23 luglio 2013

Aspetta e spera


Ho ascoltato e letto l’intervista concessa da Gianroberto Casaleggio (1) a Gianluigi Nuzzi, nell’ambito del festival letterario “Ponza d’autore” e ne sono rimasto favorevolmente colpito da un lato, perplesso dall’altro.


Nulla da eccepire sulla visione politica di Casaleggio, che è un idealista convinto, il quale sciorina una serie di propositi giustissimi (ed un po’ avveniristici, come la democrazia diretta, bellissima ipotesi ma poco realizzabile) sui quali, però – ascoltando attentamente – non pone limiti di tempo. “Sui tempi, poi...”

Certo: noi tutti possiamo ragionevolmente presagire che alcuni risultati saranno un giorno raggiunti – dalla Rivoluzione Francese (o forse prima, dalla fine del Medioevo) un certo progresso delle idee e delle conoscenze c’è stato – ma, per quanto ne sappiamo, il tutto potrebbe avvenire fra tre secoli.



Si afferma che la circolazione dell’informazione è il catalizzatore dell’evoluzione storica: è certamente vero, però con tanti altri. Il reddito, lo stato sociale, la possibilità d’accedere effettivamente all’istruzione: la circolazione dell’informazione – come ho sostenuto – è un buon catalizzatore, ma ci vuole anche il resto. Un’epoca lascia il posto ad un’altra quando una serie “sufficiente” di dati lascia pendere la bilancia verso il cambiamento – che è sempre traumatico – ma a quel punto il percorso è segnato. Casaleggio puntualizza alcuni tratti del percorso, ne dimentica altri e, soprattutto, non ha elementi per stabilire i tempi, come noi tutti, del resto. Almeno, però, non ci abbandoniamo ai sogni.

Io stesso posso ipotizzare che il futuro energetico dell’umanità sarà un “tutto elettrico” – sotto varie forme – ma non posso presagire con la tecnologia odierna il futuro: oggi, lo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico dà buone speranze (ed anche qualche certezza) ma non posso prevedere quali forme di captazione avverranno in futuro. Perciò, mi limito all’analisi dell’oggi esistente e, anche in questo modesto “trend”, noto che il potere ha mezzi immensi per allungare a dismisura l’era dei fossili: sulla stampa sono comparse inchieste sull’ENEL in funzione “anti-rinnovabili” e la stessa cosa, probabilmente, la porta avanti l’ENI solo che sono più accorti.

Altrimenti, sarebbe difficile spiegare la nascita e la proliferazione di siti e gruppi “anti-eolico” dai nomi più strani, per fermare una risorsa energetica dalle possibilità illimitate.



Tornando a Casaleggio, se non lo ha letto, vorrei consigliargli quella che potremmo definire “opera omnia” nel campo del volgere delle epoche storiche: “L’autunno del Medio Evo” di Johan Huizinga, pubblicata nel 1919.

Nell’opera, l’autore sottolinea ad uno ad uno grandi eventi e modesti (all’apparenza) particolari che denotano da un lato l’aggrapparsi a temi e valori “certi” – quali, ad esempio, il senso del misticismo religioso, dell’etichetta, ecc – contrapposti al nuovo “désir de vivre” che la borghesia reclamava a gran voce.

Che, paradosso, negli stessi secoli già “tradiva” il concetto “internazionalista” dell’uomo medievale (si pensi, come esempio, ai canoni del gotico imperanti ovunque) per realizzare, in alcune realtà (Firenze, Venezia, poi le Fiandre, ecc) delle vere e proprie “avanguardie”. Contraddette, poi, da repentine retromarce o controriforme, in un gran pudding d’esperienze apparentemente contraddittorie.

Ma questo è il respiro della Storia, dei suoi tempi. In altre parole: “già lo sapevamo”.

Qual è il respiro del “mercatismo” (giusto per trovare un termine accettato da molti)?



Potremmo distinguere – solo per comodità d’analisi – i due “capitalismi” con un anno, ancora una volta un “89”, ossia il crollo dell’URSS, 1989: l’anno del mutamento dai vari capitalismi nazionali al modello globalizzato, nel quale la “sostanziale unitarietà delle borghesie” (per dirla con Marx) si mise all’opera, con i frutti che stiamo osservando.

Niente più ostacoli in Africa, milizie pagate e sorrette da Mosca, in Asia stesso discorso: si può dare il via – senza timori – al grande passo avanti cinese.



Vorrei ricordare un evento precedente, forse dimenticato dai più: lo sciopero generale (indetto dai sindacati) del 5 Novembre 1969. Qualcuno si domanderà: perché?

Poiché i giovani difficilmente potranno immaginare l’atmosfera – “l’aria” – pre-rivoluzionaria che si respirò in quel giorno: immaginate città senza un bar, una latteria, un negozio qualsiasi aperto...poi senza trasporti – inutile acuire l’udito per cercare il rumore di scambi, di un tram in arrivo – e, ovviamente, fabbriche e scuole rigidamente sprangate. Tutto fermo in un silenzio d’interrogazione, di sfida al potere, ma anche di richiesta di cambiamento: mica erano ancora giunti i tempi delle armi.

Si domandava così, chiudendo le città nel silenzio, il capitalismo nell’apatia e la Televisione non poteva che passar oltre, dare la notizia e basta, senza fronzoli. La risposta – ne sono convinto: quello sciopero fece rabbrividire la classe politica dell’epoca – giunse nemmeno 40 giorni dopo: Piazza Fontana.



Da quel momento in poi, il copione prese a girare all’inverso: se ci fu un’Italia del dopoguerra – speranzosa, volonterosa, positiva, ridente – terminò in quei giorni, con una richiesta elusa ed una risposta agghiacciante.

Quello che avvenne dopo è storia nota: dallo stragismo a Gladio, in un tripudio di compromessi, accordi, ammonimenti, che avevano un solo centro. Via Veneto, l’ambasciata americana: nello scacchiere dell’epoca, l’Italia era troppo importante, con il Sovmedron (la flotta sovietica del Mediterraneo) ancorata in Libia, e gli USA scucivano sì i soldi, ma chiedevano precise contropartite.

In quella situazione – forse – il capitalismo poteva essere abbattuto in chiave nazionale: sempre riuscendo ad avere la meglio sulle diplomazie d’assalto dell’epoca, cosa che – puntualmente – non avvenne.

Oggi?

L’attuale forma internazionalizzata del capitalismo è molto diversa da quella dell’epoca: grazie alla “compressione” degli stati nazionali nel nome di strutture sopranazionali (vedi l’euro, ad esempio) può fregarsene altamente dei timori di “rivolte” nazionali.



La Grecia è stata demolita come nazione: eppure i greci hanno lottato come fiere – sono veramente la stirpe di Leonida – ma non solo non hanno ottenuto nulla, bensì ad ogni rivolta le burocrazie internazionali aumentavano il peso.

Così è stato, non certo con una simile virulenza, per gli spagnoli: osservando Casaleggio – quando “prevede” nei mesi prossimi (anche qui, quanti? Boh...) sollevazioni popolari o comunque “disordini e rivolte che la politica non potrà dominare”, per usare le sue stesse parole – mi sono chiesto se la sua non fosse una speranza. Abbiamo pressappoco la stessa età: certe antiche “istanze” sono tuttora presenti.

In alternativa alla “rivolta” poneva un grande mutamento della classe politica: il che, è come chiedere alla Chiesa Cattolica di mettere in dubbio la verginità della Madonna.



Ora, aprendo una parentesi, non vorrei che qualcuno non identificasse l’attuale mercatismo con la radice, se non proprio di tutti, della gran parte dei mali: se così è, lo invito caldamente a leggere altri autori.



Non fermatevi solo all’Italia – dove, comunque, esistono già i “campi schiavi” nei quali si raccolgono pomodori, angurie, meloni, ecc per pochi euro e senza uno straccio (almeno!) di supporto sanitario ed ambientale (bene fa il ministro Kienge ad andarli a scovare) – ma scendete a Sud: andate in Ciad a vedere cosa ha combinato Areva per acchiappare Uranio, andate nel delta del Niger devastato dalle compagnie petrolifere. E mi fermo qui.

Saltando a piè pari le velleità di Casaleggio chiediamoci: esiste la pur minima probabilità che la popolazione italiana si ribelli?



La risposta (anzi, le risposte) è no, senza ripensamenti. Perché? Poiché siamo un popolo di sconfitti, di depressi, di malinconici – ma non per l’8 Settembre! – per la frusta che ci hanno ammansito per anni, da Piazza Fontana in poi. Ti rialzi? Ecco un altro treno che salta, ecco un aereo che cade, ecco un traghetto che affonda. Ne vuoi ancora? Possiamo continuare all’infinito, sembra di sentirli ridacchiare.

L’Italia, se ci riflettete un attimo, è stata l’unica nazione a subire un simile trattamento: non c’è stato in Francia, Spagna, Germania, Austria, Benelux...niente...solo da noi. Nemmeno nei Balcani – che poi hanno pagato in un solo conto la “lontananza” dal Patto di Varsavia – sono andati giù così pesantemente.



Perché l’Italia aveva bisogno di un “trattamento speciale”: era, paradossalmente, più politicizzata degli altri Stati europei. Difatti, è l’unico Paese ad aver immaginato e creato un movimento popolare in grado d’entrare in Parlamento con il tappeto rosso, senza contare i decimali, alla grande.

Si dirà: la valvola di sfogo, l’unica alternativa possibile, è il M5S. Almeno, così sostiene Casaleggio nella sua candida purezza: nessun accordo con nessuno. Va bene così: prendiamolo per buono e continuiamo nella nostra analisi, lasciando alle rivoluzioni (digitali e non) il tempo di concretizzarsi.



Afferma di non credere nei sondaggi: nemmeno io ci credo troppo, ma saltare dal 18% al 38% non l’ho mai visto fare da nessuno. Anche qui, la Casta ha predisposto contromisure: da mesi, oramai, lo scenario politico è congelato.

Potete saltare di settimana in settimana, ma i risultati dei sondaggi cambiano poco: all’incirca il 33% ciascuno (alleati compresi) al PD ed al PdL, il 18% al M5S, il 7% a Monti, il 5% alla Lega. E non cambia nulla: i votanti sono circa il 60% e la platea d’astenuti sembra diventata uno zoccolo duro, sempre più insensibile ai richiami dell’ultima ora.

Così come, l’altro zoccolo duro – ossia chi ha un tornaconto nei partiti di governo – continuerà a votarli.



Vi siete accorti che il PD non batte ciglio, nonostante tutte le nefandezze che commette in questo strano “governo Berlusconi 5” mascherato? E perché? Non teme di perdere consensi? E il PdL, cosa teme?

Il PdL teme soltanto la débacle di Berlusconi: come avverrà – se per età o per una sentenza – non è dato sapere, ma il “partito aziendale” sa benissimo che il suo futuro, senza l’uomo di Arcore, è segnato.



Diverso è il caso del PD: il partito dalle “mille facce” sconta oggi la maggior distanza dal suo elettorato, eppure mostra di farsene non un baffo, ma più baffi. Perché?

Poiché sa bene di poter contare su un elettorato fedele: in parte per appartenenza familiare, ma in gran parte per convenienza. Cooperative, appalti, affari...perché il PD non vuole mollare sui rimborsi elettorali? Perché (come altri, nella politica locale) conta su quei soldi per le famose consulenze, che sono voti comprati che hanno cambiato nome.

In uno scenario dove vota poco più della metà degli elettori, ogni voto è più prezioso: vale quasi il doppio.



Così, se prendiamo le statistiche sulla ricchezza degli italiani – circa il 10% che possiede quasi la metà della ricchezza – ecco che il PdL (che, innegabilmente, difende i ceti più agiati) “salta” quasi al 20%. Se, poi, aggiungiamo il “sommerso” – mafie varie, ecc – ecco che il partito può superare quella soglia.

Alla quale si sommano gli sbandati di una destra che ha sbagliato tutto: oggi, rimangono gli alfieri – Storace e La Russa – auguri, ed i residuati padani.



Dall’altra parte, quasi identico scenario: il gruppo dei salariati, degli insegnanti, del pubblico impiego in genere è il serbatoio di voti del PD. Se non va bene il PD c’è sempre Vendola ad accoglierli: Rivoluzione Civile no, quella dava qualche grattacapo. Ed ecco che si arriva al 33%, ossia 20 persone su 100. Familiari compresi.



Il povero Monti, se seguiamo le cifre di questa analisi, non viene votato da più di 3-4 elettori italiani, a dimostrare che – almeno – le malefatte del duo Monti-Fornero sono state capite ed interiorizzate.



Il M5S – se non tirerà fuori un nuovo coniglio dal cappello, più nuovo e smacchiato con Perlana – difficilmente si schioderà dal 20% dei consensi, che lo condanna all’ignavia eterna. Eppure, i suoi parlamentari stanno lavorando bene, mostrano d’aver capito come appoggiare oppure negare il loro assenso alle varie proposta di legge che giungono nelle Commissioni. Il problema è che, un Grillo (l’altoparlante) oppure un Casaleggio (il libro), basta che aprano bocca per rovinare tutto.



Se dall’esterno non è possibile abbattere questo sistema – che si fa beffa della Costituzione, Presidente della Repubblica in primis – l’altra soluzione è cambiarlo dall’interno, ma non attraverso la via parlamentare, che non ha dato nessun frutto.

Cambiare la società nei suoi aspetti più reconditi, nei suoi comportamenti quotidiani...certo, ma questo richiede molto tempo, e noi campiamo male, sempre peggio. Ma non abbiamo non solo la forza, ma nemmeno l’occasione ed i mezzi per ribellarci: ci restano il Web e le tastiere. Domani a scontrarci con un battaglione di Carabinieri? Fattibile?



Che i tempi non siano più quelli di Huizinga (che, come storico, lavorò sul conosciuto, va ammesso) siamo d’accordo: forse la velocità del nostro tempo è maggiore di quella degli ultimi secoli del Medioevo, così come in Francia – in meno di un secolo – si passò dalla monarchia assoluta alla repubblica parlamentare.

Da questo, però – tanto per dare una speranza ai disperati – parlare di “sollevazioni popolari incontrollabili”, caro Casaleggio, ci sembra che tu stia esagerando: ne riparleremo fra qualche decennio o fra un secolo, non ci sono altre possibilità, oggi, se non continuare a lavorare su un lungo percorso di consapevolezza.

Chi vivrà, vedrà.



(1) Vedi: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/20/casaleggio-partiti-sono-figure-arcaiche-futuro-e-democrazia-diretta-attraverso-rete/662110/



17 luglio 2013

Con quella faccia un po’ così...




“Le parole sono l’ombra delle cose, e le cose il model delle parole.”

Pietro Aretino



Non so cosa tu abbia visto, Bondi, come hai potuto sederti alla scrivania e vergare quelle parole marce, figlie di un’epoca sciagurata, nella quale le parole non sono più pietre bensì vento e non c’è più nessuno in grado di pesare le parole. Al massimo, se ne aggiungono altre per aumentare la tempesta. D’aria fritta.

A Taranto, l’ILVA non ha colpa: la responsabilità – secondo questo esegeta da Reader’s Digest – è dei contrabbandieri i quali, in anni lontani, inondarono Taranto di sigarette. Poi, la città è un porto...eh, nei porti, nelle bettole si beve e ci si ubriaca...che ci volete fare...

Con lo stesso rigore scientifico – adottando il tuo “metodo”, bada bene – potrei affermare che l’alone scuro che hai intorno agli occhi sia il segno che alzi un po’ troppo il gomito, oppure che i reni non funzionano troppo bene.

Ma questa non è scienza! Ribatteresti subito, posando il bicchiere. Lo è la tua?

Andiamo con ordine.



Il tipo in questione – santificato come “salvatore della Patria” (santo subito! Pare d’udire in quel di Parma) – è un tizio che le ha passate tutte: da FIAT a Montedison, in anni lontani, posti – oramai – da deserto dei Tartari.

Passando, ovviamente, per tutti i posti dove i peracottari di regime si fanno un nome: dalla galassia Ligresti ad Olivetti, da Telecom a Mediobanca, dallo zucchero alle assicurazioni, da Lucchini a Cuccia, dal settore militare alle vernici...

Insomma: un buon servo della razza padrona, santificato da sua Eminenza in persona, Enrico Cuccia, come il “salvatore d’aziende in crisi”.



Il “metodo Bondi” è semplice, come sempliciotta è la razza padrona italiota: se non basta tagliare nella pelle si taglia la carne, basta che rimanga un po’ d’osso per farci il brodo. I ravioli, tanto, li abbiamo in Svizzera od alle Cayman.

In “gran successo” di Parmalat si chiama Lactatis: è stata la vendita ad un gruppo (francese) che da tempo era interessato a metterci le zampe sopra. Sai che successo.



In tutta la vicenda umana (se così si può dire...) di Bondi mancano due cose: il senso dello Stato e la salvaguardia del lavoro. Al contrario, il suo diktat è sempre stato allontanare i lavoratori da qualsiasi forma di Mitbestimmung, perché l’impresa è del padrone ed il lavoratore non conta una mazza. Parola di Bondi, classe 1934.

Chiamato dal governo “tecnico” di Monti a stendere “tecnicamente” una sorta di “Neo Finanziaria” chiamata “Spending Review” ha toppato in pieno: va bene che i diritti dei lavoratori siano in forte discesa, ma contraddire apertamente il Codice Civile ha messo in imbarazzo più d’uno. Al punto che molti provvedimenti del satrapo d’Arezzo non sono stati applicati perché avrebbero scatenato un putiferio di ricorsi e contro-ricorsi, che avrebbero ingolfato la magistratura del lavoro per anni.

Solo Letta crede che si possa ancora fare qualcosa con quel pezzo di carta: mi sa, però, che l’Italia andrà a fondo prima della Spending Review ed anche prima di Letta. Anche grazie ai “buoni uffici” elargiti per decenni da Bondi e da gente come lui.



L’ultima impresa è Taranto: il riscontro scientifico delle sue parole si commenta da solo. Demenza senile? Può essere. Anche una buona dose d’ignoranza (o di misera furbizia contadina), però, non è da scartare.



Vista la strana “uscita” di Bondi – per carità, solo perché l’occasione lo porta, mai li accosterei! – vorrei parlarvi di una persona che forse non conoscete: Benedetto Terracini. Chi è costui?

E’ un grande uomo, per dirla con semplicità.



Medico, epidemiologo, è uno dei più arguti studiosi dell’epidemiologia dei tumori, particolarmente per quanto riguarda il contatto dell’uomo con l’ambiente e, ancor più precisamente, l’industria, le lavorazioni nocive, la prevenzione, ecc.

Negli anni ’70 lui (Università di Torino) e Chiarioni (chimico, Università di Genova) si misero al capezzale dell’ACNA e cercarono, prima di stabilire delle sentenze (Bondi, che pena!) di capire le interazioni del ciclo produttivo con l’ambiente.



Si dirà: addirittura Beppe Fenoglio parlò del “fiume di Cengio che ti gela il midollo” per il suo colore marroncino, sporco, oppure le testimonianze di tanti – qui in Langa – i quali ricordano che la locale squadra di calcio s’allenava in mezzo ad una nebbia gialla, putrida, che mai avresti voluto far entrare nei polmoni, ma non avevi scelta. Era dappertutto.

Eppure non basta. Per un epidemiologo non è sufficiente: perché?



Poiché un vero scienziato deve indagare e correlare fatti, eventi che provengono dalle cosiddette “scienze esatte” – Chimica, Fisica, ecc – con un’altra “scienza” la quale, a rigor di terminologia, non potrebbe essere denominata tale poiché non esatta, la Medicina.



Passarono alcuni anni, e riuscirono a dimostrare la colpevolezza, il dolo cosciente di tutta una classe dirigente industriale dell’ACNA: oggi, ciò che resta della fabbrica – la stanno smontando pezzo su pezzo, con fondi dell’UE – è qui, a 4 chilometri da casa mia. E’ un’area così grande che ci potrebbe stare un aeroporto: inquinata fino a profondità di 15-20 metri con prodotti organici letali, che – a questo punto – rimarranno là per sempre.



Conobbi personalmente, in anni molto lontani, Benedetto Terracini: mi faceva sorridere quello strano medico il quale, quando si ammalavano le bambine, le portava “dal dottore”. Riconoscendo così anche i suoi limiti, da persona intelligente qual è: mai confuse il professionista con lo studioso.

Un assatanato nemico della Chimica? Per niente, un rigoroso studioso che mai ha abbandonato il rigore scientifico.



Partirono nuovamente, sempre in quegli anni, per Foligno dove aveva (ha?) sede la più importante officina di manutenzione delle Ferrovie: si riverniciavano vagoni, si ripulivano e si riattavano. Con i mezzi dell’epoca, ovviamente.

Lavorarono anni, ma non riuscirono a trovare il nesso, la prova scientifica che i tumori dipendessero dai cicli di lavorazione: fu una sconfitta? No, fu soltanto il risultato di una ricerca. La Scienza, caro Bondi, deve essere così: non è mai – nelle risultanze – “democratica” né potrebbe esserlo, chi riesce a dimostrare una tesi ha ragione, gli altri torto. E’ una gran fatica lavorare bene come Terracini, ma così va fatto.

Ciò non significa che non si debba adottare – in presenza di motivati dubbi – il semplice “principio di precauzione”: vale anche per il riscaldamento climatico, che è indimostrabile a causa dei troppi fattori in gioco, ma qualora fosse d’origine antropica saremo tutti fritti fra qualche decennio. E la Scienza? Non è un dogma, non è una religione: starebbe lì, a guardarci, fritti in padella.



Bondi: con la Spending Review hai dimostrato di sapere ben poco di Diritto, adesso giochi anche a fare l’epidemiologo?

Ci dicono che hai un uliveto in quel di Arezzo, la tua terra natale. Scommetto mezza palla che non usi nessun prodotto chimico per la tua terra: vero? Eh già, sono cose che si dicono per gli altri...

Hai quasi ottant’anni...non pensi sia ora di smetterla? Vuoi ancora inanellare qualche altra brutta figura? Come? I tuoi padroni lo esigono? E – a quasi ottant’anni – ti fai ancora trattare da schiavo?

Mi sei proprio scaduto: come uomo non vali una cicca.



12 luglio 2013

Corsi e ricorsi (criminali)




Faceva caldo quel giorno, come lo ricordo, era Estate come lo è oggi. L’aula della Facoltà di Lettere di Palazzo Nuovo, a Torino, non era stracolma ma gente ce n’era. Lui era là, seduto alla cattedra un po’ stralunato: si vedeva che era abituato al pubblico, ma quella sede forse un po’ lo disorientava.

Poi, Pietro Valpreda si sciolse e terminò la sua conferenza quasi sdraiato sulla lunga cattedra: era intorno al 1975, se ben ricordo.

All’improvviso, pochi anni dopo, fulmine a ciel sereno: Enzo Tortora arrestato, condotto in carcere in catene e lì tenuto per molto tempo. Ancora oggi non si sa perché.



E poi che palle... – fa quasi noia ricordarlo – da Piazza Fontana ai “desparecidos” di casa nostra: Aldrovandi, Cucchi, Uva...sempre la solita traccia...o sono “mele marce” di polizie varie (ma quante ce ne sono in Italia?) oppure sempre loro, i servizi segreti. Un tempo la “triplice”, ossia “Miceli – Maletti – La Bruna”. And company.



Così, ci volete far credere che nessuno sapeva niente dell’espulsione della signora Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako, e della figlia? Adesso “annullano” il provvedimento! Ma avete chiesto se i kazaki ce la rendono? Ah no? Ma guarda...

Siamo peggio dell’Argentina di Videla, del Cile di Pinochet, di Pol Pot, di qualche dittatorello africano...ma vi rendete conto della figura internazionale? Con che faccia andrete all’estero a giustificarvi? All’estero tutti zitti, la combriccola al comleto, vero? Noi no!

Il governo – paradossale! – si smarca all’unisono! Nemmeno Alfano – ministro dell’interno – sapeva niente, meno che mai Letta, ancor meno la Bonino. Ma...ci siete o lo fate? Vi rendete conto che gli italiani capiscono, ragionano, connettono: siete tutti lì a reggere il moccolo a Berlusconi ed alle sue puttane e non capite che avete passato il segno? Portata via dall’Italia con un volo privato kazako?!?

Non sapete chi è stato? Ve lo dico io come si fa.



Si prende uno dei cinquanta (!) agenti che hanno arrestato i due “ostaggi” e si usa il “metodo Di Pietro” di un tempo. Ossia: lo si porta in un qualunque posto di polizia (se non si fa, vuol dire che sono tutti marci, la cassetta di mele al completo) e gli si dice – lampada puntata sul volto come si vede nei film – “chi te l’ha ordinato”? Se ce lo dici vai a casa, altrimenti ti sbattiamo in carcere e buttiamo via la chiave. Sai, sei un poliziotto (o carabiniere, finanziere, ecc) e quelli come te, in carcere...meglio non provare...

“E’ stato il Sovrintendente Minchioletti”. Bene, bravo, puoi andare.



Si chiama Minchioletti: chi te l’ha ordinato? “Il commissario Pallintesta”, bravo, puoi andare.

Pallintesta ci prova. “E’ arrivata una telefonata dal ministero, non so...”. Va bene, portatelo a Regina Coeli. “No, un attimo, mi sembra di ricordare...chiedetelo al questore Vattifotti, mi pare che la telefonata l’abbia ricevuta lui...”. Bene, bravo per il ravvedimento, stasera rivedi mogliettina.

Vattifotti sa di essere mezzo fottuto, ma non sa come cavarsela e allora tira in ballo il dott. Malicorno, dirigente di terzo livello del ministero degli esteri. Tutti e due in gabbia, poi si vedrà.

Il giorno dopo cantano come due fringuelli.



E si arriva al dirigente di primissimo livello, quasi vice direttore o direttore o roba del genere dott. Caristonzo, che è veramente nei guai perché deve chiarire: o Alfano (o la Bonino) o i servizi. E deve fare un nome.

Che dica un qualsiasi dott. Mettinrulo dell’ufficio IV, V, o VI dei servizi non ce ne frega niente, oppure un sottosegretario qualsiasi nemmeno: per correttezza si domanda cosa è successo al COPASIR, ma solo per prassi.



Poi, caro Letta, dimissioni del governo immediate: è l’unico atto che vi rimane da compiere quando un governo mostra di non “sapere” e combina un simile casino in politica estera. Non ci sono scusanti: è imperdonabile.

A casa, non vi rimane altro da fare.



PS: i nomi citati sono di pura fantasia, le minuscole no.

06 luglio 2013

Tintinnio di sciabole


Non saprei proprio come definire l’attuale momento politico: certamente non ci sono i carri armati in piazza...è una cosa all’italiana, come sempre, le cose si fanno e non si dicono, oppure si dicono e si fanno così, senza l’ombra di un’opposizione che non sia quella pletorica di Grillo – il quale continua a sbraitare dal suo blog, e non s’è accorto che la situazione è cambiata – e quella altrettanto pletorica dei suoi parlamentari, che solo oggi si rendono conto d’esser stati ridotti completamente all’impotenza. Arrivederci fra cinque anni, col 100% dei voti (!).



I casi sono due, ed allarmanti: quello del Consiglio di Difesa – un organo zeppo di militari e gente dei servizi presieduto dal Presidente della Repubblica – che fece parlare di sé già in anni lontani, quando Pertini stornò dal personale militare i controllori di volo, rendendoli personale civile.

Un ammiraglio, all’epoca, ebbe a dire: “Se mi ordina d’inviare due incrociatori a bombardare Tunisi, che faccio, li mando?” Ed il dubbio non era certo mal posto.

Ma era, per così dire, un “peccato veniale” poiché Pertini sciolse in modo gordiano una querelle che si protraeva da anni, e che portava a difficoltà nella gestione del traffico aereo civile.



Per questa ragione il precedente di Pertini cadde nel dimenticatoio (anche se l’atto avvenne per DPR): oggi la situazione è mutata radicalmente, e bisogna far conoscenza con il quasi sconosciuto Consiglio Supremo di Difesa (1) il quale, nasce nel 1950 con la legge 624 (2) sull’onda degli avvenimenti in Corea, che fece temere una nuova escalation mondiale. Da allora in poi, dormì sonno tranquilli.

Il 15 Marzo del 2010 però – dopo che l’Italia aveva inviato i propri aerei (51° stormo, Istrana, 36° stormo, Gioia del Colle) a bombardare la Serbia senza uno straccio di voto parlamentare – si cercò una foglia di fico per coprire un “buco” costituzionale che era diventato una voragine.

La nuova legge – D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (3) – cercò di fare meglio nell’esautorare il Parlamento su questioni di guerre...pardon, “Operazioni di Pace” di “Polizia internazionale”, ecc...senza, però, riuscirci del tutto.



Il Titolo II articolo 2 è un capolavoro d’equilibrismo:



Art. 2. Attribuzioni del Consiglio supremo di difesa



1. Il Consiglio supremo di difesa, nel presente titolo denominato «Consiglio», esamina i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale e determina i criteri e fissa le direttive per l'organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardano.



“Esamina”, “determina criteri”...già...per chi? Non si capisce, e bisogna saltare fino alle attribuzioni del Ministro della Difesa (Titolo III, Capo I, a)



attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all'esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento.”



Il Parlamento, piaccia o non piaccia, ha approvato la prosecuzione del programma F-35 (ossia, continuiamo a metterci i soldi), riservandosi poi di non acquistare nulla: atteggiamento ben strano quello di chi, prima ci mette i soldi, e poi li lascia sul piatto!

E noi dovremmo crederci.

Ciò che ha stupito è stato il primitivo sussulto del Consiglio (poi rientrato), che ha avocato a sé le decisioni supreme in ordine d’acquisti: decidiamo noi tutto, il Parlamento non s’immischi. E’ già grave il fatto che qualcuno ci abbia pensato, e l’abbia pure affermato pubblicamente.

In ogni modo, il Parlamento – magari con qualche sotterfugio, oppure con una legge promulgata a Ferragosto – approverà anche l’acquisto, approverà...

La seconda questione, invece, fa rabbrividire.



Nursultan Äbişulı Nazarbaev è un dittatore serio ma “soft”: basta leggere la sua biografia per rendersi conto che monta un cavallo dalle mille staffe: le onorificenze ricevute, poi, sembrano l’esposizione di un negozio di bigiotteria, dall’URSS fino alla Francia, dal Giappone all’Egitto...tutti lo vogliono e tutti lo amano. Come no.

Amano, ovviamente, il suo gas ed il suo petrolio, che gli hanno procurato un patrimonio personale di miliardi di dollari.

Nazarbayev è furbo: è ancora di scuola sovietica. Non lesina certo le briciole per il popolo il quale – se non s’impiccia di politica – può sopravvivere a condizioni migliori rispetto agli stati limitrofi.



Ma il suo potere è dispotico e gli oppositori li fa ammazzare (4) dai servizi segreti (fosse una novità...): che fa lo stato (min.) italiano? Gli serve su un piatto d’argento la moglie e la figlia del suo principale oppositore. Chi l’ha deciso? Pare Alfano. La magistratura (min.) s’accorge dopo che il passaporto era del tutto regolare, il ministro (min.) degli esteri, il ministro degli esteri...abbiamo un ministro degli esteri? Ma va? Quello della giustizia deplora, il presidente del consiglio non ha letto i giornali, dopo averli letti deve “informarsi”.

Che colossale presa per il c...!



Oggi, una donna e la sua figlioletta di sei anni sono nelle mani di Nazarbayev: chi le ha messe?

Chi ha i contratti firmati in mano? L’ENI. Guarda a caso. Che dice Scaroni? Nulla: lui – col suo silenzio – pare affermare: che c’entro io? Una commedia perfetta.



Queste non sono più vicende “diplomatiche”: qui c’è un tintinnio di sciabole, di manette e di soldi che fa paura. E si mandano in frantumi anche i dettami costituzionali: si scopre dopo che il Consiglio di Difesa non aveva il potere di bloccare il Parlamento, si scopre dopo che il passaporto era valido.

Scendiamo di un altro gradino: dalla democrazia alla democratura fino al golpe “soft”, se ti ribelli domani potrà diventare “hard”.



Questo Paese va in malora perché i poteri appoggiano i capitali FIAT, ENI, eccetera...l’esatto contrario di ciò che servirebbe per cambiare marcia.

Servirebbe, semplicemente, immettere liquidità non nel mercato, ma direttamente alla gente: ecco che la piccola e media impresa tornerebbe a lavorare ed ad assumere, i supermercati a vendere.

Non è ciò che più mi piace – nel senso che si potrebbero avere idee migliori – ma al punto cui siamo giunti, questa “pazzia” avrebbe almeno il pregio di fermare la china. Dove si prendono i soldi? Dal riequilibrare l’indice di Gini, che continua a marciare imperterrito verso la sempre maggior sperequazione fra ricchi e poveri.

Una semplice revisione delle aliquote IRPEF: meno al basso, più all’alto.



Già, ma si andrebbero a toccare gli Agnelli, Scaroni, l’ENEL, i Moratti, la Casta milionaria...andiamo a fondo, andiamoci...la nave dei folli ha già l’acqua che lambisce la falchetta...dopo, ci sarà solo il mare.