La scossa afgana è stata dura da digerire: come un corpo attraversato dalla scarica elettrica, l’Occidente è steso a terra e bofonchia, nell’attesa che il malore se ne vada. Qualcuno scrive di “inevitabilità”, altri di “riscossa”, altri ancora di “speranza”: l’unica realtà è quella dell’aeroporto di Kabul, dove ci sono più morti e feriti causati dall’incresciosa disorganizzazione della fuga occidentale. Nemmeno capaci a scappare ordinatamente.
Terminata la guerra, ci saranno state certamente delle vendette, delle rese dei conti…è inevitabile…pensiamo alla Berlino nel ’45 con i russi in casa…ma non si sono viste le lunghe file di persone inginocchiate a terra per tagliare loro la gola, e qualche senso questa “magnanimità” talebana deve pur averlo.
I Talebani hanno compreso che sono stati in grado di riconquistare il Paese, ma sanno benissimo che nulla potrebbero fare per fermare le squadriglie di B-52 che li sotterrerebbero di bombe: perciò, hanno tolto all’avversario la ragione per bombardarli. Semplice: è bastato disarticolare la “coalizione” mondiale nata nel 2001 dopo gli attentati alle torri di New York, per le quali pare che non fossero nemmeno responsabili.
Gli Stati Uniti sono a terra e per un po’ non sapranno risollevarsi, alla Gran Bretagna – dopo la Brexit – non è rimasta che la strategia del pappagallo: ripetere, con molta discrezione nei termini, ciò che arriva da Washington. Russia e Cina, insieme all’Iran hanno sposato, paradossalmente, la strategia “salvinista”, ossia ognuno padrone a casa propria. L’Europa “guarda”, “osserva”, “ragiona”. E tace.
In realtà, è stata una grande vittoria cinese sugli occidentali senza che i cinesi facessero niente: sono bastate dichiarazioni compiacenti e tranquillizzanti, mentre la Russia gongola per la ferrovia che dall’Uzbekistan raggiungerà Mazar I Sharif e l’Iran quella che dal territorio iraniano giungerà ad Herat: il collegamento verso Kabul sarà secondario. L’importante, è rendere trasportabili per ferrovia le stratosferiche riserve afghane di minerali preziosi, dei quali gli USA erano già a conoscenza ma, non sapendo convivere con gli afgani, hanno dovuto rinunciare.
Si tratta anche d’Oro e diamanti – ma per quelli non era necessaria la ferrovia – mentre servirà per le (stimate) 60 milioni di tonnellate di Rame, per i 2,2 miliardi di tonnellate di Ferro ma soprattutto le 1,4 milioni di tonnellate di Terre Rare, oramai quasi monopolio cinese in tutto il Pianeta: il vero potere nel controllo della produzione futura – armamenti, telefonia, informatica, settore spaziale, ecc – riposa proprio nel possesso del mercato delle Terre Rare, delle quali la Cina ha fatto grande incetta ed ha stabilito contratti a lungo termine in America Latina. Il Litio dell’Argentina, della Bolivia (ed oggi quello afgano) hanno fatto pronunciare a russi e cinesi una frase fatidica nell’occasione della guerra afgana: “Un’alleanza invincibile”.
In qualche modo, la guerra afgana ha ricordato la Suez del 1956, che segnò la fine dell’imperialismo britannico in Oriente.
Passata la buriana, verrà il tempo di tirare le somme di questa apocalittica sconfitta nel settore orientale: si è cominciato con il fallito tentativo d’egemonizzare la Siria, terminato con una sconfitta plateale degli USA, della GB, della Francia e d’Israele nell’unico territorio che consentiva d’arrivare ai confini russi. Oggi è l’Afghanistan a segnare l’estromissione degli occidentali dall’Asia Centrale e per Dicembre 2021 è già stato deciso l’abbandono dell’Iraq da parte delle forze americane che ancora vi risiedono, con ovvi contraccolpi sul mercato petrolifero e, vista la vicinanza dell’Iran, un nuovo elemento geostrategico da tenere in conto.
Rimane ancora l’asfittica Ucraina nel cercare di tenere a bada il potente vicino, ma non ci pare che la dirigenza ucraina – abbandonata da tempo dall’occidente ed in preda ad una crisi economica che ha dimezzato il valore della moneta nel volgere di pochi anni – sia in grado di contenere i russi che, peraltro, conquistata la Crimea ed il bacino del Donbass, li lasceranno al loro (amaro) destino.
Fra pochi anni, gli unici “avamposti” dell’occidente in Asia saranno solo più la Giordania, l’Arabia Saudita ed Israele: auguri.
A questo punto, la parola dovrebbe tornare alle armi, ma anche qui ci sono dei punti di non facile soluzione e dovremo fare un passo indietro per scorgerli nella loro interezza.
Da dove nacque il potere occidentale?
Nell’Ottocento – solo per non andare più indietro – il potere della Gran Bretagna si poggiava su tre grandi direttrici: l’artiglieria, la flotta e la cavalleria.
Grazie alla flotta il potere britannico si poteva espandere in tutti i mari e le terre, grazie alla cavalleria poteva controllare qualsiasi tentativo di rivolta e grazie all’artiglieria dominava popolazioni e territori.
Questo fu, a grandi linee, ciò che permise il grande potere coloniale inglese.
Anche perché dominate senza possibilità di riscossa, le popolazioni coloniali permisero la nascita dei governi coloniali, in parte britannici ed in parte indigeni: fu così che nacquero le future classi dirigenti nelle nazioni ex coloniali.
Basti pensare alle migliaia di burocrati, tecnici e militari che l’India trovò all’atto dell’indipendenza, mentre un Paese come la Tanzania (ereditato dai tedeschi dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e mai “ristrutturato”) si ritrovò per gestire l’indipendenza 3 medici e circa 150 maestri elementari.
Cosa fece andare in crisi il sistema inglese?
Lo abbiamo visto tutti ne L’ultimo Samurai: la mitragliatrice. Senza la mitragliatrice, i samurai avrebbero vinto.
Crollata la cavalleria, toccò alla fanteria assumersi i compiti e, nella Prima Guerra Mondiale, sappiamo a quale disastro si andò incontro: l’artiglieria dovette assumersi il compito di distruggere le fanterie avversarie, ma l’artiglieria costava, ogni proiettile costava caro. E si combatté per quattro anni, fin quando i rifornimenti di granate di uno dei contendenti s’esaurirono.
Rimaneva la flotta, ma la flotta aveva adesso bisogno d’esser protetta dai velivoli avversari e, nonostante la nullità della flotta tedesca, nella Seconda Guerra Mondiale la flotta inglese fu decimata.
Dopo la fine della guerra la situazione trovò un nuovo equilibrio: le portaerei americane controllavano i mari…l’URSS non ne aveva quasi…ma l’URSS non ne aveva bisogno: dopo Hitler e Napoleone, venite a conquistarci.
E furono proprio gli sconfitti, i tedeschi, a procurare l’arma che avrebbe segnato un nuovo dissesto: prima il razzo, poi il missile.
Per molto tempo ci si rifugiò nelle certezze del nucleare: oggi, con USA, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, Israele, Pakistan, India, Nord-Corea…più chi si prepara ad accodarsi…c’è oramai da stare bene attenti a premere il bottone.
Gli americani avrebbero potuto portare in Afghanistan un migliaio di carri armati e blindati (come avevano fatto i russi) del costo di milioni di dollari ciascuno, solo per vederli distruggere da missili spalleggiabili, del costo di migliaia di dollari ciascuno. E non lo fecero.
Avrebbero dovuto creare un solido governo coloniale, ma senza il controllo del territorio (per un massimo del 50% raggiunto) non potevano farlo: oltretutto, non avevano esperienza di governi coloniali.
Così, se ne sono andati: tanto abbiamo le portaerei che controllano i mari…le rotte…
Fino a un certo punto: il bello è che gli americani lo sanno benissimo.
Fintanto che si tratta di controllare la pirateria qualche fregata basta ed avanza…ma in uno scenario di vera guerra – senza poter usare le armi nucleari – il problema diventa serio.
Basti pensare alla guerra in Iraq del 1991: una manciata di missili Scud del 1950 lanciati dall’Iraq su Israele – e per farceli arrivare avevano ridotto la testata bellica da 1 tonnellata a cento chili d’esplosivo – causarono 156 morti fra la popolazione israeliana, morti che gli israeliani nascosero dichiarandone uno solo, morto d’infarto.
I famosi “Patriot” o cose del genere non beccarono niente, perché la velocità dei missili che scendevano dalla stratosfera era troppo alta per intercettarli: per prenderli sarebbero stati necessari dei laser di potenza a lunga gittata. Peccato che, per ora, esistano solo sulla Enterprise di Star Trek.
I missili a lunga gittata a velocità ipersonica, invece, fanno già parte degli arsenali di Russia, Cina ed anche degli USA: solo che gli altri non pretendono di governare tutti i mari del mondo, mentre gli americani sì.
Una salva di tre-quattro missili lanciati a breve distanza di tempo, non sono intercettabili da nessuna nave e, quando incontrano una portaerei, generano un disastro epocale: perforando il ponte di coperta, incontrano aerei e serbatoi di kerosene che esplodono in un attimo. Poi, incontrano anche l’apparato motore nucleare. Non vado oltre.
I sottomarini possono lanciare missili?
Certo, però o sono missili a testata nucleare oppure causano poco danno, anche perché i sottomarini non hanno batterie di missili così fornite da colpire così tanti bersagli: sono stati pensati per la guerra nucleare e le armi convenzionali sono soltanto un adattamento.
Anche l’USAF, purché attrezzata con il meglio del meglio, può fare “cappotto” nelle guerre “non convenzionali”, ossia contro l’Iraq o l’Afganistan: contro l’Iran, ad esempio, non sono andati oltre qualche drone.
In una vera guerra non nucleare non si può prevedere cosa potrebbe succedere: certamente Russia e Cina hanno usato parole molto pesanti – “alleanza invincibile” – ma la realtà sarebbe proprio difficile da individuare.
Perciò, la strategia procede con questi colpi – in parte diplomatici, in parte militari – ma sempre senza raggiungere il limite della guerra: all’interno di questa strategia, per ora, l’occidente s’è visto perdente senza condizioni. In Siria, in Ucraina, oggi in Afghanistan.
La scelta, in anni lontani, fu una scelta del capitalismo internazionale: utilizzare nazioni con basso costo del lavoro per conquistare mercati e sconfiggere competitori. Alla fine, proprio quelli che dovevano essere dei “mezzi di produzione” e basta si sono rivelati vincenti: riflettiamo sulla non volontà di Marchionne d’intraprendere la via dell’auto elettrica, ad esempio, e cosa ha portato come frutti, quando invece gli Agnelli, negli ultimi anni del millennio, già sperimentavano le auto elettriche.
Oggi, la Cina, ha nelle sue mani il mercato dell’auto elettrica a costo contenuto ed ha conquistato la benevolenza afgana per avere a disposizione proprio i minerali che servono per costruirla. Sta costruendo a tamburo battente una grande Marina, ma non la muove mai dal mar Cinese e non va a cercarsi dei guai dappertutto.
Invece, si muove agilmente in tutto il Pianeta per acquisire contratti sui minerali che le servono, ma non “strozza” mai sul prezzo chi vende: domani, se avranno più possibilità economiche, verranno da me a comprare.
Oramai la Cina spazia nella sua tecnologia da un settore all’altro: dalla meccanica appresa in anni lontani dall’alleata URSS al tessile, appreso soprattutto in Europa: vi meravigliavate di qualche decina di migliaia di cinesi a Prato? Erano solo l’avanguardia, per imparare: oggi, sono 13 milioni gli addetti all’industria tessile cinese, 13 milioni che lavorano su macchine tecnologicamente avanzatissime e di buona qualità di prodotto. Poi venne l’elettronica e l’informatica, fino all’acquisizione della IBM (oggi Lenovo) ma soprattutto i grandi progressi nell’elettronica della difesa e dello spazio. Anche nelle energie rinnovabili la Cina guarda avanti, anche se non basta ancora per sopperire alle necessità dell’industria: in ogni modo, ha ben 350 GW di potenza eolica installata – maggiore di quelle di Europa, Africa, Medio Oriente e America Latina messe assieme – e procede a balzi del 78% sull’anno precedente.
Non conosciamo la ragione di un simile balzo economico sul resto del Pianeta: possiamo solo riconoscere che la loro politica estera non è brutale come lo fu quella europea e non è nemmeno grezza come quella americana. Ci sanno fare: riconosciamolo.
Inutile raccontarsela: noi europei non contiamo quasi più niente nei grandi mercati internazionali. Abbiamo rinunciato a troppe cose: come quando facemmo fuori Gheddafi che era il nostro garante per il grande progetto tedesco Desertec, ossia la captazione d’energia solare nel deserto libico che ci avrebbe consegnato, da solo, il 25% dell’energia necessaria in Europa. E perché? Per seguire Sarkozy o la Clinton? La Germania, solo per ricordarlo, non mosse un dito contro Gheddafi: l’Italia s’accodò, scodinzolando, quando pochi mesi prima era stato ricevuto a Roma in pompa magna.
Adesso è tardi per recriminare, per rimpiangere le occasioni perdute: non abbiamo più chance per far sentire la nostra volontà. Ammesso d’averne una.