23 luglio 2018

75 anni: troppi?pochi?

Sembra quasi impossibile, ma sono trascorsi ben 75 anni da quella data, storica per le vicende italiane. La vita di un uomo. Per decenni ne abbiamo sentito parlare da chi c’era, da chi l’ha vissuto, con diversi accenti, differenti opinioni. Che hanno pervaso, nei giorni a venire, la storia italiana.
Era, quella data, già indissolubilmente legata a quella dell’8 Settembre? Poteva, Mussolini, cercare altre soluzioni? Se lo aspettava? Era l’unica soluzione, anche per il Duce?

La cronologia di quei giorni, spaventa solo a ricordarla. Pare quasi un evento stocastico, detta all’occidentale, oppure un groppo di karma che si scatena improvviso, per un orientale. Improvviso? Forse per chi lo vive, non certo per chi sa leggere il “prima” ed ha potuto vedere anche il “dopo”. Le cause sono le radici degli eventi, e solo le condizioni conducono alla loro maturazione: per gli orientali istruiti non è una sorpresa, giacché la loro cultura ha molti nessi che, già da bambini, li conducono sulla via della comprensione, del capire i nessi dell’originazione interdipendente, così com’è citata nei testi buddisti.
Noi occidentali seguiamo una via più contorta, ma rincorriamo la cronologia come un vademecum che dovrebbe spiegare, mentre in realtà dipinge soltanto le situazioni, senza convincere. Ha, però, il pregio della precisione: sempre che ci sia onestà intellettuale, e certezza delle fonti.

Non è mia intenzione addentrarmi nell’analisi di un evento che ha già avuto più esegeti che attori, bensì cercare di capire cosa vissero gli italiani d’allora, secondo le poche fonti non inquinate che si possono consultare e, soprattutto, le voci, le parole di chi mi dipinse quei giorni, né maledetti e né meravigliosi (questa è già una perversione del “dopo”), ma solo funesti.

Il 19 Luglio 1943 si scatena, per la prima volta, l’ira degli angloamericani sulla città di Roma, fino a quel momento risparmiata dalle bombe alleate: il colpo è terribile e la città devastata, al punto d’accorgersi finalmente di cosa succede da tre anni a Milano, a Genova, a Torino…e così via, nel “cuore” industriale del Paese. Di colpo, il “cuore” politico del Paese deve prendere coscienza che la situazione non ammette più deroghe: i cinegiornale Luce non bastano più nel creare sempre il dubbio che sia sempre e solo la propaganda nemica a mentire.

Gli stessi cinegiornale Luce non fanno nemmeno in tempo a “confezionare” un prodotto “accettabile” per il regime e, difatti, tutti i cinegiornali Luce sono postumi, ed in lingua inglese, poi doppiati. Girati dai nuovi padroni.
Perché la valanga è talmente improvvisa da stordire: i ricognitori della Regia Aeronautica e della Luftwaffe non riescono nemmeno ad avvicinarsi ai porti tunisini, perché la caccia nemica è ovunque, incontrastata. Perciò, gli italiani, non sanno cosa li attende: gli Alleati sbarcano il 10 Luglio in Sicilia, l’11 Giugno era già caduta Pantelleria, il 12 Luglio cade Augusta, il 22 Palermo. Infine, la presa di Messina avvenne il 17 Agosto  la conquista della Sicilia era durata 37 giorni.
L’Aeronautica ha combattuto una battaglia impari, l’Esercito in certe situazioni ha combattuto, in altre è scappato, la Marina – oramai ridotta al lumicino e senza carburante – non si è mossa.

Comunque si voglia osservare la situazione, conquistare un’isola grande come la Sicilia in 37 giorni è un’impresa da guinness dei primati: un anno dopo, gli Alleati ci misero molto di più per riuscire a varcare i confini della Normandia e per prendere Parigi ci misero due mesi e mezzo.

Scrivo questo, perché ci sono persone le quali ritengono che l’Italia sarebbe dovuta rimanere al fianco dei tedeschi e combattere palmo a palmo per difendere il Paese. Di là delle considerazioni morali, non eravamo in grado di difendere niente: i primi caccia veramente in grado di confrontarsi ad armi pari con gli Alleati entrarono in servizio proprio nel 1943 – poche decine, non migliaia di velivoli – la Marina era a pezzi, non avevamo nulla che fosse paragonabile ad un carro Patton americano o Tigre tedesco. Non avevamo nulla, così come poco avevamo nel 1940.
Eppure, ancora oggi, qualcuno parla di “supremo sacrificio” e di “onore”.

Mussolini era un uomo molto orgoglioso, anche un poco sbruffone e tracotante, ma non era stupido, non lo era per niente.
Quando seppe dell’ordine del Giorno Grandi, dovette capire che il vento era oramai cambiato: nella lunghissima lotta – durata vent’anni – fra il Fascismo e la Monarchia, la seconda aveva avuto il sopravvento: Grandi era uomo di diplomazia, amico personale di Churchill, che aveva sempre guardato con maggior favore a Londra, piuttosto che a Berlino. Difatti, dopo la guerra, fu a lungo consigliere degli ambasciatori USA in Italia.

C’è da chiedersi cosa si aspettava Mussolini da quel Gran Consiglio: argomenti da controbattere non ne aveva più, se non uno sterile “pacta servanda sunt”, che Grandi rigirò facilmente, ricordando che i tedeschi erano stati i primi a non rispettare i patti. E, la votazione, terminò con 19 voti favorevoli, 7 contrari, 1 astenuto ed un non-votante.
Come si sentì Mussolini dopo quel voto? Forse abbattuto, oppure sollevato. D’altro canto, non aveva più strali al suo arco da scoccare: sapeva che, se quel voto avesse approvato l’esistente, Roma sarebbe stata bombardata come le città tedesche, e dunque la fine sarebbe stata ancor più vicina. L’auto del Re, in visita al quartiere bombardato di San Lorenzo il 19 Luglio, fu presa a sassate ed il Re dovette fuggire.

Mussolini sperava, con una buona dose d’infantilismo, di tornare privato cittadino: difatti, chiese di poter tornare alla Rocca delle Carminate, a casa sua, a Predappio. Ma la Storia esige sempre un conto da pagare, e non poté sottrarsi.

C’è un ultimo sberleffo in queste vicende: le due rocambolesche fughe, quella del Duce e quella del Re. Il primo “liberato” da un blitz tedesco da alcuni paracadutisti tedeschi sul Gran Sasso, il secondo che – quasi negli stessi giorni – attraversò un’Italia a dir poco confusa, dominata dalle truppe tedesche, filtrando come una Primula Rossa fra le soverchianti forze germaniche: viene da chiedersi se ci fu accordo, e di che tipo, e per quali scopi di parte.

La Campagna d’Italia proseguì a rilento – gli Alleati sarebbero potuti sbarcare sul litorale emiliano qualora lo avessero voluto – perché, a quel punto, contò più Stalin che Hitler, come futuro nemico, al confronto di un nemico oramai sconfitto. Troppa velocità avrebbe scontentato Stalin, che si sarebbe vendicato prendendosi i Balcani ed il sempre agognato sbocco sul Mediterraneo.

Per Mussolini rimase solo la parte di un personaggio shakespeariano, che portò a compimento con l’ineluttabilità del destino che accompagna, sempre, la penna del grande drammaturgo inglese.

Dopo aver sbagliato molto, se non proprio tutto – dai Patti Lateranensi per ingraziarsi lo IOR, e dunque costruire le armi fasciste, fino a disperdere quei soldi verso una FIAT che nel 1944 costruiva ancora caccia biplani e “scatole di sardine” come il carro M-13/40 – si ritirò in una Repubblica fasulla, senza esercito, se non quello tedesco.

Nulla ci è pervenuto dei lunghi colloqui che il Duce ebbe, nel suo dorato esilio di Gragnano, con l’amico di gioventù Nicola Bombacci – mai stato fascista, eppure fucilato a Dongo – il quale già lo andava a trovare in galera, nel 1911, quando divideva la cella con Pietro Nenni, per aver, entrambi, manifestato contro la guerra di Libia. E lo ritrovò, nella nuova “prigione” di Salò, dove continuarono a sognare un mondo migliore, una nuova repubblica, con tanto di Costituzione. Protetti dalle SS.

Chissà cosa si dissero, cosa si raccontarono: entrambi avevano conosciuto Lenin, ma mentre il primo aveva creduto nel Partito Nazionale Fascista, il secondo aveva fondato il Partito Comunista Italiano.

Peccato che l’Italia non abbia avuto un drammaturgo come il grande William: senz’altro avrebbero avuto l’onore di calcare i palcoscenici di mezzo mondo. Già, la Storia a volte è bizzarra, a volte codarda. La maggior parte delle volte, però, dimentica che, dietro ad ogni vicenda storica, ci sono delle persone, relegate – a forza – nel loro personaggio.

16 luglio 2018

La scacchiera animata

Viene da chiedersi perché il gioco del calcio sia così popolare e sia largamente adottato da nazioni che, prima, erano dedite prevalentemente ad altri sport: la pelota basca, il baseball, il golf, ad esempio. Ovviamente, questi sport sono largamente praticati e condivisi nei loro Paesi, ma non c’è sport che si sia espanso come il calcio, a tutte le latitudini e per tutti i meridiani. Forse perché era il gioco dei colonizzatori? Ci credo poco. Perché, allora, non rifiutarlo?

Il “gioco più bello del mondo” è tale perché realizza l’animazione di uno dei più antichi giochi da tavolo, con l’aggiunta che non serve chissà quale preparazione per giocarlo: ai bambini viene naturale calciare la palla…poi, possono prendere due strade: una di libertà assoluta, “gioco con chi voglio, quando mi piace e come so fare” e l’altro, “voglio diventare un calciatore”, e allora giù allenamenti per poi, in rarissimi casi, approdare alle serie dei professionisti.
Per chi ha oramai passato l’età dei calzoncini corti – ed ha appeso le scarpette al chiodo da molto tempo – il calcio riserva sempre delle sorprese, poiché l’analisi di una partita riserva senza sosta dei lati poco noti, che si rivelano piano piano, man mano che il gioco si svolge.

La “scacchiera animata” è sempre un grande mistero, che riesce a spiegare anche perché il Brasile del 1982 fu sconfitto da un’Italia sparagnina ed utilitarista: proprio come negli scacchi, le partite si vincono (arbitri a parte) come in una battaglia, dapprima dalla disposizione dei “pezzi” sul campo, poi dai movimenti dei singoli pezzi. Non ci credete?

Il Re è in porta, la difende strenuamente: è un giocatore atipico, anche se molti portieri potrebbero giocare in attacco e nessuno se ne accorgerebbe. La “morte”, metaforicamente parlando, del portiere – ossia il goal – sancisce la vittoria o la sconfitta, ma il calcio – rispetto agli scacchi – riserva la sorpresa che si può rinascere e tornare alla vittoria: solo il tempo – come raccontava il don Juan di Castaneda – non ammette più repliche.
I Cavalli, nel calcio, sono quattro: due difensori di fascia e due cursori (od ali) che, a ben vedere, si muovono proprio come i cavalli degli scacchi: corrono lungo le fasce per poi crossare verso il centro, due avanti ed uno di lato. Gli altri due difensori – detti addirittura “torri” centrali – sono il baluardo della difesa e presidiano il campo con pochi movimenti verticali, ma molti spostamenti orizzontali, per seguire il movimento degli attaccanti.

La Regina, nel calcio, è meno definita ma ben presente come l’attaccante più dotato, capace di sfondare o colpire con tiri precisi e potenti, mentre i due Alfieri si spostano in diagonale, cercano o lo spiraglio per il tiro, oppure la loro Regina (i vari Maradona, di tutti i tempi) per smarcarla in area e concedergli il tiro.
E ci sono i Pedoni, i macina-miglia e suda-sangue di tutte le epoche, che corrono fino all’esaurimento per contrastare palloni a centrocampo, oppure fornire “rifornimenti” agli Alfieri. Una “vita da mediano”, come canta giustamente Ligabue. Così, quando segnano – che avviene raramente, perché quando giungono a distanza di tiro sono già esausti – la gioia trabocca in modo gioioso e violento, intrattenibile.

C’è però una differenza rispetto al gioco degli scacchi – una è l’evidente fisicità dell’evento – ma l’altra è più importante e, spesso, decisiva: la vittoria o la sconfitta non giungono soltanto per bravura o per errori, bensì è un uomo a deciderlo. L’arbitro.
Questo avviene, soprattutto, poiché rispetto ad altri giochi – basket o volley, ad esempio, mentre le versioni “acquatiche” (pallanuoto) o su ghiaccio (hockey) soffrono anch’esse di questa “pecca” del giudizio arbitrale, anche se, forse, in modo minore  – lo scarto di reti è sempre modestissimo, e dunque un rigore concesso oppure negato segna il destino più di quanto il “campo” non dica. Ne abbiamo visto, recentemente, un esempio in Francia-Croazia, dove la volontarietà dell’atto – richiesta dal regolamento – era per lo meno dubbia.

Riamane una grossa pecca del regolamento la troppa discrezionalità dell’arbitro, poiché inchieste sugli illeciti sportivi ce ne sono state tante, e qualcuna ha anche toccato anche il mondo arbitrale. Vedi la deposizione dell’arbitro Nucini nel processo “Calciopoli”. (1)
E’ un vero peccato che il gioco liberamente scelto come il “più bello del mondo” non riesca a liberarsi di questi fardelli di corruzione a vari livelli, come la presenza di Platini nell’UEFA dopo aver subito una condanna ad 8 anni d’allontanamento (2).
Il  grande successo del calcio non può essere offuscato da illazioni del tipo “panem et circenses”, seppur vere per gli aspetti economici o di controllo sociale, poiché è lo sport più desiderato dagli adolescenti, il più divertente, che richiede poca “preparazione”, almeno all’inizio. E, ricordiamo, i ragazzi sanno benissimo che le speranze di entrare in una grande squadra sono minimissile, eppure lo fanno: lo fanno perché, se giochi a calcio, ti diverti, anche se tiri quattro calci in un cortile.

L’ingresso del VAR – ossia la possibilità, per l’arbitro, di rivedere le azioni dubbie – non nasce sempre dall’arbitro stesso, bensì da chiamate sull’auricolare durante la partita. E chi ci assicura l’integrità morale della commissione addetta al VAR? Riflettiamo che quel mondo, purtroppo, è sempre quello tinteggiato dall’arbitro “infedele” Nucini.
Con il trascorrere del tempo, ed i nuovi mezzi “tecnici”, il ruolo del signore in giacchetta nera che corre sul campo scivola sempre di più da quello di “arbitro” a quello di “regista”. Quando il lavoro sarà definitivamente compiuto, il calcio transumerà verso l’opera buffa.

Così, si mutano le possibilità grazie all’elettronica, ma non si toccano i regolamenti. Una certa area di discrezionalità, per l’arbitro, è necessaria ed auspicabile: perché, allora, non dargli la possibilità di “dosare” la punizione? Ad esempio, con tiri dal dischetto dagli 11, 13 e 15 metri, secondo la gravità del fallo. Come, del resto, già avviene per i falli fuori area, con vari tipi di gradualità: semplice ammonizione verbale, ammonizione con diffida (alla prossima…), cartellino giallo e poi rosso.

La mancanza di gradualità nel dosaggio della punizione col calcio di rigore, ci fa pensare che le oligarchie del calcio non vogliano privarsi della certezza che, prima o dopo, avverrà un evento (magari dubbio) che però scatenerà il calcio di rigore. E cambierà il risultato della partita.

Come diceva Andreotti, “a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”…già, alla faccia non soltanto dell’onestà nel gioco, ma anche nell’educazione dei ragazzini i quali, già in giovane età (ho allenato i ragazzini, lo so per certo) si vedono demolire quel concetto di onestà che credevano sacro, almeno sul rettangolo verde.
Un primo passo, per capire che la vita non concederà loro di guardarsi sempre allo specchio, ogni mattina, con sguardo fiero, ma ci si deve “adattare”, si deve essere “flessibili”, “duttili” se non si vogliono avere grane.

E poi ci meravigliamo di giudici, poliziotti, carabinieri, insegnanti, medici, idraulici, muratori, ecc, ecc…

10 luglio 2018

Governo balneare


Mattina d’Estate, quartiere periferico: cerco disperatamente un bar aperto, nel chiasso di stridii e rumori di autobus, per trascorrere un’ora e mezza. Niente di speciale: ho portato la macchina dal meccanico. E arriva lei, inaspettatamente, Sooror, da Tehran: la radio nazionale iraniana che, ogni tanto, mi chiama per un’intervista. Mi obbliga ad affrontare una situazione che continuo a rimuovere, quella dello strano connubio fra la forza politica più “vecchia” della repubblica e la più giovane. Fra un M5S che è nato da una costola di una sinistra becera, assolutista e orgogliosa del nulla che ha creato e, dall’altra, gli eredi delle “corna verdi”, Pontida, l’ampolla di acqua del “sacro” Po…e 50 milioni spariti nel nulla.

Di là della questione della cinquantina sparita – inutile: Bossi è sempre stato un ciarlatano, già ai tempi del sen. Miglio (che era di tutt’altra pasta) ed i figli l’hanno fottuto mica male, Lega Ladrona… – c’è poco da cincischiare. Serve a poco – come giustificazione – ricordare che gli altri hanno fatto peggio: sembra di riascoltare Craxi nel famoso discorso alla Camera, “Se qualcuno non sapeva nulla, si alzi, adesso!”
Ma qual è il futuro della Strana Alleanza?

In realtà, stiamo vivendo uno spezzone di Prima Repubblica: i governi balneari, Leone, sempre lui quando scoppiava la canicola ed i problemi s’accavallavano.
Perché, ad onor del vero, è stato fatto poco o nulla, a parte continuare in una strana ed eterna campagna elettorale.

La “questione migranti” è stata, in qualche modo, affrontata però, a capire veramente quel che è successo, tutto continua come prima. Qualche nave rimandata al mittente, altre che invece hanno avuto il “via libera” per sbarcare…ma, sul fronte europeo, nulla è cambiato. Macron continua a “fare il buliccio con il culo degli altri” – come usa dire a Genova – e la Merkel ha, semplicemente, detto “no” alla mobilità dei migranti in Europa: dove sbarcano, restano.
Gli austriaci, sempre servizievoli nei confronti dei loro padroni tedeschi, hanno abbozzato “Se mai, chiudiamo il Brennero” (anche se spiace un po’, per l’ambaradan logistico che andrà a succedere…100 euro in più per TIR, acc…) Conte crede d’aver capito una cosa, gli spagnoli un’altra, gli ungheresi un’altra ancora…così va l’Europa, “tutti assieme, in ordine sparso”.
Insomma, a fronte di una possibile crisi politica tedesca, che l’Italia vada a farsi fottere. Gliene potesse fregar di meno: tanto, andiamo al mare in Italia, poi si vedrà.

Quel “si vedrà” racchiude tutta la suspense della situazione, la storia di un governo nato non certo bene, obbligato a prendersi sul gobbo ministri che già furono di Monti, altri che hanno fatto lingua in bocca con Berlusconi. Paura, paura ad esprimere quello che gli italiani hanno veramente detto a Marzo: un “basta!” lungo milioni di chilometri, forte come milioni di decibel, profondo come milioni di metri. 
Ora, se Salvini pensa veramente che quel che raccontano i sondaggi sia realtà – ossia se saranno voti – sta prendendo una badilata di quelle che ti spianano il muso. Sta condensando in un nuovo contenitore i medesimi voti, che furono di Fini, di Casini, di Buttiglione…oggi (ancora per poco) di Berlusconi e di sua pochezza (in peso numerico) Meloni. Fuori da lì, c’è poco: perché?

Poiché la storia della Destra italiana non è una storia d’intelletto, creativa: era già tutto perso al tempo di Ezra Pound o, se vogliamo, di Benedetto Croce, “sua filosofica indecisione”. Non elabora nulla, salvo triturare nel frullino i medesimi valori “adattati” al contesto odierno.
E’ sempre – parliamo di valori – la “maggioranza silenziosa” che fu di Montanelli, il “poderoso” centro-destra del ’94, ossia un fiume di valori che mi ricordano i versi di una vecchia canzone: “Vecchia, piccola borghesia…”
Al contrario della sinistra – che dai tempi “sovietici” è riuscita a riciclarsi nei valori di Blair, ossia quelli del neo-liberismo: avrebbe fatto meglio a “ripensare” una sinistra europea più combattiva e, soprattutto, “pensante” – la destra ha “trovato” (si fa per dire) per strada un imprenditore dei media come Berlusconi. Il quale ha confezionato una “frittura” di tutto ciò che la vecchia destra conservatrice e reazionaria conteneva. E lo ha rilanciato sulle Tv. Niente d’eccezionale, però ha funzionato.
Potrà funzionare di nuovo?

A mio avviso, no. Perché?
Il “fenomeno Berlusconi” è irripetibile, e Salvini non è certo l’erede di Berlusconi (meglio Renzi, senz’altro) e batte sempre sullo stesso chiodo, senza fantasia. Migranti, migranti, migranti…prima gli italiani…certo, però qualcuno comincia a dire: se quei soldi li avete presi, dovete restituirli, altrimenti siete nella stessa risma del PD, di FI, di Fini, dei vari centristi, ecc, ecc.
E qui c’è poco da dire (anche se i media ci hanno provato): il M5S ha avuto una decina di “infedeli” che hanno truffato sui rimborsi degli stipendi parlamentari. Una decina, in tutto – subito cacciati – ma era una questione interna, di accordi interni al partito: non hanno mai preso un euro dei rimborsi elettorali che loro spettavano.
Se, domani, Salvini chiederà “modifiche” al decreto Dignità (già, di per sé, poco “dignitoso”), suggerite da Berlusconi, lo scontro sarà già nell’Autunno, ma non credo che avverrà.

I nodi verranno al pettine quando dovranno affrontare il “nocciolo duro” dei loro programmi: la Flat Tax ed il Reddito di Cittadinanza. Perché sono riforme “pesanti” in termini di miliarduzzi, entrambe.

Personalmente, non capisco la Flat Tax: in un’Italia che è ai primi posti per sperequazione sul reddito (l’indice di Gini), riduciamo le aliquote ad una sola, due al massimo? A parte – trucchi da avvocaticchi a parte per ingannare la Consulta – che la Costituzione recita, all’art 53 “Il sistema tributario é informato a criteri di progressività – e non vedo proprio come si potrebbe by-passarla – c’è qualcosa che non mi convince.
Si narra che, abbassando le tasse ad una (o due) aliquote, tutti le pagheranno: e perché? Già me li vedo – dai “signori del ferro” di Brescia ai “signori del frumento” di Foggia – tutti a correre da Equitalia: “adesso che sono diventate “giuste” le paghiamo volentieri!” Uh, come ci credo. Addirittura le cosche: riabilitateci! Vogliamo pagare!

Che gli attuali sistemi di accertamento del reddito siano iniqui ed imprecisi, ne sono pienamente convinto – basti pensare al farraginoso metodo degli “studi di settore”, per il quale un ristoratore che compra un’orata e poi non la vende, avrebbe guadagnato lo stesso – però c’è un sistema semplice, adottato nella Repubblica Socialista Nord-Americana: il reato d’evasione fiscale, siccome toglie risorse a tutti, è un reato contro la Nazione e, dunque, un reato penale. Si sorvola spesso su questo concetto, ma se non si pagano le tasse non ci sono più medici che ti aspettano al Pronto Soccorso, maestri in aula con i bambini, pompieri quando scoppia un incendio: soltanto quando si è accertata la base fiscale, ossia chi sono e quanti sono i contribuenti, qual è il loro reddito, allora si può parlare di sistemi fiscali. Altrimenti, sarà sempre e solo aria fritta: non sarebbe proprio necessario fare loro vedere il sole a scacchi: basterebbe il profumo. La borghesia è, per sua intima costituzione, codarda.
Infine, ricordiamo che Al Capone non fu “beccato” per centinaia di omicidi, bensì per evasione fiscale.

Dall’altra parte il M5S scalpita per vedere, finalmente, il suo “sogno nel cassetto” realizzato.
Abbiamo già detto mille volte che non si tratta di un vero RdC, bensì di un serio assegno di disoccupazione (la legge ricalca, a grandi linee, il sistema tedesco) perché è scandaloso che la seconda potenza industriale d’Europa non abbia un supporto al reddito in caso di disoccupazione.
La Legge Fornero, in aggiunta, ha creato una vasta zona d’ombra, che potremmo tratteggiare così: le aziende non sanno più che farsene dei dipendenti over 55, mentre la pensione arriva a 67. Si tratta di un “limbo” dove sguazzano circa 6 milioni di persone e le loro famiglie.

Un’analisi più seria dovrebbe prendere in esame le modalità dell’attuale sistema industriale – che viene definito ancora “manifatturiero”, mentre in realtà è “macchine-fatturiero” – e questo muta radicalmente i termini del problema.

Combinando il flebile “decreto Dignità” con la questione dei migranti, possiamo notare quanto le vere “pietre angolari” del sistema industriale (e, dunque, anche finanziario e sociale) siano state ignorate.

1) I padroni, se possono (ossia se glielo lasciano fare), pagano sempre di meno: questa è una legge vecchia quanto il mondo. E tu scrivi pure tutti i “decreti Dignità” che vuoi: se non aggiungi la sanzione amministrativa o penale, non avrai mai forza contrattuale all’interno della società.
2) La seconda ragione è più complessa e coinvolge da un lato il tasso di scolarità e, dall’altro, la tipologia delle aziende. A parte i dirigenti, la struttura di una moderna azienda è composta da molti quadri intermedi, che sono in gran parte tecnici. Sono quelli che fanno funzionare le macchine di processo: semplificando, i robot. Per far funzionare un’azienda moderna, servono tecnici specializzati e manodopera senza particolare preparazione, poiché la macchina va servita, non è lei a servire l’uomo. Perciò, da un lato tecnici scolarizzati e ben preparati, dall’altro dei semplici “robot-umani”. Per ora, il rapporto numerico è ancora a favore dell’uomo (per le mansioni semplici): domani, si vedrà. Ma questo è un altro discorso che, però, bisognerebbe iniziare a fare: non ho remore nel definire che questo è stato il grande errore delle sinistre europee, quello che le ha fatte finire ad osannare Blair o la Clinton.

 Questo governo – diciamolo fuori dai denti – è solo una copia edulcorata del governo Monti: nei ruoli chiave, (Economia-Esteri) ci sono tutti uomini legati alle istituzioni europee: dove sono finiti i Bagnai, i Fioramonti, i Rovertini, i Borghi? Erano uno specchietto per allodole elettorale?

Come può pensare, il M5S, di proporre una legge che costerà decine di miliardi l’anno? Le obiezioni di Cottarelli e di Boeri non sono retoriche, bensì reali: ad esse, bisogna dare una risposta.
La risposta esiste, ed è una sola: la società industriale avanzata (ossia altamente automatizzata) non può sopravvivere se non si pone sul piatto una domanda: il profitto è solo prodotto dal capitale?
E’ una domanda semplice: dalla risposta che si dà a questa domanda – ma non perché fu proposta da Marx – ne discendono due scenari, ossia una società ordinata e vitale da un lato, un pessimo film hollywoodiano di fanta-storia, zeppo di fucili mitragliatori, dall’altra.

Ai tempi di Moro e di Berlinguer, le aliquote fiscali erano sette, e la più alta prevedeva una tassazione del 75% sui guadagni: si viveva abbastanza bene, ad Agosto tutti andavano in vacanza, non c’era quasi ticket sui medicinali, negli ospedali c’era posto e si veniva ricoverati “per analisi”. Gli studenti universitari meritevoli ricevevano un “pre-salario” di 500.000 lire che, riportati d oggi, sarebbero circa 5.000 euro l’anno, le donne andavano in pensione a 55 anni egli uomini a 60: chiunque con 35 anni di contributi. Il debito pubblico era sotto il 60% e tutto in mani italiane eppure, nei consessi internazionali, gli economisti si cospargevano il capo di cenere…ah, l’Italia, il suo debito pubblico…
A forza di ripeterlo, la vulgata è diventata un imperativo.

Era veramente una società fondata “sul lavoro”, ma oggi è stato realizzato il miracolo: le mansioni pesanti o ripetitive sono delle macchine, non dell’uomo. Solo l’azienda che produce con queste modalità sopravvive, le altre sono destinate al fallimento.
Allora, diamo una risposta alla domanda: il profitto è solo prodotto dal capitale?
E’ una risposta che non richiede complesse trattative europee, che non scomoda la geopolitica, non tocca principi etici: tutto ciò che ci circonda e che vediamo – dalle autostrade ai grattacieli, dagli autobus alle biciclette – è stato creato solo dal capitale?
Se così non è, o non lo ritenete, significa che una parte dei profitti vanno corrisposti a chi lavora – si potrà decidere se monetizzarlo subito, se posticiparlo nella futura pensione, se stornarlo sul welfare ecc…ma tutto questo è un problema successivo – ed allora bisognerà aprire nuovi orizzonti: potrà essere una seria leva fiscale, oppure la partecipazione agli utili aziendali (la tedesca mitbestimmung)…altro…vari tipi di “compensazione” sociale…ma la decisione cambia, e cambia il paradigma di riferimento.
Altrimenti, vi racconto già come andrà a finire.

Maledetto, però è bravo: è stato l’unico a capire.
Mi riferisco a Vittorio Sgarbi: un essere che, spesso, mi dà il voltastomaco al solo vederlo apparire. Ma è stramaledettamente intelligente, vede “oltre” e capisce prima degli altri. Che, ad onor del vero, sono una pletora di pecore stupide (PD o FI, non cambia).
Non vi ha stupito che Sgarbi abbia dato il suo, personale voto a favore del governo Conte? Perché già sa come finirà.

Ne ho avuto esperienza quando lottai contro la riforma Fornero: articoli sempre sul filo della decenza, ma al vetriolo, che cospargevano sale sulle ferite con il sorriso fra le labbra.
Il meccanismo è semplice.
La compagine di governo è solo apparentemente un consesso: in realtà, ci sono Esteri ed Economia da una parte, tutti gli altri dall’altra. Questo spiega l’ostracismo per Paolo Savona.
All’epoca, si lottava per vedere riconosciuta “quota 96” (la somma degli anni di lavoro più l’età anagrafica) ed era sorprendente osservare il “ciclo” che si ripeteva. Ricordo, fra i parlamentari, due nomi: Boccia e Damiano, del PD, che si mostravano (?) d’accordo con le nostre rivendicazioni.
Si perveniva ad un accordo di massima, poi il tutto passava all’Economia: Monti non si scomodava nemmeno, inviava un sottosegretario il quale, puntualmente, respingeva “non c’è copertura finanziaria”. E tu, da capo, a cercare voci di bilancio da tagliare.
Quando il gioco divenne pesante – e i miei articoli più velenosi – mandarono in pensione il sottoscritto ed il gestore del blog, che era seguito da migliaia d’insegnanti. All’insaputa l’uno dell’altro. Ci prendemmo delle “botte” di traditori, ma non potevamo farci niente, eravamo stati messi in pensione d’autorità a 63 anni.
Cosa succederà al RdC?

Andrà cento volte in commissione e verrà approvato, mille volte alla Presidenza del Consiglio…sarà approvato e riapprovato, ma…al ministero dell’Economia risponderanno picche: manca la copertura finanziaria. Poi, ci sarà il tormentone dei “decreti attuativi”, mediante i quali la platea degli aventi diritto sarà ristretta allo 0,0…%, i fondi – quindi – saranno stanziati con enormi ritardi…li conosco, lo fanno abitualmente.
Così, il M5S si logorerà, inizieranno le sfide interne fra “buonisti” e “duri e puri”…intanto, la Flat Tax passerà, perché va ad incrementare il reddito di pochi, ed i tagli necessari saranno trovati dopo. Sulla nostra pelle.

Vittorio Sgarbi, da furbastro di tre cotte qual è, aveva compreso che quel governo raffazzonato era quel che ci voleva per annientare le istanze della popolazione. “Populisti”, che è come dire “privi della coscienza di muoversi in un universo pre-ordinato”.
Nell’Autunno vedremo questo canovaccio andare in scena: guarderemo quali risposte sapranno dare i 5stelle: per gli altri, c’è sempre un paracadute, quello targato Berlusconi, o chi per lui. Dudù tornerà all’ovile per essere scannato: missione compiuta. Vedremo se il M5S si trascinerà in una crisi senza fine, pendolando fra vecchie parole d’ordine e nuove, pragmatiche, realtà oppure se si darà una scossa e farà saltare il banco finché è in tempo. Il PD continuerà a litigare: la fine della “feral tenzone” è prevista intorno al 2030.
Cala il sipario, si accendono le luci in sala, il pubblico mormora e stropiccia gli occhi: ci sarà ancora il tempo per un drink?