Le scelleratezze di questo nostro tempo sono infinite e
bugiarde: lo si avverte a pelle, leggendo le notizie sulle agenzie, e quasi si
riesce ad indovinare la scontata risposta di questo e di quello, come in un
girone infernale che ha preso a battere il tempo di un rap duro, prepotente,
assetato di violenza e di sangue.
Vicino alle nostre frontiere si siglano accordi che sanno di
vecchio: Assi, Triplici, Duplici, Patti, Intese, Accordi, Entante, Agreemont…lo sfilacciato
linguaggio della vecchia Europa…perché, la disperazione di un’Europa che ha
“provato” con l’Euro ad intessere un’unione che non esisteva, oggi cerca di
fermarla nel tempo con gli accordi militari. E’ già stato fatto qualcosa di
simile, almeno nei modi e nei termini, basta voltarsi un attimo indietro.
C’è un interessante, quanto agghiacciante parallelismo fra
il Gennaio del 2019 e quello del 1919, quando il Presidente americano Woodrow
Wilson venne a Parigi a proporre la sua visione del futuro accordo di pace,
ossia la nota dichiarazione dei 14 punti. E, oggi, seppur rinnovata,
rimodernata e rivestita con un paio di jeans al posto delle rigide martingale
dell’epoca, in una Davos che riconosce l’enorme divario di ricchezza nei popoli
– che sempre aumenta! – le parole del Presidente del Consiglio italiano
riecheggiano di quei toni, di quelle preghiere, di quegli avvertimenti. Che
l’Europa non ascoltò, che l’Europa non ascolta. E risponde con “atti” come
l’accordo di Aquisgrana.
Mi dispiace dover avvertire che, per coloro che non
conoscono a fondo le dinamiche che condussero alla 1GM, sarà necessario un
breve ripasso di quelle vicende: altrimenti, sarà difficile capire cosa sta
succedendo. Vorrà dire che, chi conosce bene quelle vicende, potrà
tranquillamente saltare il prossimo capitolo.
Le ragioni e il
perché si giunse a Versailles
Molti storici, se chiederete loro perché scoppiò la 1GM, vi
risponderanno con ragioni di per sé coerenti con l’enorme carneficina che
seguì: coerenti, ma non valide. I più onesti giungono ad
affermare che non v’erano ragioni serie per fare un simile sconquasso: forse, i
generali, avevano ancora gli occhi puntati sulle guerre napoleoniche, e non
avevano compreso il drammatico ingresso negli scenari bellici della
mitragliatrice e degli aeroplani.
Fino ad allora, le uniche guerre giunte a scompaginare gli
equilibri raggiunti dopo le grandi guerre di assestamento dei nuovi equilibri
del XVI-XVII secolo erano state le avventure napoleoniche: a ben vedere, un
tentativo di raggruppare l’Europa sotto l’egida francese.
Il mondo del primo Novecento è ancora oggi chiamato Belle Epoque, che si può intravedere fra
le pagine di Zola e Maupassant, giacché c’erano tutti i prodromi necessari per
un tranquillo incedere nel nuovo secolo. L’Europa era padrona del Mondo e lo
gestiva tramite i suoi grandi e medi imperi: Britannico, Francese, Tedesco,
Belga, Olandese, Portoghese ed Italiano, più l’enorme “bestia” addormentata nei
secoli, l’Impero Ottomano. La Gran Bretagna,
da sola, con meno dell’1% del territorio planetario, gestiva il 23% delle terre
emerse. Più il dominio assoluto su mari ed oceani.
La Russia
zarista aveva immense risorse e territori vastissimi non ancora esplorati; un
pianeta a sé, come lo è oggi: un’amministrazione lenta e fatalista, però, non
riusciva ad andare oltre gli Urali.
Gli USA si leccavano le ferite della loro guerra civile ed
erano, ostinatamente, isolazionisti: nessuno, negli USA, pensava che due guerre
europee avrebbero loro regalato su un piatto d’argento il potere planetario
che, all’epoca, manco reclamavano: ancora doveva terminare l’epopea del grande
West!
Il resto del pianeta, a parte l’Europa, nulla contava: il
ministero delle colonie portoghese, fino al 1947, ebbe un apposito dipartimento
per la gestione degli schiavi.
Se, da un lato, il “pensiero politico” era vecchio di
secoli, la tecnologia sfornava ogni momento nuove risorse: meccanica di
precisione, elettrotecnica, onde radio, petrolio al posto del carbone,
automobili al posto delle carrozze e via dicendo.
C’erano problemi sociali? Dipende da che punto si osserva la
vicenda.
Non si può negare che il Re italiano fece sparare a
cannonate sulla folla, però l’aumento della ricchezza globale era evidente: il
treno aveva avvicinato enormemente città e mercati, la navigazione a vapore
raggiungeva facilmente i 5 continenti…insomma, dal punto di vista economico non
c’erano ragioni valide per finire in
quella bolgia infernale. Anche perché nasceva il sindacalismo, che chiedeva una
ripartizione della “torta” più equa, e le classi subalterne cominciavano a
vivere meglio – non ovunque e non sempre (emigrazione) – però il mondo del 1900
si distanziava già enormemente da quello di solo mezzo secolo prima. In
definitiva, la ripartizione della torta era necessaria per un buon funzionamento
della macchina: c’erano, ovviamente, voci discordanti, le quali ebbero a
pentirsi – dopo – delle loro scelte.
Le vicissitudini diplomatiche di quei giorni sono note, e
fanno rabbrividire per il non sense
di quegli atti. Cercherò d’essere sintetico.
Il 28 Giugno 1914 viene assassinato a Sarajevo,
volontariamente e con modalità da vero “agguato” (c’erano una decina di
“postazioni” per sparargli), l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
austriaco, da parte dell’irredentismo serbo.
Le diplomazie accettano di buon
grado che l’Austria abbia diritto ad una vendetta, e fanno sapere a Vienna che
nessuno si opporrà ad una rappresaglia, che potrà anche comprendere
l’occupazione simbolica di Belgrado: insomma, vendicatevi pure, però dopo ve ne
andate.
Ma la diplomazia austriaca
cincischia, perché vuole presentare prove documentate (e non richieste!) prima
di scatenare l’armata: si perde così l’intero mese di Luglio, e la questione
balcanica – dapprima vista come un evento separato – entra a far parte del gran
bordello generale, sovrapponendosi ad altri “irredentismi”, di marca ben
diversa.
Chi sta creando il maggior chiasso?
La diplomazia francese.
La Francia è l’unica ad avere
qualcosa da reclamare: l’Alsazia e la
Lorena, inglobate nell’Impero Germanico con la guerra del
1870. Per questa ragione si muove verso la Russia, cercando di cementare l’irredentismo
francese (a dire il vero, piuttosto blando: quelle regioni, nella Storia,
avevano cambiato di mano almeno quattro volte) con l’irredentismo slavo che sta
friggendo nei Balcani.
Nel mese di Luglio giungono a
Pietrogrado delegazioni francesi, che confabulano con gli omologhi russi, e la
cosa monta: alla fine – siccome la
Russia ha bisogno d’almeno un mese per la mobilitazione
generale – vengono diffuse notizie (vere? false?) su movimenti di truppe
tedesche nella Slesia…insomma, lo Zar si trova di fronte una zuppa belle e
pronta: o inizi a mobilitare, oppure i tedeschi arriveranno alle porte di
Pietrogrado prima che un misero soldatino possa far la guardia alla tua porta.
E lo Zar mobilita: a Parigi, intanto, si continua ad affermare che non c’è
nessuna volontà di guerra in aria (!).
Nel frattempo, Guglielmo e
Francesco Giuseppe s’incontrano al confine, e devono riconoscere che il
problema è grave e li interessa entrambi: l’irredentismo slavo è il nemico
comune, non dell’Italia, che nicchia e chiede Trento e Trieste in cambio della
partecipazione a fianco degli Imperi Centrali: Vienna risponde picche, e
l’Italia si dichiara neutrale.
Negli ultimi giorni di Luglio si
cerca di coinvolgere la Gran Bretagna,
che nicchia: perché dovremmo scendere in guerra per difendere gli slavi e lo
sciovinismo francese? Si noti che la Gran
Bretagna, all’epoca, non aveva nemmeno la coscrizione
obbligatoria: basta la Marina…
Poi, un pensiero drammatico inizia
a percorrere i corridoi della diplomazia inglese: la Francia non è in grado, da
sola, di reggere l’urto delle armate germaniche…perciò i tedeschi occuperanno i
porti atlantici francesi (la 2GM!) e la Grosse Hochseeflotte voluta
da Bismarck sarà un temibile avversario su tutti mari del mondo…se interverremo,
invece, la “confineremo” nel Mare del Nord e non ci darà grattacapi. Così
avvenne.
In ogni modo, la Gran Bretagna tentennò molto e
si decise solo all’ultimo d’intervenire, al punto che gli equipaggi delle navi
francesi della flotta del Nord, quando salparono nella Manica, salutarono mogli
e fidanzate con un addio, certi di non tornare dallo scontro – impari – contro
la flotta tedesca.
Tutti – com’è ovvio per ogni guerra
– immaginavano un conflitto breve: gli inglesi accettarono perché si diceva: “A Natale è tutto finito”.
Insomma, a ben vedere, furono i
francesi a comportarsi in modo levantino, e non altri.
Fine, tragica, di una guerra
Nell’Estate del 1918, ancora non si
sapeva chi avrebbe vinto. Gli eserciti, stremati, andavano all’assalto come
automi, perché sapevano che le sofferenze delle popolazioni erano giunte al
parossismo: dall’eroismo sciovinista degli inizi, alla fame del 1918 che non
conoscevano più da generazioni. Morire era una possibilità accettata: basta che
sia tutto finito, in un modo o nell’altro.
I tedeschi, nell’offensiva di
Primavera, crollarono per primi: così fu deciso il Gran Massacro.
Venne la pace: una pace lugubre,
caliginosa: morivano come mosche i feriti al fronte, mentre crepavano in egual
modo i civili, perseguitati da mille morbi – il principale chiamato “spagnola”
– ma erano tutte malattie che vincevano con poco: erano gli organismi
debilitati da fame, freddo e privazioni per anni ad essere pronti per un altro
massacro “sanitario”.
L’interrogativo degli storici,
giunti a quel punto, è: ne valeva la pena?
Non regge nemmeno la spiegazione
della lotta al bolscevismo come ritorsione sulle popolazioni: a che pro, visto
che tutti gli attori del massacro si ritrovarono, all’indomani, con la cronica
mancanza di braccia per riavviare l’apparato di produzione civile dell’ante
bellum?
Furono gli Stati Uniti a
rabberciare il disastro; il raccolto agricolo del 1918 era andato bene: c’erano
delle eccedenze per soccorrere gli affamati europei. Piccolo particolare: non
c’erano navi per inviare il grano, ci avevano pensato i sommergibili tedeschi.
Così, in quell’atmosfera di
tregenda, le genti piansero di gioia quando videro comparire le prime tradotte
cariche di generi alimentari: addirittura, a Vienna ci fu gran gioia e
riconoscenza (pubblicata a caratteri cubitali sui giornali del tempo), per una
colonna italiana la quale – con aiuti americani – era riuscita a raggiungere
Vienna, la quale – senza produzione agricola per mancanza di braccia – stava
scivolando in una parossistica e desolata morte per fame.
Ma bisognava, in fretta, porre fine
all’emergenza, al (giustificato) bolscevismo che s’espandeva fra le
popolazioni. Riportare indietro le lancette della Storia, far dimenticare
quegli anni di strazi al più presto, tornare alla Belle Epoque. Come se fosse facile: il resto lo conosciamo, la 1GM
richiese un secondo tempo, la 2GM, come ogni film che si rispetti.
Wodroow Wilson e i suoi sogni
Si può tranquillamente affermare
che il presidente americano, catapultato alla Conferenza di Versailles, apparve
a tutti come un marziano. E, in qualche modo, lo era veramente.
Wilson non era un politico
“navigato” – nel senso spregiativo del termine – bensì era un uomo che fidava
sulle capacità degli uomini di saper districare e risolvere le loro
controversie, nel nome del bene comune. Notiamo che nemmeno l’immane tragedia
appena passata – a Parigi gli intossicati dai gas, rientrati nelle loro case,
iniziavano a morire come mosche mentre in Germania era più la fame a mietere
vittime – eppure, i delegati di Versailles si sedettero “in trincea”, pronti a
combattere per ogni metro quadrato da assegnare. Bottino di guerra, vae victis,
come sempre: come se fosse stata Teutoburgo, oppure Canne o Zama.
Wilson racchiuse le sue proposte in
una dichiarazione, detta dei Quattordici Punti (1), fra i quali si prospettava
la non validità diplomatica di tutti gli accordi siglati dalle Nazioni con la
copertura del segreto diplomatico. Ogni accordo doveva essere pubblico e noto
alle popolazioni fino alla punteggiatura. Capì le richieste europee, però
raccomandò loro di non eccedere con le richieste territoriali: ogni popolo
doveva aggregarsi agli Stati che, per Storia e tradizioni, gli erano più
affini.
Libertà assoluta di transito sui
mari e negli stretti, riconoscimento dei diritti delle popolazioni colonizzate,
alla pari con gli interessi dei colonizzatori. Nessun ostracismo verso la
Russia (ora URSS), bensì un atteggiamento conciliante, qualsiasi fosse stata la
forma di governo scelta dai russi.
Gli europei risposero nicchiando –
non potevano prendere a calci chi li stava nutrendo – ma gli sguardi, a
Versailles, raccontavano la medesima storia: ma cosa vuole ‘sto marziano?
E giù con le richieste per la
spiaggia di un fiume, per un isolotto, per un paesetto conteso: finì con
tedeschi che divennero polacchi e italiani, con ungheresi che divennero rumeni
e – ciliegina sulla torta – un bel calderone che tutto conteneva, lo chiamarono
Jugoslavia. Danzica fu la miccia della 2GM, mentre per la Jugoslavia si dovette
giungere alla resa dei conti di fine millennio.
E non contiamo le mille nequizie
che generò la spartizione dell’impero Ottomano: Iraq, Siria, Giordania, Egitto,
Israele, Curdistan…
Eppure, la figura di Wilson, ancora
oggi, non viene accettata come quella di un politico che cercò, nei miasmi di
una guerra finita con vincitori delusi e vinti sconfortati, di gettare un
“ponte” di nuove idee, nuovi propositi, per non finire un’altra volta nei
gironi infernali. Rimane, ad onta di tutto, un sognatore: qualcuno, a denti
stretti, lo dipinge come un idiota da reparto psichiatrico. Wilson morì nel 1924
e il suo destino lo privò della soddisfazione (se vogliamo chiamarla così…) di
poter dire “io lo avevo detto”, quando dal 1939 al 1945 il secondo tempo di
quel massacro dissennato andò in scena.
Wilson parlò anche di Europa:
essendo un americano, ovviamente propose una transizione verso un unico stato
federale, con una banca di Stato, una sola moneta, un solo bilancio…e così via.
Molti europei, all’epoca, erano ancora sudditi di monarchi: fu molto difficile,
per i tempi, comprenderlo. Ce ne rendiamo conto, ma la Storia non fa differenze
se non riesci a capire il volgere degli eventi: come per l’ignoranza della
legge, anche l’ignoranza della Storia non viene ammessa. E dà frutti ben
peggiori.
Tornando all’oggi, dobbiamo “fare
la tara” a quelle vicende di un secolo fa per capire se contengano un monito,
una sentenza, una risposta. C’è, eccome.
Anzitutto dobbiamo ricordare che
gli USA dell’epoca erano sostanzialmente diversi dall’oggi: erano un popolo
orgoglioso delle loro libertà, d’essersi scrollato di dosso il giogo
britannico. Niente di paragonabile all’oggi: sono due “attori” storici completamente
diversi. Com’è pretestuosa ed errata – semplicemente una questione mediatica,
eseguita fidando sull’ignoranza dei popoli (che, purtroppo, esiste) – la
sovrapposizione dell’accordo del 2019 fra Francia e Germania come
“prosecuzione” dell’accordo De Gaulle-Adenauer del 1963. Si fa presto a dire:
l’Unione Europea non esisteva, esisteva invece ancora la Germania-Est, la DDR,
non c’era una moneta comune…insomma…l’unico dato in qualche modo simile è
l’ostracismo francese verso Londra e la velleità, comune, di affrancarsi da
Washington.
La realtà dell’oggi, invece, è ben
diversa: Macron è il politico meno longevo della storia umana, in pochissimi
anni è già finito, bollito, dimenticato e snobbato, in Patria come all’estero.
La Merkel – più esperta – ha compreso che i Gilet Jaune non sono una meteora,
perché la storia francese ci racconta che, in quel Paese, i movimenti popolari
giungono sempre ad una sintesi, ad un compimento. Non c’è neppure più la paura
del Lupo: il “lupo” Le Pen non fa più paura a nessuno, perché – mentre
osservavi e temevi le mosse del Lupo – il Drago europeo ti aveva già bruciato
il sederino.
Di più: la mossa, sprezzante, verso
l’Italia: non considerata, non desiderata, non voluta: esattamente come a
Versailles 1919, quando i nostri politici smisero addirittura di recarsi a
Parigi, schifati e delusi. Il “fronte meridionale” (Italia vs Austria) non ebbe
nemmeno una trattativa separata, fu messo insieme alle questioni secondarie:
Balcani, Dardanelli, Turchia, colonie, ecc.
Perciò, a Berlino, già si considera
l’Italia come un avversario, un Paese che fa ancora parte dell’UE per comodità
d’uso – diciamo così – ma senza più voce in capitolo. Se mai l’ha avuta.
In definitiva, la mossa tedesca è
soltanto un “salviamo il salvabile” della Francia, finché si può: il mezzo,
però, ci sembra assai inusuale ed inopportuno.
Ci sono parecchi motivi a rendere
incomprensibile e disperata questa mossa.
Il primo è la questione del seggio
all’ONU: i seggi permanenti del Consiglio di Sicurezza sono, di diritto, delle
nazioni che vinsero la 2GM. Chi va a dirlo a Trump? Alla Cina? A Putin? Alla
May? Credono forse, i due fringuelli di Aquisgrana, che stendano loro un
tappeto rosso? Ma sì…entri pure signora Merkel..ehi! Aggiungi un posto a
tavola! No, stavolta il francese non viene…Roba da dilettanti della diplomazia.
Il secondo riguarda l’arma nucleare:
a dire il vero, nel trattato appena firmato la questione non è chiara, è appena
sfumata. Veramente, i francesi, “regaleranno” l’arma atomica agli odiati sale
boches? E la Germania sarà la prima fra le nazioni “di peso” ad infrangere i
trattati di non proliferazione nucleare? L’ONU emetterà sanzioni contro la
Germania? Le portaerei americani stazioneranno nel Baltico, per sorvegliare se
la Germania di Hitl…pardon…della Merkel si metterà ad arricchire l’Uranio per
le bombe? Ma non facciamo ridere, per piacere!
Per le questioni europee, da oggi,
sarà identico rivolgersi a Parigi o a Berlino? L’unione fa la forza? E quale
forza, di grazia?
Restiamo coi piedi per terra,
Macron se la sta facendo sotto: non bastano le barricate dei Gilet Jaune,
adesso raccontano anche che è un colonialista, con il suo bel Franco Africano!
La Merkel, pure lei nei guai fino al collo in politica interna, non sa più a
che santo votarsi: e allora? Facciamola fuori dal vaso con una NOTIZIONA!
Francia e Germania si fondono in un unico stato! D’ora in avanti, tutti i
populisti se la vedranno con noi! Nomineremo la Francia nostra fornitrice
ufficiale per la componentistica industriale…ehm, prima dovremo comprarle le
fabbriche, perché non le ha…e chiudere quelle italiane, rumene,
ungheresi…acc…che guaio…
La Germania sconta, oggi,
l’inazione europea, dalle due presidenze Barroso a quella di Juncker: 15 anni
di democrazia sospesa, in Europa. Al fallimento di una Unione “iniziata” con la
moneta unica non hanno niente da dire: è andata così…fatevene una ragione…
In mezzo a tutto questo marasma,
Wilson, dall’oltretomba, è tornato a parlare.
A Davos è tornato a parlare di
disuguaglianze, del farraginoso funzionamento delle istituzioni europee, della
necessità di cambiare radicalmente la struttura verticistica dell’Unione
Europea. Lo ha fatto con rispetto ed aplomb britannico, ma era un italiano,
tale Conte.
Conte ha messo il dito proprio
sulle inefficienze europee, sugli enormi cedimenti nei confronti del capitale
(soprattutto finanziario) e sugli assordanti silenzi sul fronte del lavoro e
dei diritti sociali. E la verità, quando compare inaspettata, magari non vince
subito, ma si fa sentire meglio degli inganni.
Come ho già detto, non credo un
acca della vicenda di Aquisgrana: a Washington, Mosca, Londra e Pechino se la
ridono della grossa, e il generale De Gaulle prenderebbe a calcinculo Macron
come un idiota di paese.
Bene ha fatto Conte a porre nel piatto
delle questioni vere e sostanziali, contro l’aria fritta dei due folletti di
Aquisgrana, e – dopo tantissimi anni – sono orgoglioso del mio presidente del
Consiglio.
Un uomo semplice, un parvenu della
politica, magari snobbato e deriso come Wilson, che però ha avuto il coraggio
di guardare in faccia la mefitica feccia di Juncker & soci, urlando loro in
faccia una verità che, oggi, non si può più negare: il Re è nudo!