“…proprio sopra di voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti, che sfruttate la vitaper i vostri sporchi giochetti allora…allora…ammazzateci tutti!
Noi siamo qui, prigionieri del cielo come giovani indiani…risarciteci i cuori, noi siamo qui, senza terra né bandiera, aspettando qualcosa da fare che non porti ancora dei torroni a Natale…telegrammi «ci pensiamo noi»…condoglianze! condoglianze!”
Antonello Venditti – Canzone per Seveso – dall’album Ullalla – 1976.
E’ fin troppo facile prevedere il seguito della vicenda che i giornali relegano oramai in terza e quarta linea sulle loro pagine, tradizionali od elettroniche, perché la tragedia delle navi cariche di veleni, affondate dalla ‘ndrangheta, è il più grave attacco subito dall’Italia nel dopoguerra.
E’ facile perché in questo sciagurato Paese si ritiene che le notizie non siano tali se solo si riescono ad occultare, oppure a ridimensionare, ma non è così: quando Der Spiegel farà un servizio sulla vicenda, addio turismo tedesco. E la stessa cosa avverrà quando lo faranno i giornali inglesi, francesi e americani: siamo irrimediabilmente fottuti.
Per prima cosa voglio tracciare i confini di questo articolo, il quale non si occuperà delle indagini e dei retroscena – che sono tanti – della vicenda, giacché mi riprometto di farlo in un prossimo pezzo, che sarà necessariamente lungo (e che ho già iniziato a scrivere), il quale richiede molto lavoro di ricerca: per ora, fermiamoci all’evidente. Che è già tanto.
Partiamo da una riflessione: il mare non ha confini, sono gli uomini ad imporli.
Per questa ragione non ha nessun senso parlare di “tragedia calabrese”, poiché se è vero che il pentito Foti fu creduto soltanto quando i medici s’accorsero di una “impennata” dei tumori in quelle aree[1], è altrettanto vero che, per semplici principi chimico-fisici quali l’osmosi ed il prodotto di solubilità, quei veleni sono destinati a diffondesi non solo nel Tirreno, bensì nell’intero Mediterraneo. Comprendiamo che sia difficile da capire per la gran parte del pubblico, ma quelle navi rappresentano – per l’ambiente – il corrispettivo di una bomba atomica sganciata sulla Calabria, una sorta di fall-out che durerà secoli. E, questo, anche se non saranno ritrovate scorie radioattive.
La Procura competente – nemesi della Storia, il magistrato che se ne occupa si chiama Giordano Bruno – non ha nemmeno i soldi per far svolgere dettagliate ricerche, al fine di conoscere il contenuto di quei relitti.
Il Ministro Brunetta ha trovato, invece, 40.000 euro da consegnare a De Michelis, suo antico mentore nel PSI, per “consulenze” ed il vecchio “Unciòn" – come lo chiamano a Venezia, ossia “unto” (non certo dal Signore) bisunto, capello sporco, ecc – ha ricambiato comunicando che, stante la cifra, considerava il suo lavoro al Ministero come “volontariato”[2]. Noi, che per la metà di quei soldi lavoriamo tutti i giorni, ricambiamo ricordando come lo appellò Enzo Biagi: “un avanzo di balera”.
Per prima cosa, quindi, chiediamo al Governo, come misura immediata – ma anche a Walter Veltroni che si dice “molto allarmato” – di cacciare questo “pendaglio di storta” (è un chimico…) dal Ministero (se fosse possibile fare “ambo” con Brunetta, se non è chiedere troppo…), per consegnare quei 40.000 euro ad un rappresentante delle “élite di merda” – come definisce il nostro Brontolo veneziano chi ha ancora un cervello – e, specificatamente, nelle mani del magistrato competente. Meglio, con una cerimonia a Campo dei Fiori.
La dimensione della tragedia non è stata nemmeno avvertita dalla popolazione, poiché per “comprenderla” bisognerebbe sapere, e per sapere servono soldi, tanti soldi.
Partiamo da quello che sappiamo.
Foti parla di una trentina di navi affondate, di fronte ai litorali del Tirreno e dello Ionio (ma la “Anni” fu colata a picco in Adriatico), approssimativamente da La Spezia a Crotone, con prevalenza sulle coste calabre. Quanta roba c’è dentro a quelle navi?
Senza pretendere di cercare il pelo nell’uovo, possiamo affermare che per quei “lavori” furono utilizzati mercantili di non grande stazza, diciamo intorno alle 5.000 tonnellate. La tonnellata di stazza, però, non coincide con la comune unità di misura per la massa, giacché corrisponde a 100 piedi cubici anglosassoni, 2,83 m3 i quali, considerando per semplicità la densità dell’acqua pari ad uno, corrispondono ad una massa di 2,83 tonnellate. Chi vorrà una dettagliata esposizione, la troverà in nota[3].
E’ difficile fare una stima del carico trasportato, giacché non sappiamo se tutti gli spazi interni disponibili per il carico fossero stati utilizzati: il buon senso direbbe che, volendole usare come semplici “cassonetti” da affondare, le avessero riempite fino alla falchetta, ma non abbiamo prove.
Stiamo quindi “bassi” e conteniamo il carico a sole 3.000 tonnellate di peso: trenta navi – ma sono 180, secondo altre fonti, quelle “disperse” – fanno 90.000 tonnellate di materiali tossici disseminati in mare. Una montagna di robaccia.
Cosa ci può essere in quelle stive?
Non vorremmo che, in breve tempo, qualcuno rassicurasse: “Non ci sono scorie radioattive! Dormite sonni tranquilli!”, poiché il problema diverrebbe meno grave per un’inezia.
Quelle scorie, come ha affermato Foti, provenivano per la gran parte dalle industrie del Nord: quali sono gli scarti industriali che furono ritenuti così difficile da smaltire, al punto di rivolgersi ai mammasantissima?
1) Residui di verniciatura
2) Residui delle industrie galvaniche
3) Scarti dell’industria conciaria
4) Scarti dell’industria tessile e tintoria
Fermiamoci qui, anche se le tipologie saranno probabilmente molte di più, perché basta ed avanza.
I prodotti versati in mare sono, a questo punto, tantissimi e si deve tener presente un secondo dato: queste sostanze sono, a loro volta, reattive. Quindi, non possiamo sapere cos’abbiano generato dopo essere state immagazzinate alla rinfusa nei fusti, né le interazioni che possono essere intervenute – sono oramai decenni che sono in fondo al mare – con le strutture metalliche della nave e con l’ambiente marino (la salinità dell’acqua di mare, la pressione, ecc).
Insomma, là sotto c’è di tutto.
Per capire, almeno a grandi linee, cosa ci può essere partiamo dalle sostanze utilizzate per sintetizzare quei prodotti tecnici:
Metalli pesanti
Piombo: presente nelle comuni vernici di fondo in funzione antiruggine, usato per decenni (ricordate la classica “antiruggine” arancione?) in tutta l’industria, soprattutto in quella meccanica.
Cromo: è uno dei principali composti di vernici e sostanze coloranti (in greco, chroma, significa proprio colore), soprattutto nella forma esavalente (giallo ed arancio) mentre in quella trivalente è verde. Usatissimo nell’industria conciaria ed in quella metallurgica.
Mercurio: usato anch’esso per vernici e nell’industria farmaceutica. C’è da sperare che, siccome costa parecchio, le industrie cercassero di recuperarlo almeno in parte, così come per l’Argento dell’industria fotografica.
Rame: usato in agricoltura, ma certamente meno pericoloso e meno diffuso dei precedenti.
Stagno: usato per saldature in elettronica. Prodotto costoso, e c’è da sperare che proprio per questa ragione non sia presente in quantità significative.
Composti organici
La tipologia dei composti organici è vastissima, ci limiteremo al minimo:
Naftoli: usati per sintetizzare coloranti (vernici, tinture, ecc).
Ammine aromatiche: anch’essi adoperati per la sintesi dei coloranti. Entrambi causano il cancro alla vescica.
Altre sostanze
Solfati, Nitrati, Cloruri: Zolfo, Azoto e Cloro costituiscono, con l’Idrogeno e l’Ossigeno, gli acidi minerali più usati e conosciuti. Per loro natura non sono molto inquinanti, ma è difficile prevedere quali composti possano generare se lasciati, per anni e sotto pressione, in “compagnia” di un “pudding” di molecole organiche.
Cianuri: usati nel processi galvanici e di cromatura. Basta il nome.
Ci rendiamo conto che la trattazione è assai esigua (diserbanti, fitofarmaci, idrocarburi, ecc) ma ciò basta ed avanza per comprendere il problema: tutte queste sostanze, se entrano in contatto con organismi biologici, causano interazioni gravissime, che si manifestano con malattie della pelle e degli organi interni, malattie nervose e tumori.
Di più: non dimentichiamo che i molluschi, e gli organismi bentonici in genere, tendono a concentrare nei loro liquidi biologici sali tratti dall’acqua marina. Noi, mettiamo loro “a disposizione” il peggior campionario di veleni che si possa concepire: immaginate i risultati.
La catena biologica dei mari italiani è quindi definitivamente compromessa giacché, quelle 90.000 tonnellate delle peggiori schifezze, s’espanderanno lentamente: non è detto che l’Italia non si ritrovi, domani, al centro di costosissime richieste di risarcimento da parte degli altri Paesi rivieraschi.
Siccome il mare non ha confini, e la catena alimentare marina tende ad espandere ciò che è concentrato in un punto, nessuno sarà più certo di non “beccarsi” un pesce che contenga quella robaccia. Personalmente, mangerò soltanto più pesce congelato di sicura provenienza atlantica.
Perché si è giunti a questo punto?
Sicuramente perché il profitto è alla base del crimine: ovunque e chiunque possa sperare di farla franca, risparmierà denaro fregandosene della salute altrui. Non è nemmeno il caso d’approfondire.
Alla base di tutto, però, c’è una generale e diffusa ignoranza da parte della classe politica: sanno pochissimo di queste cose, e quando si trovano di fronte a problemi del genere stentano a comprenderli. Nominano “esperti” per ricevere lumi, si stendono inutilmente chilometriche relazioni, quando il dato è semplice. Solo a volerlo osservare nella sua crudezza.
Ci sono precedenti storici?
In Italia, per moltissimi anni, il Lago d’Orta (Piemonte) fu completamente sterile dal punto di vista biologico: gli scarichi della Bemberg (fibre tessili artificiali), ricchi di Rame, uccisero tutte le forme di vita. Solo dopo anni, s’ottenne finalmente che lo stabilimento fosse dotato dei più moderni ritrovati tecnici per la depurazione dei fanghi in uscita. Oggi, la situazione è decisamente migliorata e sono tornati i pescatori.
Il lago d’Orta, però, è un bacino ristretto, dove fu possibile pianificare gli interventi: mica una “sepoltura” a casaccio in tutti i mari d’Italia.
Un evento che fa invece gelare il sangue è quello di Minamata, in Giappone: nel dopoguerra, nella baia di Minamata, iniziò una catena di morti sospette. Nel 1956, si resero conto che la ragione erano gli scarichi (contenenti principalmente Mercurio) di un’azienda chimica. La “svista” causò 2.265 vittime e 1.784 morti[4].
Cosa possiamo attenderci?
Non è allarmismo ingiustificato e nemmeno spregio della Patria affermare che la situazione non è gravissima: è tragica. Se i giornali stranieri non minimizzeranno come i nostri, non sarà per una sorta di “italianofobia”: avranno soltanto ragione.
Possiamo continuare tranquillamente a mangiare il pesce pescato nei mari italiani? Portare i nostri figli al mare? Riflettiamo che una concentrazione, anche minima, di metalli pesanti nell’acqua genera danni biologici.
Chi avrà il coraggio di sospendere cautelativamente (ma totalmente!) la pesca, almeno nelle regioni colpite da questo crimine? Chi darà ancora le “Bandiere Blu”? Siamo invece certi che prevarrà la logica del voto e del “lavoro”, poiché il danno generato è incommensurabile. Insomma, dovremo accettare d’essere avvelenati giorno dopo giorno: ci chiediamo come faranno, da domani, Sgarbi ed i paladini di Italia Nostra a portare avanti la loro crociata contro gli aerogeneratori, che “distruggono le nostre coste”. Ci hanno già pensato altri.
Il problema poteva essere risolto in altro modo?
Alla base di tutto, come ricordavamo, ci sono due fattori: il profitto e l’ignoranza.
Se il primo non può essere, almeno a breve termine (cosa che, personalmente, gradirei) eliminato, la seconda sì.
Da anni studiosi, tecnici, scrittori e giornalisti avvertono che con l’incenerimento dei rifiuti non si distrugge nulla: le sostanze inquinanti cambiano semplicemente forma e s’espandono nell’atmosfera.
Così è per il mare (e per le discariche): se non si giunge a comprendere che, come abbiamo costruito, così dobbiamo demolire quel che scartiamo, le tragedie come queste si ripeteranno. Anche se, per come stanno le cose, oramai siamo alla frutta.
Considerare quel “pudding” di sostanze alla stregua del petrolio greggio, e quindi recuperare sostanze mediante processi di cracking per poi riutilizzarle, sarebbe possibile se, solo, s’investisse nella ricerca. Ma, noi, usiamo la ricerca solo come fonte di “posti” per i figli dei notabili, com’è stato ampiamente dimostrato[5].
Se qualcuno pensasse “in qualche modo le tireremo su”, si metta tranquillo: il recupero di grandi navi su alti fondali è solo roba per Hollywood. Fosse solo una pilotina, a 500 metri sarebbe già un problema: figuriamoci quelle affondate a 1.000 metri e più! Nemmeno da pensare.
Inoltre, anche spiccando un salto nella fantascienza, durante la risalita perderebbero il carico: niente da fare.
Dopo l’affondamento dell’Andrea Doria, nel 1956, si pensò di recuperala ma i costi furono considerati proibitivi: l’Andrea Doria, però, ha la chiglia a meno di 100 metri dalla superficie!
Inoltre, questi bei affondatori di veleni, non le hanno colate a picco con il sistema tradizionale, ossia aprendo le valvole a mare (i cosiddetti Kingston): troppa fatica. Come ha confessato Foti, piazzavano trenta chili d’esplosivo a prua e le facevano saltare.
Se, anche, per un caso dei casi, potessero essere recuperate immettendo aria nello scafo, le falle non consentirebbero di raggiungere una spinta positiva. Ma, lo ripeto, è una pura ipotesi “di scuola”.
Molto probabilmente, cercano di minimizzare il fatto – ossia che i mari italiani sono irrimediabilmente avvelenati – perché non sanno che pesci (sic!) pigliare: affidano i titoli di testa alle solite beghe, dalle escort alla RAI, perché un Ministro come la Prestigiacomo non ha assolutamente le capacità d’affrontare un simile scempio. Come sempre, s’adotta la strategia dello struzzo.
L’unica ipotesi – ma, sottolineo, è tutta da verificare – potrebbe essere quella di metterle in sicurezza ricoprendole di teli impermeabili e poi “sigillarle” con un “sarcofago” di materiale inerte. Ripeto: è soltanto un’ipotesi (data la profondità) e bisognerebbe scomodare le “teste pensanti” dell’ingegneria e della ricerca italiana, magari proprio i ricercatori universitari. Sono anch’essi “élite di merda”, Brunetta?
Cosa si dovrebbe fare?
Per prima cosa sospendere totalmente la pesca e la balneazione ovunque ci sia solamente il sentore di una nave affondata: chi avrà il coraggio di farlo?
In seconda battuta, chiamare rapidamente le migliori menti che abbiamo (e ci sono…) in Ansaldo, OTO Melara, Italcantieri, FIAT, ecc, e domandare loro se esiste una sola ipotesi d’arrestare la dissoluzione di quei carichi nell’acqua marina.
Come atto simbolico – come ricordavamo – sarebbe d’uopo rimandare il “veneziano da balera” a casa e consegnare al magistrato competente quei 40.000 euro: sarebbe soltanto un simbolo, ma sarebbe ugualmente importante.
Da ultimo, riflettiamo che le operazioni militari italiane all’estero sono ben 30, che assorbono 8730 militari[6] e risorse per svariati miliardi di euro (parecchi camuffati nelle “pieghe” dei bilanci): ad Ottobre, ci sarà il voto per il ri-finanziamento.
Cos’è dunque l’Italia?
Siamo un Paese che spende miliardi di euro per discutibili (uso un eufemismo…) interventi a casa d’altri, mentre è impestato da un cancro ancor peggiore: di certo, lo Stato italiano non governa un terzo del Paese!
Siamo, quindi – seguendo proprio la loro logica – messi ancor peggio di Karzai!
Potremmo chiedere il dispiegamento nel Sud di una forza multinazionale, oppure richiamare i nostri ragazzi da missioni impossibili, pericolose e senza costrutto per mandarli a presidiare il nostro territorio, perché ne abbiamo un gran bisogno.
Qualcuno potrà ribadire che le mafie non si combattono più con il presidio del territorio, giacché hanno assunto dimensione nazionale ed internazionale: ciò è vero – e serve dunque l’attività d’intelligence – ma solo in parte.
Le mafie hanno bisogno del controllo del territorio, perché la droga si raffina nei laboratori clandestini, le armi s’immagazzinano nell’attesa d’essere vendute, il “pizzo” non viene chiesto a Stoccolma, bensì da Roma in giù. Questa vicenda ne è la dimostrazione lampante.
Bisognerebbe anche avvertire i mammasantissima in carcere che, qualora qualcuno torcesse anche solo un capello di quei ragazzi, potrebbe essere messo in atto nei loro confronti non il "41-bis", ma il “metodo Stammheim”.
Noi siamo qui, prigionieri del cielo come giovani indiani…risarciteci i cuori, noi siamo qui, senza terra né bandiera, aspettando qualcosa da fare che non porti ancora dei torroni a Natale…telegrammi «ci pensiamo noi»…condoglianze! condoglianze!”
Antonello Venditti – Canzone per Seveso – dall’album Ullalla – 1976.
E’ fin troppo facile prevedere il seguito della vicenda che i giornali relegano oramai in terza e quarta linea sulle loro pagine, tradizionali od elettroniche, perché la tragedia delle navi cariche di veleni, affondate dalla ‘ndrangheta, è il più grave attacco subito dall’Italia nel dopoguerra.
E’ facile perché in questo sciagurato Paese si ritiene che le notizie non siano tali se solo si riescono ad occultare, oppure a ridimensionare, ma non è così: quando Der Spiegel farà un servizio sulla vicenda, addio turismo tedesco. E la stessa cosa avverrà quando lo faranno i giornali inglesi, francesi e americani: siamo irrimediabilmente fottuti.
Per prima cosa voglio tracciare i confini di questo articolo, il quale non si occuperà delle indagini e dei retroscena – che sono tanti – della vicenda, giacché mi riprometto di farlo in un prossimo pezzo, che sarà necessariamente lungo (e che ho già iniziato a scrivere), il quale richiede molto lavoro di ricerca: per ora, fermiamoci all’evidente. Che è già tanto.
Partiamo da una riflessione: il mare non ha confini, sono gli uomini ad imporli.
Per questa ragione non ha nessun senso parlare di “tragedia calabrese”, poiché se è vero che il pentito Foti fu creduto soltanto quando i medici s’accorsero di una “impennata” dei tumori in quelle aree[1], è altrettanto vero che, per semplici principi chimico-fisici quali l’osmosi ed il prodotto di solubilità, quei veleni sono destinati a diffondesi non solo nel Tirreno, bensì nell’intero Mediterraneo. Comprendiamo che sia difficile da capire per la gran parte del pubblico, ma quelle navi rappresentano – per l’ambiente – il corrispettivo di una bomba atomica sganciata sulla Calabria, una sorta di fall-out che durerà secoli. E, questo, anche se non saranno ritrovate scorie radioattive.
La Procura competente – nemesi della Storia, il magistrato che se ne occupa si chiama Giordano Bruno – non ha nemmeno i soldi per far svolgere dettagliate ricerche, al fine di conoscere il contenuto di quei relitti.
Il Ministro Brunetta ha trovato, invece, 40.000 euro da consegnare a De Michelis, suo antico mentore nel PSI, per “consulenze” ed il vecchio “Unciòn" – come lo chiamano a Venezia, ossia “unto” (non certo dal Signore) bisunto, capello sporco, ecc – ha ricambiato comunicando che, stante la cifra, considerava il suo lavoro al Ministero come “volontariato”[2]. Noi, che per la metà di quei soldi lavoriamo tutti i giorni, ricambiamo ricordando come lo appellò Enzo Biagi: “un avanzo di balera”.
Per prima cosa, quindi, chiediamo al Governo, come misura immediata – ma anche a Walter Veltroni che si dice “molto allarmato” – di cacciare questo “pendaglio di storta” (è un chimico…) dal Ministero (se fosse possibile fare “ambo” con Brunetta, se non è chiedere troppo…), per consegnare quei 40.000 euro ad un rappresentante delle “élite di merda” – come definisce il nostro Brontolo veneziano chi ha ancora un cervello – e, specificatamente, nelle mani del magistrato competente. Meglio, con una cerimonia a Campo dei Fiori.
La dimensione della tragedia non è stata nemmeno avvertita dalla popolazione, poiché per “comprenderla” bisognerebbe sapere, e per sapere servono soldi, tanti soldi.
Partiamo da quello che sappiamo.
Foti parla di una trentina di navi affondate, di fronte ai litorali del Tirreno e dello Ionio (ma la “Anni” fu colata a picco in Adriatico), approssimativamente da La Spezia a Crotone, con prevalenza sulle coste calabre. Quanta roba c’è dentro a quelle navi?
Senza pretendere di cercare il pelo nell’uovo, possiamo affermare che per quei “lavori” furono utilizzati mercantili di non grande stazza, diciamo intorno alle 5.000 tonnellate. La tonnellata di stazza, però, non coincide con la comune unità di misura per la massa, giacché corrisponde a 100 piedi cubici anglosassoni, 2,83 m3 i quali, considerando per semplicità la densità dell’acqua pari ad uno, corrispondono ad una massa di 2,83 tonnellate. Chi vorrà una dettagliata esposizione, la troverà in nota[3].
E’ difficile fare una stima del carico trasportato, giacché non sappiamo se tutti gli spazi interni disponibili per il carico fossero stati utilizzati: il buon senso direbbe che, volendole usare come semplici “cassonetti” da affondare, le avessero riempite fino alla falchetta, ma non abbiamo prove.
Stiamo quindi “bassi” e conteniamo il carico a sole 3.000 tonnellate di peso: trenta navi – ma sono 180, secondo altre fonti, quelle “disperse” – fanno 90.000 tonnellate di materiali tossici disseminati in mare. Una montagna di robaccia.
Cosa ci può essere in quelle stive?
Non vorremmo che, in breve tempo, qualcuno rassicurasse: “Non ci sono scorie radioattive! Dormite sonni tranquilli!”, poiché il problema diverrebbe meno grave per un’inezia.
Quelle scorie, come ha affermato Foti, provenivano per la gran parte dalle industrie del Nord: quali sono gli scarti industriali che furono ritenuti così difficile da smaltire, al punto di rivolgersi ai mammasantissima?
1) Residui di verniciatura
2) Residui delle industrie galvaniche
3) Scarti dell’industria conciaria
4) Scarti dell’industria tessile e tintoria
Fermiamoci qui, anche se le tipologie saranno probabilmente molte di più, perché basta ed avanza.
I prodotti versati in mare sono, a questo punto, tantissimi e si deve tener presente un secondo dato: queste sostanze sono, a loro volta, reattive. Quindi, non possiamo sapere cos’abbiano generato dopo essere state immagazzinate alla rinfusa nei fusti, né le interazioni che possono essere intervenute – sono oramai decenni che sono in fondo al mare – con le strutture metalliche della nave e con l’ambiente marino (la salinità dell’acqua di mare, la pressione, ecc).
Insomma, là sotto c’è di tutto.
Per capire, almeno a grandi linee, cosa ci può essere partiamo dalle sostanze utilizzate per sintetizzare quei prodotti tecnici:
Metalli pesanti
Piombo: presente nelle comuni vernici di fondo in funzione antiruggine, usato per decenni (ricordate la classica “antiruggine” arancione?) in tutta l’industria, soprattutto in quella meccanica.
Cromo: è uno dei principali composti di vernici e sostanze coloranti (in greco, chroma, significa proprio colore), soprattutto nella forma esavalente (giallo ed arancio) mentre in quella trivalente è verde. Usatissimo nell’industria conciaria ed in quella metallurgica.
Mercurio: usato anch’esso per vernici e nell’industria farmaceutica. C’è da sperare che, siccome costa parecchio, le industrie cercassero di recuperarlo almeno in parte, così come per l’Argento dell’industria fotografica.
Rame: usato in agricoltura, ma certamente meno pericoloso e meno diffuso dei precedenti.
Stagno: usato per saldature in elettronica. Prodotto costoso, e c’è da sperare che proprio per questa ragione non sia presente in quantità significative.
Composti organici
La tipologia dei composti organici è vastissima, ci limiteremo al minimo:
Naftoli: usati per sintetizzare coloranti (vernici, tinture, ecc).
Ammine aromatiche: anch’essi adoperati per la sintesi dei coloranti. Entrambi causano il cancro alla vescica.
Altre sostanze
Solfati, Nitrati, Cloruri: Zolfo, Azoto e Cloro costituiscono, con l’Idrogeno e l’Ossigeno, gli acidi minerali più usati e conosciuti. Per loro natura non sono molto inquinanti, ma è difficile prevedere quali composti possano generare se lasciati, per anni e sotto pressione, in “compagnia” di un “pudding” di molecole organiche.
Cianuri: usati nel processi galvanici e di cromatura. Basta il nome.
Ci rendiamo conto che la trattazione è assai esigua (diserbanti, fitofarmaci, idrocarburi, ecc) ma ciò basta ed avanza per comprendere il problema: tutte queste sostanze, se entrano in contatto con organismi biologici, causano interazioni gravissime, che si manifestano con malattie della pelle e degli organi interni, malattie nervose e tumori.
Di più: non dimentichiamo che i molluschi, e gli organismi bentonici in genere, tendono a concentrare nei loro liquidi biologici sali tratti dall’acqua marina. Noi, mettiamo loro “a disposizione” il peggior campionario di veleni che si possa concepire: immaginate i risultati.
La catena biologica dei mari italiani è quindi definitivamente compromessa giacché, quelle 90.000 tonnellate delle peggiori schifezze, s’espanderanno lentamente: non è detto che l’Italia non si ritrovi, domani, al centro di costosissime richieste di risarcimento da parte degli altri Paesi rivieraschi.
Siccome il mare non ha confini, e la catena alimentare marina tende ad espandere ciò che è concentrato in un punto, nessuno sarà più certo di non “beccarsi” un pesce che contenga quella robaccia. Personalmente, mangerò soltanto più pesce congelato di sicura provenienza atlantica.
Perché si è giunti a questo punto?
Sicuramente perché il profitto è alla base del crimine: ovunque e chiunque possa sperare di farla franca, risparmierà denaro fregandosene della salute altrui. Non è nemmeno il caso d’approfondire.
Alla base di tutto, però, c’è una generale e diffusa ignoranza da parte della classe politica: sanno pochissimo di queste cose, e quando si trovano di fronte a problemi del genere stentano a comprenderli. Nominano “esperti” per ricevere lumi, si stendono inutilmente chilometriche relazioni, quando il dato è semplice. Solo a volerlo osservare nella sua crudezza.
Ci sono precedenti storici?
In Italia, per moltissimi anni, il Lago d’Orta (Piemonte) fu completamente sterile dal punto di vista biologico: gli scarichi della Bemberg (fibre tessili artificiali), ricchi di Rame, uccisero tutte le forme di vita. Solo dopo anni, s’ottenne finalmente che lo stabilimento fosse dotato dei più moderni ritrovati tecnici per la depurazione dei fanghi in uscita. Oggi, la situazione è decisamente migliorata e sono tornati i pescatori.
Il lago d’Orta, però, è un bacino ristretto, dove fu possibile pianificare gli interventi: mica una “sepoltura” a casaccio in tutti i mari d’Italia.
Un evento che fa invece gelare il sangue è quello di Minamata, in Giappone: nel dopoguerra, nella baia di Minamata, iniziò una catena di morti sospette. Nel 1956, si resero conto che la ragione erano gli scarichi (contenenti principalmente Mercurio) di un’azienda chimica. La “svista” causò 2.265 vittime e 1.784 morti[4].
Cosa possiamo attenderci?
Non è allarmismo ingiustificato e nemmeno spregio della Patria affermare che la situazione non è gravissima: è tragica. Se i giornali stranieri non minimizzeranno come i nostri, non sarà per una sorta di “italianofobia”: avranno soltanto ragione.
Possiamo continuare tranquillamente a mangiare il pesce pescato nei mari italiani? Portare i nostri figli al mare? Riflettiamo che una concentrazione, anche minima, di metalli pesanti nell’acqua genera danni biologici.
Chi avrà il coraggio di sospendere cautelativamente (ma totalmente!) la pesca, almeno nelle regioni colpite da questo crimine? Chi darà ancora le “Bandiere Blu”? Siamo invece certi che prevarrà la logica del voto e del “lavoro”, poiché il danno generato è incommensurabile. Insomma, dovremo accettare d’essere avvelenati giorno dopo giorno: ci chiediamo come faranno, da domani, Sgarbi ed i paladini di Italia Nostra a portare avanti la loro crociata contro gli aerogeneratori, che “distruggono le nostre coste”. Ci hanno già pensato altri.
Il problema poteva essere risolto in altro modo?
Alla base di tutto, come ricordavamo, ci sono due fattori: il profitto e l’ignoranza.
Se il primo non può essere, almeno a breve termine (cosa che, personalmente, gradirei) eliminato, la seconda sì.
Da anni studiosi, tecnici, scrittori e giornalisti avvertono che con l’incenerimento dei rifiuti non si distrugge nulla: le sostanze inquinanti cambiano semplicemente forma e s’espandono nell’atmosfera.
Così è per il mare (e per le discariche): se non si giunge a comprendere che, come abbiamo costruito, così dobbiamo demolire quel che scartiamo, le tragedie come queste si ripeteranno. Anche se, per come stanno le cose, oramai siamo alla frutta.
Considerare quel “pudding” di sostanze alla stregua del petrolio greggio, e quindi recuperare sostanze mediante processi di cracking per poi riutilizzarle, sarebbe possibile se, solo, s’investisse nella ricerca. Ma, noi, usiamo la ricerca solo come fonte di “posti” per i figli dei notabili, com’è stato ampiamente dimostrato[5].
Se qualcuno pensasse “in qualche modo le tireremo su”, si metta tranquillo: il recupero di grandi navi su alti fondali è solo roba per Hollywood. Fosse solo una pilotina, a 500 metri sarebbe già un problema: figuriamoci quelle affondate a 1.000 metri e più! Nemmeno da pensare.
Inoltre, anche spiccando un salto nella fantascienza, durante la risalita perderebbero il carico: niente da fare.
Dopo l’affondamento dell’Andrea Doria, nel 1956, si pensò di recuperala ma i costi furono considerati proibitivi: l’Andrea Doria, però, ha la chiglia a meno di 100 metri dalla superficie!
Inoltre, questi bei affondatori di veleni, non le hanno colate a picco con il sistema tradizionale, ossia aprendo le valvole a mare (i cosiddetti Kingston): troppa fatica. Come ha confessato Foti, piazzavano trenta chili d’esplosivo a prua e le facevano saltare.
Se, anche, per un caso dei casi, potessero essere recuperate immettendo aria nello scafo, le falle non consentirebbero di raggiungere una spinta positiva. Ma, lo ripeto, è una pura ipotesi “di scuola”.
Molto probabilmente, cercano di minimizzare il fatto – ossia che i mari italiani sono irrimediabilmente avvelenati – perché non sanno che pesci (sic!) pigliare: affidano i titoli di testa alle solite beghe, dalle escort alla RAI, perché un Ministro come la Prestigiacomo non ha assolutamente le capacità d’affrontare un simile scempio. Come sempre, s’adotta la strategia dello struzzo.
L’unica ipotesi – ma, sottolineo, è tutta da verificare – potrebbe essere quella di metterle in sicurezza ricoprendole di teli impermeabili e poi “sigillarle” con un “sarcofago” di materiale inerte. Ripeto: è soltanto un’ipotesi (data la profondità) e bisognerebbe scomodare le “teste pensanti” dell’ingegneria e della ricerca italiana, magari proprio i ricercatori universitari. Sono anch’essi “élite di merda”, Brunetta?
Cosa si dovrebbe fare?
Per prima cosa sospendere totalmente la pesca e la balneazione ovunque ci sia solamente il sentore di una nave affondata: chi avrà il coraggio di farlo?
In seconda battuta, chiamare rapidamente le migliori menti che abbiamo (e ci sono…) in Ansaldo, OTO Melara, Italcantieri, FIAT, ecc, e domandare loro se esiste una sola ipotesi d’arrestare la dissoluzione di quei carichi nell’acqua marina.
Come atto simbolico – come ricordavamo – sarebbe d’uopo rimandare il “veneziano da balera” a casa e consegnare al magistrato competente quei 40.000 euro: sarebbe soltanto un simbolo, ma sarebbe ugualmente importante.
Da ultimo, riflettiamo che le operazioni militari italiane all’estero sono ben 30, che assorbono 8730 militari[6] e risorse per svariati miliardi di euro (parecchi camuffati nelle “pieghe” dei bilanci): ad Ottobre, ci sarà il voto per il ri-finanziamento.
Cos’è dunque l’Italia?
Siamo un Paese che spende miliardi di euro per discutibili (uso un eufemismo…) interventi a casa d’altri, mentre è impestato da un cancro ancor peggiore: di certo, lo Stato italiano non governa un terzo del Paese!
Siamo, quindi – seguendo proprio la loro logica – messi ancor peggio di Karzai!
Potremmo chiedere il dispiegamento nel Sud di una forza multinazionale, oppure richiamare i nostri ragazzi da missioni impossibili, pericolose e senza costrutto per mandarli a presidiare il nostro territorio, perché ne abbiamo un gran bisogno.
Qualcuno potrà ribadire che le mafie non si combattono più con il presidio del territorio, giacché hanno assunto dimensione nazionale ed internazionale: ciò è vero – e serve dunque l’attività d’intelligence – ma solo in parte.
Le mafie hanno bisogno del controllo del territorio, perché la droga si raffina nei laboratori clandestini, le armi s’immagazzinano nell’attesa d’essere vendute, il “pizzo” non viene chiesto a Stoccolma, bensì da Roma in giù. Questa vicenda ne è la dimostrazione lampante.
Bisognerebbe anche avvertire i mammasantissima in carcere che, qualora qualcuno torcesse anche solo un capello di quei ragazzi, potrebbe essere messo in atto nei loro confronti non il "41-bis", ma il “metodo Stammheim”.
Se, invece, credete che queste siano soltanto fanfaluche, domani comprate un bel branzino, fatelo “al sale” e mangiatelo allegramente, come se niente fosse. Oppure, datelo al gatto del vicino: ma solo se lo odiate.
Articolo liberamente riproducibile, previa citazione della fonte.
[1] Fonte: http://www.terranauta.it/a1052/rifiuti_e_riciclo/navi_dei_veleni_in_calabria_rifiuti_radioattivi_provocano_decine_di_morti.html
[2] Fonte : http://www.corriere.it/politica/09_settembre_23/demichelis_57f058c4-a803-11de-94a2-00144f02aabc.shtml
[3] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Stazza
[4] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Malattia_di_Minamata
[5] Vedi: http://www.clandestinoweb.com/box-focus/182631-ricercatore-denuncia-pressioni-gelmini-malcostume-indag.html e http://www.unica.it/pub/7/show.jsp?id=9263&iso=96&is=7
[6] Fonte: http://www.difesa.it/Operazioni+Militari/Riepilogo_missioni_attività_internazionali_in_corso/
24 commenti:
Ciao Carlo,
Ti seguo da tempo,per questo ti do del tu, ma non avevo mai pensato di partecipare attivamente alle discussioni perche' la politica (il vivere sociale), pur interessandomi molto, non e' il mio campo.
Quando ho sentito del ritrovamento della nave ed ho notato il dissolvimento immediato della notizia nei meandri delle pagine interne, ho sperato che tu ne parlassi; beh sapevo che non ti saresti esentato.
Volevo raccontarti (gia' proprio a te) un fatto accadutomi i primi di settembre. Non cosi grave, ma emblematico per me.
Sono pugliese, ma da 7 anni vivo in una citta del nord europa. Per massimizzare le poche ferie ho deciso di scendere giu' attraverso i balcani. Cioe'sono andato via terra da Vienna, passando per l' ex-yogoslavia (che ancora porta i segni, come no) e la bulgaria (ci sono ancora zone incontaminate, chissa' per quanto) ad Atene (sull'acropoli ho sentito l'orgoglio di Pericle) e poi ho attraversato col traghetto.Era da tanto che volevo farlo. Sono rimasto colpito dalla polizia doganale nel porto di Brindisi. Alla ricerca di clandestini sono...ligi al dovere, diciamo.
Sono rimasto al mio paese natio per pochi giorni tentando di andare un po' al mare ma cercando di evitare le folle di corpi dell'ultima settimana di agosto. Ci sono andato all'alba di lunedi ed era bellissimo: solo io, una vecchietta che faceva incetta di iodio ed uno che correva. Sono andato in una spiaggetta semi privata che conosco a menadito. Li ci andavo con i miei cugini, li sbaciucchiavo ragazzine, mi sono fatto le prime canne etc. Ho fatto un paio di bagni e me ne sono andato verso le otto mentre qualcuno cominciava ad arrivare. Mentre mi apprestavo a salire in macchina e' passata una coppia di milanesi che probabilmente hanno la casa li o la affittano. La famosa cementificazione. Stavo per dire buongiorno quando li ho sentiti blaterare del cancello che dovrebbe essere chiuso per impedire ai locali di entrare. Mi sono incazzato come una iena e gli ho detto che erano loro che se ne dovevano andare. Mi sentivo espropriato delle mie radici. Riparlandone con mio padre mi dice: "Che vuoi farci, magari gli entrano in casa ogni inverno".Questo episodio, come quello delle navi, e' esemplare delle relazioni nord-sud, o forse del mondo intero: i ricchi vengono ad inchiappettarci e a dstruggere con la loro volgarita', noi li lasciamo fare vigliaccamente ma per indennizzo gli rubiamo i biscotti.E tutti diventiamo piu' brutti e cattivi. E la terra muore.
Ciriaco DeMita e stato primo ministro della repubblica. Un ladro di biscotti deleterio.Fosse almeno malvagio, ma e' solo stupido.
Mio padre, una volta che gli avevano rubato tutto l'origano che gli cresceva spontaneamente dietro al trullo, esclamo': "Che popolo di miserabili!"
Say no more.
Ciao
Carlo
(spero l'omonimia non crei problemi)
>>quando Der Spiegel farà un servizio sulla vicenda, addio turismo tedesco<<
Già fatto!
L'incomprensione fra il Nord ed il Sud non la inventiamo certo noi - Carlo - il problema è che "l'unificazione" è stata soltanto una guerra di conquista ordita dalla Gran Bretagna. Tutto ciò che ne consegue è ovvio: sfruttamento da una parte e dall'altra, incomprensioni a gogò.
Le scorie che impestano le coste del Sud provengono dal Nord e le mafie che iniziano ad impestare i comuni del Nord dal Sud. Forse, la scelta migliore l'hai fatta tu.
Avenarius: non avevo il minimo dubbio di sbagliarmi!
Ciao a tutti
Carlo Bertani
"guerra di conquista ordita dalla gran bretagna" (alla - un altro - carlo verdone) in che senso?
Il fatto è noto, ladnag: la spedizione dei Mille (e l'unificazione in genere) fu abilmente tessuta dalla GB in funzione anti francese, ossia per creare uno Stato che contendesse alla Francia il Mediterraneo. Nel porto di Marsala, allo sbarco dei Mille, c'era due fregate inglesi per proteggerli.
C'è molto materiale in rete al proposito: metti su Google alcune parole chiave ed informati.
Ciao
Carlo Bertani
Vedi - Robi - se le cose stessero così, forse, non ci sarebbe da aver così paura. E se le navi fossero 180 (come indicato da alcune fonti)? Sarebbero 540.000 tonnellate. Questa storia ha inizio con l'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: comprendo la trattazione "tecnica", ma non mi sembra proprio il caso di minimizzare. In ogni modo, quando quelle schifezze saranno diluite nel Mediterraneo, le coste calabresi saranno oramai una discarica.
Quando inizieremo ad indignarci senza se e senza ma?
Ciao
Carlo Bertani
Non so se ho fatto bene a trasferirmi nella perfida Albione. Di certo mi sento piu’ libero qui, anche se veramente non c’e’ ragione. Una telecamera mi acchiappa appena esco da casa e ormai si vedono sbirri armati ovunque. Ogni volta che un operaio mi entra in casa per riparazioni mi chiedo: sara’ questo che installa la camera?
Eppure c’e’ ancora quell’idea quasi dogmatica del rispetto e sostanziale uguaglianza di tutti, senza distinzione di sesso, razza, religione o pensiero, sotto una legge condivisa dai piu’, almeno tra la gente comune, che va al di la delle proteste contro l’immigrazione e ancora resiste all’attacco mediatico contro l’Islam.
Quando me ne andai dalla repubblica delle telebanane, dicevo scherzando che andavo in esilio, cacciato dal regime. In realtà avevo voglia di vedere il mondo, imparare nuove lingue, fare tanti lavori, conoscere gente diversa. I seguaci spiccioli di Berlusconi, quelli disseminati sul territorio, rendevano anche la via del brigantaggio impraticabile. Come fargli concorrenza? Decisi cosi di andarmene per i fatti miei o mi sarei annoiato a morte. Non e' meglio o peggio, e' solo la mia vita.
A me l’idea di un'Italia unita piace. Lo stivale avrebbe poco senso spezzettato. Anzi mi piace l’idea di un’ Europa unita. E forse anche quella di un governo mondiale.
Con la storiella che ti ho raccontato volevo piuttosto mettere l’accento sulla stupidita’ della razza subumana. Sto camminando su un rasoio, ma la gravita' indicibile dell'episodio delle navi affondate non si ferma ai danni dell'inquinamento. Molti di quei rifiuti terrificanti, sono certo, sono stati prodotti inutilmente. L'industria farmaceutica, per esempio. Sappiamo con certezza, ormai, che si tratta di una truffa immane. La quasi totalita’ delle malattie scomparirebbe se si riuscissero ad alleviare sensibilmente tre cose: poverta’, ignoranza e solitudine. Se eliminiamo anche lo stress chi ci ammazza piu’? Ma il Mondo degli Umani va in tutt’altra direzione. Segue un gruppetto di banchieri esaltati e il loro famigerato nuovo ordine mondiale.
E allora io guardo agli uomini come gli uomini guardano alle scimmie. Ma qui la vanita’ e’ finita come dice Bene. E mi sento solo. Allora cerco la’ fuori, per le strade, nei bar, in rete, mosche bianche miei simili. Ogni tanto un'affinita’ si rivela e ci si tende goffamente una mano, cercando una comunicazione che ci rendera’ meno soli per un po’.
Ciao
Parte 1 di 2
Forse quello che finirà per fotterci è l'eccessiva arroganza, tipica soprattutto del modello culturale occidentale (e purtroppo non solo). Anzi, forse è tipica dell'umanità in qualsiasi parte del mondo quando ritiene di essere diventata troppo, o "abbastanza" evoluta.
Molte popolazioni primitive, del passato come quelle poche che vivono ancora nel terzo millennio, hanno un "sacro" rispetto verso l'ambiente in cui vivono, sanno che non possono distruggerlo, pena la loro stessa estinzione o, quanto meno, drastici cambiamenti nello stile di vita. Quasi mai migliorativi.
Poi ad un certo punto si diventa tecnologici e ci si crede "colleghi di Dio". Intendiamoci, non auspico il ritorno al neolitico e nemmeno guardo agli scienziati come stregoni da mandare al rogo: in fondo, ho studiato troppa fisica per farlo e, in ultima analisi, sono un loro collega mancato... o fallito, dipende se la si vuole guardare con ottimismo o pessimismo. Ma, non per autoassolvermi, o almeno non troppo, credo sia più giusto il primo aggettivo.
Sempre per chiarezza, ben vengano le grandi scoperte della scienza e le grandi realizzazioni della tecnica: due secoli fa c'erano meno veleni in giro, però la vita media era 20 anni più breve (anche se per quasi tutta l'Africa, mezza Asia e mezza America Latina non è che le cose siano cambiate poi tanto, da questo punto di vista), ed oggi questa nostra conversazione avviene quasi in tempo reale, visto che usiamo pochi impulsi elettronici opportunamente codificati anziché un piccione viaggiatore o una staffetta di corrieri a cavallo.
Eppure, qualcosa va storto. Con l'aumentare delle capacità di condizionare e sfruttare l'ambiente naturale tende a venir meno il senso della misura e del pensare a lungo termine.
Ed ora, la mazzata finale: chi prende le decisioni, chi ha il potere di favorire certi andamenti ed ostacolarne altri non è, generalmente, uno scienziato o un esperto in quello che deve decidere e regolamentare. Quando va male, è un "ignavo" o, talvolta, addirittura un delinquente messo al suo posto da delinquenti. D'altra parte ce li siamo votati, in teoria in modo libero e democratico (anche se qui ci sarebbe da aprire altre discussioni) e se non siamo in grado di liberarcene, peggio per noi.
Parte 2 di 2
A volte si può essere idioti in modo geniale. Pensa che c'è chi ha proposto di andare a piazzare nel punto di Lagrange del nostro pianeta (per chi fosse a digiuno di astronomia, è, in parole povere e semplificando al massimo, la regione dello spazio in cui le attrazioni gravitazionali del Sole sulla Terra e della Terra sul Sole si equilibrano) qualche miliardata di dischi bucherellati in modo opportuno che, agendo un po' come dei reticoli di diffrazione, creerebbero un minimo di interferenza distruttiva tra la radiazione solare che passa attraverso i buchi e quella che non ci passa, abbattendo dell'1 o 2% la quantità di radiazione che raggiunge la superficie terrestre, bilanciando così l'incremento di effetto serra. Servirebbe anche una serie di satelliti guida che, tramite GPS, controllassero la disposizione di questa "nuvoletta" artificiale; va da sè che i singoli dischetti dovrebbero essere dotati in qualche modo di un sistema di guida. Costo? Nell'ordine di grandezza dei 5000 miliardi di dollari... Probabilmente il passaggio completo al solare termodinamico, integrato dall'eolico e dal nucleare al torio, con l'uso di idrogeno come vettore energetico costerebbe qualcosa di meno. E tutto questo per cosa? Per continuare "business as usual" con pertolio e, quando tra non molto non sarà più sufficiente, riesumare il carbone per un paio di secoli?
Riguardo a quanto tu riporti, meritoriamente (ma dove trovi ancora la voglia?) in in Paese dove l'informazione è anestetizzata, specie su certi argomenti, ho poco da aggiungere, se non che aspetto il tuo post più lungo, per diffonderlo, assieme a questo, più che posso. Resta vero che ogni anno il Mediterraneo riceve grosso modo quella quantità lì di veleno, ma intanto comportarsi così significa non avere scrupoli a fare di più e di peggio, e poi... e se le quantità reali fossero molto maggiori? E se ci fossero altri casi simili che semplicemente ancora ignoriamo?
In un bel sogno, si ritrovavano i responsabili di tutto questo, non solo gli affondatori ma soprattutto i mandanti e chi l'ha permesso e si mandavano loro, e non i bidoni, a tener per sempre compagnia ai poliponi (intanto che il gioioso basso di Ringo Starr intona: "I'd like to be/ under the sea/ in an octopus garden/ in the shade"...).
Ringrazio molto, ma davvero molto per i contributi di Carlob e di Davide1969: non è per piaggeria, ma non riuscirei a trovare parole migliori per esprimere gli stessi concetti, che sposo in pieno.
Perché mi ostino a scrivere? Forse, per sentirmi meno solo anch'io, e sapere che esiste ancora gente come voi.
Grazie
Carlo Bertani
Ci siamo capiti, Robi. Il problema di questa faccenda - uno fra i tanti scempi - è che è difficile tracciarne i confini. Quante sono le navi? Dove sono? Chi le ha caricate? Ci sono scorie radioattive? Chi sapeva?
Non mi sembra d'aver detto delle inesattezza.
Certo, tutti speriamo che il Mediterraneo ce la faccia, ancora una volta, a "digerirci", ma non v'è certezza.
Tieni presente che chi fa controinformazione ha mezzi minimi rispetto alle "corazzate" di regime, e per questa ragione si finisce per cercare l'assoluta perfezione in chi scrive queste cose, mentre si dà per scontato che dall'altra parte si possono permettere di tutto, compreso nasconderci gran parte della verità. Non assolviamoli perché già colpevoli.
Questa è l'equazione che dobbiamo risolvere - ho capito i tuoi dubbi - ma è la solita lotta di Davide contro Golia, ed è una bella balla che basta una fionda.
Ciao
Carlo Bertani
Caro Carlo, non posso che condividere l'indignazione e il senso di rabbia che scaturisce in quello che sembra una cosa assurda ed impossibile nella realtà. Eppure....avviene, e purtroppo c'è di più, molto di più. Da quanti decenni scarichiamo in questo mare direttamente o indirettamente - cioè con i fiumi- ogni genere di rifiuti, non solo noi Italiani? Forse l'unica differenza è che noi e gli altri popoli è che noi Italiani siamo dei visionari e ci portiamo avanti con il lavoro.... Certo il Mediterraneo è un mare e come tale è grande e profondo, come osserva Robi, però, aggiungo io, i suoi abitanti hanno con esso un rapporto letteralmente osmotico e già oggi le condizioni attuali del mare fanno sì che i poveri pesci si riempiono dei vari metalli pesanti, residui organici, antibiotici, e quant'altro, che poi passano a noi umani, ai vertici della catena alimentare, per una sorta di legge del contrappasso.
Chi semina vento raccoglierà tempesta diceva qualcuno, ed il nostro allontanarci dalla natura
attraverso la teconologia avrà pure delle conseguenze.
Tutto sommato, fino ad oggi, a noi occidentali è andata bene. Invece, quanto vale la vita di un Nigeriano? E quella di un Marocchino? O quella di un Boliviano? E quella di un vietnamita? Loro possono sopportare ogni tipo di discarica, ogni inquinamento possibile e noi puliti e lindi?
E no, alla fine il conto viene peresentato.
Il problema è quanto ancora potrà reggere il pianeta all'impatto di due delle specie più pericolose dell'intero universo: l'Homo Tecnologicus e l'Homo Monetarius? 'sti due messi insieme sono una bomba. Lo dimostra quanto scrive Davide1969. Il "progetto-limite" da lui descritto rappresenta emblematicamente il modo di pensare tipico dell'homo tecnologicus del ventesimo secolo e di questo scorcio di ventunesimo, che ritiene la tecnologia la panacea di tutti i mali (per fortuna in questo caso L'Homo Monetarius s'è fatto due conti e ha chiuso la borsa). Ma, ahimè, tocchiamo con mano quotidianamente quanto tutto ciò non sia vero.
A proposito, caro Davide1969, il mitico progetto che hai descritto (una roba del genere non l'ho vista neanche nei cartoni della serie "Fantagenitori" - mio figlio docet....) sembra più un soggetto per un classico filmone hollywoodiano di fanta-tecnologia dove un pugno di uomini (di solito yankee), senza macchia e senza paura, salva per l'ennesima volta l'umantià dall'ennesima catastrofe immolandosi e sacrificando eroicamente la propria vita..... :-)
E a ben pensarci questo tipo di film non sono altro che propaganda per il pensiero unico dell'Homo Tecnologicus e dell'Homo Monetarius.
L'effetto serra.....Ma siamo veramente sicuri di conoscere tutti i meccanismi con cui viene regolata e varia la temperatura sulla terra? Non credo, eppure basandosi sul quel poco che si sa, senza avere chiaro quale siano tutte le variabili in gioco nel meccanismo di termoregolazione del pianeta, si propongono le soluzioni più bizzare senza conoscere quali potrebbero essere le reali conseguenze di una loro applicazione.
La vera tecnologia è quella che ti consente di vivere su questo pianeta senza esaurirne le risorse e distruggerne l'ecosistema.
Carlo, l'unica soluzione è al dogma del mercato e della sua crescita infinita è la decrescita. Pensiamoci, ragioniamoci, parliamone.
Saluti a tutti,
Alex
Nessun sistema energetico potrà reggere se non ragioneremo di decrescita, questo è assodato. Sarebbe, oltretutto, una cosa non troppo difficile: perché non costruiamo autoveicoli che durino almeno 20 anni? Siamo perfettamente in grado di farlo, e non costerebbero tanto di più. Il mezzo? Il Codice Civile, ossia i termini di garanzia (magari 5 anni al posto di 2). In un solo colpo, diminuiremmo della metà gli scarti dell'industria automobilistica e l'energia. Questa è una delle grandi truffe che ci vengono propinate: se ti "parte" il motore a 2 anni ed un giorno, che fai? Per legge, te lo tieni rotto e ne compri un'altra. Se puoi.
Ciao
Carlo
Parte 1 di 3 (giuro che poi mi calmo)
Caro Alex,
in effetti i meccanismi di regolazione della temperatura terrestre sono ancora lontani dall'essere completamente conosciuti. Tale conoscenza aumenta anno dopo anno ma la materia è tanto complessa da potersi dire quasi infinita.
La maggior parte degli scienziati fa notare la stretta correlazione tra l'incremento dei gas serra e l'andamento delle temperature. Per farla corta, la CO2, che non è l'unico gas serra ma è il più indicativo, è passata dalle circa 180 ppm (parti per milione) della fine dell'era glaciale alle circa 280 dell'era pre-industriale alle 350 di quando sono nato io per arrivare alle quasi 400 attuali.
Solo che il primo incremento, da 180 a 280, è avvenuto in 10000 anni.
Il secondo, da 280 a 350, ha impiegato 200 anni
Il terzo, da 350 a quasi 400, è avvenuto in 40 anni.
Più che l'incremento stesso, è la sua velocità ad essere potenzialmente e molto probabilmente pericolosa. A meno che qualche retroazione che ancora ignoriamo non venga a salvarci le chiappe, questi sono i segnali di un sistema complesso che sta andando in crisi e che ritroverà un suo nuovo equilibrio (instabile o metastabile come tipico della biosfera, chiedo scusa per i tecnicismi) con condizioni ambientali che saranno buone per alcune specie e disastrose per altre. Di solito a rimetterci sono le specie che nel vecchio equilibrio erano quelle dominanti, in un passato remoto i dinosauri, in un futuro che potrebbe anche essere dietro l'angolo, noi umani.
Altri scienziati sostengono che l'aumento di temperatura è del tutto indipendente dalle attività umane e sarebbe dovuto ad altri fattori, principalmente di tipo astronomico. Va da sè che l'Homo Monetarius, a mio modesto parere molto più dannoso del Tecnologicus, tende a dar ragione a questi ultimi, perché la loro teoria non disturba i loro affari.
Sempre secondo il mio insignificante punto di vista, entrambi gli schieramenti di scienziati hanno una parte di ragione, in quanto esiste in letteratura un buon numero di ricerche serie e documentate nell'uno e nell'altro senso.
Quasi sicuramente allora c'è un concorso di cause. Di solito in casi come questo si cerca la più rilevante, ma è un lavoro lungo e difficile per via dell'estrema complessità del sistema da studiare, e magari il principio di prudenza impone di provare a eliminare quella che dipende da noi. Tanto più che le fonti energetiche non rinnovabili iniziano a stentare a soddisfare una richiesta di energia enorme e per di più in costante aumento.
parte 2 di 3
Che atteggiamento tenere nei confronti dell'incremento di effetto serra? Un primo approccio, il più semplice, è ignorarlo. Come ad esempio è avvenuto in USA durante le tre presidenze della "dinastia Bush" (ed il figlio, che ne ha avute due e con più dati, aveva molte meno giustificazioni del padre). Se avessero ragione gli scienziati del "secondo schieramento" questa sarebbe tra l'altro la soluzione migliore. Anzi, la soluzione esatta (e fare diversamente sarebbe un errore). Il problema è che nessuno è finora riuscito a dimostrare di avere ragione.
Altro approccio, immettere nell'atmosfera dei "competitori" dei gas serra: in pratica, aumentare l'albedo (potere riflettente) del nostro pianeta. In parole povere, creare nubi. Si può provare nebulizzare artificialmente parte dell'acqua degli oceani (ma non si sa con quale efficacia), si può immettere ossido di zolfo in atmosfera (però l'acidificazione delle precipitazioni sarebbe un danno collaterale infinitamente superiore al rimedio perché ucciderebbe molta vegetazione, che ha un ruolo chiave nel sequestrare la CO2), si può tentare immettendo particolato di metalli pesanti in luogo dell'ossido di zolfo, paccato però che siano ancora più tossici. Ed è stato allora che è nata la proposta di andare a costruire, la nuvoletta, nello spazio, dove in effetti non arrecherebbe danno alla biosfera. Come l'ho raccontata ieri, sembra un po' la trama di "Indipendence Day" ma in realtà sarebbe fattibile. E funzionerebbe, a parte l'ammontare della spesa.
L'approccio più sensato sarebbe quello di imparare a trarre energia direttamente dal sole, anche perché ce ne arriva sulla testa circa 10000 volte l'attuale fabbisogno mondiale. Da rimarcare, perché parlandone mi rendo spesso conto che non tutti hanno chiara la differenza, che il solare termico (pannelli per riscaldamento acqua), il fotovoltaico ed il solare termodinamico sono tre cose differenti. Il principale inconveniente delle tecnologie solari è che non si può fermare il mondo se "fa nuvoloso" per qualche giorno. Il vantaggio del solare termodinamico rispetto al termico o al fotovoltaico è che per questo sistema si può costruire un sistema di accumulo (di sali fusi che forniscono il calore necessario a far funzionare dei convenzionali generatori a turbina) che costituirebbe l'analogo della diga per l'idroelettrico (che è competitivo proprio perché associato alla diga).
parte 3 di 3
In economia non esiste, o se esiste è tenuta ben nascosta, una "teoria della decrescita", che pure sarebbe auspicabile. A patto però che a pagarla non siano i soliti, quelli che già hanno ricevuto poco o nulla, quando non addirittura pagato e basta, il "turbocapitalismo" senza regole che ora la fa da padrone. Grazie al quale la distribuzione delle ricchezze è tornata ad essere più o meno la stessa dell'epoca del Congresso di Vienna (1815). Qui come si fa a non essere d'accordo con te?
In campo energetico è più difficile decrescere. Anzi, è impossibile. Si possono e DEVONO eliminare gli sprechi, ma comunque non basterà. Oggi come oggi più di tre miliardi di persone sono ancora ferme ai consumi energetici che il "primo mondo" aveva all'alba dell'era industriale. E vogliono, giustamente, evolversi: la sola riduzione degli sprechi può essere sufficiente solo se accompagnata dall'eliminazione fisica di metà del genere umano.
Ad essere ormai inadeguato è proprio il "business as usual", se ne esce solo cambiando il modo di approvvigionarsi di energia, e bisogna cominciare subito perché non sarà, non può essere un cambiamento dall'oggi al domani. Non è come cambiare un interruttore, ci saranno tentativi, errori, migliorie in corso d'opera. Guai ad aspettare l'ultimo barile di petrolio prima di muoversi, sarà ormai già scaduto il tempo.
Ciao Carlo,
Si parlava di solitudine e stamane mi ritrovo Berlusconi che vuole andare in TV piu' spesso per sentirsi meno solo. Che dici: sinchronicity, paranoia o l'operaio ha gia' installato? :)
c
P.s. Complimenti a tutti per il livello della discussione.
Caro Carlo,
spero che parole lucide, forti, dal taglio sempre preciso e rigoroso come le Tue sappiano sempre più fare breccia nel torbido mare dell'ignoranza dove ci bagniamo quotidianamente.
Con stima,
L.
Cari amici,
mi sembra che stiamo dibattendo da diverse posizioni le quali, in fin dei conti, così distanti non sono.
Stabilito che la CO2 aumenta ogni anno e riflette la radiazione infrarossa;
Che le riserve fossili dureranno ancora mezzo secolo (affidarci al carbone, quello sì che sarebbe un suicidio da camera a gas);
Che l'ammontare delle riserve di metalli ed altri beni decresce;
Che la gran parte dei beni sono progettati per avere una vita effimera;
Anche senza scannarci sulla questione del riscaldamento, la risposta è chiara:
Costruire beni più durevoli e recuperare gli scarti utilizzando energie rinnovabili.
Passare da un modello ad alta urbanizzazione ad uno a forte dispersione sul territorio (s'accorciano tutti i trasporti e le "filiere").
Riformare in senso democratico le istituzioni internazionali per una più equa distribuzione della ricchezza (es. dal consiglio di sicurezza all'assemblea ONU).
E poi?
Cominciamo a vedere cosa cambierebbe poi, in corso d'opera, attuare tutte le correzioni necessarie.
L'alternativa?
Prima o dopo, Armagheddon.
Buonanotte a tutti
Carlo Bertani
Davide1969 nella tua dissertazione sul funzionamento della termoregolazione della Terra, c'è una cosa di cui tu hai fatto solo un cenno, e che vorrei approfondire sinteticamente (sempre se è possibile approfondire sinteticamente. Bè, io ci provo...).
Secondo una interessante recente ricerca esiste una correlazione tra raggi cosmici e clima. In sintesi, i raggi cosmici che attraversano il nostro pianeta facilitano la creazioni dei nuclei di condensazione (che sono delle particelle intorno alle quali si formano le goccioline di vapor acqueo) delle nubi degli strati bassi dell'atmosfera. Questo tipo di nubi sono quelle che riflettono maggiormente i raggi del sole, e dunque la loro presenza o meno determina una significativa variazione nella temperatura terrestre.
La quantità di raggi cosmici che giunge sul nostro pianeta è influenzato dalle fluttuazioni dei campi mangetici terrestre e del sole e dall'attività di quest'ultimo. Ma la correlazione maggiore che hanno individuato è tra concentrazioni di stelle e variazioni di temperatura. Il nostro sistema solare, nel viaggio che compie nella nostra galassia, attraversa sia zone ricche di stelle (e cioè i bracci maggiori e quelli minori della galassia), sia zone di vuoto interstellare. Ebbene, durante l'attraversamento dei bracci vi è un incremento di temperatura della Terra, mentre quando ci si trova nel vuoto ineterstellare, si ha una significativa diminuzione della temperatura. Si parla di decine di gradi centigradi. Oggi ci troviamo all'interno di un braccio minore della galassia e la temperatura è destinata a salire. Comunque l'argomentazione è complessa e controversa. Su youtube vi è un filmato in danese con sottotitoli in inglese (diviso in sei parti) che parla di questa ricerca: basta cercare "The Cloud Mystery". Tra l'altro il filmato è stato mandato in onda su LA7 il giugno scorso. Poi altri link per approfondire questa ricerca ed anche altre ricerche ed altri pareri sulla questione sono:
http://ulisse.sissa.it/chiediAUlisse/domanda/2008/Ucau081002d001/
http://en.wikipedia.org/wiki/The_Cloud_Mystery
http://en.wikipedia.org/wiki/Henrik_Svensmark
http://www.climatemonitor.it/?p=167
http://www.ecoblog.it/post/5596/lattivita-solare-non-provoca-cambiamenti-climatici/1
http://www.iop.org/EJ/article/-search=50542537.1/1748-9326/3/2/024001/erl8_2_024001.html
(in quest'ultimo sono interessanti i diagrammi di correlazione).
Sul fatto che la richiesta di energia è destinata a crescere, è vero, almeno per i prossimi decenni, ma se vogliamo salvare capra e cavoli dobbiamo trovare dei sistemi energetici che siano compatibili con l'ecosistema terrestre e le sue risorse, altrimenti saranno problemi seri.
Carlo, sull'urbanizzazione diffusa sul territorio come possibile soluzione ho forti perplessità, e non vedo come possa verificarsi che si accorcino tutti i trasporti e le "filiere". Così d’emblée mi viene da pensare che invece i trasporti e le filiere si allunghino. E già così oggi, dove al mio paesetto sul cucuzzolo si è svuotato il bel centro storico (dove avevo tutto a portata di gamba), e si è riempita la valle di orripilanti villette con l'archetto (non lo sopporto l'archetto..), supermercati, ecc., e tutti girano in auto per andare da un posto all'altro. (E poi il solo pensiero di oltre un miliardo di cinesi sparsi sul territorio AAAAAGH....mi paralizza...). Non si consuma troppo territorio? E' pur vero che i grossi centri urbani sono energivori, ma in questo caso è allora un problema di efficenza energetica e di modalità di produzione dell'energia.
Comunque, l'argomento è appassionante, e poi come giustamente dici, cominciamo a muovere qualcosa, vediamo che succede e poi, in corso d'opera, attuiamo tutte le correzioni necessarie.
In caso contrario più che Armagheddon, vedo una lunga, lenta, terribile agonia in cui chi ci si ritorverà non avrà più futuro. Non è che ci stiamo già dentro???
Ciao,
Alex
Conosco quella teoria, però mi sovviene un dubbio: non abbiamo dati sufficienti per comprendere come mai il riscaldamento è cicoscritto all'emisfero Nord, e vogliamo tentare di "provare" il riscaldamento su una luna di Saturno?
Sull'inurbamento, traccio un semplice quadro: tutte le risorse sono distribuite (non in modo omogeneo, ovviamente) sul territorio, mentre le città sono energivore.
Se le risorse devono compiere un tragitto minore (es: la produzione di frutta e verdura) tutto l'ecosistema se ne avvantaggia. E così per l'energia.
Poi, sulla gestione del territorio, ci sarebbe molto da dissentire, ma questo è un altro paio di maniche.
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Per Carlo (che in questo spazio è, per così dire, il padrone di casa...).
Niente paura, non ci stiamo scannando su alcunché. Quando, prima del mio secondo logorroico intervento, ho scritto: "giuro che dopo mi calmo" intendevo dire che non avrei più scritto post lunghi, non che ero arrabbiato. E perché, poi?
Per Alex.
Sono contento di proseguire la discussione. Appena avrò un po' di tempo (domani o venerdì) leggerò volentieri quanto troverò sui link che mi hai segnalato e di cui ti ringrazio.
Riguardo al problema del surriscaldamento planetario e a quello delle risorse energetiche, tempo fa pensavo (come parecchi, suppongo) che fossero molto strettamente correlati, che bisognasse mettere mano al problema energetico per risolvere quello del surriscaldamento. Non molto tempo dopo ho incominciato a vederli come due problemi più indipendenti, anche se non lo sono del tutto: in pratica, che risolvere il problema energetico sia indispensabile a prescindere, indipendentemente da quale gruppo di teorie sul surriscaldamento (antropogenica o non antropogenica) uno voglia seguire. Questo per via di alcuni "segnali" poco rassicuranti sulla disponibilità di fonti energetiche, sia fossili che elettronucleari all'uranio. Esiste in giro una discreta letteratura, qui discreta vuol dire "poco visibile" perché si tende a tenerla nascosta... Forse qui è inutile ricordare che il "nostro" Carlo è stato uno di quelli che si sono presi la briga di fare un po' di divulgazione su questo argomento.
Dove tendo a non essere tanto d'accordo è sullo "spezzettamento" della produzione energetica in una miriade di impianti domestici. Per essere più precisi, sono favorevole anch'io ad una sorta di liberalizzazione dell'energia ed è un bene che il singolo cittadino possa produrre da sè quella di cui ha bisogno, sempre che si trovi nelle condizioni di poterlo fare. Ed andrebbe incoraggiato a farlo, non ostacolato. Però gli impianti in grado di sfornare i gigawatt saranno sempre necessari. Inoltre io privato non sono certo in grado di andare a impiantare un aerogeneratore alto 120 metri a 20 Km dalla costa, così come non ho le risorse per mettere in funzione e gestire un impianto solare termodinamico di un Km quadrato di estensione. Un consorzio invece sì.
A rileggerci.
Salve,
a questo proposito volevo accennare ad un altro caso analogo.
Sono nato e cresciuto a Molfetta, sul litorale nord-barese. Nel porto di Bari durante la guerra, a causa di un massiccio bombardamento tedesco, furono affondate due navi inglesi, contenenti principalmente armamenti. La nostra costa é piena di residui bellici ancora inesplosi, che in sessant'anni hanno sprigionato nell'acqua sostanze tossiche quali l'iprite. Inoltre, in questi ultimi anni si sta assistendo al fenomeno dell'alga tossica, organismo minuscolo che in agosto, con il mare agitato, infesta le nostre spiaggie, provocando strani sintomi influenzali che passano nel giro di un paio di giorni.
Allego il link del Liberatorio Politico, coordinato dal Sig. Matteo D'Ingeo, il quale piú di tutti si sta battendo per mantenere viva l'attenzione sul problema: http://liberatorio.splinder.com/.
Ci dia un'occhiata...
Anch'io propendo per la "doppia via": piccoli impianti dove c'è la convenienza (se abito in un ex mulino...) e grandi impianti consortili, cooperativi o gestiti dallo Stato (maiuscolo, non questo) con emissione di bond energia garantiti nel rendimento e "tetti" per favorire l'azionariato diffuso, quello del giovane che ha appena due soldi e della vecchietta che risparmia qualcosa (se ancora ci riesce...) dalla pensione.
C'è poi l'aspetto industriale, e qui ci sarebbe un grosso lavoro di recupero, perché in epoca ante-termoelettrico, le aziende avevano spesso fonti private. L'azienda dove lavorò mio padre, era alimentata (in parte) con una turbina ad acqua della potenza di 40 Kw. Oggi, tutto è abbandonato.
Purtroppo, il problema si sposta sul piano politico ed io mi rendo conto che, pur avendo Italianova praticamente pronta, non ce la farei mai a gestirla da solo.
Conosco la storia della nave carica d'iprite affondata dai tedeschi, fettina, che ha fatto ancora morti a distanza di tanti anni (pescatori).
I relitti bellici sui fondali marini sono così tanti che potrebbero essere delle vere e proprie "miniere": milioni di tonnellate ogni guerra.
Il problema di quelli "tossici", come per la Calabria, è come tirarli su, e con quali costi.
Ciao a tutti
Carlo Bertani
Posta un commento