Angelo Quattrocchi ci ha lasciati Sabato scorso, nei primi, tiepidi giorni di Giugno di una Roma affastellata d’impegni e d’intrighi. Business is usual, direbbe lui.
Figura a metà fra l’underground degli anni ’70 e la nomenklatura di sinistra di quegli anni, finì – con grande dignità – per lavorare e credere solo più nella Malatempora, la piccola e combattiva casa editrice che costruì praticamente dal nulla, con i pochi che ci credevano.
Non era facile andare d’accordo con Angelo – al punto che non ci parlavamo più da anni – però c’era una scusante: era un genio della letteratura (leggete il suo bellissimo Elizabeth Bathory), ed un editore che si ritrovava ad agire in una realtà troppo stretta per le sue visioni. Oniriche, a volte, pragmatiche altre, ma di un pragmatismo senza rete né confini. Così, si ritrovava ogni volta a combattere contro i mulini a vento della carta stampata, della distribuzione, della pubblicità, nei progetti accarezzati e poi svaniti in un soffio.
Con Angelo, l’Italia ha perso ancora una volta un’occasione: quella di riconoscere il genio di uno dei suoi figli, accontentandosi di sdraiarsi sguaiatamente nella mediocrità. Oramai, ci siamo abituati.
Figura a metà fra l’underground degli anni ’70 e la nomenklatura di sinistra di quegli anni, finì – con grande dignità – per lavorare e credere solo più nella Malatempora, la piccola e combattiva casa editrice che costruì praticamente dal nulla, con i pochi che ci credevano.
Non era facile andare d’accordo con Angelo – al punto che non ci parlavamo più da anni – però c’era una scusante: era un genio della letteratura (leggete il suo bellissimo Elizabeth Bathory), ed un editore che si ritrovava ad agire in una realtà troppo stretta per le sue visioni. Oniriche, a volte, pragmatiche altre, ma di un pragmatismo senza rete né confini. Così, si ritrovava ogni volta a combattere contro i mulini a vento della carta stampata, della distribuzione, della pubblicità, nei progetti accarezzati e poi svaniti in un soffio.
Con Angelo, l’Italia ha perso ancora una volta un’occasione: quella di riconoscere il genio di uno dei suoi figli, accontentandosi di sdraiarsi sguaiatamente nella mediocrità. Oramai, ci siamo abituati.
4 commenti:
Non lo sapevo, mi dispiace!
Eppure non era così vecchio, almeno credo (sui 55, 60 anni forse?).
L'ho conosciuto personalmente quando, per qualche anno, ho collaborato con le case editrici come lettore di manoscritti, correttore e traduttore.
Una volta mi proposi anche per lavorare con lui, ma capii che le prospettive di retribuzione erano incerte.
In ogni caso il presente blog l'ho conosciuto attraverso la sua mailing list, che all'epoca pubblicava i tuoi interventi.
Condoglianze!
Non so quanti anni avesse, ma credo più di 60.
Carlo
io invece lo conoscevo. Vivere senza tv lo aveva reso una strana specie di vitalissimo fossile, come quegli animali che tutti credono estinti da secoli e invece li ritrovano vivi e vegeti, ma che agli studiosi scombinano tutte le teorie.
Guarda che lo conoscevo bene anch'io: fu il mio editore per anni! Solo che non gli chiesi mai quanti anni avesse.
Non ho notato quel particolare sulla TV, perché anch'io sono della medesima pasta: non ricordo l'ultima volta che l'ho accesa.
Ciao
Carlo Bertani
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