14 dicembre 2019

Winston Churchill searching

La Gran Bretagna, grande nazione per tre secoli di storia, festeggia la sua ennesima vittoria: l’affermazione dei conservatori racconta che lo “strappo” definitivo dall’Europa avverrà a fine Gennaio. Dobbiamo crederci? Facciamo finta, oppure crediamoci pure, non cambia molto.

Il problema di Sua Maestà, ora, è come armonizzare il dopo Brexit con la realtà: la Gran Bretagna – siamo onesti – da Napoleone in poi non ha avuto superbi statisti e, quando si ritrovò quasi con Rommel e Guderian sulla costa della Kent, dovette richiamare in fretta e furia un mastino, non un gran pensatore, un gran picchiatore e basta. Di necessità virtù: dove non giunsero le alchimie sopraffine di Chamberlain, arrivarono gli Spitfire di Churchill.
La Gran Bretagna fu salvata, durante la Seconda Guerra Mondiale, dalle truppe dei dominions – australiani, neozelandesi, indiani, birmani, ecc – i quali, con qualche mal di pancia, salvarono l’impero britannico dalla distruzione militare. Al resto, pensarono i convogli dall’America che portarono di tutto, dal latte ai carri armati.

Dopo la guerra, la scelta europea apparve vantaggiosa ma oggi, la crisi intrinseca (e tutta politica) dell’UE, ha fatto virare il consenso popolare verso una “indipendenza” che presenta molte incognite. Il bislacco sistema elettorale inglese ha fatto il resto.
Il Commonwealth? Può ancora essere la valvola di sfogo dei tanti problemi britannici? I molti “distinguo” di Australia e Canada, ad esempio, non sembrano portare molte speranze.
L’impero inglese si è trasformato in un grande impero finanziario, senza più basi industriali o il grande commercio agrario di un tempo: basterà, per reggere, da solo, nel panorama politico mondiale?

Le parole d’ordine dei politici di destra – America first, British first, o prima gli italiani – di Trump, Johnston e Salvini finiscono per essere dei vuoti mantra, senza un costrutto interno a renderli validi. Parole d’ordine buone per Facebook o Twitter, puri messaggi elettorali e basta: non c’è modo – se vogliamo – di proteggere gli europei dal dilagare della potenza cinese: basta osservare un qualsiasi porto italiano, e cosa c’è scritto a poppa delle navi o sopra i container.

Per qualche tempo, la Gran Bretagna fu salvata da un oscuro geologo – Colin Campbell – che scoprì il Brent, il petrolio del Mare del Nord. Ma, oggi, sta finendo ed il governo inglese ha lanciato il più vasto piano eolico europeo, per sopperire ai bisogni interni.
Però, mentre i giacimenti del Dogger Bank – in Inghilterra – sono quasi esauriti, quelli situati in area scozzese stanno molto meglio: insomma, la Brexit ci lascerà un panorama con inglesi quasi senza petrolio e scozzesi ricchi petrolieri.
Non a caso, le recenti elezioni inglesi hanno visto la vittoria in Inghilterra dei candidati Brexit, mentre in Scozia (e nel Nord Irlanda, ma per altri motivi) il no-Brexit ha avuto la maggioranza e, già oggi, qualcuno mette avanti la richiesta di un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese. E questo è già un grosso problema.

Tutti i mari inglesi, però, risulteranno di più difficile navigazione e per la pesca: la Manica tornerà ad essere divisa a metà con Francesi e Belgi e, soprattutto, il Mare d’Irlanda – considerato quasi un mare interno inglese – tornerà ad essere diviso con l’Irlanda la quale, come tutti sanno, non ha profondi sentimenti d’amicizia per gli ex dominatori inglesi.
La situazione più difficile, però, è senz’altro quella del confine nord-irlandese.

I più giovani non possono sapere, ma i meno giovani ben ricordano cosa fu prima dell’integrazione europea per gli irlandesi: un confine violento, arrossato di sangue, fra due popolazioni che sono entrambe irlandesi, ma separate fra cattolicesimo irlandese e protestanti al Nord. Insomma, la vecchia storia dell’IRA, che si tacitò con l’accordo di Shengen per la libera circolazione delle persone e delle merci. Se in altri confini fu odiato per la circolazione degli extracomunitari, lassù – con la libera circolazione di persone e di merci – tacitò le intemperanze, di una parte e dell’altra. E fu una benedizione.

Insomma, la Gran Bretagna, a Gennaio 2020 tornerà ad essere un Paese circondato da mari e coste di Paesi…diciamolo con una formula neutra…“non-amici”. E, paradossalmente, l’unica via aperta sarà di nuovo quella verso l’America: la stessa rotta che seguirono i convogli durante la guerra.
Il voto ai conservatori inglesi si è concentrato soprattutto nelle Midland, dove c’è stato un vero plebiscito, perché – a parte Scozia e Irlanda del Nord, dove hanno vinto i no-Brexit – anche nel Galles il risultato è stato più bilanciato. In effetti, si è trattato di una vittoria più inglese che britannica.
Ovvio che una nuova GB non dovrà soltanto guardarsi dai nemici “interni”, bensì anche creare nuove alleanze esterne.

Berlino non ha interessi a mantenere un buon rapporto con Londra: il suo interesse geopolitico vira ad Est, verso le opportunità (ed i bassi costi di manodopera, meno di quella cinese!) che trova in Romania, Ungheria e nei Balcani in genere. Domani una porta verso l’Ucraina potrebbe aprirsi, ma ritengo che, finché ci sarà Putin in Russia, tutto rimarrà come oggi.
Anche nel continente, se c’è molto scontento per come viene gestita l’avventura europea, non ci sono segnali di “partecipazione attiva” da parte di Paesi europei verso la scelta inglese: tanta parole, ma fatti niente, perché una simile scelta è molto ardua.

Nemmeno Parigi, o Roma, o Madrid hanno cospicui rapporti economici con Londra: ciò che importa molto, invece, sono i rapporti finanziari con la city londinese i quali, però, da molti anni sono migrati a Dublino perché da lì, in qualche modo, s’arriva ai paradisi fiscali dei Caraibi. Comprendo che la logica appare un po’ strana, però i capitali che vanno “off-shore” passano oggi per Dublino più che da Londra.
Il perché è di facile comprensione: gli investitori necessitano di un mercato libero ed evanescente, senza improvvise pastoie che giungano da Londra o da Berlino.
Una specie di Svizzera in mezzo al mare, sicuro rifugio per capitali erranti? Potrebbe essere, ma ci sono già le banche svizzere e quelle irlandesi che “coprono” sia la domanda di conservazione, sia quella d’espatrio verso “lidi” più remunerativi.

Di là delle misere strategie parlamentari, dei rimandi, dei trucchi delle tre carte, resta nel piatto il punctum dolens: come reagirà l’America – oggi Donald Trump – quando Londra non sarà più legata all’Europa?
La vicenda d’ogni “sovranismo” – ossia nazionalismo mascherato – ineluttabilmente, va ad uno scontro con altri nazionalismi: ovvio che gli USA gioiscano per ogni ridimensionamento o maggior debolezza dell’Europa ma, nel caso inglese, come reagiranno?

Una volta che la Gran Bretagna sia isolata dal resto dell’Europa, gli USA si mostrerebbero comprensivi verso un Paese verso il quale non avrebbero nessun vantaggio a stringere costose alleanze? Non dimentichiamo che, nel 1940, in cambio d’alcuni vecchi cacciatorpediniere della Prima Guerra Mondiale, gli USA pretesero l’uso, per 99 anni, di buona parte delle colonie britanniche nel pianeta. In buona sostanza, tutti i convogli inviati in Gran Bretagna furono pagati, al termine della guerra, con la cessione del potere britannico sui dominions: in pratica, la fine dell’Impero Britannico.

Hitler non desiderava la fine dell’Impero Britannico: più volte illustrò il suo pensiero, ossia quello di una Germania al potere in Europa e in gran parte della Russia, ma non comprese il rifiuto di una pace con la GB che avrebbe salvato l’impero britannico dalla rovina.
Ma, si sa che gli inglesi – seppur in gravi condizioni – prospettarono lo spostamento della Corona in Canada, qualora l’Inghilterra fosse stata invasa, piuttosto che cedere. Non si fidarono di Hitler? Comprensibile.

Oggi, il potere della Germania sul continente europeo è forte e ben articolato: grandi investimenti in Spagna, Portogallo ed Italia e molte fabbriche de-localizzate nel Paesi dell’Est Europa.
E’ sufficiente questo parallelismo per giudicare la scelta inglese?
Sostanzialmente sì, però mancano i corollari per sostenere con certezze questa scelta: anzitutto, la Merkel non è Hitler, e su questo non ci piove. E poi: i britannici non possono più contare sulla potenza economica del loro impero.

Il potere internazionale, oggi, verte sul confronto fra una potenza in declino – gli USA – ed una in ascesa, la Cina. Difatti, in modo molto ingenuo e raffazzonato, Trump ha immaginato che basti una politica doganale per contrastare l’avversario: puerile, visto che la Cina può muovere i suoi investimenti dal mercato estero al mercato interno (e lo sta facendo), mentre nella sua appartenenza allo SCO trova molti partner sui quali far conto.

Su cosa possono contare gli USA in una stretta alleanza con la Gran Bretagna? Sulla condivisione dei fazzoletti per piangere?

3 commenti:

Eli ha detto...

Hai posto l'accento sugli argomenti nodali: di che vivranno senza Commonwealth, e con un mondo in continuo mutamento e con Cina e India che avanzano?
L'ultima frase è ironia realistica, mi piace.
Diciamolo pure, hanno fatto una cavolata che pagheranno duramente.
In tutta la schiera di mediocri personaggi politici inglesi dalla Thatcher in poi, Boris Johnson spicca per la sua cattiveria.
E' veramente un personaggio molto pericoloso, una specie di Nutellaro in salsa albionica.
Ma a differenza del Sancho Panza de' noantri, lui è pieno di miliardi.
Bel post, forte e chiaro!

Eli

Eli ha detto...

Milioni di allocchi che hanno soggiaciuto alla propaganda...
Mi sembra di vedere un film già visto.

A proposito, ho una famiglia di conoscenti in campagna che si sono trasferiti in Irlanda, EIRE.
Cominciò il figlio, sposando un'irlandese e mettendo al mondo tre figli.
Poi, dopo anni, si è risposato con un'altra ed ha avuto altri due figli con lei.
Lo seguì la madre per prima, poi andò anche il padre divorziato da lei.
Tutti hanno un lavoro, quando lo perdi ci sono gli assegni di disoccupazione, se rifiuti tre lavori di seguito ritorni al tuo paesello. E costoro non parlavano neanche inglese, quando sono partiti!
Le madri separate con figli percepiscono assegni per mantenerli. E vivono in città multietniche, in allegria e tranquillità, fra culture diverse, senza ombra di razzismo o scemenze varie.

Se lì non facesse così freddo, potrei trasferirmi anch'io, ho un feeling particolare con l'Irlanda e James Joyce.

Ciao.
Ciao.

Carlo Bertani ha detto...

Io, invece, non ho un buon feeling con l'Irlanda e gli irlandesi, ma per questioni musicali, non per altro. Loro credono di suonare la miglior musica popolare del mondo, ed io non ero (quando suonavo) e non sono d'accordo. Poi, sui commediografi irlandesi...li strapazzò ben bene Joyce, nell'occasione dell'epitaffio di Oscar Wilde, definendoli "gli ultimi servi degli inglesi". Ho un caro amico irlandese, però,Joe Quinn, che suona ancora e vive a Torino...un anno fa, circa, l'ho accompagnato ad un piccolo concerto (è considerato il miglior suonatore di bodhram del mondo)e, ad attenderci, c'era anche il prete del paese. Sai come ti vengono gli scherzi...così, alla Amici Miei...
Ho assunto un italiano con forte accento inglese e mi sono presentato come "l'assistente spirituale della comunità irlandese di Torino". "We are pochi here in Taurino, bur was necessario avere guida spirituale...don't you pensi?" Il prete restò un po' basito, era imbarazzato, e mi guardava con sospetto...gli altri ridevano sotto i baffi...
Dopo il concerto, ed un paio di birre, gli ho detto che era uno scherzo...s'è messo a ridere anche lui...certo, con degli inglesi non sarebbe stato possibile...
Ciao
Carlo