22 dicembre 2019

Regalo di Natale (con ammennicoli vari…)

Natale è la vera festa dei cattolici: dovrebbe essere, in realtà, la Pasqua la quale contiene e condensa in pochi giorni (o, addirittura, ore) tutta la vicenda di un certo Joshua bar Joseph (Gesù figlio di Giuseppe), che sarebbe diventata la colonna sonora di due millenni di storia, oggi conclusa, terminata, smarcata dalle cronache religiose del pianeta. Vedremo poi.
Già, Natale…però il Natale, celebrando la nascita del Redentore delle Anime, sconfessa apertamente chi non aveva riconosciuto in lui il Davide, il Grande Re Davide che avrebbe riportato alla gloria il grande popolo d’Israele. Non l’hanno riconosciuto? Ben gli sta! Giù la testa!

Se il grande regno di Davide mai non giunse, anche il surrogato – ossia il povero Joshua bar Joseph – non fu una gran trovata. Ossia, lo fu sotto l’aspetto secolare, di potere – indubbiamente servì a tanto per superare la crisi dell’Impero Romano e trasformarlo nel Sacro Romano Impero, con annessi e connessi – ma fallì totalmente sotto l’aspetto della religione e, soprattutto, della contigua filosofia religiosa. Prima di partire, ricordiamo una curiosità: il primo a godere dell’appellativo di Pontifex Maximus (pressappoco “guida suprema”) fu…Giulio Cesare! Dopo di lui, tutti gli imperatori romani.
Bisogna partire da lontano per capire tutto l’arzigogolo, e quando si dice da lontano quel “lontano” è, niente popò di meno che…Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, in arte Nerone, quinto imperatore romano. Perché?

Perché Nerone aveva ben compreso che il futuro dell’Impero non era nella lontana Britannia o nella riottosa Germania, bensì nel Mediterraneo: ossia, voleva spostare il baricentro dell’Impero verso Oriente, non verso l’inospitale Nord. Nel 67 d. C. si recò in Grecia e concesse a tutti i Greci l’immunità, qualcosa che si avvicinava alla cittadinanza romana, ed iniziò a meditare che Alessandria d’Egitto (seconda città dell’Impero) aveva tutti i crismi per diventarne la prima: la Biblioteca – che, oggi, definiremmo “un grande polo universitario” – il grandioso porto e la posizione geo-centrica di quello che lui immaginava il futuro dell’Impero. E la religione? Le tradizioni? Beh…ci penseremo…in Oriente si trova di tutto…
A Roma non furono molto d’accordo, e lo fecero fuori. Ma il dado era tratto: nemmeno 60 anni dopo, Adriano ammetteva “Christus” fra gli dei onorabili a Roma, sempre che i seguaci lo onorassero nel Pantheon romano e non come unico Dio. Ma la strada era tracciata. S’era intorno al 120 d. C.

Ci furono ancora lotte, discriminazioni, uccisioni…ma, due secoli dopo, Costantino sanciva il passaggio definitivo, quello della religione cristiana come unico credo del regno. E, annessa, vi fu la prima truffa dei cristiani, ossia la cosiddetta “donazione” di Costantino (mai avvenuta) poi codificata nel Constitutum Constantini, un testo apocrifo del IX secolo d. C. la quale concedeva al papato non la guida della Chiesa, bensì una specie di titolo di imperator, ossia la supremazia su qualsiasi regno o (futuro) feudatario del grande impero. La frittata (un colossale falso storico) era sfornata, ed era nato lo Stato della Chiesa.

Per i secoli a seguire, dunque, i Papi non furono le guide religiose che tutti pensiamo ed immaginiamo nella nostra tradizione, bensì i Re d’alcuni possedimenti italici e gli imperatori dell’ex Impero Romano, perché avevano nelle mani uno strumento potente per mantenere quel primato (che usarono più volte), ossia la scomunica. Furono Pontifex Maximus dei re ed imperatori d’Europa.

Non ci dobbiamo perciò meravigliare dei fasti della corte papale, delle molte concubine, delle mille corruzioni, delle sanguinose lotte di potere…non dimentichiamo che molti Papi non furono nemmeno preti, oppure furono nominati cardinali da bambini…erano dei regnanti, stop. Machiavelli scrisse che gli italiani crebbero “senza religione e cattivi”, poiché allevati in quei torbidi consessi, nei quali la gestione del potere era “santificata” da qualcosa che, di veramente santo, non aveva niente.
Ma venne la prima punizione.

Un oscuro monaco agostiniano germanico, Martin Lutero – dopo una visita a Roma nella quale vide quel che vide, non ultimo il commercio, venale, delle indulgenze, che lo terrificò – tornato in Germania (e sotto la protezione di Federico di Sassonia) pubblicò le famose 95 tesi affiggendole sulla porta della Chiesa di Wittemberg. Era il 1517, era la Rivoluzione.
Lutero voleva tornare ad un Cristianesimo più puro, mondato da ogni coinvolgimento secolare che la Chiesa Romana, ovviamente, non poteva concedere, senza correre il rischio d’enormi perdite, territoriali e di ricchezza.

La prima avvisaglia di come i Protestanti desideravano “accomiatarsi” dal potere romano avvenne nel 1527, con il Sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi: 20.000 morti ed il resto della popolazione in fuga. Per “scalzarli” da Roma il papa dovette pagare 400.000 ducati d’argento. Cash.
La risposta, da Roma, venne nel 1545 con il Concilio di Trento e fu una risposta totalmente di chiusura, con la proibizione del possesso degli antichi testi biblici (in greco ed aramaico): solo la Vulgata – pessimo titolo! – ossia la Bibbia in Latino visionata e distribuita solo da Roma. E la creazione del Sant’Uffizio (la futura Inquisizione) e dell’indice dei testi “scomunicati”.
Gli ultimi a ricevere questo “trattamento” furono Simone de Beauvoir, Gide, Moravia e Sartre (!). Li precedettero, praticamente, tutti i “pilastri” della civiltà moderna occidentale, da Cartesio in poi, e l’ultimo Papa passato sullo scranno del Sant’Uffizio, poi divenuto “Congregazione per la dottrina della Fede” fu papa Ratzinger, tuttora vivente, Benedetto XVI.

Insomma, in barba a tutti i “consigli” che giungevano dall’esterno, la Chiesa Cattolica non ha deviato di un’unghia, non ha discusso con nessuno, non ha accettato nessun “bonario” consiglio.
Ha continuato a non concedere rogatorie nemmeno quando le vicende dello IOR (la Banca Vaticana) sprofondavano, più che nella tragedia, nella farsa. Pedofilia, niente, preservativi, nulla, divorzio, ignorato. Salvo concederlo, già a Trento (1545), per le coppie di neri che erano state battezzate dai missionari e poi vendute, schiave, a differenti proprietari. Una vera e propria chicca: un’attenzione perfetta per le esigenze del commercio! La giustificazione? Qualcuno aveva potuto leggere le pubblicazioni dell’atto? Magari affisse su un albero della foresta equatoriale? Penosi.

Ma la nemesi giunge da dove meno te lo aspetti. Stavolta non c’è più un monaco che affigge delle tesi su una chiesa per chiederne la discussione, per avviare una ricostruzione di quel credo suggerito (pare) molto tempo prima da un oscuro pescatore/predicatore della Galilea. Rivisto e purgato – in primis Paolo di Tarso, poi Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino eccetera, eccetera… – per l’udito e la forma mentis dei greci e dei latini dapprima, poi per i loro eredi.

Quando un edificio si mostra troppo vecchio per resistere ancora allo scorrere del tempo, quando non sono stati eseguiti per tempo i necessari lavori di ristrutturazione, entrano in funzione le ruspe demolitrici: non c’è altra soluzione.

La “ruspa” – addirittura comico! – sgattaiola fuori dal garage delle Edizioni San Paolo di Roma, ma non affigge tesi per discutere, non chiede udienza, non dà alla vetusta istituzione cattolica nemmeno l’appiglio di un confronto: “non voglio intromettermi fra ciò che pensano e credono i cattolici rispetto alla loro Fede”. E’ ciò che Mauro Biglino ripete, anche se sa benissimo che non ci potrebbero essere più roghi per bruciarlo.

Magari, però, una pallottola vagante potrebbe sempre manifestarsi: i tempi cambiano e gli inquisitori accettano anche qualche “suggerimento” della modernità. La morte del comandante delle Guardie Pontificie, Alois Estermann (mai chiarita), della moglie e di un caporale, è stata una sparatoria degna di un film di Sergio Leone. Proprio accanto all’appartamento del Papa.

Così, dalle Bibbie più antiche – guarda a caso quelle proibite nel ‘500 con l’Inquisizione – salta fuori, traducendo letteralmente, che il potente e “glorioso” Dio Javhé viaggiava nei cieli su un “carro di fuoco”, mentre i suoi “cherubini” assomigliavano più a delle guardie del corpo che agli angioletti del presepe.
Ma anche il Nuovo Testamento è stato “rivisitato” – soprattutto grazie all’acume “greco” di Paolo di Tarso – e, dunque, una vicenda interna alla comunità ebraica, uno scontro fra fazioni discordi ed un fallito assalto al tempio di Salomone, ha creato i prodromi per la creazione di una nuova religio, visto che quella vigente nella Roma imperiale era in forte crisi, pervasa e stravolta da nuovi credi.
Mentre era stato proibita dal Senato la pratica dei Baccanali, i culti di Cibele, Iside e, soprattutto, Mitra erano entrati a far parte del Pantheon Romano, scombussolandone le radici, che risalivano addirittura al primo re, Numa Pompilio. C’era bisogno di “aria nuova”: che durò per due millenni.

Oggi, osservando con occhio disincantato e senza nessun tipo d’acredine, possiamo affermare che la religione Cattolica sia ancora uno dei “perni” del vivere italico?

Vivo di fronte ad una chiesa, che si dice sia stata un “luogo” dei Templari, e nella quale è stato anche girato un pessimo film (The broken key) sull’infinita saga dei cavalieri antichi e delle moderne società segrete.
Le campane, a parte le ore, suonano musichette che sembrano il “liscio” dei Casadei: mai più ascoltato una musica sacra. Rari matrimoni e battesimi, più frequenti i funerali, con un solo denominatore: niente che abbia a che vedere con una pratica sacra, ma solo cerimonie mondane, allegre o tristi, ma solo mondane. Abiti eleganti le donne, camicie e cravatte gli uomini: per quel che ne so, una liturgia spenta senza più nessuna tensione religiosa verso il sacro, il supremo, l’assoluto inconoscibile.

Le statistiche ci dicono che circa la metà della popolazione italiana si dice cattolica, ma coloro che si dicono credenti e praticanti sono soltanto il 22%. Ci sono, poi, un 10% circa che appartiene ad altre religioni, ed un 14% che, genericamente, “crede in Dio”. Questa è, sostanzialmente, la situazione.
Al di là della sfera religiosa, gli italiani che credono molto o abbastanza alle coincidenze rappresentano ben il 53% mentre il 41% crede nella fortuna, il 25% nella reincarnazione, il 24% nella predestinazione dell'anima, il 21% nei miracoli dei guaritori, il 18% nel karma, il 17% nell'astrologia, il 16% nella presenza di alieni sulla Terra, un altro 16% nella jella e nel malocchio, sempre il 16% nelle sedute spiritiche, il 14% nella possessione diabolica, il 9% nei tarocchi e un altro 9% nella magia. (sondaggio Adnkronos)
Sembra quasi l’identica situazione del tardo Impero Romano anzi: forse peggio.

Eppure, continuiamo a definirci un “Paese cattolico”: in ogni modo, felice Natale a tutti!

14 dicembre 2019

Winston Churchill searching

La Gran Bretagna, grande nazione per tre secoli di storia, festeggia la sua ennesima vittoria: l’affermazione dei conservatori racconta che lo “strappo” definitivo dall’Europa avverrà a fine Gennaio. Dobbiamo crederci? Facciamo finta, oppure crediamoci pure, non cambia molto.

Il problema di Sua Maestà, ora, è come armonizzare il dopo Brexit con la realtà: la Gran Bretagna – siamo onesti – da Napoleone in poi non ha avuto superbi statisti e, quando si ritrovò quasi con Rommel e Guderian sulla costa della Kent, dovette richiamare in fretta e furia un mastino, non un gran pensatore, un gran picchiatore e basta. Di necessità virtù: dove non giunsero le alchimie sopraffine di Chamberlain, arrivarono gli Spitfire di Churchill.
La Gran Bretagna fu salvata, durante la Seconda Guerra Mondiale, dalle truppe dei dominions – australiani, neozelandesi, indiani, birmani, ecc – i quali, con qualche mal di pancia, salvarono l’impero britannico dalla distruzione militare. Al resto, pensarono i convogli dall’America che portarono di tutto, dal latte ai carri armati.

Dopo la guerra, la scelta europea apparve vantaggiosa ma oggi, la crisi intrinseca (e tutta politica) dell’UE, ha fatto virare il consenso popolare verso una “indipendenza” che presenta molte incognite. Il bislacco sistema elettorale inglese ha fatto il resto.
Il Commonwealth? Può ancora essere la valvola di sfogo dei tanti problemi britannici? I molti “distinguo” di Australia e Canada, ad esempio, non sembrano portare molte speranze.
L’impero inglese si è trasformato in un grande impero finanziario, senza più basi industriali o il grande commercio agrario di un tempo: basterà, per reggere, da solo, nel panorama politico mondiale?

Le parole d’ordine dei politici di destra – America first, British first, o prima gli italiani – di Trump, Johnston e Salvini finiscono per essere dei vuoti mantra, senza un costrutto interno a renderli validi. Parole d’ordine buone per Facebook o Twitter, puri messaggi elettorali e basta: non c’è modo – se vogliamo – di proteggere gli europei dal dilagare della potenza cinese: basta osservare un qualsiasi porto italiano, e cosa c’è scritto a poppa delle navi o sopra i container.

Per qualche tempo, la Gran Bretagna fu salvata da un oscuro geologo – Colin Campbell – che scoprì il Brent, il petrolio del Mare del Nord. Ma, oggi, sta finendo ed il governo inglese ha lanciato il più vasto piano eolico europeo, per sopperire ai bisogni interni.
Però, mentre i giacimenti del Dogger Bank – in Inghilterra – sono quasi esauriti, quelli situati in area scozzese stanno molto meglio: insomma, la Brexit ci lascerà un panorama con inglesi quasi senza petrolio e scozzesi ricchi petrolieri.
Non a caso, le recenti elezioni inglesi hanno visto la vittoria in Inghilterra dei candidati Brexit, mentre in Scozia (e nel Nord Irlanda, ma per altri motivi) il no-Brexit ha avuto la maggioranza e, già oggi, qualcuno mette avanti la richiesta di un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese. E questo è già un grosso problema.

Tutti i mari inglesi, però, risulteranno di più difficile navigazione e per la pesca: la Manica tornerà ad essere divisa a metà con Francesi e Belgi e, soprattutto, il Mare d’Irlanda – considerato quasi un mare interno inglese – tornerà ad essere diviso con l’Irlanda la quale, come tutti sanno, non ha profondi sentimenti d’amicizia per gli ex dominatori inglesi.
La situazione più difficile, però, è senz’altro quella del confine nord-irlandese.

I più giovani non possono sapere, ma i meno giovani ben ricordano cosa fu prima dell’integrazione europea per gli irlandesi: un confine violento, arrossato di sangue, fra due popolazioni che sono entrambe irlandesi, ma separate fra cattolicesimo irlandese e protestanti al Nord. Insomma, la vecchia storia dell’IRA, che si tacitò con l’accordo di Shengen per la libera circolazione delle persone e delle merci. Se in altri confini fu odiato per la circolazione degli extracomunitari, lassù – con la libera circolazione di persone e di merci – tacitò le intemperanze, di una parte e dell’altra. E fu una benedizione.

Insomma, la Gran Bretagna, a Gennaio 2020 tornerà ad essere un Paese circondato da mari e coste di Paesi…diciamolo con una formula neutra…“non-amici”. E, paradossalmente, l’unica via aperta sarà di nuovo quella verso l’America: la stessa rotta che seguirono i convogli durante la guerra.
Il voto ai conservatori inglesi si è concentrato soprattutto nelle Midland, dove c’è stato un vero plebiscito, perché – a parte Scozia e Irlanda del Nord, dove hanno vinto i no-Brexit – anche nel Galles il risultato è stato più bilanciato. In effetti, si è trattato di una vittoria più inglese che britannica.
Ovvio che una nuova GB non dovrà soltanto guardarsi dai nemici “interni”, bensì anche creare nuove alleanze esterne.

Berlino non ha interessi a mantenere un buon rapporto con Londra: il suo interesse geopolitico vira ad Est, verso le opportunità (ed i bassi costi di manodopera, meno di quella cinese!) che trova in Romania, Ungheria e nei Balcani in genere. Domani una porta verso l’Ucraina potrebbe aprirsi, ma ritengo che, finché ci sarà Putin in Russia, tutto rimarrà come oggi.
Anche nel continente, se c’è molto scontento per come viene gestita l’avventura europea, non ci sono segnali di “partecipazione attiva” da parte di Paesi europei verso la scelta inglese: tanta parole, ma fatti niente, perché una simile scelta è molto ardua.

Nemmeno Parigi, o Roma, o Madrid hanno cospicui rapporti economici con Londra: ciò che importa molto, invece, sono i rapporti finanziari con la city londinese i quali, però, da molti anni sono migrati a Dublino perché da lì, in qualche modo, s’arriva ai paradisi fiscali dei Caraibi. Comprendo che la logica appare un po’ strana, però i capitali che vanno “off-shore” passano oggi per Dublino più che da Londra.
Il perché è di facile comprensione: gli investitori necessitano di un mercato libero ed evanescente, senza improvvise pastoie che giungano da Londra o da Berlino.
Una specie di Svizzera in mezzo al mare, sicuro rifugio per capitali erranti? Potrebbe essere, ma ci sono già le banche svizzere e quelle irlandesi che “coprono” sia la domanda di conservazione, sia quella d’espatrio verso “lidi” più remunerativi.

Di là delle misere strategie parlamentari, dei rimandi, dei trucchi delle tre carte, resta nel piatto il punctum dolens: come reagirà l’America – oggi Donald Trump – quando Londra non sarà più legata all’Europa?
La vicenda d’ogni “sovranismo” – ossia nazionalismo mascherato – ineluttabilmente, va ad uno scontro con altri nazionalismi: ovvio che gli USA gioiscano per ogni ridimensionamento o maggior debolezza dell’Europa ma, nel caso inglese, come reagiranno?

Una volta che la Gran Bretagna sia isolata dal resto dell’Europa, gli USA si mostrerebbero comprensivi verso un Paese verso il quale non avrebbero nessun vantaggio a stringere costose alleanze? Non dimentichiamo che, nel 1940, in cambio d’alcuni vecchi cacciatorpediniere della Prima Guerra Mondiale, gli USA pretesero l’uso, per 99 anni, di buona parte delle colonie britanniche nel pianeta. In buona sostanza, tutti i convogli inviati in Gran Bretagna furono pagati, al termine della guerra, con la cessione del potere britannico sui dominions: in pratica, la fine dell’Impero Britannico.

Hitler non desiderava la fine dell’Impero Britannico: più volte illustrò il suo pensiero, ossia quello di una Germania al potere in Europa e in gran parte della Russia, ma non comprese il rifiuto di una pace con la GB che avrebbe salvato l’impero britannico dalla rovina.
Ma, si sa che gli inglesi – seppur in gravi condizioni – prospettarono lo spostamento della Corona in Canada, qualora l’Inghilterra fosse stata invasa, piuttosto che cedere. Non si fidarono di Hitler? Comprensibile.

Oggi, il potere della Germania sul continente europeo è forte e ben articolato: grandi investimenti in Spagna, Portogallo ed Italia e molte fabbriche de-localizzate nel Paesi dell’Est Europa.
E’ sufficiente questo parallelismo per giudicare la scelta inglese?
Sostanzialmente sì, però mancano i corollari per sostenere con certezze questa scelta: anzitutto, la Merkel non è Hitler, e su questo non ci piove. E poi: i britannici non possono più contare sulla potenza economica del loro impero.

Il potere internazionale, oggi, verte sul confronto fra una potenza in declino – gli USA – ed una in ascesa, la Cina. Difatti, in modo molto ingenuo e raffazzonato, Trump ha immaginato che basti una politica doganale per contrastare l’avversario: puerile, visto che la Cina può muovere i suoi investimenti dal mercato estero al mercato interno (e lo sta facendo), mentre nella sua appartenenza allo SCO trova molti partner sui quali far conto.

Su cosa possono contare gli USA in una stretta alleanza con la Gran Bretagna? Sulla condivisione dei fazzoletti per piangere?

02 dicembre 2019

Castrucci e la Storia

C’è qualcosa che stride nella vicenda di Emanuele Castrucci, qualcosa che non si riesce a capire: o meno, che non si può intendere se si conosce la Storia e non si è preda d’allucinate visioni. E pensare che, questo signore, faceva il professore. Universitario, per giunta!
Si tratta di un sillogismo frettoloso – solo così riesco a definirlo – perché non posso capacitarmi di come abbia la capacità, un uomo che deve aver studiato (almeno, si spera) i cardini della storia del Novecento, di cadere in una simile castroneria. D’altronde, qualcuno dirà, Castrucci…nomen omen…ma non vogliamo infierire.

Il suo sillogismo, semplificato al massimo, vuol dire che Hitler combatté fino alla morte (presunta) coloro che, oggi, governano l’economia. Che, ovviamente, non sono americani, cinesi, giapponesi, inglesi, arabi, francesi, italiani, spagnoli, brasiliani, russi, tedeschi, turchi…no…sono soltanto ebrei, perché gli ebrei hanno inventato la logica economica dell’imperialismo, solo gli ebrei e basta.
Mi sembra un po’ frettoloso ed un po’ fuorviante, anche ammettendo che alcune banche d’affari di fine Ottocento fossero governate da ebrei (vedi i Rothschild), perché ce ne sono state tantissime che non avevano a capo un ebreo. E sono la gran maggioranza. Tutta l’economia dei petrodollari ha avuto banchieri ebrei alle spalle? Siamo certissimi – è solo un piccolo esempio – che i sostenitori di Castrucci lo sosterranno senza il minimo dubbio, senza portare – però – che le pedanti prove d’altri siti Web che sostengono la medesima tesi. Alla base, però, c’è la Storia, che è sì fatta anche di complotti e di colossali inganni, ma che è difficile negarla in toto a causa di quei raggiri.

Solo un esempio: è pur vero che gli USA erano a conoscenza dei piani d’attacco giapponesi a Pearl Harbour, ed avevano decrittato i codici segreti giapponesi, ma è anche vero che il Giappone, per mantenere il suo livello d’espansione, prevedeva la “sfera di prosperità orientale” guidata dal Giappone, che significava l’accaparramento – volente o nolente – dei giacimenti petroliferi dell’Indonesia, all’epoca olandese. Il Giappone, se qualcuno lo ricorda, era dal 1937 che era in guerra contro la Cina.

Già, ma pare che Castrucci lo abbia dimenticato.
E veniamo alla Germania.

La Germania nazista ha sempre intessuto la sua politica estera di concetti razziali, senza avere la minima prova: parole, solo parole, veleni e notizie “alla Goebbels”, il quale sosteneva – sue parole – che “una bugia raccontata molte volte diventa una mezza verità”.
Fino alla fine del 1942 – ossia fino alla creazione del Palestine Regiment in Palestina (che combatté contro l’Africa Korps di Rommel) e la  Jewish Infantry Brigade, che nel 1944 divenne organica nell’esercito britannico – Hitler non ebbe ragioni per considerare gli ebrei come facenti parte della coalizione alleata.
E, a fine 1942, ci pare, che qualcosa nel Ghetto di Varsavia fosse già accaduto, vero Castrucci? Ah, già, ma Hitler era così “grande” da conoscere il futuro…ossia, il futuro raccontato dai cosiddetti “eletti” dell’anti-ebraismo di Internet.

Sapete cosa vi risponderanno?
Che i maledetti angloamericani stavano sotterrando di bombe la Germania! Come potevano, i poveri tedeschi, permettersi di mantenere milioni di ebrei?
A parte che, se un problema ci fu in Germania, fu quello dei molti soldati ed ufficiali ebrei che facevano parte della Wehrmacht da prima del nazismo, e che fu un po’ “problematico” metter fuori. Ma, prima degli inglesi su Berlino, non avevano forse i tedeschi inventato il verbo “coventrizzare” per definire un bombardamento a tappeto altamente distruttivo sulla popolazione? Ed era solo il 1940.
Solo che gli anglo-americani furono più bravi dei presuntuosi tedeschi: spedirono in fondo all’Oceano gli U-Boot che dovevano affamarli con un semplice congegno chiamato “radar”, che i bravissimi tecnici tedeschi non conoscevano o snobbarono.

Quindi – signor Castrucci – per favore, non si metta a raccontare di queste cavolate pensando che siano tutti ignoranti come quelli che si “adunano” alle sue (presumo) conferenze, perché – in realtà – vi trovate e vi raccontate le solite manfrine ma Casa Pound, che si presenta alle elezioni ad ogni tornata, non riesce a superare mai lo 0,qualcosa, che la dice lunga sulla vostro consenso fra la popolazione.

Mi dia ascolto, Castrucci: ho solo un anno in più di lei e sono stato anch’io un docente…vada in pensione, ne ha diritto, e tolga il disturbo che di problemi, di quelli veri, ne abbiamo già tanti, senza che lei ci venga ad ingolfare con le sue castronerie.
Saluti.