"The Poet and the Painter casting shadows on the waters
the sun plays on the infantry
returning from the sea."
"I poeti ed i pittori stendono ombre sulle acque,
(mentre) il sole gioca sulla
fanteria che ritorna dal mare."
Jan Anderson, Jethro Tull, Thick as a brick, (1972)
Anno nuovo vita nuova: già, così dicono. Ciò che noto,
invece, nella cosiddetta “editoria alternativa”, è che siamo un poco incartati,
motore in palla, che tossicchia e non supera i 3000 giri. Leggo gli articoli di
Paolo Barnard o di Alberto Bagnai e m’accorgo che si continua a bofonchiare –
per carità, con competenza – su monete e fondi, soluzioni finanziarie
salvifiche...quando il vero problema è sì (anche) il sistema finanziario, ma
soprattutto l’impianto di governo dell’economia. Finiamo per diventare dei
commessi di minuteria: come quelli che “lottano” per cambiare il PD di Renzi
dall’interno, buffonate. Oppure credere che il cosmo sia la Luna, il
cattolicesimo l’Ave Maria, il
buddismo Om mani padme Om e la
politica Renzi, la Boschi, Razzi e Grillo.
Non voglio giungere al famoso dito ed alla Luna, ma ci siamo
vicini.
E poi ci sono i complotti, che sono sempre esistiti: in
politica, si chiamano più semplicemente “diplomazia”, poiché le mille e mille
sedi diplomatiche – più i veri centri studi di contorno, i think-tank, i convegni
dei “saggi”, i servizi...eccetera –
altro non sono che congreghe per cercare di fregare gli altri. Come?
Complottando, ovvio: c’è da meravigliarsi? Un ambasciatore è massone, uno “studioso”
è del Bildenberg, un economista è della Trilaterale, altri giungono dal FMI,
chi dalla Banca Mondiale...e da dove potevano giungere? Dall’Almanacco
Topolino?!? Dalla “politica”: ah, ah, ah...
Perdere del tempo per tracciare i confini del complotto, o
addirittura divinare aruspici (avete letto l’incipit di Jan Anderson?) è tempo
perso, perché le migliaia di persone profumatamente pagate per crearli, alla
velocità della luce ne creeranno altri. Indicarli, sottolinearli...questo sì,
ma non perderci troppo tempo, non farne il centro del giornalismo: altrimenti,
si finisce sempre con il famoso dito. E quelli ridono, pensano: quanto sono
stupidi...
Eppure, non sempre è stato così imponente l’attacco dei
“divinatori” del futuro, soprattutto quelli dei think-tank targati USA. Perché?
A ben vedere, il capitalismo finanziario – il trionfo della finanza, e gli USA
sono il centro finanziario/militare del mondo occidentale – appartiene alle
epoche di minor saggio di profitto industriale: meno beni si creano e si
consumano, maggiori sono i “giochi” ed i “passaggi di mano” da parte di chi
tenta di far soldi inserendosi nella catena degli sfruttatori. E chi deve
creare quei beni? Ovunque sia, peggio per lui.
Nei periodi postbellici, ad esempio – quando c’è tutto da
ricostruire – il saggio di profitto complessivo è altissimo e, di conseguenza,
conviene investire i soldi direttamente nelle aziende, creandole, oppure
ricorrendo alla partecipazione azionaria la quale, guarda a caso, in quei
periodi non riserva sorprese, se non il naturale fluttuare dei valori azionari.
Le monete? Non conta nulla la moneta che circola, basta
averla e si duplica quasi da sola: ogni cosa si vende ed in fretta! Non ci
credete? Nella Germania sconquassata del dopo Prima Guerra Mondiale,
inventarono addirittura il Rentenmark
– nell’epoca della parità aurea, una vera e propria bestemmia! – il quale non
aveva altra copertura che...il fatto che tutti ci credessero! Poi, terminata la
buriana, si tornò al Reichsmark, ma
la valuta “effimera” ebbe corso legale fino al 1948! E noi stiamo a
cincischiare su questa o quella moneta? Ma è solo il metodo per misurare il
valore!
Se non va bene l’euro, ti possono immantinente inventare il
Cocco, il Petto, il Moloch – e te le possono fare con banca centrale pubblica o
privata – più difficile (in realtà, meno conveniente) affrontare un discorso
globale sulla teoria del valore, che condurrebbe a dover scomodare Adam Smith,
Ricardo e Marx, solo per citare i principali filosofi che se ne sono occupati. Perché
filosofi? Ma, secondo voi, ad occuparsi di teoria del valore – ossia di una
prassi che pervade la vita di noi tutti – dovrebbero essere gli economisti?!?
E le banche?
Nei periodi di capitalismo “industriale” se ne stanno buone
buonine e fanno il loro mestiere: forniscono denaro ad interesse, remunerando i
depositi con un interesse minore. Per statuto, non possono fare profitti.
Ricordate le Casse di Risparmio? All’epoca, il circuito ICCRI era la principale
banca italiana, e doveva esserlo, poiché la produzione industriale non poteva
attendere. Ho spiegato, in un recente articolo, l’assurda vicenda odierna di
Fincantieri, “in crisi” per necessità di capitali, con il portafoglio ordini
(e, quindi, in prospettiva profitti) più elevato in tutta la storia
dell’azienda. Una storia fuori tempo massimo.
Banche d’affari? Una sola: Mediobanca, per l’uso
privatissimo di lor signori, più un salotto buono che una banca.
Poi, cambiano i tempi: la gente non ce la fa più a cambiare
una lavatrice l’anno, il saggio di profitto crolla e le fabbriche chiudono. Che
fare?
Due sono le possibilità: la guerra, oppure il capitalismo
finanziario.
Se non ci fossero le armi nucleari, state sicuri che la
Terza Guerra Mondiale sarebbe già scoppiata da tempo: invece, non scoppierà mai
più, almeno nei termini che la conosciamo. Si farà solo contro chi non possiede
il potere dell’atomo, così stiamo al sicuro. Gheddafi se, invece di credere
alle fandonie euroamericane, comprava i missili coreani (gittate di 2000+ km),
oggi stava tranquillo nella sua tenda nel deserto, con Berlusconi accanto ed
una montagna di Viagra sul tavolino. E i libici, rivedendo a posteriori,
stavano meglio.
Perché Wall Street aborrisce la guerra nucleare?
Poiché non vogliamo che il nostro bel Risiko/Monopoli, al
quale siamo così affezionati, sparisca, volatilizzato da un Feuersturm nucleare, polverizzato insieme al prezioso
tavolo sul quale era posato. Noi? Fuggiti da tempo ma, senza il nostro gioco...
Così, niente
guerra (nucleare) e niente distruzioni per ripristinare il capitalismo
primitivo, nel quale si guadagnava un euro, tallero, zecchino...il pezzo.
Una situazione
storica completamente nuova – almeno, in questi termini, perché nell’ultimo
quarto del secolo XIX avvenne qualcosa del genere...ricordate lo scandalo della
Banca Romana? 1892, un secolo esatto prima di Tangentopoli – un quadro globale mai visto nel panorama
umano.
Oggi, non si
possono mandare i carri armati in giro. Qualcuno vorrebbe...non posso sollevare
la mia ascia contro XY perché ci fa paura la sua?!? Te lo faccio vedere io...
Fermatelo,
all’occorrenza sparategli, anche se è dei nostri. Ecco come vanno le cose:
vedrete quanto ci metteranno a calmare sauditi ed iraniani dalle loro (giuste,
sbagliate, ininfluenti, terribili...) velleità di “muscoli”.
Sia detto
subito che il capitalismo finanziario non è proprio la panacea di tutti i mali
per i tempi di vacche magre (saggio di profitto basso): sì, riesce a metterci
una pezza ri-localizzando le aziende, sempre alla ricerca del mercato degli
schiavi più promettente...però, dopo, si cominciano a perdere i pezzi sul
fronte interno: salari minimi, occupazione saltuaria, welfare evanescente (per
loro non è un problema, ma anche lì si spendono meno soldi, quindi meno
profitti), eccetera...in sostanza, il prezzo delle merci deve essere tenuto
bassissimo, altrimenti nessuno compra, e ciò vanifica in gran parte i risultati
della globalizzazione sotto il profilo produttivo.
Il capitalismo
finanziario è un mestiere per cuori e menti salde: le banche saltano come
birilli, dall’oggi al domani i fondi perdono valore e ti ritrovi con un pugno
di mosche...reggono i fondi sovrani...ma, se qualcuno dovesse dare l’assalto
anche a quelli (sempre che non ti sparino prima), cielo che disastro!
Il principale
problema, però, è la perdita d’immagine del capitalismo, da sempre presentato –
in alternativa ai sistemi totalitari (fascismi/comunismi) – come la pietra
filosofale che risolve i tuoi problemi. E, attenzione, quella visione è
iniziata molto tempo fa, almeno da quando non dobbiamo più raschiare le
cortecce delle betulle e metterle a bagno nell’aceto per toglierci la fame. A
volte, se mancava l’aceto, erano cortecce e basta.
Non abbiamo più
la consapevolezza che un topo è il massimo dei banchetti possibile (solo pochi secoli
or sono), ma i tempi delle “liquidazioni” da 100.000 dollari (dell’epoca) che
ricevettero i militari americani congedandosi dopo la 2GM sono lontani, molto
lontani, sembra che non siano mai esistiti. Eppure, il “regno della felicità”
americano dei Fonzie, è esistito e tutti, all’epoca, furono convertiti: il
capitalismo è il meglio che mai si sia visto, continuiamo così. A Cuba mangiano
banane, noi bistecche e salmone.
Come si fa a
spiegare che il capitalismo finanziario è roba da 500 euro il mese per lavorare
come schiavi senza nessuna garanzia del futuro, senza pensione quando diventi
vecchio, con medici oramai ansimanti negli ospedali, con professori mal pagati
e che iniziano ad avere qualche certezza dopo i 50 anni? Quando il capitalismo
“produttivo” ti mandava in pensione?
Ci vogliono
personaggi con una forte carica mediatica per mantenere la calma, gente che su Twitter fa grande politica (ah,ah,ah!), ed uno stuolo d’idioti che ci cascano:
un personaggio come Matteo Renzi è perfetto, sembra clonato in vitro dopo una
lunga gestazione artificiale.
Il nostro
compito – almeno, mi piacerebbe che ci fosse dibattito sull’argomento – mi
sembra che dovrebbe essere “far notare” alla gente (a quelli ancora preda
dell’idiozia) le incongruenze e le mille infelicità che questo sistema
economico porta con sé, non dire loro che incrementando temporalmente il rateo
dello spread il millibar della guerra climatica diacronica decresce: secondo
voi, ci capiscono qualcosa? Ma, qualcuno di noi cosiddetti scrittori o bloggher
– ma anche i lettori, prima di commentare – va, ogni tanto, in un mercato
rionale e si confronta con le persone vere? In carne ed ossa?
Oppure corre
solo dietro ai think-tank americani? Quelli – ricordatelo sempre – sono gente
pagata dall’establishment politico perché, finanziando le fondazioni, detraggono
quei fondi dalle tasse.
Ma...qual è lo
stato di salute del capitalismo, e quali sono le possibili soluzioni?
E’ vero che,
oggi, poco più della metà della popolazione si reca al voto – e questo è un
buon risultato per l’Italia: non ne parlano mai, ma è una delle principali
preoccupazioni perché ogni voto “comprato” (per assicurare la cosiddetta
governabilità) costa di più, le mafie alzano il prezzo, vogliono più
contropartite e sempre più “succose”, il che aggrava la condizione della
popolazione – ma sono ancora molti.
Con trascorrere
del tempo, il voto per appartenenza (ideale) sarà un limite tendente a zero,
mentre, per contrappasso, quello per convenienza andrà alle stelle: si notano
fenomeni nuovi, come la completa “franchigia” giudiziaria per qualsiasi reato
legato alla pubblica amministrazione, e sempre più gravi ed evidenti. Segno che
la compravendita di favori e voti è necessaria, come l’acqua nel deserto.
Il problema non
è, come afferma Grillo, arrivare al “51%” – perché non ti faranno giungere mai,
sentito parlare di brogli? Visto “Il portaborse”? – bensì quello d’incrinare,
pesantemente – in un mondo d’immagini – l’immagine del capitalismo.
Quella lontana
immagine americana – le banane a Cuba e le bistecche negli USA – è la chiave di
volta che sta crollando: vuoi l’automobile? Indebitati! Ma, indebitandoti,
domani sarai ancora più povero e meno in grado di soddisfare le tue necessità.
Nel capitalismo finanziario non c’è nessuna cornucopia che sforna soldi – a ben
vedere, quella è rimasta nel capitalismo industriale – e, dunque, l’immagine
del capitalismo come quella forma di governo dell’economia che “soddisfa ogni
bisogno” sta irrimediabilmente offuscandosi, s’allontana, come dietro ad un vetro
appannato.
Abbiamo già
ricordato che una guerra, in grado di portare distruzioni tali da far partire
una nuova fase di capitalismo industriale (le bombe atomiche sono presenti
anche nelle nazioni emergenti), è impossibile: terminata la fase “attiva” nelle
economie emergenti, la stagnazione sarà planetaria. Allora?
Bisognerà, con
pazienza, tornare a ragionare in termini di teoria del valore e distribuzione
delle merci: qualcosa già si sussurra, come le provocatorie ammissioni di
“lancio di banconote dagli elicotteri” le quali, altro non sono che una molto
primitiva ed infantile richiesta di metter mano alle teorie del valore ed alla
distribuzione (o re-distribuzione) delle merci.
La Storia ci
fornisce qualche esempio? Pochi, in verità, alcuni molto lontani, altri più
vicini ma difficili da inquadrare per applicarli a livello planetario. Ci vorrà
molto lavoro, e molte teste pensanti.
Se ne vogliamo
trovare uno abbastanza lontano, ci sono le terre
comuni – ossia il concetto di “qualcosa” che non è di nessuno, un bene che
è anche tuo per solo diritto di nascita – il quale
fu la principale ragione di due rivoluzioni, quella inglese e quella francese.
I nobili volevano sopprimerle (ricordate Robert di Loxley, ossia Robin Hood?) e,
al tempo di Luigi XIV, le patenti di nobiltà si vendevano facilmente al mercato
di Versailles, bastava pagarle. Come? “Cartolarizzando” delle terre (Colbert,
ripreso poi da Tremonti) – ossia incassando un valore minore, ma subito, per
beni dei quali era incerta la sorte, perché si dovevano “rubare” alla
collettività – e i francesi, i francesi...ci misero del tempo a capire
l’inganno...però realizzarono la più importante rivoluzione del Pianeta.
L’attacco alle
terre comuni non fu, in entrambi i casi, la “scintilla” che fece scoppiare l’incendio
ma, nel ricordo collettivo, il “macigno” che s’abbatté sulla nobiltà la quale,
con la fine del Medioevo, era fallita insieme al suo modello teocratico. In
altre parole, mostrò che il nobile era lì per volontà di Dio, ma...E, quel “ma”
fu determinante.
Notiamo che in
Inghilterra si giunse ad un accordo fra le parti, mentre in Francia –
nonostante un re più aperto al cambiamento – non ci s’accordò...quisquilie...la
fuga di Varennes fece perdere la testa a Luigi XVI...
Oggi, si torna
a ragionare in termini simili. Qualcuno chiede: perché mai, se io vengo al
mondo come chiunque altro, devo avere una vita completamente in salita, ed
altri in discesa?
Le religioni, a
questo punto, giustificano tutto: eh, mio caro, accetta il volere di Dio, Allah
lo vuole...oppure il karma...ne hai combinate nelle vite passate, eh? Come
potrete notare, la via per giungere ad un reddito di cittadinanza non è
lastricata di problemi economici, bensì filosofici.
Ci potremmo
inventare un reddito di cittadinanza, uguale per tutti (miliardari compresi): un
reddito minimo (si parla di 500 euro, ma è solo un esempio), che non coprirebbe
le spese del vivere, ma lascerebbe più calma per trovare la propria strada e,
il progresso umano – nel senso principalmente delle scoperte scientifiche – fu
realizzato da persone che non avevano di che preoccuparsi. Vedi Alessandro
Volta, Galileo, Edison (che ebbe dei mecenate), eccetera...
La fonte, ossia
dove si trovano i soldi? Il prof. Fumagalli – nel celebre saggio “10 tesi sul reddito di cittadinanza”
(1) – ha impostato il problema istituendo un’imposta dello 0,01-002% sulle
transazioni finanziarie. Come vedete, il problema è prima filosofico che
tecnico: ad una domanda in merito, Elsa Fornero rispose che “se si faceva
una cosa del genere, gli italiani si sarebbero fatti tante pastasciutte e non
avrebbero più lavorato”. La cosiddetta “etica del lavoro”, a ben vedere, è la vera nemica del
reddito di cittadinanza.
Perciò, meglio
campare di pane e latte finché dura mamma, ossia finché ci sarà la sua pensione – perché questa è la dura realtà di tante situazioni odierne
– piuttosto che incrinare l’etica del lavoro: i nostri “politici” sono tutti
d’accordo (salvo il M5S).
Questa novità,
però, proporrebbe un nuovo scenario: converrebbe a tante persone riunirsi,
vivere in piccole comunità per suddividere i costi comuni. Quale bestemmia per
l’establishment al potere! Il vivere comune è un pericolo assolutamente da
evitare: la gente parla, si confronta, non sta più a farsi imbambolare di
fronte alla Tv!
I nemici del
reddito di cittadinanza, delle nuove terre
comuni, potremmo dire – ricordiamo che siamo partiti dal problema “cosa
fare di fronte a questa follia del capitalismo finanziario” – non sono dunque
quelli tecnici (reperimento dei fondi) bensì filosofici (etica del lavoro) e
politici (e dopo? Io, come faccio ad avere potere?). Contro queste tesi, si
combatte parlando, scrivendo, divulgando...ricordiamo un detto orientale
“quando l’allievo è pronto, il maestro appare.”
L’altro
problema è la moneta, poiché viene considerata il vero problema in tutte le
sale, dimenticando che una moneta che non ha, alle spalle, una seria risposta
al problema del valore delle merci, è come un orologio per bambini (di un
tempo), di quelli che non segnavano l’ora, bensì muovevano le lancette con la
sola rotazione del pomello.
Ci sono stati
alcuni tentativi in merito, come quello di assegnare ad una moneta il valore di
un’ora di lavoro media per tipologia, livello, ecc del lavoratore, calcolata a
livello planetario, tenendo conto di una media dei prezzi d’acquisto. Ovvio che
non l’hanno mai presa in considerazione: finché c’è mercato c’è speranza!
Ci sono
economie, però, che della moneta – per gli scambi più comuni – non sapevano che
farsene.
Premetto di non
essere mai stato in URSS, però d’aver avuto notizie di quel “pianeta
sconosciuto” da chi si recava abitualmente per lavoro: i naviganti. La Cortina
di Ferro esisteva in terra: in porto, dopo aver oltrepassato la barriera
doganale – se non insospettivi i tanti “vopos” in giro – vivevi
tranquillamente. Stiamo parlando di gente con una divisa addosso, forse li
faceva sentire più “vicini”, chissà...come del resto avveniva per i marinai
sovietici da noi: giravano in gruppo, sempre seguiti dal commissario politico,
lo zampolit.
Talvolta, le
compagnie fingevano (in accordo con i comandanti) avarie per approfittare dei
bassi costi della comune manutenzione, e allora capitava che la nave restasse
in porto per settimane.
Cosa raccontano
le mie fonti?
Narrano di un
mondo che potremmo definire “alla rovescia”.
Un amico rimase
ad Odessa per due mesi, causa lavori di manutenzione: quando resti due giorni
visiti la città e qualche locale notturno, quando ci rimani per dei mesi,
stringi amicizie. Così fu: strinse amicizia con una coppia di sposi che avevano
un bambino piccolo, erano entrambi studenti. Lo Stato sovietico, all’epoca,
finanziava gli studi – ti pagava uno stipendio – a patto che tu studiassi
veramente: era consentito fallire un solo esame, in tutta la carriera
universitaria.
Così, si
schiusero davanti ai suoi occhi le porte dell’Impero comunista, ma si schiusero
dal basso, dalla vita di tutti i giorni.
In casa, ad
esempio, c’erano biscotti per il bambino persino sui lampadari: il russo gli
spiegò l’arcano.
I biscotti
arrivavano con i treni: tu eri avvisato e ti recavi allo scalo ferroviario. Il
problema non era la quantità – ce n’erano in abbondanza (per gli ultimi, i
ritardatari c’era l’ovvia “lotta” per strapparsi l’ultimo pacco, che fece la
fortuna delle Tv capitaliste...vedete?) – il problema è che non sapevi mai
quando sarebbe arrivato il prossimo treno. Probabilmente, non lo sapevano
nemmeno a Mosca: quante notizie ci furono di treni carichi di patate lasciati
per una notte su un binario morto, oltre gli Urali! Quando arrivavano a Mosca,
non c’era altro da fare che buttare tonnellate di patate congelate.
Le disfunzioni
di quel sistema erano tante, però si campava discretamente e la vita era
tranquilla: una sola sera l’amico fu redarguito da un poliziotto, perché aveva
accennato un twist sulla pista da ballo. A gesti, gli fece capire che bisognava
ballare allacciati alla propria dama, era la regola.
Il dramma erano
le liste per avere beni più importanti e costosi: quando ripartì, il russo gli
chiese un favore. Perché, quando sarai “di là”, non mi compri un mangianastri
portatile, stereo? Era il suo sogno: in URSS non esistevano, e gli ficcò in
mano una montagna di banconote.
L’amico partì
(la nave faceva spesso scalo ad Odessa) ma, quando fu in Italia, notò che i
prezzi erano molto alti (fine anni ’60) per quel tipo di strumento...al cambio,
avrebbe dovuto “dilapidare” quasi tutti i rubli avuti in consegna...
Tornò senza
mangianastri. Il russo s’arrabbiò, e parecchio rivedendo la mazzetta di rubli
che, il nostro, gli contava con attenzione. “Ma io, in banca, ho montagne di
questa roba: è il mangianastri che non ho!”
In un sistema
con valore della moneta stabile per editto, ed inflazione nulla sempre per
legge, le distorsioni si scaricano sulle singole merci, che siano biscotti, patate
o mangianastri. Questa era la rozza applicazione della teoria del valore
marxista nel Paese che si diceva “figlio di Marx”.
Perché ho
raccontato questa storia? Perché, come sempre quando si richiamano esperienze
passate, c’è qualcosa di buono e qualcosa da buttare.
La prima cosa
che salta agli occhi è che la moneta, in sé, si trascina dietro un sacco di
problemi: il primo è il suo rapporto con la merce, che dipende da mille fattori
ambientali e dall’inflazione. Di più: nessuno garantisce quei rettangoli di
carta, nessuna banca centrale e, tanto meno, un eventuale cambio in Oro.
Eppure, proprio
il capitalismo ci fornisce dei mezzi – potremmo affermare che li “scopre” – per
dirimere la questione: il commercio dei buoni-pasto (o buoni-mensa), che
spopola perché...i buoni non sono tassati!
Ti pagano con
buoni-pasto, fai la spesa con buoni-pasto: è una moneta belle che pronta.
Di conseguenza,
una moneta basata su un buono pasto – fatti salvi dei precisi requisiti: primo,
secondo, contorno, acqua e caffè, ad esempio, ed un contenuto maggiore o uguale
a tot di proteine, carboidrati, ecc – potrebbe essere una delle più stabili che
conosciamo. Varia al valore medio del pasto: lo so, è un po’ come il famoso
“paniere” per l’inflazione, ma si applica ad un solo bene, un pasto medio, una
rilevazione facile e poco adatta ad essere manipolata.
Non ho la
pretesa di riscrivere la teoria del valore su queste basi – sia chiaro, sarebbe
una buffonata – ma quella di trovare un ancoraggio reale ad una moneta: ce ne
potrebbero essere altri ma, se cerchiamo un ancoraggio reale e il più stabile
possibile, non possiamo uscire più di tanto dal mondo naturale.
Il secondo
punto (tratto dall’esperienza sovietica) che mi ha fatto riflettere è quel
treno carico di biscotti. O forse anche d’altri beni su vagoni diversi, non lo
so.
Noi, siamo
partiti dalla bottega, passati al negozio, quindi al supermercato rionale,
all’ipermercato...fino ad E-bay. In tutto questo bailamme, notiamo che il
mercato rionale all’aperto si svolge coi termini e nei modi di secoli or sono.
Quante volte li
abbiamo incontrati, tutti. Sono i dannati di E-bay, del nostro bisogno
(legittimissimo!) di comprare una merce ad un cent di meno. Fanno addirittura
100 consegne il giorno, non hanno più vita, per guadagnare una miseria: anche
fossero 100 euro (“sporchi”) il giorno, quel prezzo non vale la vita che fanno.
Di là delle
sofferenze di quegli autisti (da giovane, lavorai per la TRACO, conosco quel
mondo) è un sistema primitivo: le merci, tramite i furgoncini, vanno ai centri
di raccolta poi, in autotreno, percorrono le lunghe tratte infine, il
furgoncino fa le consegne domiciliari.
Riflettiamo
sulla quasi sovrapposizione fra ipermercato e centro di raccolta: entrambi,
sono delle strutture che contengono merci, che partono dai luoghi di produzione
(o dai porti) e finiscono nei magazzini. A parte le luminarie ed i colori, gli
ipermercati potrebbero diventare dei luoghi dove c’è un semplice bancone,
dietro, il magazzino vero e proprio.
Ordini su
Internet, paghi, ti viene inviata una ricevuta elettronica, la stampi (meglio,
la invii al magazzino via Web), quando la merce arriva ti rechi a ritirarla.
Con sovrapprezzo, la consegna a domicilio.
A parte alcuni
beni di pronto consumo – pane, verdura fresca, carni, ecc – e quelli per i
quali necessita un controllo – le armi, ad esempio – tutto potrebbe funzionare
in questo modo. Ci stiamo, lentamente, avvicinando: in un grande centro di
vendita di materiali per l’edilizia, trovi dalla semplice vite fino al carrello
elevatore. Tutto per costruire una casa.
Risparmi?
Enormi.
Niente casse,
nessun flusso di denaro, nessun autista che bestemmia perché il “26” di via Innocenzo
Fedragghini non si trova...soprattutto, risparmi sul magazzino merci: viaggia e
giunge in deposito solo la merce già venduta. Tutto ciò è irrealizzabile senza
un reddito di cittadinanza – non un sussidio di disoccupazione! – che renda più
“fluida” la transizione.
Lavori quattro
ore? Reddito di cittadinanza + la paga oraria per quattro ore. Acquisti
un’automobile da 15.000 euro? Paghi 15 euro in più, per finanziare il reddito.
Compri un milione di euro di petrolio per speculare? Paghi un po’ di più, mille
euro (ma, per le tipologie di prelievo, Fumagalli prevede aliquote progressive,
come sentenzia la nostra dimenticata Costituzione).
Ricordiamo, fra
una cosa e l’altra, che sommando l’8 per mille ed il 5 per mille s’arriva al 13
per mille, ossia all’1,3% che ogni anno, che lo vogliamo oppure no, ci
prendono: sono circa 1,5 miliardi (secondo i dati ufficiali, ma secondo un
computo basato su PIL ed aliquote fa almeno 10 volte tanto) che finiscono nelle
tasche dei monsignori (cosa racconta il Vaticano sulle ultime vicende?) e dei
segretari di partito. Soldi per il reddito di cittadinanza no, sarebbe un furto
(!), un attacco all’etica del lavoro e Stakanov si rivolterebbe nella tomba.
Come si può
notare, di idee per sostituire questo marcio capitalismo ce ne sono – e, sono
sicuro, tante altre se ne possono trovare – e la domanda potrebbe essere: già,
ma quando? La fine del capitalismo è prossima, perché ci sono molti segni –
tutti interni al capitalismo stesso – l’appannamento della sua immagine come
dispensatore di ricchezze, il ricorso ad artifizi di bilancio (quali le
cartolarizzazioni) per sanare bilanci insanabili, il ricorso alla guerra per
accaparrarsi le risorse naturali, l’aumento costante e sempre più “fantasioso”
di tasse ed imposte, ecc.
Già, ma quando?
Potrebbero
volerci 2 anni o 200: dipende anche, molto, dalla critica (anche propositiva)
che si riesce a portare avanti ma, attenzione: stiamo attenti a non fare
critiche che rimangono all’interno del sistema capitalista, non servono a
niente.
Piuttosto,
diamo spazio alla nostra inventiva e portiamogli il conto, ogni giorno che
passa.