16 luglio 2018

La scacchiera animata

Viene da chiedersi perché il gioco del calcio sia così popolare e sia largamente adottato da nazioni che, prima, erano dedite prevalentemente ad altri sport: la pelota basca, il baseball, il golf, ad esempio. Ovviamente, questi sport sono largamente praticati e condivisi nei loro Paesi, ma non c’è sport che si sia espanso come il calcio, a tutte le latitudini e per tutti i meridiani. Forse perché era il gioco dei colonizzatori? Ci credo poco. Perché, allora, non rifiutarlo?

Il “gioco più bello del mondo” è tale perché realizza l’animazione di uno dei più antichi giochi da tavolo, con l’aggiunta che non serve chissà quale preparazione per giocarlo: ai bambini viene naturale calciare la palla…poi, possono prendere due strade: una di libertà assoluta, “gioco con chi voglio, quando mi piace e come so fare” e l’altro, “voglio diventare un calciatore”, e allora giù allenamenti per poi, in rarissimi casi, approdare alle serie dei professionisti.
Per chi ha oramai passato l’età dei calzoncini corti – ed ha appeso le scarpette al chiodo da molto tempo – il calcio riserva sempre delle sorprese, poiché l’analisi di una partita riserva senza sosta dei lati poco noti, che si rivelano piano piano, man mano che il gioco si svolge.

La “scacchiera animata” è sempre un grande mistero, che riesce a spiegare anche perché il Brasile del 1982 fu sconfitto da un’Italia sparagnina ed utilitarista: proprio come negli scacchi, le partite si vincono (arbitri a parte) come in una battaglia, dapprima dalla disposizione dei “pezzi” sul campo, poi dai movimenti dei singoli pezzi. Non ci credete?

Il Re è in porta, la difende strenuamente: è un giocatore atipico, anche se molti portieri potrebbero giocare in attacco e nessuno se ne accorgerebbe. La “morte”, metaforicamente parlando, del portiere – ossia il goal – sancisce la vittoria o la sconfitta, ma il calcio – rispetto agli scacchi – riserva la sorpresa che si può rinascere e tornare alla vittoria: solo il tempo – come raccontava il don Juan di Castaneda – non ammette più repliche.
I Cavalli, nel calcio, sono quattro: due difensori di fascia e due cursori (od ali) che, a ben vedere, si muovono proprio come i cavalli degli scacchi: corrono lungo le fasce per poi crossare verso il centro, due avanti ed uno di lato. Gli altri due difensori – detti addirittura “torri” centrali – sono il baluardo della difesa e presidiano il campo con pochi movimenti verticali, ma molti spostamenti orizzontali, per seguire il movimento degli attaccanti.

La Regina, nel calcio, è meno definita ma ben presente come l’attaccante più dotato, capace di sfondare o colpire con tiri precisi e potenti, mentre i due Alfieri si spostano in diagonale, cercano o lo spiraglio per il tiro, oppure la loro Regina (i vari Maradona, di tutti i tempi) per smarcarla in area e concedergli il tiro.
E ci sono i Pedoni, i macina-miglia e suda-sangue di tutte le epoche, che corrono fino all’esaurimento per contrastare palloni a centrocampo, oppure fornire “rifornimenti” agli Alfieri. Una “vita da mediano”, come canta giustamente Ligabue. Così, quando segnano – che avviene raramente, perché quando giungono a distanza di tiro sono già esausti – la gioia trabocca in modo gioioso e violento, intrattenibile.

C’è però una differenza rispetto al gioco degli scacchi – una è l’evidente fisicità dell’evento – ma l’altra è più importante e, spesso, decisiva: la vittoria o la sconfitta non giungono soltanto per bravura o per errori, bensì è un uomo a deciderlo. L’arbitro.
Questo avviene, soprattutto, poiché rispetto ad altri giochi – basket o volley, ad esempio, mentre le versioni “acquatiche” (pallanuoto) o su ghiaccio (hockey) soffrono anch’esse di questa “pecca” del giudizio arbitrale, anche se, forse, in modo minore  – lo scarto di reti è sempre modestissimo, e dunque un rigore concesso oppure negato segna il destino più di quanto il “campo” non dica. Ne abbiamo visto, recentemente, un esempio in Francia-Croazia, dove la volontarietà dell’atto – richiesta dal regolamento – era per lo meno dubbia.

Riamane una grossa pecca del regolamento la troppa discrezionalità dell’arbitro, poiché inchieste sugli illeciti sportivi ce ne sono state tante, e qualcuna ha anche toccato anche il mondo arbitrale. Vedi la deposizione dell’arbitro Nucini nel processo “Calciopoli”. (1)
E’ un vero peccato che il gioco liberamente scelto come il “più bello del mondo” non riesca a liberarsi di questi fardelli di corruzione a vari livelli, come la presenza di Platini nell’UEFA dopo aver subito una condanna ad 8 anni d’allontanamento (2).
Il  grande successo del calcio non può essere offuscato da illazioni del tipo “panem et circenses”, seppur vere per gli aspetti economici o di controllo sociale, poiché è lo sport più desiderato dagli adolescenti, il più divertente, che richiede poca “preparazione”, almeno all’inizio. E, ricordiamo, i ragazzi sanno benissimo che le speranze di entrare in una grande squadra sono minimissile, eppure lo fanno: lo fanno perché, se giochi a calcio, ti diverti, anche se tiri quattro calci in un cortile.

L’ingresso del VAR – ossia la possibilità, per l’arbitro, di rivedere le azioni dubbie – non nasce sempre dall’arbitro stesso, bensì da chiamate sull’auricolare durante la partita. E chi ci assicura l’integrità morale della commissione addetta al VAR? Riflettiamo che quel mondo, purtroppo, è sempre quello tinteggiato dall’arbitro “infedele” Nucini.
Con il trascorrere del tempo, ed i nuovi mezzi “tecnici”, il ruolo del signore in giacchetta nera che corre sul campo scivola sempre di più da quello di “arbitro” a quello di “regista”. Quando il lavoro sarà definitivamente compiuto, il calcio transumerà verso l’opera buffa.

Così, si mutano le possibilità grazie all’elettronica, ma non si toccano i regolamenti. Una certa area di discrezionalità, per l’arbitro, è necessaria ed auspicabile: perché, allora, non dargli la possibilità di “dosare” la punizione? Ad esempio, con tiri dal dischetto dagli 11, 13 e 15 metri, secondo la gravità del fallo. Come, del resto, già avviene per i falli fuori area, con vari tipi di gradualità: semplice ammonizione verbale, ammonizione con diffida (alla prossima…), cartellino giallo e poi rosso.

La mancanza di gradualità nel dosaggio della punizione col calcio di rigore, ci fa pensare che le oligarchie del calcio non vogliano privarsi della certezza che, prima o dopo, avverrà un evento (magari dubbio) che però scatenerà il calcio di rigore. E cambierà il risultato della partita.

Come diceva Andreotti, “a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina”…già, alla faccia non soltanto dell’onestà nel gioco, ma anche nell’educazione dei ragazzini i quali, già in giovane età (ho allenato i ragazzini, lo so per certo) si vedono demolire quel concetto di onestà che credevano sacro, almeno sul rettangolo verde.
Un primo passo, per capire che la vita non concederà loro di guardarsi sempre allo specchio, ogni mattina, con sguardo fiero, ma ci si deve “adattare”, si deve essere “flessibili”, “duttili” se non si vogliono avere grane.

E poi ci meravigliamo di giudici, poliziotti, carabinieri, insegnanti, medici, idraulici, muratori, ecc, ecc…

4 commenti:

bambilu ha detto...

vedi che i miei SOS petti sulla juventus di agnelli fiat fca exxor e quanti altri nomi ha, aveva "fondamento". Il fiuto del lupocane è infallibile. Ecco peché tifavo Croazia, che ritenevo pià brava. Perché c'è sempre il trucchetto treccartaro baro. Che skifo ! Per me sti' pallonari morirebbero di fame, come i cantantucoli, attorucoli, conduttoroculi, giornalecckari, intellettuali senza cervello, e chi più ne hja più ne dica.

Eli ha detto...

Ed invece, a mio avviso, trattasi proprio di "panem et circenses", elargiti al popolo per distrarlo dal degrado della democrazia, dallo strapotere dell'economia, da tutte le altre sofferenze che quotidianamente vengono loro inflitte.
Poi si batte un rigore, e le pecore pensano ad altro, si concentrano su altro, si accontentano della propria miserevole condizione, investono le proprie energie in sciocchezze, anziché concentrarle per modificare le cose.
Questo è il vero "effetto gregge", altro che la stupidaggine dei vaccini.

Non sono d'accordo soltanto sul concetto di divenire "duttili, flessibili" per non avere grane.
Si può mantenere la propria integrità anche attraversando scuole, carriere, relazioni. Di sicuro vi sono dei prezzi da pagare, ma se si perde se stessi, cosa rimane?

Bel post, energico ed approfondito!

Carlo Bertani ha detto...

L'ho detto io stesso che è anche un gran panem et circenses (ad usuum stultorum), ma questo non toglie nulla alla bellezza, di per sé unica, del gioco del calcio. Vedi, Eli, io queste esperienze le ho vissute quando allenavo i ragazzini, non quando giocavo. Perché vedevo l'entusiasmo, poi la delusione per le evidenti "sviste" dell'arbitro. E che dire degli juniores! Gli allenatori si vendevano le partite di questi diciottenni per 100.000 lire!
Per questa ragione ho sempre giocato, ma come volevo io: senza mai tesserarmi, anche se a 30 anni m'offrirono un ingaggio...ma era oramai troppo tardi...
Ciao

Eli ha detto...

Carlo,

mi piace il paragone con il gioco degli scacchi, ma ti confesso che, da profana, mi sfugge la bellezza del calcio. A me è sempre sembrato il confronto fra ventidue burattini strapagati che corrono appresso ad un pallone.
E poi c'è una grossa differenza fra te, che hai misurato le tue forze in campo, e coloro che vanno allo stadio per urlare e sfogare i propri istinti belluini.
In fondo è la versione edulcorata dei combattimenti gladiatorii, roba per stomaci forti.