Sukhoi-27
L’abbattimento del cacciabombardiere Su-24D russo sul
confine turco-siriano è un affare di poco conto, oppure una vera e propria
“boa” scapolata dai turchi, secondo come il Ministro degli Esteri russo Lavrov
si esprimerà domani (25 Novembre) ad Ankara. E da come risponderanno i turchi.
In altre parole, le carte – oggi – sono tornate in mano
russa ed i turchi potevano, francamente, non andarsi a cercare “grane” col
potente vicino, visto che dimostrare la territorialità dell’abbattimento sarà
molto arduo e, in definitiva, di scarsissimo interesse: ciò che conta, è il
dato politico.
Avremo modo di conoscere com’è andata la missione turca di
Lavrov nelle prossime settimane, tenendo d’occhio la composizione aerea della
missione russa in terra siriana: oggi, è composta soltanto da
cacciabombardieri, quali sono i Su-24D e, parzialmente, anche i Su-34. La
differenza fra i due velivoli non è soltanto una questione di “età elettronica”
(anche i Su-24D, ampiamente rimodernati, sono comunque ottimi velivoli) bensì
di “qualità radar”. Semplificando: mentre il Su-24 può soltanto lanciare – nel
confronto aria-aria – missili con guida all’infrarosso e poche miglia di
gittata (autodifesa), il Su-34 può lanciare anche missili a guida radar attiva,
con portate dell’ordine delle 25
miglia nautiche, 50 chilometri circa,
che è tutto un altro affare. Pur rimanendo un aereo per l’attacco al suolo.
Politicamente, quindi, la scelta di puntare sul Su-24 è
stata una scelta politica, un modo per dire “svolgiamo la nostra missione
anti-ISIS e basta”, lasciando ai pochi Su-34 schierati il compito, più che
altro, di “mostrare la bandiera”.
Non si spiega altrimenti la scelta d’inviare una missione
aerea senza protezione in aria, giacché l’ISIS non ha aviazione – e in aggiunta
c’è l’aviazione siriana a sorvegliare i cieli – in un territorio molto conteso,
dove operano due aviazioni temibili e ben equipaggiate, come quella israeliana
e quella turca.
Di certo, Lavrov chiederà la certezza assoluta che simili
attacchi – da ogni parte provengano – non abbiano più luogo, giacché è evidente
che uno sconfinamento di poche miglia non implica nessun pericolo per la
Turchia.
Solo per citare un esempio, durante le prime fasi
dell’ultimo conflitto in Jugoslavia, un giorno d’Estate una mia cara amica era
al mare, ed andare al mare – per i triestini – significa spostarsi o verso Miramare,
o verso Muggia, che è cittadina di confine. Ebbene, quel giorno s’era recata in
una spiaggia nei pressi di Muggia, quando udirono un frastuono assordante e,
dalle loro spalle, sbucò una formazione di cinque Mig-29 (sloveni? croati?
serbi?) la quale – probabilmente per l’abbrivio e l’inerzia del volo a quelle
velocità – era ampiamente sconfinata in territorio italiano. I Mig virarono
subito e cabrarono in alto (per diminuire la velocità e manovrare meglio): in
ogni modo, giunsero quasi sulla città di Trieste prima di rientrare in
Slovenia. Tutto avvenne in pochissimi
minuti e nessun aereo italiano, ovviamente, si alzò poiché fu preponderante il
dato politico: nessuno di quegli aerei ce l’aveva con l’Italia, ed avevano
abbastanza guai in casa propria per cercarne degli altri.
Così saranno andate le cose anche su quel confine fra
Turchia e Siria, ma i turchi hanno reagito: perché?
Poiché il dato politico è diversissimo.
L’ordine d’abbattere l’aereo russo è probabilmente giunto
dal quartier generale Nato di Bruxelles – sconfinamenti di questo tipo, in
quelle situazioni, sono comuni – ed alla Turchia poteva far piacere oppure no,
ma ha dovuto obbedire.
La Turchia non vede poi così male la missione russa, poiché
l’ISIS è una minaccia anche per il partito moderato di Erdogan, però c’è
l’altro aspetto, ossia l’alleanza con Assad, la sua difesa come fedele alleato
del fianco Sud dell’Orso Russo. E, questo, è un bastone fra le ruote per
Ankara: ma la contrapposizione fra russi e turchi è vecchia di secoli, dalla
battaglia di Sinope in poi.
Quello turco è stato dunque un avvertimento, una sfida che –
ovviamente – non viene lanciata da Ankara, bensì da Washington (per la
questione ucraina), Bruxelles (per servaggio nei confronti USA, l’UE non ha
interessi a controllare militarmente l’Ucraina, anzi) e da Tel Aviv, per una
sorta di “no fly zone” che la presenza dei russi ha stabilito – di fatto –
nell’area, e che “infastidisce” molto Israele.
C’è, infine, la questione petrolifera che ruota intorno al
porto di Tartus, alla quale tutti sono interessati, ma è una contrapposizione
meno rischiosa: in ambito energetico, tende a prevalere l’accordo piuttosto che
la violenza, soprattutto quando gli attori sono “di calibro”.
Per Mosca si pone quindi un dilemma, che ha – a ben vedere –
un’unica soluzione: se la scelta è stata quella di tornare grande potenza sullo
scenario mondiale – Georgia, Ucraina, Siria – ora non possono mettere la coda
fra le gambe.
Perciò, Lavrov chiederà una sorta di “pass” senza problemi,
e senza arretrare di un millimetro nella difesa del regime di Assad: se lo
otterrà, non avverrà nulla. Al contrario, vedremo arrivare a Latakia anche i
Su-27 e, forse, addirittura qualche Su-35: roba che non ha certo paura degli
F-16, turchi od israeliani essi siano.
1 commento:
Ciao.
E' una di quei fatti dei quali non si saprà
mai la verità, in assoluto.
Però a me pare plausibile "l'ordine del capo"
piuttosto che un passaparola da ovest.
E' un gioco fra bulli.
Che poi molti ci vogliono lucrare sopra
sarà senz'altro vero ma l'inizio è,
secondo me, una cosa banale come
un confronto fra chi ce l'ha più...
saluti
RA
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