatico), approssimativamente da La Spezia a Crotone, con prevalenza sulle coste calabre. Quanta roba c’è dentro a quelle navi?
Senza pretendere di cercare il pelo nell’uovo, possiamo affermare che per quei “lavori” furono utilizzati mercantili di non grande stazza, diciamo intorno alle 5.000 tonnellate. La tonnellata di stazza, però, non coincide con la comune unità di misura per la massa, giacché corrisponde a 100 piedi cubici anglosassoni, 2,83 m3 i quali, considerando per semplicità la densità dell’acqua pari ad uno, corrispondono ad una massa di 2,83 tonnellate. Chi vorrà una dettagliata esposizione, la troverà in nota[3].
E’ difficile fare una stima del carico trasportato, giacché non sappiamo se tutti gli spazi interni disponibili per il carico fossero stati utilizzati: il buon senso direbbe che, volendole usare come semplici “cassonetti” da affondare, le avessero riempite fino alla falchetta, ma non abbiamo prove.
Stiamo quindi “bassi” e conteniamo il carico a sole 3.000 tonnellate di peso: trenta navi – ma sono 180, secondo altre fonti, quelle “disperse” – fanno 90.000 tonnellate di materiali tossici disseminati in mare. Una montagna di robaccia.
Cosa ci può essere in quelle stive?

Non vorremmo che, in breve tempo, qualcuno rassicurasse: “Non ci sono scorie radioattive! Dormite sonni tranquilli!”, poiché il problema diverrebbe meno grave per un’inezia.
Quelle scorie, come ha affermato Foti, provenivano per la gran parte dalle industrie del Nord: quali sono gli scarti industriali che furono ritenuti così difficile da smaltire, al punto di rivolgersi ai mammasantissima?

1) Residui di verniciatura
2) Residui delle industrie galvaniche
3) Scarti dell’industria conciaria
4) Scarti dell’industria tessile e tintoria

Fermiamoci qui, anche se le tipologie saranno probabilmente molte di più, perché basta ed avanza.
I prodotti versati in mare sono, a questo punto, tantissimi e si deve tener presente un secondo dato: queste sostanze sono, a loro volta, reattive. Quindi, non possiamo sapere cos’abbiano generato dopo essere state immagazzinate alla rinfusa nei fusti, né le interazioni che possono essere intervenute – sono oramai decenni che sono in fondo al mare – con le strutture metalliche della nave e con l’ambiente marino (la salinità dell’acqua di mare, la pressione, ecc).
Insomma, là sotto c’è di tutto.
Per capire, almeno a grandi linee, cosa ci può essere partiamo dalle sostanze utilizzate per sintetizzare quei prodotti tecnici:

Metalli pesanti

Piombo: presente nelle comuni vernici di fondo in funzione antiruggine, usato per decenni (ricordate la classica “antiruggine” arancione?) in tutta l’industria, soprattutto in quella meccanica.

Cromo: è uno dei principali composti di vernici e sostanze coloranti (in greco, chroma, significa proprio colore), soprattutto nella forma esavalente (giallo ed arancio) mentre in quella trivalente è verde. Usatissimo nell’industria conciaria ed in quella metallurgica.

Mercurio: usato anch’esso per vernici e nell’industria farmaceutica. C’è da sperare che, siccome costa parecchio, le industrie cercassero di recuperarlo almeno in parte, così come per l’Argento dell’industria fotografica.

Rame: usato in agricoltura, ma certamente meno pericoloso e meno diffuso dei precedenti.

Stagno: usato per saldature in elettronica. Prodotto costoso, e c’è da sperare che proprio per questa ragione non sia presente in quantità significative.

Composti organici
La tipologia dei composti organici è vastissima, ci limiteremo al minimo:

Naftoli: usati per sintetizzare coloranti (vernici, tinture, ecc).

Ammine aromatiche: anch’essi adoperati per la sintesi dei coloranti. Entrambi causano il cancro alla vescica.

Altre sostanze

Solfati, Nitrati, Cloruri: Zolfo, Azoto e Cloro costituiscono, con l’Idrogeno e l’Ossigeno, gli acidi minerali più usati e conosciuti. Per loro natura non sono molto inquinanti, ma è difficile prevedere quali composti possano generare se lasciati, per anni e sotto pressione, in “compagnia” di un “pudding” di molecole organiche.

Cianuri: usati nel processi galvanici e di cromatura. Basta il nome.

Ci rendiamo conto che la trattazione è assai esigua (diserbanti, fitofarmaci, idrocarburi, ecc) ma ciò basta ed avanza per comprendere il problema: tutte queste sostanze, se entrano in contatto con organismi biologici, causano interazioni gravissime, che si manifestano con malattie della pelle e degli organi interni, malattie nervose e tumori.
Di più: non dimentichiamo che i molluschi, e gli organismi bentonici in genere, tendono a concentrare nei loro liquidi biologici sali tratti dall’acqua marina. Noi, mettiamo loro “a disposizione” il peggior campionario di veleni che si possa concepire: immaginate i risultati.

La catena biologica dei mari italiani è quindi definitivamente compromessa giacché, quelle 90.000 tonnellate delle peggiori schifezze, s’espanderanno lentamente: non è detto che l’Italia non si ritrovi, domani, al centro di costosissime richieste di risarcimento da parte degli altri Paesi rivieraschi.
Siccome il mare non ha confini, e la catena alimentare marina tende ad espandere ciò che è concentrato in un punto, nessuno sarà più certo di non “beccarsi” un pesce che contenga quella robaccia. Personalmente, mangerò soltanto più pesce congelato di sicura provenienza atlantica.
Perché si è giunti a questo punto?

Sicuramente perché il profitto è alla base del crimine: ovunque e chiunque possa sperare di farla franca, risparmierà denaro fregandosene della salute altrui. Non è nemmeno il caso d’approfondire.
Alla base di tutto, però, c’è una generale e diffusa ignoranza da parte della classe politica: sanno pochissimo di queste cose, e quando si trovano di fronte a problemi del genere stentano a comprenderli. Nominano “esperti” per ricevere lumi, si stendono inutilmente chilometriche relazioni, quando il dato è semplice. Solo a volerlo osservare nella sua crudezza.
Ci sono precedenti storici?

In Italia, per moltissimi anni, il Lago d’Orta (Piemonte) fu completamente sterile dal punto di vista biologico: gli scarichi della Bemberg (fibre tessili artificiali), ricchi di Rame, uccisero tutte le forme di vita. Solo dopo anni, s’ottenne finalmente che lo stabilimento fosse dotato dei più moderni ritrovati tecnici per la depurazione dei fanghi in uscita. Oggi, la situazione è decisamente migliorata e sono tornati i pescatori.
Il lago d’Orta, però, è un bacino ristretto, dove fu possibile pianificare gli interventi: mica una “sepoltura” a casaccio in tutti i mari d’Italia.
Un evento che fa invece gelare il sangue è quello di Minamata, in Giappone: nel dopoguerra, nella baia di Minamata, iniziò una catena di morti sospette. Nel 1956, si resero conto che la ragione erano gli scarichi (contenenti principalmente Mercurio) di un’azienda chimica. La “svista” causò 2.265 vittime e 1.784 morti[4].
Cosa possiamo attenderci?

Non è allarmismo ingiustificato e nemmeno spregio della Patria affermare che la situazione non è gravissima: è tragica. Se i giornali stranieri non minimizzeranno come i nostri, non sarà per una sorta di “italianofobia”: avranno soltanto ragione.
Possiamo continuare tranquillamente a mangiare il pesce pescato nei mari italiani? Portare i nostri figli al mare? Riflettiamo che una concentrazione, anche minima, di metalli pesanti nell’acqua genera danni biologici.
Chi avrà il coraggio di sospendere cautelativamente (ma totalmente!) la pesca, almeno nelle regioni colpite da questo crimine? Chi darà ancora le “Bandiere Blu”? Siamo invece certi che prevarrà la logica del voto e del “lavoro”, poiché il danno generato è incommensurabile. Insomma, dovremo accettare d’essere avvelenati giorno dopo giorno: ci chiediamo come faranno, da domani, Sgarbi ed i paladini di Italia Nostra a portare avanti la loro crociata contro gli aerogeneratori, che “distruggono le nostre coste”. Ci hanno già pensato altri.

Il problema poteva essere risolto in altro modo?
Alla base di tutto, come ricordavamo, ci sono due fattori: il profitto e l’ignoranza.
Se il primo non può essere, almeno a breve termine (cosa che, personalmente, gradirei) eliminato, la seconda sì.
Da anni studiosi, tecnici, scrittori e giornalisti avvertono che con l’incenerimento dei rifiuti non si distrugge nulla: le sostanze inquinanti cambiano semplicemente forma e s’espandono nell’atmosfera.
Così è per il mare (e per le discariche): se non si giunge a comprendere che, come abbiamo costruito, così dobbiamo demolire quel che scartiamo, le tragedie come queste si ripeteranno. Anche se, per come stanno le cose, oramai siamo alla frutta.
Considerare quel “pudding” di sostanze alla stregua del petrolio greggio, e quindi recuperare sostanze mediante processi di cracking per poi riutilizzarle, sarebbe possibile se, solo, s’investisse nella ricerca. Ma, noi, usiamo la ricerca solo come fonte di “posti” per i figli dei notabili, com’è stato ampiamente dimostrato[5].

Se qualcuno pensasse “in qualche modo le tireremo su”, si metta tranquillo: il recupero di grandi navi su alti fondali è solo roba per Hollywood. Fosse solo una pilotina, a 500 metri sarebbe già un problema: figuriamoci quelle affondate a 1.000 metri e più! Nemmeno da pensare.
Inoltre, anche spiccando un salto nella fantascienza, durante la risalita perderebbero il carico: niente da fare.
Dopo l’affondamento dell’Andrea Doria, nel 1956, si pensò di recuperala ma i costi furono considerati proibitivi: l’Andrea Doria, però, ha la chiglia a meno di 100 metri dalla superficie!
Inoltre, questi bei affondatori di veleni, non le hanno colate a picco con il sistema tradizionale, ossia aprendo le valvole a mare (i cosiddetti Kingston): troppa fatica. Come ha confessato Foti, piazzavano trenta chili d’esplosivo a prua e le facevano saltare.
Se, anche, per un caso dei casi, potessero essere recuperate immettendo aria nello scafo, le falle non consentirebbero di raggiungere una spinta positiva. Ma, lo ripeto, è una pura ipotesi “di scuola”.

Molto probabilmente, cercano di minimizzare il fatto – ossia che i mari italiani sono irrimediabilmente avvelenati – perché non sanno che pesci (sic!) pigliare: affidano i titoli di testa alle solite beghe, dalle escort alla RAI, perché un Ministro come la Prestigiacomo non ha assolutamente le capacità d’affrontare un simile scempio. Come sempre, s’adotta la strategia dello struzzo.
L’unica ipotesi – ma, sottolineo, è tutta da verificare – potrebbe essere quella di metterle in sicurezza ricoprendole di teli impermeabili e poi “sigillarle” con un “sarcofago” di materiale inerte. Ripeto: è soltanto un’ipotesi (data la profondità) e bisognerebbe scomodare le “teste pensanti” dell’ingegneria e della ricerca italiana, magari proprio i ricercatori universitari. Sono anch’essi “élite di merda”, Brunetta?

Cosa si dovrebbe fare?
Per prima cosa sospendere totalmente la pesca e la balneazione ovunque ci sia solamente il sentore di una nave affondata: chi avrà il coraggio di farlo?
In seconda battuta, chiamare rapidamente le migliori menti che abbiamo (e ci sono…) in Ansaldo, OTO Melara, Italcantieri, FIAT, ecc, e domandare loro se esiste una sola ipotesi d’arrestare la dissoluzione di quei carichi nell’acqua marina.
Come atto simbolico – come ricordavamo – sarebbe d’uopo rimandare il “veneziano da balera” a casa e consegnare al magistrato competente quei 40.000 euro: sarebbe soltanto un simbolo, ma sarebbe ugualmente importante.
Da ultimo, riflettiamo che le operazioni militari italiane all’estero sono ben 30, che assorbono 8730 militari[6] e risorse per svariati miliardi di euro (parecchi camuffati nelle “pieghe” dei bilanci): ad Ottobre, ci sarà il voto per il ri-finanziamento.
Cos’è dunque l’Italia?

Siamo un Paese che spende miliardi di euro per discutibili (uso un eufemismo…) interventi a casa d’altri, mentre è impestato da un cancro ancor peggiore: di certo, lo Stato italiano non governa un terzo del Paese!
Siamo, quindi – seguendo proprio la loro logica – messi ancor peggio di Karzai!
Potremmo chiedere il dispiegamento nel Sud di una forza multinazionale, oppure richiamare i nostri ragazzi da missioni impossibili, pericolose e senza costrutto per mandarli a presidiare il nostro territorio, perché ne abbiamo un gran bisogno.
Qualcuno potrà ribadire che le mafie non si combattono più con il presidio del territorio, giacché hanno assunto dimensione nazionale ed internazionale: ciò è vero – e serve dunque l’attività d’intelligence – ma solo in parte.
Le mafie hanno bisogno del controllo del territorio, perché la droga si raffina nei laboratori clandestini, le armi s’immagazzinano nell’attesa d’essere vendute, il “pizzo” non viene chiesto a Stoccolma, bensì da Roma in giù. Questa vicenda ne è la dimostrazione lampante.
Bisognerebbe anche avvertire i mammasantissima in carcere che, qualora qualcuno torcesse anche solo un capello di quei ragazzi, potrebbe essere messo in atto nei loro confronti non il "41-bis", ma il “metodo Stammheim”.
Se, invece, credete che queste siano soltanto fanfaluche, domani comprate un bel branzino, fatelo “al sale” e mangiatelo allegramente, come se niente fosse. Oppure, datelo al gatto del vicino: ma solo se lo odiate.
Articolo liberamente riproducibile, previa citazione della fonte.

[1] Fonte: http://www.terranauta.it/a1052/rifiuti_e_riciclo/navi_dei_veleni_in_calabria_rifiuti_radioattivi_provocano_decine_di_morti.html
[2] Fonte : http://www.corriere.it/politica/09_settembre_23/demichelis_57f058c4-a803-11de-94a2-00144f02aabc.shtml
[3] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Stazza
[4] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Minamata
[5] Vedi: http://www.clandestinoweb.com/box-focus/182631-ricercatore-denuncia-pressioni-gelmini-malcostume-indag.html e http://www.unica.it/pub/7/show.jsp?id=9263&iso=96&is=7
[6] Fonte: http://www.difesa.it/Operazioni+Militari/Riepilogo_missioni_attività_internazionali_in_corso/

21 settembre 2009

Caro Paolo Barnard

Non ci conosciamo personalmente, bensì per quel “interposto afflato” che è lo schermo, il Web, la comunicazione elettronica.
Per certi versi comprendo la tua decisione, per altri non la approvo affatto.
Non ho mai scritto qualcosa sul 9/11, perché non mi ritengo in grado di farlo: è già difficile raccogliere notizie e prove su un altro mistero, il 12/7 (Pearl Harbour), e su New York non aggiungo altro.
Decidere, però, che tutti coloro che ne parlano in modo “complottista” sia vaniloquio mi sembra eccessivo: leggiamo, ascoltiamo, ragioniamo. Se le tesi “complottiste” non avranno sufficienti riscontri, oppure la semplice coerenza interna – una sorta di cui prodest – alla fine crolleranno come un castello di carte.
Oppure, giungeranno a compimento, perché il Web è la voce di milioni di persone: sarà il tempo ed il lavoro (spesso gratuito) di queste persone a raccontarci, forse un giorno lontano, qualcosa di più su quei fatti. Non di certo la storia ufficiale, che si deve basare sui documenti ufficiali, i quali vengono de-classificati solo dopo molti decenni.
Non mi nascondo dietro ad un dito: Comedonchisciotte ha deciso di scegliere una delle ipotesi sul 9/11: e allora? Dobbiamo forse parlare solo del 9/11? Quale giornalista può affermare di sposare in pieno la linea redazionale? Ci sarà sempre qualcosa del quale pensa peste e corna, magari proprio il contrario del Direttore Responsabile. Cambierà giornale ogni settimana?
Ritengo, inoltre – e lo ricordo proprio per il tuo encomiabile lavoro su Youtube, la storia del sionismo che hai così ben spiegato – che in questo momento Comedonchisciotte abbia bisogno di tutto il nostro sostegno: quando arriva (o si sospetta che possa arrivare) la burrasca, si va tutti in coperta pronti a dare una mano. Ne va della vita di tutto l’equipaggio.
Ciascuno di noi – scrittori e commentatori – è una risorsa: ognuno di noi è importantissimo, nessuno è indispensabile. Però, per ogni persona che afferma “le fate non esistono”, una fata muore. Ricordalo.
Con immutata stima
Carlo Bertani
PS: ho riportato qui un appello che ho rivolto a Paolo Barnard su Comedonchisciotte. Ovviamente, ha soprattutto significato per le vicende di quel sito, ma ci richiama a quella che può essere oggi l'informazione, la nostra informazione (ancorché imperfetta, come afferma Barnard). Che potrebbe, domani, diventare il ricordo di un'informazione libera da condizionamenti esterni. Come ricorda ancora oggi il vecchio Ingrao, non dimentichiamo mai l'importanza dell'essere uniti.

18 settembre 2009

Chi è “nipotino” di Goebbels?

Devo confessare che mai avevo visitato il blog di Giorgio Israel: conosco il personaggio a grandi linee, e sono rimasto di sasso quando ho letto – in rosso, in alto a sinistra, bene in evidenza – la seguente avvertenza:

In questo blog la moderazione dei commenti è effettuata in modo molto selettivo. Inutile protestare.
Si rinvia al post del 25 gennaio 2009: “Continuiamo con regole nuove”.

Al che, vado a leggere il post indicato, e che ci trovo?

Quindi d'ora in poi questo è un blog dove si possono inviare commenti ma sapendo che compariranno soltanto quelli che reputo interessanti a insindacabile mio giudizio. Secondo criteri "meritocratici", tanto per essere coerenti con uno slogan sollevato in ambito scolastico. E chi non è d'accordo può sempre aprirsi un blog per conto suo (Petrolini docet).

In altre parole, il nostro vi dice: se scrivete cose che, in fin dei conti, concordino con le mie posizioni o, al più, non le disturbino troppo, sarete pubblicati. Altrimenti, ciccia: chi decide il merito? Lui.

Ovviamente, Giorgio Israel è padronissimo di fare sul suo blog quel che desidera – ci mancherebbe – ma questa non è la regola comune che la gran parte di chi scrive sul Web ha accettato: in pratica (io mi regolo così), si cancellano solo i commenti che contengono insulti, minacce, ecc e, se un commento ha poco senso, semplicemente lo si ignora. Tanto meno si esclude chi, argomentando e con educazione, critica le nostre posizioni: altrimenti, che senso avrebbe scrivere? Solo per farsi accarezzare?

Stanti i presupposti, il blog di Giorgio Israel non ha nessuna rilevanza nel panorama mediatico italiano, giacché è la proposizione in “salsa” Web dei metodi del suo datore di lavoro, Silvio Berlusconi, il quale non si preoccupa d’elargire panegirici senza contraddittorio, melensi sermoni in completo soliloquio e lungagnate senza che, nessuno, possa contraddirlo. Punto.

Ora, il nostro solerte censore, si preoccupa ed urla ai quattro venti d’esser stato oltraggiato da un commento comparso su un forum di Comedonchisciotte.org: commento che – ai più che frequentano il sito – probabilmente era sfuggito.
Risulta curioso ed ilare il mezzo utilizzato da Israel per urlare il proprio dolore: “Signora maestra, Pierino m’ha punzecchiato con la matita!”. Curioso perché dei commenti sono responsabili gli inserzionisti (facilmente identificabili) ed ilare perché le maestre sembrano proprio il bersaglio preferito di Israel e della sorellastra Gelmini, come vedremo in seguito.

Chi scrive sul Web è abituato alle persone maleducate e violente: già lo afferma l’amico (che saluto) Miguel Martinez – da se stesso definito “traduttore di manuali tecnici”, da me ritenuto ispirato scrittore – il quale, semplicemente, dichiara d’ignorarli.
Per pura conoscenza di Israel, riporto il testo di una e-mail giuntami dopo un articolo nel quale criticavo la politica israeliana per la guerra nel Libano:

"Si dovrebbe vergognare, lei , solo di pronunciare la parola “Pulizia Etnica”.
I suoi simili, con l’odio per ciò che è diverso da loro sono coloro i quali hanno condotto pulizie etniche Lei non è diverso da un SS, con le sue frasi che traboccano un impressionante odio antisemita! Lei non sa cosa è stata la SHOA e le persecuzioni razziali.
Il suo articolo è delirante! Affermare che Israele ha condotto una pulizia etnica in libano vuol dire affermare il falso, scientemente. Lei per suo fortuna, non sa neanche cosa voglia dire vivere nel terrore che i propri figli possano non far ritorno a casa perché qualcuno ha deciso di far saltare in aria il loro autobus, lei non sa neanche cosa voglia dire doversi nascondere dai missili, dopo che il proprio paese è stato aggredito e due dei suoi soldati rapiti.
Con questa lettera non intendo assolutamente far cambiare idea ad un essere spregevole come lei ma semplicemente ricordarle che nella storia dell’umanità in tanti hanno provato ad annientare il popolo ebraico e nessuno vi è mai riuscito, sono tutti scomparsi o morti prima! Amalech, gli egiziani, i papi, i mussulmani, l’inquisizione, hitler.
Continuare a proteggere quella parte dell’islam che ha intrapreso una guerra contro IL NOSTRO MONDO DEMOCRATICO E LIBERO è semplicemente una manifestazione della sua pochezza e poca intelligenza.
Le auguro di provare sulla sua pelle molto presto cosa voglia dire perdere un proprio caro in un attentato terroristico che verrà compiuto non dagli Israeliani da lei tanto odiati bensì da un integralista islamico…..ma probabilmente anche in quel caso accuserebbe il popolo ebraico della sua disgrazia."
MArio Rossi
Walla! Mail

L’autore scriveva da un indirizzo relativo al sito riportato in nota[1], che fa capo alla nazione “più democratica” del Medio Oriente.
Questa è solo una delle tante e posso, all’occorrenza, spedire un CD con le nefandezze che ancora conservo: la maggior parte – come del resto afferma Martinez – è finita nel cestino.
Dunque…sarei un SS, un essere spregevole, un antisemita, poco intelligente…e si conclude con un bell’augurio di saltare per aria rivolto ai miei familiari. Che ne dice, Israel?
Come potrà costatare, la madre degli imbecilli è sempre incinta, sotto tutti i cieli.

Nulla da eccepire sul fraseggio e sui termini beceri rivolti ad Israel, Biagi e Brunetta: da tempo – e la dirigenza di Comedonchisciotte ben lo sa – mi batto perché tutti i commenti che contengono insulti siano eliminati. Mantenendo, ovviamente, la piena libertà di critica: in fin dei conti, però, pur usando un linguaggio che mai si dovrebbe usare, il senso di quel che s’andava dicendo (riguardo alle questioni del lavoro e del precariato, non certo per l’appartenenza religiosa) non è campato in aria.
Vorrei approfondire questo aspetto, poiché può diventare un terribile boomerang.

Come chi legge i miei articoli ben sa, spesso ci vado “giù pesante”: quante volte ho maltrattato Brunetta? Il problema non è farlo o non farlo, bensì attuarlo all’interno di canoni che non consentano all’avversario di fiatare: si può essere addirittura feroci nella critica, ma l’eleganza priva l’avversario dal poter aggrapparsi a qualsiasi appiglio.
Alcuni commentatori (una piccola minoranza, a dire il vero) invece, sembra che prima di scrivere non abbiano premuto sul pulsante “ON” del proprio cervello, tanto sono sguaiati e beceri nelle loro affermazioni, per nulla coerenti con le argomentazioni esposte: più volte ho pensato che commentino senza nemmeno leggere gli articoli. Ma c’è una seconda ipotesi.

Siano essi dei “Troll” oppure no, è troppo facile – protetti da un nick – lanciarsi nelle più becere e violente affermazioni, che servono proprio a screditare siti che possono dar fastidio ai poteri forti internazionali, alla Casta, ecc. Tanto, che si potrebbe tranquillamente ipotizzare che lo facciano su commissione.
L’intento di un “Troll” è proprio quello di privarci della possibilità d’esprimerci, a tutto vantaggio di chi ci opprime: perché lasciare loro questa possibilità? Ti piace insultare? Vai da un’altra parte.
L’esempio dell’antisemitismo è il più eclatante, poiché getta il sito in questione nelle fauci di chi ben sappiamo, ovvero di chi ha preparato questa trappola.
Questo comportamento, che potremmo definire ingenuo, lascia a personaggi come Israel, Stella e compagnia cantante la possibilità d’attaccare senza possibilità di replica e consente loro di nascondere ben altre magagne, che non c’entrano niente con le vicende storiche mentre, più prosaicamente, interessano molto da vicino la nostra vita di tutti i giorni. E, qui, hanno parecchie cose da nascondere: cosa c’è di più utile di un’accusa d’antisemitismo per coprire tutte le nefandezze del loro operato? Che sono molte, e che non c’esimeremo dall’approfondire.

Giorgio Israel è stato appellato, sulla stampa, come il “braccio destro” del Ministro Gelmini: non sapremmo tracciare con certezza i limiti del suo agire all’interno dell’Istruzione italiana, ma – vista l’importanza che il Ministro assegna al personaggio – dobbiamo concludere che le mani in pasta, per quanto riguarda le riforme in atto, le abbia, eccome.
Il nuovo sistema di reclutamento del personale scolastico, ad esempio, è stato ed è l’aspetto che più ha coinvolto Israel: ebbene, cosa afferma il Ministro al riguardo?

“L'avanzamento degli insegnanti non può essere solo basato sull'anzianità ma soprattutto sul merito, sugli obbiettivi raggiunti, sulla qualità dell'apprendimento. Questo passaggio necessita di una legge: mi sto prodigando – ha detto – perché il parlamento vari una legge trasversale, appoggiata dall'opposizione, che introduca il meccanismo della carriera e che preveda per il reclutamento veda una maggior autonomia delle scuole. Auspico che questa sia la legislatura in cui si addiviene a una soluzione stabile, non modificata al cambiare del governo”[2].

Il problema del merito, nella scuola, ma potremmo affermare nell’intera Pubblica Amministrazione, è – allo stesso tempo – un tormentone infinito ed un Cavallo di Troia.
Fu malamente affrontato da Berlinguer con il famoso “concorsone” – nel quale, mediante un concorso, si sarebbe stabilito chi fossero i meritevoli – ma quella forma era inadatta a fornire validi risultati, giacché le classi di concorso dei docenti (le materie che insegnano) sono moltissime, mentre erano previste soltanto due aree, umanistica e scientifica.
Inoltre, c’è un secondo problema: quali parametri scegliere per la valutazione? La conoscenza pura e semplice della disciplina? E’ raro, per non dire impossibile, che un insegnante vada in classe senza sapere cosa dovrà insegnare. La metodologia didattica, ovvero come insegnerà quelle cose? Le metodologie sono in simbiosi con la personalità del docente, che sceglierà quella più congegnale al proprio vissuto, carattere, ecc, e, in quel modo, offrirà il meglio di se stesso agli allievi.
Stabilire, per norma, una metodologia comune, quello sì che sa tanto di Minculpop o, addirittura, di Goebbels!

Il Cavallo di Troia che desiderano veicolare è invece quello che abbiamo evidenziato nella dichiarazione del Ministro: una maggior autonomia delle scuole. Perché?
Poiché – visto che è difficilissimo valutare il merito, sembrano affermare – allora tanto vale affidare il compito al Dirigente Scolastico. Tutti potranno rendersi conto di quanto questa scelta sia non solo fuorviante, bensì pericolosa: anzitutto, qualsiasi Dirigente Scolastico rileverà il merito secondo canoni del tutto personali, quando non – addirittura – clientelari. Non nascondiamoci dietro ad un dito.
Inoltre, una simile scelta – senza nessun contrappeso, visto che la Gelmini non ama molto le organizzazioni dei lavoratori – scatenerebbe una bagarre senza fine di veleni, accuse e ritorsioni: già qualcosa del genere avviene con la bella trovata di considerare la scuola come un’azienda (si parte da Bassanini in poi…), figuriamoci con un Dux che tutto decide!
Il tutto, poi, è un trastullo del nulla: si potrà obiettare che non sempre l’anzianità di servizio è coerente con una migliore efficienza nell’operare, però qualcosa significa. Visto che valutare il merito – a meno di farlo in cattiva fede, come sopra riportato – è impossibile, teniamoci un parametro che, almeno, ha coerenza. L’esperienza, di certo aiuta: altrimenti, perché Israel sostiene la necessità di un “apprendistato” in compresenza per i nuovi docenti? Se il docente anziano non fosse più esperto – e quindi più meritevole – la procedura non avrebbe senso.

La soluzione del problema è semplice: stabilito il personale necessario per la scuola (tratto dal numero di pensionamenti, ecc) c’è una via che ha funzionato per decenni a meraviglia: i concorsi! Lo Stato, anno per anno, assume per concorso secondo le necessità. In questo modo, il precariato sarebbe ridotto al minimo, com’era un tempo: perché Israel deve farfugliare una valanga di sofismi al riguardo? Per due motivi.

Il primo è che lo Stato deve risparmiare quasi 8 miliardi sulla scuola per “coprire” il “buco” lasciato dall’abolizione dell’ICI per i redditi elevati (per i redditi più bassi, già l’aveva abolita Prodi): insomma, per il gran cementiere di Arcore e per i suoi compari.

ll secondo, perché il precariato è in simbiosi con la controriforma delle pensioni di quel bel “farinello” di Damiano: se farete 12 anni da precario, ai fini previdenziali ne saranno conteggiati solo 9 (assunti a Settembre, licenziati a Giugno), cosicché non riuscirete mai a mettere insieme 37-40 anni di contributi!
In questo modo, vi toccherà lavorare fin quasi alla morte, e con i vostri contributi potranno pagare le sontuose pensioni del ceto politico e le succose “collaborazioni” come quella di Israel. Crediamo bene che il nostro emetta continuamente cortine fumogene!

L’impostazione di Israel è quindi la vecchia ed arcinota concezione gerarchica della società: una ristretta cerchia di “eletti” deve avere il potere d’imporre, proprio perché tali sono.
La vera ragione che è alla base di questa impostazione, deriva proprio da una diversa concezione della società, ed è questo il punto saliente. Per meglio comprenderlo, voglio accennare ad un intervento di Israel nella trasmissione “Otto e mezzo” del 8 Giugno 2008, visibile dal collegamento riportato in nota[3].

Israel porta l’esempio di una maestra elementare la quale, dovendo insegnare ai bambini le divisioni, propone un esercizio così fatto: dovendo dividere 300 per 15, li invita a disegnare 15 alberelli, sui quali dovranno apporre – in egual numero per ciascun albero – le 300 lampadine.
La madre di un allievo (docente di Matematica) protestò, affermando che la Matematica è nata proprio per velocizzare queste operazioni, e quindi non perdersi nelle lungaggini degli alberelli e delle lampadine: Israel, sposa la tesi della madre.
Questa posizione di Israel ci consente d’approfondire meglio il personaggio.

E’ ovvio che una semplice divisione ci toglie dalle angustie degli alberi e delle lampadine ma – stupisce che Israel non se ne renda conto! Uno che si picca d’essere consulente del Ministro! – il bambino non sa cosa sia quella “divisione”! In altre parole, l’esercizio grafico proposto è proprio il “percorso” che conduce a legare l’aspetto visivo (grafico) con quello concettuale (la divisione).
Fra l’altro, Israel non propone nulla d’alternativo: io non sono un maestro però, da quanto m’hanno raccontato maestre con grande esperienza, sfido chiunque ad entrare in un’aula elementare ed a scrivere sulla lavagna 300 : 15 =. Ne ricaverebbe solo visi silenti e nasi all’insù.
Come tutte le teorizzazioni – ed anche una semplice operazione aritmetica lo è – c’è bisogno di comprendere prima il fenomeno che le genera. Si potrà obiettare che esistono persone che meglio comprendono per semplice esposizione di concetti, mentre relegano l’esempio a semplice “verifica”, ed è senz’altro vero, ma le tipologie umane – nell’approccio alla conoscenza – sono più sfumate.

A questo punto, se volessimo seguire Israel, dovremmo iniziare a parlare di didattica, magari di maieutica, di metodi deduttivi ed induttivi, per finire con Russell e Popper. Invece, desideriamo che tutti comprendano le ragioni del contendere, ed useremo quindi un linguaggio semplice, comprensibile anche a chi non è addentro ai problemi della scuola.

Come ricordavamo, c’è chi preferisce l’esposizione di un concetto e relega l’esempio alla sola dimostrazione pratica della teorizzazione: altri, invece, partono dall’osservazione della realtà proprio per giungere ad una teorizzazione.
Sono due aspetti relativi alla personalità, che giustamente sono stati dibattuti dalla filosofia e dalla psicologia, ma che rimangono – per quanto riguarda l’apprendere – soltanto due diverse vie.
Gli insegnanti ben conoscono il problema e, senza porsi soverchi problemi, utilizzano entrambi i metodi secondo l’uditorio. Quella maestra, quindi, riteneva che l’approccio più adatto per quella scolaresca fosse partire dalla grafica.
La critica portata da Israel, dunque, supera il problema affermando che uno solo dei due metodi è accettabile e degno d’essere usato: guarda a caso, quello che privilegia la sola esposizione teorica e che non considera “degne” le altre vie. Perché?
Poiché Israel è un fautore del “merito” – e, nella sua accezione più ampia, tutti lo siamo – ma misura il merito adoperando metodi che sono soltanto una parte di quelli potenzialmente usabili: secondo Israel, gli allievi che non riuscivano a comprendere di getto il concetto di divisione, non avevano diritto alla più lunga “via grafica”.
Tutto ciò ha un solo significato: chi ci arriva ci arriva (secondo metodologie decise precedentemente, qui sta l’inganno, che è coerente con la decisione d’applicare il “merito” ai commenti del suo blog) e per gli altri…ciccia!

Ora, uscendo dalla scuola e dall’esempio proposto, non scorgiamo che tutta la compagine di governo, compreso il gran capoccia – e, Israel, essendo il “braccio destro” della Gelmini, non può nascondersi dietro ad un filo – si nutre proprio di questi concetti?
Ho ascoltato solo io, durante un dibattito elettorale fra Romano Prodi e Silvio Berlusconi, nel 2006, affermare da quest’ultimo che “la sinistra desidererebbe che il figlio dell’operaio abbia gli stessi diritti di quello dell’imprenditore”? In quel momento, per chi non lo sapesse, Silvio Berlusconi attentò pubblicamente e gravemente alla Costituzione Repubblicana. E proprio qui è il punto.
Tornando al quesito posto prima dell’esempio delle lampadine: cosa ci distingue, partendo da diverse concezioni della società?

Le tipologie umane sono tantissime, diversissime e variegate, e qui non ci piove.
Possiamo quindi raffigurare graficamente (ah, qui, Israel già lancerà anatemi!) la società umana come una sfera – che, guarda a caso, è l’icona del Pianeta – nella quale giacciono culture attigue e più simili, insieme a culture più distanti e, quindi, con maggiori differenze. Oppure, applicare il modello della curva di Gauss, nel quale – in ogni modo – la diversità è rappresentata.
Entrambi i modelli (od altri), non negando ma accettando la diversità, sono di facile comprensione ma di non facile gestione: in altre parole, se si accetta la diversità (nella scuola, nel lavoro, nei rapporti internazionali, ecc) è gran fatica riuscire ad ottenere buoni risultati. Ci vogliono pazienza e metodo, riflessione ed analisi, tempo e disponibilità: è fatica, ma osserviamo, oggi, cosa significa non aver compreso l’Afghanistan, solo morti da piangere.

L’altra concezione della società, invece, proprio perché spaventata dalla complessità del vivere umano, non considera le differenze come ricchezza (nonostante la scienza, per il patrimonio genetico che si ritrae con l’estinzione di molte specie, c’avverta del pericolo) e finisce, con una semplificazione gordiana, per negarle.

Da questa negazione, che deriva dallo spavento, a fronte dell’immensità e della complessità del Cosmo, nascono culture improntate dalla gerarchia: la ferrea gerarchia diventa l’antidoto per “semplificare” fenomeni complessi, con accenni stocastici al loro interno, e tutto dovrebbe risolvere. L’incedere dell’attuale governo ne è intriso: tutti “semplificano”, ed il Paese va a ramengo.
Peccato che la gerarchia sia soltanto una sovrapposizione al reale il quale, in ogni modo, vince sempre. Esempio: dopo tanti anni trascorsi ad imporre la nostra gerarchia occidentale al mondo musulmano, dobbiamo arrenderci, a meno di riportare a casa ogni mese i nostri ragazzi nei sacchi di plastica.
Ecco, dove la gerarchia fallisce: sui monti afgani, nella scuola che vorrebbe occuparsi del solo 10% dei “migliori”, nella competizione forsennata del lavoro considerato come una corsa ad ostacoli, nei modelli prefigurati che il campione della mistificazione mediatica (e gran capoccia di Israel) – altro che Goebbels! – impone fraudolentemente e sprezzantemente, fregandosene della legalità (e Europa 7?) e mettendola sotto i piedi.
Perché? Ovvio: noi occupiamo il segmento più elevato della gerarchia, e siamo quindi autorizzati ad agire come desideriamo (Unti dal Signore, ecc).

Questa impostazione, lascia dietro di sé moltitudini di morti e di visi senza espressione, poiché privati della qualifica di civis, ossia della pienezza dei propri diritti. Cosa racconta la Storia, in merito?
La fine e l’inizio, la discriminante storica fra gli assolutismi e l’età relativista (tuttora in corso), può essere collocata nel Novecento, a ragione considerato come uno dei secoli più “densi” della Storia.
Non a caso, segmenti apparentemente distanti per cultura, oggi si saldano in un comune attacco al relativismo: la Chiesa di Ratzinger, i neocon statunitensi, l’attuale governo italiano, settori della finanza internazionale, ecc. Alcuni preferiscono riunirli in universali denominati “Illuminati” o cose del genere, ma poco importa.
Ciò che è interessante notare è che queste elite, ai vertici della piramide gerarchica, appartengono alla medesima visione: un diritto (non più divino!) mi consente di regnare, e questo mi è concesso perché gli altri – le formichine – non saprebbero farlo.
Ovviamente, finché si arrogheranno questo diritto, per le formichine non ci sarà mai speranza né la possibilità della prova.

Sappiamo quanto spregio essi abbiano per i comuni mezzi della democrazia: le macchinette elettorali di Bush, i trucchi mediatici di Berlusconi, le protervie finanziarie delle grandi banche internazionali, le menzogne di un giornalismo asservito ed ammutolito, ecc. Ovvio: siamo in alto – pensano – è nostro diritto.
Il desiderio, nemmeno poi così nascosto, è di ripercorrere – all’opposto – il cammino che fu intrapreso dal pensiero illuminista, poiché la ragione illuminista – che ha poi trionfato nel Novecento – ha lasciato una scia di sangue, e questo è innegabile. Ma, le scie di sangue – nella Storia – sono, purtroppo, l’evento più frequente.

Pur ammettendo le difficoltà insite nel relativismo, il fallimento del loro tipo di pensiero è nei fatti, sotto gli occhi di tutti: il sistema gerarchico vagheggiato da questa sorta di zotico neoplatonismo è un mondo violento come non mai, nel quale l’avversario può essere incenerito da un missile sparato da un robot volante, attivato da qualcuno che ha premuto un pulsante da un altro continente.
E’ questo il mondo che desideriamo?

Qui, signori miei – poche balle – ci si divide: c’è chi ritiene che un bambino nato nel Darfur ed uno nato nella Grande Mela debbano avere uguali diritti e possibilità, come in qualsiasi altra parte del mondo. Accezione puramente ideale? Certo: sorretta, però, dall’Habeas Corpus, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e dalla carta fondante delle Nazioni Unite. Che non sono proprio, nella Storia, barzellette della Settimana Enigmistica.

Coloro i quali, invece, ritengono che un afgano abbia meno diritti di un indiano, che un moldavo abbia meno diritti di un francese e che un israeliano ne abbia di più o di meno di un palestinese, s’accomodino dall’altra parte: hanno il completo diritto di farlo, basta essere chiari!

Le accezioni “meritocratiche” di Israel sono legate – uso la semplice logica aristotelica – al governo per il quale lavora, che si diceva “amicissimo” di George W. Bush, il quale era l’esponente di spicco (perché Presidente) dei neocon americani[4], i quali s’erano formati sotto la guida di Leo Strauss, colui ch’era giunto alla fondazione Rockefeller di New York, nel 1937, con una borsa di studio caldeggiata, per lui, da Hjalmar Schacht, il Ministro dell’Economia di Hitler, processato a Norimberga ed assolto, con alcuni dubbi, dalla Corte.
Comprendiamo il disgusto che potrà provare Israel, ma il sillogismo proposto ha basi storiche inoppugnabili, e ci limitiamo nell’esposizione per semplici ragioni di spazio: forse, prima di conferire ad altri la “patente” di “figliocci” di Goebbels, bisognerebbe guardare in casa propria.

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[1] http://friends.walla.co.il/?w=/@login&theme=&ReturnURL=http://newmail.walla.co.il/ts.cgi
[2] Fonte: agenzia ASCA 10/9/2009 http://www.asca.it/news-SCUOLA__GELMINI__CARRIERA_INSEGNANTI_DOVRA__BASARSI_SU_MERITO-858017-ORA-.html
[3] Vedi: http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=ottoemezzo&video=13725
[4] Lo storico Gordon S. Wood considera l'impatto di Strauss sulla vita intellettuale americana come il "più ampio movimento accademico del XX secolo". Gli straussiani hanno elaborato e continuano ad elaborare le dottrine di punta del movimento neoconservatore americano. http://it.wikipedia.org/wiki/Leo_Strauss

15 settembre 2009

Così è, se vi pare

Dobbiamo riconoscere che – mai – ce lo saremmo aspettato: dopo aver strombazzato ai quattro venti che la salvezza energetica nazionale saranno le centrali nucleari, il governo Berlusconi approva il primo “campo” eolico off-shore italiano[1]. Insomma, per mettersi “al vento”, scelgono il vento.
Non sappiamo se la nostra battaglia per le rinnovabili abbia segnato un punto – soprattutto l’articolo “Venti nucleari”[2] – ma tant’è che il dado è tratto: la prima centrale eolica italiana in mare sorgerà al largo di Termoli, in Molise. Proprio quello che indicavo nell’articolo.
Pragmatismo? “Compensazione” per far digerire il nucleare? Un atto di dolore con relativo pentimento? Ce n’è per tutti i gusti e per scatenarsi in mille dietrologie, ma i fatti restano.

Se qualcuno – soprattutto fra gli elettori del PD – pensava ad una “ripartizione” energetica che segue a grandi linee le tendenze dell’elettorato, ossia fonti tradizionali al PdL ed alternative al PD, è servito, perché il PD[3] sta preparando la controffensiva: è proprio il caso di dirlo, l’ennesima battaglia contro i mulini a vento. Da tempo ci hanno abituati, e non solo per i veri mulini, e poi pensano di tornare forza di governo.
La vicenda assume contorni che definire “trasversali” è un eufemismo e ci consente di squarciare il velo che nasconde l’ovvio: sono semplicissimi giochetti di soldi, nei quali ciascuno (destra o sinistra: chi erano costoro?) cerca d’avvantaggiarsi e basta. Poi, quando ci saranno elezioni, ciascuno vi butterà un po’ di vento negli occhi per disorientarvi.
Iniziamo a conoscere gli attori della vicenda: c’è da divertirsi, perché questa – più che la decisione di un governo – sembra una palingenesi goliardica, la metempsicosi che fa girar le pale, degna di una penna più nobile della mia, quella di Pirandello.

La decisione della Prestigiacomo (accolta dal Consiglio dei Ministri) d’approvare il campo eolico di Termoli, così com’era stato presentato nel 2007 al precedente governo, vuol significare che il PdL è diventato fautore dell’eolico? Non riusciamo a pensare che il Gran Nano abbia le mani in pasta anche nella società Effeventi, che costruirà e gestirà gli aerogeneratori: almeno, non abbiamo notizie in tal senso.
Quindi, il PdL è diventato favorevole all’eolico: oh, bene. Bisognerà che qualcuno lo vada raccontare al Presidente della Regione Molise – Michele Iorio – da sempre un berluscones, da Forza Italia al PdL.
Iorio ha già annunciato ricorsi in tutte le sedi istituzionali[4], non mancando di dare la colpa di tutto a Prodi (!) poiché affidò, a suo tempo, queste competenze allo Stato, privando le Regioni della possibilità di porre veti. Ovviamente, un governo che sta stravolgendo la Costituzione, avrebbe avuto soverchi problemi a mutare quella piccola norma (!): insomma, la solita foglia di fico per non mostrare di disobbedire platealmente al Capo. Che poi, magari, s’incazza e fa scrivere un articolo a Feltri.

Ma, se non erriamo, anche Vittorio Sgarbi – da sempre il Sancho Panza dei mulini a vento nostrani[5] – fa parte dello stesso partito e – siamo certi – non tarderà a far sentire la sua voce anche se, ad occhio e croce, la nomina a sindaco di Salemi puzza di nucleare. Non sarà, forse, che il proconsole della Sicilia occidentale sia stato inviato per far digerire una bella centrale nucleare ai siciliani? In una regione fra le più sismiche d’Italia, con le migliori strutture (mafia) per lo smaltimento delle scorie, come nel caso della nave affondata di fronte alle coste calabre[6]?
Eh sì, perché, se non si fanno parchi eolici o centrali termodinamiche, il nucleare è certo: anche i critici d’arte fanno la loro parte, e tutto serve. Caso strano, è proprio dalla Sicilia orientale che giunge l’attacco della Prestigiacomo, ma sono solo dietrologie senza prove.

Ora, dopo aver dato uno sguardo dalle parti del fiero alleaten Galeazzo Musolesi (ah, grande Bonvi…), vediamo un po’ cosa pensano e cosa meditano di fare le gloriose Sturmtruppen del Gruppenführer Franceschinen e del suo Standartenführer Bersanen, che vuole soffiargli il bastone di feld…pardon, la poltrona.
Le gloriose Sturmtruppen del PD hanno già reagito dalle postazioni periferiche del Molise, affidando al vento il messaggio: no ai maledetti mulini a vento[7]! Per ora solo Danilo Leva, consigliere regionale molisano del Partito Democratico, si è messo in marcia contro i maledetti mulini, ma sarà certamente seguito dai panzer.

Il problema è che il Partito Democratico ha al suo interno dei ferventi ambientalisti ed è alleato con Di Pietro il quale, insieme a Beppe Grillo, è l’alfiere delle energie rinnovabili, tanto che Grillo ha più volte pubblicato sul suo blog filmati sull’energia eolica.
Ora, senza scomodare Aristotele ed il famoso “terzo escluso” (tertium non datur), ci sembra che ci sia qualche defaillance nella logica: dunque…Grillo, grande fan di Di Pietro, è un sicuro patrocinatore dell’eolico. Di Pietro è anch’egli favorevole all’eolico, ma solo con regole precise[8]. Quali? Piani nazionali…concertazione…eccetera…però, quando ci fu la possibilità d’installare il primo campo eolico in mare – proprio in Molise, e lui era Ministro (2007) – si schierò contro la realizzazione, andando a braccetto con Iorio (Forza Italia).

Di Pietro è però alleato del PD, il quale sembra apparentemente compatto contro la scelta nucleare di Berlusconi: il PD, però, non sa fornire soluzioni. E blocca anche l’eolico.
Ma, all’interno del PD, ci sono personaggi che già sono andati a Canossa col capo rigorosamente cosparso di cenere (radioattiva), dopo aver fatto uno shampoo per liberarsi dal carbone “pulito” dell’ENEL: ci riferiamo a Chicco Testa, il quale ha già recitato il mea culpa e s’è associato al clan nucleare[9]. Consigliamo una veloce escursione alla biografia di Chicco Testa[10], per osservare come si riesca ad essere comunisti, ambientalisti, antinuclearisti, poi collaboratori di Rothschild, presidenti di varie holding energetiche (ENEL!) e, infine, nuclearisti convinti. Un vero miracolo.
Nemmeno il “bomber” della squadra dei voltagabbana – Daniele Capezzone – è ancora riuscito a tanto: col tempo, è giovane…

Di più: la neonata “Sinistra e Libertà” si troverà, da domani, un nuovo motivo per litigare: da un lato i residuati bellici Verdi (che non sono mai stati “teneri” con l’eolico) e, dall’altro, il combattivo Nichi Vendola, il quale – in Puglia – ha ripartito con un piano regionale gli aerogeneratori, un tanto a comune e tutti zitti. Mi sa che andranno presto ad una nuova scissione.

E, tutto questo, per non installare a 5-10 chilometri dalla costa – non invisibili, ma poco visibili: a quella distanza, un veliero appena si scorge, e chi va in mare lo sa – un impianto che coprirà il fabbisogno di 120.000 famiglie[11] e che farà risparmiare l’emissione di 420.000 tonnellate d’anidride carbonica l’anno, le quali ci costerebbero (in “multe” UE) ben 6.300.000 euro l’anno (per quest’anno pagheremo “solo” 555 milioni, ma nel 2012 diventeranno 5,6 miliardi, che pagheremo tutti sulle bollette dell’ENEL)?

Sul sito della Effeventi è visibile la piantina dell’impianto[12], dalla quale è possibile valutare – se sapete comprendere una carta nautica – la distanza minima da terra: poco meno di 3 miglia. Eppure, la disinformazione è già al galoppo: “a due chilometri dalle coste!”, “impedirà la costruzione dei porti turistici!” (e quando mai…), “la pesca!” (abbiamo bisogno di aree di ripopolamento, altrimenti non rimarranno nemmeno i granchi…).
Probabilmente, sarebbe stato meglio installare aerogeneratori di maggior potenza su piattaforme ancorate al limite delle acque territoriali: invisibili da terra, più vento e minor spesa (rapportata al rendimento) per MW installato. In Norvegia, li fanno oramai da 5 MW, noi da 3.

A proposito della costa adriatica, due anni fa la percorsi quasi tutta. Siccome guidò per un lungo tratto mia moglie, mi divertii a fotografare tutti gli obbrobri, che erano quasi sempre tralicci, antenne TV, di telefonia, ecc: ne ho un CD pieno. Per caso, riguardando le foto a casa, m’accorsi che in una foto avevo “acchiappato” anche un aerogeneratore, che quasi scompariva in quella selva d’antenne. Perché Sgarbi non si lamenta mai degli obbrobri del suo padrone?
Insomma, con il buon senso, potremmo affermare che è sbagliato costruire un aerogeneratore accanto ad una chiesa romanica ma che, lo stesso aerogeneratore, non disturba nessuno dalla collina di fronte.
L’idea di paesaggio “incontaminato” ci condurrebbe a demolire non solo tutte le antenne (fin sui campanili!) ma anche viadotti autostradali, alti condomini, ferrovie, elettrodotti, ecc. L’Uomo deve convivere con l’ambiente, altrimenti diventa solo una sorta di virus nocivo, che alla fine soccomberà: non è un percorso facile, ma è praticabile.

Monaco di Baviera, entro il 2025, spegnerà l’ultima centrale nucleare e s’affiderà solo più alle rinnovabili: al 2017 tutte le utenze civili, nel 2025 anche quelle industriali. Il risultato è il frutto di un piano ventennale nel quale, giorno dopo giorno – accoppiando le rinnovabili con il risparmio energetico – hanno “rosicchiato” Megawatt dopo Megawatt. Già, ma sono tedeschi.
E noi?

Riassumendo questa bella vicenda, abbiamo un Presidente del Consiglio che avalla la costruzione di un parco eolico sfruttando una legge del suo predecessore e nemico giurato, Romano Prodi. Per farlo, marcia contro le strutture periferiche del partito, s’oppone a Vittorio Sgarbi – suo Gauleiter in Sicilia – e a tutta l’opposizione mentre, l’unico sicuro alleato (a parte la Prestigiacomo), è Beppe Grillo.

Così è, se vi pare.

[1] http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5659
[2] http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[3] http://www.primonumero.it/attualita/news/index.php?id=1252952544
[4] http://www.adnkronos.com/IGN/Regioni/Molise/?id=3.0.3773119639
[5] Uno dei tanti… http://www.italiainformazioni.com/giornale/politica/61718/sgarbi-leolico-distrugge-natura-siciliana.htm
[6] http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/09/nave-veleni-calabria-loiero.shtml?uuid=b5527554-a15c-11de-a8df-36fb8db592ee&DocRulesView=Libero
[7] http://www.primapaginamolise.it/detail.php?news_ID=22173
[8] http://www.rinnovabili.it/di-pietro-si-alleolico-ma-con-regole-precise
[9] http://www.ragionpolitica.it/cms/index.php/energia/
[10]http://it.wikipedia.org/wiki/Chicco_Testa
[11] http://iltempo.ilsole24ore.com/molise/2009/09/15/1069868-eolico_shore.shtml
[12] http://www.effeventi.com/centrale.htm

12 settembre 2009

Imploriamo

“Per i deboli implora il perdono, per i miseri implora pietà.”

Per una volta, lasciamo il giornalismo d’assalto, la controinformazione, la certosina citazione delle fonti e le bibliografie perché urge conforto, rapidamente dobbiamo unirci ed implorare la Santa Vergine, il Cristo, Budda e la Trimurti. Speriamo che riescano – insieme alle divinità che abbiamo certamente dimenticato – a metterci una pezza, perché noi non sappiamo più a quale Santo votarci.
Non ci riferiamo solo alle debolezze della carne, che nel triclinio di Palazzo Grazioli hanno raggiunto i livelli della Roma tardo imperiale, perché il manto del perdono è concesso urbi et orbi, basta il pentimento. O, almeno, qualcosa che gli assomigli.
Purtroppo, per le miserie, la Chiesa non poteva e non può che implorare la pietas, un sentimento che valica le categorie del vissuto e della morale, per assurgere ad una generale assoluzione senza pentimento: poiché non si ritiene che, chi si smarrisce nella selva delle miserie, sia in grado d’elevarsi a quella soglia. No: solo la pietà, a quel punto, può intercedere fino all’Altissimo.
In altre parole – esprimendoci in termini giuridici – la miseria assoluta conduce allo stralcio, poiché non si ritiene l’imputato in grado, nemmeno, di comprendere le accuse che gli sono rivolte.
Ci sembra questo il caso di un omuncolo delle Venezie, un tappo claudicante nella Laguna, dimenticato probabilmente a Burano dall’ultimo circo Togni che la visitò.
Non potremmo essere meno velenosi, poiché non sapremmo quale aggettivo incontrare sulla nostra strada per dipingere chi definisce la Mostra del Cinema di Venezia come “culturame parassitario”.
La prima immagine che appare alla nostra mente è, ovviamente, quella di Goebbels che afferma: «Appena sento nominare la parola “intellettuale”, la mia mano corre alla fondina.»
Subito dopo, però, ci rendiamo conto che le differenze fra i due personaggi sono abissali: il minus veneziano, al confronto del gelido Ministro della Propaganda del Reich, al massimo potrebbe sfoderare un pistolino. Se lo trova.
L’uscita è così infelice – domani, siamo certi, ci sarà la solita solfa della “cattiva stampa” che tutto stravolge – da valicare i confini della povertà culturale, della debolezza spirituale, per giungere all’abisso, alla miseria senza aggettivi. E, quando un sostantivo regge senza aggettivi, sono ceci.
Lungi da noi il voler incensare la cultura italiana per mostrarla sugli altari: come tutte le vicende dell’intelletto, è un cammino di luci ed ombre sul quale è giusto confrontarsi.
Da questo, però, a definirla “culturame parassitario” ce ne corre: vorremmo ricordare – anche se non avesse fatto altro nella sua vita artistica – che Giuliano Montaldo regalò al nostro Paese un capolavoro chiamato “Marco Polo”, che da solo vale un tesoro. Per ora, nessun guitto d’avanspettacolo veneziano ci ha mostrato nulla del genere.
Rimane un dubbio, che accomuna quasi al completo l’attuale governo: giocano semplicemente al rialzo, gettando nell’agone mediatico delle parole d’ordine semplici e desuete – tanto per catalizzare gli istinti beceri dei raduni cornuti (ci riferiamo, ovviamente, alle corna di Brenno) – oppure non giungono alla soglia delle emozioni che comunica l’arte?
Nel primo caso, significa buttare per aria un prezioso ed antico orologio da taschino per scommettere se vola: nel secondo ciucciarlo, giacché lo si è scambiato per un lecca-lecca. Per entrambi, vale la seconda opzione dell’incipit.
Potremmo, a questo punto – prima di rivolgerci all’Olimpo – domandare l’intercessione del Ministro della Cultura (esiste?) ma non riusciamo a trovarlo in casa: pare che, nei triclini romani, si dedichi ad accompagnare con le conga Mariano Apicella.
Vorremmo, allora, noleggiare un bragozzo con la vela latina ed un altoparlante, per urlare nella debole brezza della Laguna – caso mai v’abitasse un Ministro della Repubblica – i nomi, altisonanti, della nostra tradizione: Antonio de Curtis, Anna Magnani, Roberto Rossellini, Ettore Scola, Vittorio Gassman, Mario Monicelli, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Nino Manfredi, Monica Vitti…e ancora…
E poi: Giovanna Mezzogiorno, Sergio Rubini, Margherita Buy, Michele Placido, Francesco Nuti, Stefano Accorsi, Carlo Verdone, Silvio Orlando, Francesca Neri…e ancora…
Se l’eco rispondesse “Noemi Letizia”, sarebbe l’ora di volgere la prua ad Est, approdare in Dalmazia, sperare di scovare della vecchia e buona rakja ed un concerto di Goran Bregovich. E, per divertirsi – dopo essersi sbronzati – sparare ai tappi nell’alba diafana di un isolotto disabitato, a cento miglia dalle coste italiane. A cento miglia da altri, ben miseri tappi.

09 settembre 2009

Interi, o a pezzi

Tale era lo sconforto in cui si muoveva allora la nostra anima nera, che accettavamo di essere una tabula rasa, una razza, quasi un continente che durante 30.000 anni non aveva pensato nulla, scritto nulla, dipinto nulla, scolpito nulla, cantato nulla, danzato nulla. Un nulla sul fondo dell’abisso che sapeva solo implorare e ricevere; una docile cera nelle mani del dio bianco dalle dita rosee, con gli occhi azzurri come il cielo.”
Léopold Sédar Senghor, Negritude et marxisme, 1969.

Recentemente, a seguito dell’inchiesta condotta dal giornalista svedese Donald Boström sul traffico d’organi, è scoppiata un po’ di bagarre: addirittura, incidenti diplomatici fra la Svezia ed Israele. Vorrei, visto che sono stato il primo a scrivere un libro in italiano sul traffico d’organi[1], cercare di spiegare cosa ci può essere di vero, oppure se si tratta di una montatura.
Desidero sgombrare il campo da possibili illazioni per un mio interesse editoriale: non scrivo più per Malatempora da parecchi anni, non so nemmeno se il libro sia ancora in catalogo e non percepisco diritti d’autore. Questo, per chiarire subito i confini di questo articolo.

Ciò che più impressiona, nei reportage di Donald Boström, sono le fotografie: è evidente che quei corpi hanno subito, al minimo, un’autopsia, un prelievo d’organi – soltanto dalle foto – non è dimostrabile.
A voler essere più realisti del re, possiamo affermare che anche le immagini possono essere modificate, e non sarebbe la prima volta: ricordiamo, ad esempio, la colossale “bufala” del cosiddetto “Massacro di Timisoara”, che servì per abbattere Ceausescu in Romania nel 1989. In parole povere, giornalisti occidentali corruppero i becchini di Timisoara, fecero disseppellire dei cadaveri, li filmarono e costruirono le “prove” dell’inesistente massacro. Chi vorrà, potrà trovare ampia documentazione di questa “bufala” sul Web[2].

Ciò che, invece, insospettisce è che gli israeliani perdano tempo ad eseguire autopsie sui cadaveri dei palestinesi: perché mai dovrebbero farlo? E perché sono sempre dei giovani?
Nel mondo del trapianto clandestino, la giovane età è considerata una prima garanzia: difficilmente gli organi sono deteriorati e diminuiscono i rischi di malattie virali o batteriche, in primis l’AIDS. Insomma, “la merce” è difficilmente avariata.
Il secondo dato che salta fuori, analizzando la situazione israeliana, è che il Paese ha uno dei più bassi tassi di donazione al mondo, mentre le assicurazioni sanitarie “coprono” buona parte delle spese mediche.
Ad esempio, così s’esprimeva il dottor Michael Friedlander – primario di nefrologia all’Haddassah University Hospital di Gerusalemme – già negli anni ’90:

Il 25% circa dei miei pazienti, ha reperito un rene all’estero.”

Il dottor Friedlander fu una delle poche voci fuori del coro, ovvero uno dei pochi che ammisero il traffico clandestino, il quale fioriva in Israele per due sostanziali ragioni: i pochi donatori – effetto dell’ortodossia religiosa, per altro molto simile ai dettati delle altre religioni monoteiste – e le assicurazioni sanitarie che elargivano copiose somme per i trapianti. Ad esempio, un trapianto di rene era finanziato con 40.000 dollari, che coprivano già una parte dei costi.

Queste, però, non possono essere considerate “prove”, ma una serie d’indizi che hanno coerenza interna, ossia valide inferenze in un quadro d’ipotesi. Le prove, però, sono altre e ci sono tutte.
La presenza, nella vicenda, del dottor Zaki Shapira – il quale diresse l'unità trapianti del Centro Rabin di Petah Tikva in Israele – è una di quelle “pistole fumanti” che si notano a chilometri di distanza. Perché?
Poiché Shapira fu il destinatario, insieme al collega turco Jusuf Erçin Somnez, di un provvedimento ufficiale della sanità pubblica turca: scoperti a praticare trapianti d’organi provenienti dal mercato clandestino da un giornalista della TV turca – Mehmet Ali Onel, il quale lavorava per il programma televisivo “Arena”, simile ai nostri “Striscia la Notizia” o “Le Iene” – furono obbligati a lasciare le strutture pubbliche nelle quali operavano.
In quel caso (siamo nel 1998), i “donatori” venivano reclutati in Moldavia e Romania: chi vorrà, potrà leggere le “gloriose” gesta del dottor Somnez (soprannominato “L’Avvoltoio”) nel mio “La fondina fumante[3], il quale, l’anno seguente, era già a caccia d’organi in Kosovo (c’era la guerra…), al punto di ricevere un mandato di cattura internazionale dall’Amministrazione Internazionale del dopoguerra. Ovviamente, è uccel di bosco.

Il traffico internazionale d’organi è una tale sabbia mobile da confondere giornalisti e magistrati, poiché le cifre in gioco sono tali da rendere possibile qualsiasi disinformazione: un corpo sano, nel nuovo mercato nero della schiavitù “a pezzi”, può valere più di 100.000 dollari[4]. Io stesso, quando scrissi “Ladri di organi”, non sapevo che Shapira fosse israeliano: siccome era stato allontanato dalle strutture pubbliche turche insieme a Somnez (che è turco), conclusi che anche Shapira lo fosse. E invece…

Un altro fatto, citato negli articoli che hanno seguito l’accusa di Donald Boström, è la presenza di molti israeliani in Sudafrica, dove si recavano per ricevere organi: qui, non siamo nel campo delle illazioni, poiché vi sono dati certi.
Nel Novembre del 2003, la polizia sudafricana (quella di Mandela) fece irruzione nel St. Augustine Hospital di Durban, e scoprì decine di pazienti che attendevano un trapianto: c’erano parecchi israeliani, ma c’erano anche europei, americani, ecc.
Ciò che fece inorridire i magistrati sudafricani fu la presenza, nelle corsie, di malati che non attendevano un rene, bensì un cuore: ora, è evidente che un “donatore” di cuore – a differenza del rene – non può essere in vita. Qual era la provenienza degli organi?
Qui, rientriamo nel campo delle supposizioni, che sono tali soltanto perché nessuno che ha il potere di farlo si prende la briga d’indagare, o – se lo fa – viene “cortesemente” invitato a desistere, come accadde al povero Francisco Cuamba, una sorta di “De Magistris” del Mozambico. E, in questa vicenda, c’entra anche l’Italia.

Negli stessi anni nei quali la polizia sudafricana fa irruzione al St. Augustine Hospital di Durban, un bianco sudafricano – tale Gary O’ Connor – “emigra” in Mozambico: con Mandela, l’aria è cambiata.
Chiede alla municipalità di Nampula, in Mozambico, la concessione di un vasto territorio per impiantarvi un allevamento di polli, e la ottiene: caso strano, in quella tenuta c’era un piccolo aeroporto abbandonato, costruito tempo addietro dai portoghesi.
Nessun pollo viene mai allevato da Gary O’ Connor, mentre la pista viene immediatamente rimodernata e, poco dopo, iniziano le sparizioni, soprattutto di bambini. Aerei da turismo decollano, nottetempo, dalla sua tenuta e non si sa dove vadano.
La popolazione del luogo, però, inizia a ritrovare nelle boscaglie i corpi squartati dei bambini spariti: ovviamente, gli organi interni sono scomparsi.
La vicenda è complessa e c’è anche l’assassinio di una religiosa luterana brasiliana che s’era opposta con troppo veemenza: fu ritrovata in casa, con il cranio fracassato. E’ già iniziata la veloce “ripulitura” di tutti i siti che narravano la vicenda, ma nell’articolo riportato in nota[5] si può ancora capire cosa successe: Gary O’ Connor era anche il provider Web di Nampula (!).

Curioso ed agghiacciante, il fatto che i religiosi del Mozambico riuscirono a squarciare la cortina di silenzio mafioso che li opprimeva, ed il quotidiano spagnolo El Pais decise di pubblicare la vicenda (a quel punto, avrebbe avuto rilevanza internazionale), ma lo fece l’11 Marzo 2004, il giorno delle stragi sui treni! Coincidenza? Probabile: certo che – se a pensar male ci si azzecca – la cosa insospettisce. Non dimentichiamo che il traffico d’organi fa parte del circuito delle mafie internazionali.
Il 16 Novembre del 2004, finalmente – è il caso di dirlo – approdano alla Commissione Affari Esteri e Comunitari della nostra Camera padre Benito Fusco e suor Juliana Maria Calvo Arino, che furono protagonisti in quelle vicende.
Furono ascoltati dai parlamentari: Mario Baccini, Dario Rivolta, Gennaro Malgieri, Alberto Michelini, Marco Zacchera, Valerio Calzolaio e Claudio Azzolini: il verbale è il numero 7-00495[6] e chiunque potrà rendersi conto di quanto avvenne leggendolo.

In buona sostanza, i nostri parlamentari affidarono all’allora (ed attuale) Ministro degli Esteri Frattini il compito d’inviare gli ispettori del RIS di Parma per far luce sulla vicenda, giacché il povero dottor Cuamba – il magistrato di Nampula, il quale aveva osato chiedere il fermo giudiziario di O’Connor e della moglie – aveva rischiato, a sua volta, di vedersi “arrestare” in aula dalla polizia privata del sudafricano (!).
E’ inutile ricordare che nessuno partì mai dall’Italia – la quale, all’epoca, aveva un contingente militare in Mozambico – e che la vicenda finì nel dimenticatoio. Alcune voci ipotizzarono pressioni sui religiosi, per salvaguardare la fragile pace in quel Paese, ottenuta tramite la mediazione della Comunità di S. Egidio, ma non si può provare nulla in merito. Purtroppo, il traffico d’organi è un’Idra ben nascosta e potente.

Invece di gettare fango sulle rivelazioni di Donald Boström, dovremmo chiederci cosa sta succedendo, e non è difficile capirlo: nelle periferie del Pianeta – nei “Bantustan” palestinesi, africani, sudamericani, asiatici, ecc – la vita di una persona non vale niente. Se, invece, viene avviata al mercato degli organi, miracolosamente si trasforma in un capitale di centinaia di migliaia di dollari. C’è bisogno d’aggiungere altro?
Nel liberismo selvaggio che ci propongono come panacea per tutti i mali, ciascuno ha il suo tornaconto: la sanità pubblica, mediante i trapianti, viene sollevata dai costi delle dialisi, la Novartis – produttrice della ciclosporina, il farmaco anti-rigetto – fa soldi a palate, le cliniche ed i medici s’arricchiscono. Tutti felici e contenti.
Nelle periferie del Pianeta qualcuno ci lascia la pelle? E chi se ne frega! E’ semplicemente la nuova tratta degli schiavi: interi, o a pezzi, basta far soldi.

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