26 marzo 2014

In morte di Silvio


No, non si tratta di una boutade sul Silvio nazionale: qui è morto davvero un Silvio – lo abbiamo seppellito Domenica scorsa – ma non c’entra niente con la politica (almeno, quella che è definita tale) né col teatrino dei Pupi di tutti i giorni. La sua è una storia seria, di quelle che ci consentono – ricordandolo – d’aggiornare un poco ciò che sta succedendo alla centrale Tirreno Power di Vado Ligure, quella di Suez e De Benedetti. Quella di Sorgenia, dalla quale avrete ricevuto senz’altro le telefonate che vi parlavano di “energia pulita”.


E ci consentono anche di porre un parallelo fra le tesi di Jared Diamond nel suo magistrale “Armi, acciaio e malattie” – il quale, insieme ai libri di Huitzinga o di Carlo Maria Cipolla, tanto per citare due storici che hanno affrontato sotto l’aspetto storiografico, più settorialmente, cultura e tecnologia è diventato una pietra miliare della ricerca storica – ed i nostri tempi. Ma torniamo a Silvio.



Silvio aveva 58 anni, di professione saldatore e tubista: per tutta la vita ha lavorato sotto impresa, ossia quelle imprese di manutenzione che si occupano di tutto il “marcio”, di tutto il peggio che c’è da fare nelle aziende. E’ morto per un cancro alla laringe: fumava, si dirà, ma dopo aver descritto gli ambienti di lavoro nei quali visse quel “fumava” rispediamolo pure ad Enrico Bondi, che incolpava delle tragedie successe non l’ILVA, bensì a Taranto, rea d’essere una città di beoni e fumatori.

Qui parliamo d’aziende chimiche e dell’energia: settori che non hanno molti dipendenti per unità di prodotto, giacché il sistema deve essere automatizzato per ragioni di costi, mica per chi ci vive dentro. Di quel “particolare” – a lor signori – non frega una mazza: tanto, hanno soldi per bravi avvocati ed i giudici sono sempre indulgenti quando si tratta di “produrre”.



Mettiamo subito in chiaro un punto, prima di procedere: gli imprenditori sapevano e sanno benissimo quali sono i rischi per i lavoratori, non ignorano mai. Solo ai processi si discolpano: “a loro insaputa”, sempre così.

Tanto che alla famigerata IPCA di Ciriè – forse la prima fabbrica di coloranti (nata nel 1922) dove, nel dopoguerra, si riuscì ad imbastire un processo – saltò fuori che il figlio del padrone s’era avvicinato ad un bollitore (un semplice pentolone) dove un operaio rimestava chissà quale schifezza. Il padre lo notò e gli urlò “Sta via da lì, che quella roba ti fa venire il cancro”. E’ agli atti del processo.



Silvio lavorò nel “peggio” che si possa immaginare: l’ACNA di Cengio (SV), la Stoppani (nulla a che vedere con l’attuale colorificio) di Cogoleto (GE) e molte raffinerie che sorgono alle spalle di Genova, nell’area di Busalla.

All’ACNA di Cengio – raccontava – t’accorgevi che c’era necessità di riparare un tubo perché gocciolava a terra: peccato che, in quel tubo, scorresse acido solforico concentrato e caldo. Stava a te scansare le gocce, altrimenti...un bel buco in testa. Pardon, lì c’era il casco (!): sulle braccia, su una coscia...e chi aveva le tute antiacido?

Ma i veri killer silenziosi erano le naftil-ammine, le quali (è provato) provocano il cancro alla vescica: ancora oggi, dopo una bonifica durata anni, a 17 metri nel sottosuolo si trovano “strati” (esattamente come quelli geologici) di giallo, rosso, blu...



La Stoppani era, invece, un’industria che aveva un merito: l’acqua di mare di fronte a Cogoleto era batteriologicamente pura, come un laghetto di montagna. Non un misero Escherichia Coli che riuscisse a sopravvivere. La fabbrica produceva sali di Cromo esavalente partendo dal Cromo trivalente: vi lascio immaginare i colori degli scarichi a mare...a volte verdi, altre gialli, altre ancora di un bel arancione carico.

Gli operai? Riparavano, saldavano, smontavano e montavano tubi e raccordi in mezzo a quella melma colorata. Ah già, ma Silvio fumava...



A Busalla, c’erano sempre torri di distillazione da riparare: le cosiddette “torri a piatti”, le quali si consumano e si rompono. Aperto un portello, toccava a Silvio entrare in quel ambiente buio e cercare la perdita, la flangia...e saldare senza, ovviamente, tute di protezione ad alta resistenza.

Non voglio andare oltre: immagino che il lettore si sia già reso conto del contesto lavorativo di Silvio.



Le vicende della Eternit di Casale Monferrato, dell’ILVA di Taranto, dell’ACNA di Cengio e di Cesano Maderno (MI), ecc – dove vidi personalmente insaccare i terribili coloranti a base di acido solfanilico e beta-naftilammina con le pale: il colorante scendeva in polvere dal soffitto! Manco un’insacchettatrice automatica! L’anno dopo, saremmo scesi sulla Luna ed a Cesano Maderno non sapevano che esistevano i sistemi automatici? – conducono ad una sola conclusione: sanno benissimo che lì ammazzano la gente, e lo fanno scientemente.



Con l’industria energetica, invece, i veleni valicano i confini del “lager” e si spandono fra la popolazione: è il caso di Vado Ligure e di Porto Tolle. Ma anche di Civitavecchia, con la sua centrale “modernizzata” per il carbone.

Qui a Savona, l’azienda si difende (trovando un po’ di “spalla” nei sindacati) affermando che tutto è già stato fatto (rinnovati i controlli delle emissioni? Così in fretta? Tutto a posto?) ma, per ora, l’impianto resta fermo: i magistrati non ci credono. Lupus in fabula, negli stessi giorni il consiglio regionale ligure nega l’autorizzazione alla costruzione di alcune torri eoliche: impatto ambientale, niente da fare. La centrale va riaperta, tutti sussurrano a telecamere spente: e i morti? Continueranno come prima.



Mi riprometto di scrivere qualcosa di più specifico su questa ed altre vicende accadute in Liguria in questi anni – vicende che mi hanno visto testimone ed anche attore – ma oggi è un altro punto che desidero toccare.

E se queste morti fossero pianificate?



Mi ha molto colpito la notizia che ai macchinisti delle ferrovie è stato revocato il “privilegio” d’essere messi in pensione a 58 anni: andranno a 67, come tutti gli altri. Peccato che l’aspettativa di vita della categoria sia di 65 anni (1): un altro omicidio di massa. Intanto, Moretti blatera che potrebbe andarsene all’estero: ma chi lo tiene? In ogni modo, non è questo il problema.



In Italia ci sono circa 3-4 morti per il lavoro il giorno (2), questo lo sappiamo, ma non tutti sanno il dato degli invalidi permanenti: 25.000 l’anno. Un esercito.

E le malattie professionali?



Di certo si sa che l’asbestosi e la silicosi compaiono anche dopo 40 anni, ma sono tutte le nuove tecnopatie la vera “ultima Thule”, la frontiera della quale sappiamo pochissimo. Sappiamo solo che la gente sta male, di corpo e di mente.

Nell’agricoltura – ad esempio – aumentano molto i tumori: a causa dei sempre più specializzati fitofarmaci? Un caro amico è morto, molto tempo fa, con la pelle a brandelli a 33 anni: lavorava nelle serre.



Perché tanto silenzio intorno a questi fattori che ci decimano? All’estero, le aziende fanno a gara nell’esporre cartelli con scritto “Qui non avviene più un incidente sul lavoro dal...”: ne fanno un punto d’onore.

Con la riforma Fornero è stata spostata molto in là l’età della pensione: in effetti, un tempo c’era la quasi certezza d’arrivarci. Oggi, è solo una probabilità.

Il secondo passo è proprio fare in modo che meno persone possibile c’arrivino. Il terzo (nelle mire odierne di Cottarelli) è la diminuzione o la dismissione delle pensioni di reversibilità.



Operiamo un parallelo fra la situazione di circa vent’anni fa: pensione a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne, reversibilità dell’assegno per la quasi totalità in caso di morte del coniuge, pagamento del TFR/TFS dopo pochi mesi.

Oggi: pensione a 65-67 anni, reversibilità dell’assegno (sempre in caso di morte) per circa il 60% massimo (ma dipende dai redditi ed è già nelle mire di Cottarelli colpirle), pagamento del TFR/TFS dopo 2 anni e mezzo. Per chi riesce a prenderlo: cosa prenderanno i lavoratori d’aziende fallite che hanno perso il lavoro?

Questo per chi ancora ha/aveva un contratto a tempo indeterminato: per chi è precario (di varia natura) tutti i condizionali sono d’obbligo.

Sintesi: questo significa ammazzare un Paese, anzi, i suoi abitanti.



Nel 1990 la popolazione italiana era ancora in crescita: è un indicatore importante, misura la fiducia nel futuro di un popolo. Oggi, viene mantenuta artificiosamente intorno ai 60 milioni immettendo immigrati, ma la realtà è cruda: storicamente parlando, il popolo italiano è in via d’estinzione.

Così è per Spagna, Portogallo, Italia e Grecia: Paesi decretati inutili, da eliminare. Anzi, no: popoli da eliminare.



Jared Diamond racconta la verità quando afferma che il 95% degli indigeni americani ammazzati non fu massacrata con le armi da fuoco: furono le malattie ad ucciderle. Gli europei erano più avvezzi, e da più lungo tempo, a convivere con molti animali domestici (che avevano “passato” le malattie all’uomo): il contatto fu, ovviamente, fatale per popolazioni sprovviste di anticorpi.

Quali sono gli anticorpi che ci mancano per vivere in questa Europa? Come ben sappiamo, i popoli del Nord ci disprezzano per il nostro (a loro dire) lassismo.

Non si tratta di anticorpi biologici, bensì culturali: andiamo a cercarli.



Il primo è la riforma protestante (difatti, le aree cattoliche, nel Nord, arrancano) poiché santifica la ricchezza, la considera un dono di Dio. Il cattolicesimo ha avuto, in questo senso, un atteggiamento ambiguo: ha lasciato correre la ricchezza per qualcuno (e continua a farlo) ma, sostanzialmente, è rimasto radicato al detto che “dei poveri è il Regno dei Cieli”, più ammennicoli vari che parlavano di canapi e di aghi.

La vittoria culturale in economia del Protestantesimo (si pensi alla Amsterdam del XVII secolo, alla Lega Anseatica oppure, più vicini a noi, ai WASP statunitensi), e poi dell’ebraismo – molto simile sui temi economici – era ed è scontata: chi li ferma più?



Il secondo è rappresentato dall’enorme ritardo delle banche d’affari: mentre nel Nord erano presenti da secoli, qui da noi esisteva solo Mediobanca e poco altro. Quando anche le altre banche furono trasformate in S.p.A., concepirono il “nuovo” come un rapporto stretto e durevole con il potere: insomma, si passò dal “salotto buono” milanese con gli Agnelli, i Pirelli e poco altro ad un allargamento, ma solo qualitativo, mai quantitativo. Ciò spiega perché la piccola industria italiana sia sempre nei triboli per cercare finanziamenti, mentre i boiardi di Stato od i privati che si associano navighino nella finanza a gonfie vele. Cosa sono, le banche d’affari dello Stato Pontificio? Chi ha una buona idea, difatti, non si rivolge ad una banca d’affari italiana: va all’estero. Notiamo che l’andazzo non è solo d’oggi: lo scandalo della Banca Romana è datato 1892.



Il terzo è il sistema giuridico: l’habeas corpus entrò a far parte del sistema giuridico anglosassone nel 1215 con la Magna Charta: in Italia, s’imprigiona Cucchi e lo si ammazza, per poi affermare che la legge – sulla base della quale era stato arrestato – era incostituzionale.



Il quarto è la negazione del progresso, quando questo cammino significhi maggior democrazia: è il caso della Rete, dove scontiamo ritardi epocali. Mentre nel Nord si pensa ad incrementare e diversificare le potenzialità della Rete, qui da noi si continuano a studiare leggi per tappare la bocca ai blog.



Il quinto è la sottovalutazione della cultura e della lingua: da noi, un celebre ministro dell’economia affermò che “con la cultura non si mangia”. E’ assolutamente falso. Operiamo un parallelo fra l’attività del Goethe Institut e la parallela istituzione italiana, la “Dante Alighieri”: il primo è, dal dopoguerra, veicolo d’espansione culturale (e non solo) germanica nel pianeta ed i tedeschi non badano a finanziamenti. Le due lingue (tedesco ed italiano) per bacino d’utenza sono quasi equipollenti, l’effettiva espansione della lingua nel mondo è, però, molto diversa. Già, ma è notizia di questi giorni che alla “Dante Alighieri” s’assumeva in nero (cosa risaputa da anni), ed a volte l’istituzione diventava solo terra di conquista di voti (soprattutto dopo la legge sul voto degli italiani all’estero, che ci ha regalato fior di politici come Razzi), con i fondi per gli insegnanti “mangiati” sotto varie forme, nepotismi, ecc.



Riassumendo, un abitante del Nord è rafforzato dalla sua religione, che non gli genera sensi di colpa se s’arricchisce, da secoli sa di poter contare su un sistema finanziario dinamico e sicuro, sposa il progresso ogni volta che lo ritiene conveniente, sa di vivere in un sistema di regole certe ed è accettato ovunque come portatore di cultura.



Un abitante del Sud Europa, invece, se pratica il prestito a tasso d’interesse (in teoria) sa di perdere la vita eterna, se non ha un nome od un blasone non riceve finanziamenti per le sue idee, viene bastonato alla prima occasione sfortunata da una giustizia (?) a volte incomprensibile e sempre di parte, se si lamenta sul Web può essere perseguitato e, quando va all’estero, lo chiamano “pizza e mandolino”, oppure “berlusconi”.



Attenzione: in questi pochi punti non si dà nessun giudizio d’ordine etico e, soprattutto, morale. E’ semplicemente una questione evolutiva per accertare chi sia più “adatto” ad affrontare la modernità. E non si dà nemmeno un giudizio sulla modernità: i perdenti Oglala ebbero centomila volte più “moralità” degli schifosi Washicu, ma finirono nelle riserve.



Questo ci spiega perché in Italia esistano “i” Silvio, che muoiono di cancro perché “è il Fato” e, ogni giorno che passa, in tre/quattro famiglie si piange la morte per lavoro del padre, spesso unica fonte di reddito, oppure si crede che quella di Cucchi sia stata una “terribile fatalità”, o ancora che noi siamo “razzialmente inferiori” ai nordici...tutte storie senza fondamento...in realtà, dobbiamo prendercela solo con la nostra incapacità di guardare con onestà il nostro modo di vivere e di chiederci: è meglio vivere “all’italiana”? E come si può riuscire? Già, ma per un simile dibattito servirebbero dei veri intellettuali: quelli che si ritengono tali, in Italia, vanno ai talk show, ridacchiano e cercano solo visibilità e soldi.



Jared Diamond pone un curioso discrimine per la schiavitù: non presente nelle società più primitive. poiché tutti i componenti erano legati da rapporti familiari o di conoscenza (come nella tribù), ma già presente nei piccoli regni (quelli che definiamo “re pastori”, oppure chefferie in francese). La non-conoscenza dell’altro – ed i vantaggi che lo schiavo procura – fanno passare in secondo piano le remore sulla “proprietà” di un essere umano.

Immaginiamo ora un grande stato sopranazionale, dove le singole parti – per secoli – non hanno fatto altro che combattersi per la supremazia: secondo voi, hanno remore a rendere schiave altre popolazioni?

Non le renderanno schiave nel senso tradizionale del termine, ma ciò che è avvenuto ed avviene in Grecia denota già un potere schiavista: nessuno è stato mosso da pietà per le migliaia di suicidi greci, per la fame dilagante, per la mancanza della più elementare protezione sociale.



Furio Colombo, dalle pagine de “Il Fatto Quotidiano” (3), si domanda come mai la Francia stia “precipitando” nel voto alla destra di Marine le Pen senza trovare altre soluzioni. Riesce a darsela da solo la risposta oppure dobbiamo fargli un disegnino? Chi crede ancora in questa Europa? Poi, ciascuno farà le proprie scelte e, quando ci sarà un Parlamento europeo spaccato in due parti, saranno cavoli amari per Barroso & Co.

Siamo d’accordo che è un voto “tanto peggio, tanto meglio” (in Francia, il Fronte Nazionale ha dimostrato in passato di non saper governare le realtà locali e fu punito col voto, ma la disperazione cresce e l’odio per l’Europa non trova altri sfoghi): ciò indica quanto i francesi desiderino inviare un messaggio di disapprovazione al governo. Marine le Pen non vincerà le elezioni europee, però lascerà una situazione d’ingovernabilità nel Paese: inizia la china discendente anche per la Francia (Paese in realtà ateo, ma ufficialmente “cattolico”), mentre la Germania pensa già all’Ucraina.

Insomma: possiamo rimanere od uscire dall’euro, ma il futuro riposa nel passato, non scordiamolo.



Eppure, fummo dei veri e propri precursori, in molti campi. I banchieri fiorentini, nel 1300, finanziarono la Guerra dei Cent’anni (dalla parte inglese) e presero una batosta economica terribile: il re Enrico II promise molto (come sempre, “sarà una guerra breve”) ma i suoi successori non resero un soldo. Ebbene, già nel 1492 i banchieri fiorentini finanziarono l’acquisto (tramite Amerigo Vespucci) della Santa Maria di Colombo, che non era di proprietà del Re di Spagna, ma la Spagna ebbe l’impero. Sfortuna?

No, la mancanza di uno stato unitario quando ci si poteva ancora imporre nello scenario mondiale e, infine, una pessima (è ancora poco...) gestione dell’Unità, che non andrebbe ricordata, bensì criticata e – se possibile – corretta. Dopo l’Unità, acquisita militarmente – a differenza dello Zollverein tedesco – l’incapacità di gestire uno stato: le gerarchie cattoliche tornarono ad imporsi nel 1929, e fu la fine.



A fronte di queste, poche riflessioni la questione dell’Europa appare sullo sfondo: minuscola, miserrima se confrontata al coacervo di cause storiche che ci circondano. Restiamo? Faremo i servi. Ce ne andiamo? Ci massacreranno economicamente. La Storia non ammette errori, questa è la triste sentenza.



(1) http://www.zappingrivista.it/primo/articolo.php?nn=7199

(2) http://www.jobtel.it/infortuni-sul-lavoro/

(3) http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/25/elezioni-francia-il-disastro-calmo/925453/

3 commenti:

Eli ha detto...


Un altro nominativo da inserire nel testo mancante del genere umano: il Libro Nero del capitalismo, il libro mai scritto e che mai nessuno scriverà, perché impossibile sarebbe enumerare i milioni di morti caduti in nome del profitto e dell'indifferenza ambientale.
A Silvio va un pensiero gentile e tenero, che lo accompagni nel suo viaggio verso il Nirvana, affinché queste vittime non restino senza memoria.

Eli ha detto...



L'ennesimo piazzista!

Qualche giorno fa, la bandiera americana issata sul Quirinale era inquietante e rivelatrice della nostra sudditanza.

"La pace ha un costo", si è esibito il piazzista di shale gas ed F35 con questa frase infelice e per niente storica.

"Sì, caro Barack Obush, ma noi sono settant'anni che paghiamo!!! E' ora di darci un taglio". Anche la riconoscenza ha un limite.
E poi, la riconoscenza che si trasforma in sudditanza a casa mia si chiama "carità pelosa".

Ciao. Eli

doc ha detto...

Non ci sono dubbi:la Ue è una specie di consorzio, o anche una attuale coop-onlus, ove chi sta sopra ottiene gli utili e chi sta sotto viene convinto che è giusto sacrificarsi.

E quando in una simile situazione, come quella italiota, viene a mancare la figura, socialmente determinante, dell'intellettuale allora solo una catarsi generale, rigeneratrice di una etica pre politica può salvarci da questi pezzenti della verità.
Doc