La crisi libica sta sparigliando le carte nella politica interna, almeno apparentemente: elettori di destra, delusi dall’evidente débacle che si prospetta per l’imprenditoria italiana con lo “sbarco” di Francia e GB in Libia, mostrano insofferenza per il Cavaliere.
Elettori di sinistra sono altrettanto delusi, osservando gli impeti guerrafondai che tornano alla luce e, soprattutto, ricordano la tragedia del Kosovo che, solo a distanza d’anni, s’ammette essere stata un colossale errore. Ma, senza capire niente dagli errori del passato.
Le domande che veleggiano sul Web sono due: che fine farà Gheddafi? Che fine farà il Cavaliere? Entrambi, usciranno indeboliti o rafforzati dalla vicenda? Ce la faranno a sopravvivere politicamente alla buriana?
Sul campo, l’unica novità che traspare nella strategia di Gheddafi è il frettoloso abbandono delle aree orientali – la Cirenaica – per assicurarsi, almeno, le spalle coperte e la difesa di Tripoli: ciò spiega la ritirata dai centri dell’Est e la pervicace insistenza su Misurata. Si tratta, evidentemente, del tentativo d’inaugurare una guerra di logoramento nei confronti della NATO e degli insorti, senza mai dimenticare la lezione di Rommel: nel deserto, ogni avanzata corrisponde ad un allungamento delle proprie vie di rifornimento, ed un accorciamento di quelle del nemico.
La partita, poi, si giocherà sul piano diplomatico e, il lavoro degli ambasciatori, richiede tempo e lunghi mercanteggi sul futuro delle risorse strategiche libiche. Gheddafi, da vecchia volpe qual è, cercherà di giocare le sue carte in seno alla Lega Araba e all’Organizzazione degli Stati Africani: soprattutto nella seconda, gode ancora di credito. Perciò, per Gheddafi, la strada è segnata: una sorta di “Stalingrado” nel deserto, nell’attesa che s’incrinino le alleanze occidentali (come avvenne per il Kosovo nel 1999) e che le bombe dei velivoli occidentali finiscano per diventare, nell’immaginario dei media transnazionali, altrettanto assassine dei suoi obici.
In Italia, qualcuno si domanda se non sia il caso di tenersi stretto il Cavaliere, per non cadere nella brace di Massimino il Conquistatore. Falso dilemma.
Anzitutto, sgombriamo il campo dalla leggenda che i Governi italiani cadano per la politica estera: nemmeno il governo D’Alema cadde per la politica estera, bensì dopo, quando i “conti” non tornarono più all’interno della coalizione (o era terminata la ragione del suo esistere
[1]). Teoricamente, nemmeno Mussolini cadde per la politica estera – almeno, sul fronte delle istituzioni – poiché il voto avverso avvenne in Gran Consiglio, organismo che era interno al Partito Fascista e, dunque, non era autorizzato ad esprimere un voto di “sfiducia” verso il premier. In ogni modo, si può affermare che Mussolini cadde sulla politica estera, anche senza un voto parlamentare (il parlamento era ininfluente da anni), mediante un artifizio orchestrato dal Re.
Nell’Italia repubblicana, non abbiamo notizie di Presidenti del Consiglio che siano caduti espressamente sulla politica estera, mentre è certo che alcuni voti espressi in passato, che avevano negato la fiducia per questioni di politica estera, furono i prodromi per successivi tonfi. In sintesi, è raro che un governo cada direttamente sulla politica estera, mentre i riflessi della politica estera (ad esempio, accordi che “saltano”, alleanze che si “raffreddano”, ecc) conducono a nuovi equilibri nelle lobbies che assicurano la fiducia all’esecutivo e, da qui, il passo verso la crisi è sin troppo breve. Pensiamo, ad esempio, a quanto siano “volatili” i voti del gruppo dei “Responsabili” alla Camera.
Questo “posticipare” gli effetti della politica estera avviene, da parecchi anni, per “soccorsi vari” delle opposizioni, le quali – poi – accusano il governo di non avere più una maggioranza in politica estera…quindi, il governo chiede un voto di fiducia complessivo, lo ottiene…insomma, buffonate di tutto il mondo unitevi.
Ciò che conta, in questo bailamme, è verificare alcuni assiomi:
a) i mutamenti negli equilibri interni, catalizzati dalla politica estera, hanno più effetto sulle lobbies che sui singoli partiti.
b) le decisioni susseguenti, sono prese quando – trascorso un lasso di tempo – gli effetti si manifestano nella politica interna.
Alla luce della prima di queste due affermazioni, possiamo concludere che è assai arduo stabilire se sia meglio la sopravvivenza politica di questo o di quello, poiché la sopravvivenza di un governo, a quel punto, non si gioca più sul fronte dei partiti, bensì a livello di gruppi parlamentari interni alle singole formazioni: le lobbies. Più interessante il secondo punto, poiché qui si toccano i nervi scoperti dell’imprenditoria italiana.
Un certo Paolo, sul sito Padania.org
[2], fa i conti in tasca all’imprenditoria italiana, ossia quanto essa perderà, in termini d’appalti, dopo “l’assalto” franco-inglese:
IMPREGILO: 3 miliardi di Euro di contratti acquisiti in Libia.
ASTALDI: 600 milioni di Euro in Libia per elettrificazione ferrovie.
FINMECCANICA: Joint-Venure con La Libyan Investiment Authority che acquistava elicotteri Augusta. Miliardi di euro.
ENI : Inutile stabilire i valori.
SAIPMEM : 5 miliardi di euro capo cordata costruzione autostrada (soldi anticipati dai libici). SELEX S.I.: 300 milioni di Euro per il controllo dei confini del Sud.
Migliaia di piccole e medie imprese italiane in Libia: diversi miliardi di Euro di contratti. (tra cui le mie aziende).
Resta difficile stabilire la principale “voce” di questa lista: l’ENI. L’Italia importava circa un terzo della produzione libica, ossia più di 500.000 barili il giorno. A circa 100$ il barile, fanno la rispettabile cifra di 50 milioni di dollari il giorno, pressappoco 40 milioni di euro. In un solo mese, sono 1,2 miliardi di euro che prendono altre vie: ci rendiamo conto di quale terremoto rappresentino movimenti pari ad 1,2 miliardi di euro mensili?!? Circa 15 miliardi l’anno?!?
Cerchiamo di conoscere meglio chi sono gli attori che stanno giocando non la partita internazionale, bensì quella energetica. Scopriamo chi è Stefano Saglia
[3]:
“Nato a Milano nel 1971…inizia a far politica giovanissimo…giornalista professionista…nel 1995, approda a soli 24 anni al Consiglio Provinciale di Brescia…eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati nel maggio del 2001…nella XV° Legislatura è stato Vice Presidente della Commissione Attività Produttive della Camera…nonché responsabile del settore Energia di Alleanza Nazionale…relatore alla Camera di importanti riforme tra le quali il riassetto del settore energetico in Italia…viene nominato Sottosegretario di Stato allo Sviluppo Economico…riceve le deleghe dal Ministro Claudio Scajola in materie di competenza del Dipartimento Energia, nonché in materie inerenti mercato, concorrenza, consumatori, vigilanza e normativa tecnica. Saglia è anche delegato alla Presidenza del CNCU, Consiglio Nazionale consumatori ed Utenti.”
Se si sa leggere fra le righe, questa è la perfetta biografia del lobbista. Non ha quasi passato: “giornalista professionista”…a soli 30 anni è già “Vice Presidente della Commissione Attività Produttive”, a 40 è il padre padrone del sistema energetico italiano, con poteri che spaziano dall’ENI a “mercato, concorrenza, consumatori, vigilanza e normativa tecnica.” Termina, addirittura, con la presidenza di quella che dovrebbe essere una “controparte”, ossia la tutela degli utenti.
Ma…chi “tutela” Saglia? Un uomo che, nella gerontocrazia imperante, appare come un miracolo vivente?
Se prendiamo nota delle sue “esternazioni”
[4] – dal nucleare al solare fotovoltaico e termodinamico – non ci sembra molto “caldo” su queste proposte: il nucleare può andare ma, prima, dobbiamo trovare il modo di sistemare le scorie da qualche parte…Rubbia è degno di stima, ma le sue centrali hanno un rendimento inferiore a quello del nucleare… Insomma, ce n’è sempre per tutti.
Dove, invece, non ci sono obiezioni “tecniche”, si cavalca la “tigre” paesaggistica:
“
Il vero problema sulle rinnovabili riguarda l’eolico. Dato che l’Italia ha un paesaggio specifico ed è difficile costruire la pale per ragioni ambientali.
[5]”
“
Il risparmio energetico e’ una cosa che ci sta molto a cuore, nel senso che a me sembra che, prima di immaginare di riempire di mulini a vento località che non hanno vento…”
[6]E’ di nuovo Saglia? No, questa volta è Scaroni. Verrebbe quasi da dire il “capo”, Scaroni: simpatici questa gente di “Viadalvento”, vero? Ecco i nomi dei loro sostenitori
[7]. Una bella lista d’onorevoli e professori, generali e consiglieri…tutti, inesorabilmente, nemici giurati dell’eolico.
Ecco dove il lobbismo attraversa le istituzioni (Saglia), si sostanzia nelle holding (Scaroni) e si presenta come la pura essenza della difesa del paesaggio (magari, con la buonissima fede dei sostenitori, ai quali vorremmo però fare una domanda: e le migliaia d’antenne Tv, tralicci, “torri” per le telecomunicazioni, “parabole” fin sui campanili, sono un “valore aggiunto” per il paesaggio? Le colate di cemento? Le case a schiera sui litorali?)
A questo punto, tiriamo le somme sul dilemma iniziale: tenersi il Cavaliere o cercare di cambiare cavallo? Domanda inutile e tempo perso.
cavalli disponibili sono tutti della stessa scuderia, hanno tutti identico marchio. Come uscirne? Anzitutto, per “uscirne” veramente, c’è bisogno d’elaborare una proposta politica che sia antitetica proprio ai valori fondanti della “scuderia”: la globalizzazione è l’unica soluzione, non ci piace bombardare ma se si deve fare si fa, tutte le energie alternative sono belle ma non servono a niente, la politica è sporca ma, tanto, un’altra non può esistere, gli italiani sono un popolo immaturo che va “guidato”…continuiamo?
L’unica soluzione è fondare un’altra scuderia, diversa proprio dai temi di partenza. In parte, già esiste: dopo anni di dibattiti sul Web sono nate centinaia di proposte, siti, associazioni, gruppi…lentamente, ma inesorabilmente, dopo le “piazze africane” anche quelle italiane avranno il loro momento. Quando?
Ciò che possiamo ragionevolmente attenderci, dall’avventura libica, è un mutamento degli equilibri interni italiani, susseguenti alla montagna di soldi che si sposterà dalle tasche dell’ENI ad altri, oppure – sempre con l’ENI come intermediatore – verso altri fornitori e mercati. Le perdite che, invece, colpiranno le aziende italiane faranno sanguinare il cuore della Lega la quale, però, più che gridare il solito “attenti all’immigrato” non potrà fare. Dunque, una perdita secca “d’ascolto”, per la Lega, da parte dell’imprenditoria del Nord. In questo panorama, l’opposizione-zerbino si posiziona sui crinali protetti dalla NATO e dalla no fly zone: aspetta, per osservare se i rivolgimenti interni alle lobbies consentano il colpo di grimaldello. Il quale, onestamente, sarebbe il solito topolino che scaturisce dalla montagna.
Voci non confermate, invece, sembrerebbero aggravare la situazione sul fronte interno: la querelle sugli incentivi negati (o resi incerti) alle rinnovabili sembra sia arrivata ai “piani alti”, ossia al settore bancario. Gli incentivi per le rinnovabili avevano creato un “giro” di denaro consistente: dalle banche agli investitori, dagli investitori alle aziende, dalle aziende alle banche…e non sembrano, queste ultime, molto contente della “chiusura” del Governo, soprattutto perché Fukushima ha allontanato l’altra “speranza”, il nucleare.
Potremmo domandarci il motivo dell’anomalia italiana, un Paese che non preme sulle rinnovabili e raggiunge gli obiettivi europei (20-20-20, nella parte per le rinnovabili) otto anni prima del previsto. La cosa si spiega per il basso livello degli investimenti nel fotovoltaico (10-20.000 euro) e per l’ancora sostanziale tenuta del risparmio (ancorché in diminuzione) italiano. In altre parole, per molti, piccoli investitori l’investimento nel “concreto” è parso più avvincente del “astratto” mercato azionario, mentre quello obbligazionario (BOT, CCT, ecc) dà rendimenti asfittici.
Ma, “dirottare” quei fondi verso le rinnovabili, significava offrire agli italiani un’alternativa…già…e Tremonti, con la sua ossessione dei “conti in ordine”, come la pensava? Se, per gli italiani, la solita “sbobba” targata BOT-CCT non era più appetibile, poteva esserlo per gli investitori esteri e per i fondi sovrani: questa è gente che s’accontenta di poco (sotto l’aspetto economico, date le masse monetarie in gioco) però gioca su più campi, anche in quello politico-strategico, poiché con enormi investimenti è possibile farlo.
Potrebbe esserci aria di revisione del rating dell’Italia, soprattutto del suo debito, e questa potrebbe essere la più importante tappa della strategia messa in atto contro l’Italia: le parole di Seif al Islam Gheddafi – “l’Italia pagherà il suo tradimento” – riecheggiano e fanno pensare. Soprattutto perché, noi italiani, ben conosciamo i rischi che giungono dalla “Quarta Sponda”.
Questa volta, invece di un’armata che si presenta una mattina qualsiasi sulle coste della Sicilia, potrebbe giungere qualcosa d’altrettanto grave: un declassamento che ci farebbe finire nell’altro incubo, quello dei PIIGS forever.
Per questa ragione, è necessario accelerare nel dibattito e nella proposizione: per avere, finalmente, un diverso marchio rispetto ai ronzini del padrone.
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