13 febbraio 2011

Secondo copione


La creazione di una nuova forma di società al posto di quella attuale non è più solo qualcosa di desiderabile ma è diventata inevitabile. E sempre più numerose e più potenti diventano le schiere dei lavoratori nullatenenti, per i quali il modo di produzione odierno è diventato insopportabile, che non hanno nulla da perdere dal suo crollo ma tutto da guadagnare, che devono introdurre una nuova forma di società corrispondente ai loro interessi se non vogliono soccombere del tutto – e con loro però anche l’intera società di cui formano la componente più importante.”
Dal “Programma di Erfurt” – 1891.


Da piazza Tahir

Come era prevedibile, dopo un lungo tira e molla che aveva il solo scopo di garantire un futuro privo di sorprese per Hosni Mubarak e la sua famiglia, il faraone ha deposto il bastone pastorale ed il flagello. L’esercito è stato rassicurato dalle parole di Obama – “disposti ad aiutare l'Egitto in ogni modo”[1] – che, tradotto dalle roboanti affermazioni di facciata al più pragmatico linguaggio dei dané, significa che gli USA continueranno a sostenere la casta militare egiziana, al tintinnante suono di miliardi di dollari l’anno.
Potrà stupire che una sommossa popolare così lunga e sanguinosa sia terminata, in fin dei conti, con il passaggio del potere nelle mani del dell'Alto Consiglio delle Forze armate, alla testa del quale c’è Mohamed Tantawi, il grado più elevato nelle Forze Armate Egiziane. Tantawi ha il rango di Mareşal che gli deriva dalla tradizione dell’Impero Ottomano, “occidentalizzato” con un “Field” o “Feld” che dir si voglia.
Insomma, il potere è ora nelle mani dell’Esercito.

Anche questa apparente stranezza – in Occidente sarebbe più un golpe – trova la sua spiegazione con la tradizione Ottomana, prima e dopo Ataturk: ho sempre ricordato che l’Impero Ottomano – diluitosi fino a scomparire, in silenzio, al termine della Prima Guerra Mondiale – è un “animale addormentato” della Storia, che continua ancora oggi a sopravvivere in queste apparenti “tradizioni”, poiché l’Impero Ottomano fu l’unica[2] grande entità imperiale e multiculturale sviluppata da un Paese musulmano.
Nell’Impero Ottomano – e forse ancor più dopo la riforma di Ataturk nella Turchia Moderna – l’esercito è sempre stato l’ago della bilancia dei mutamenti interni ed internazionali: come ricordavo in un precedente articolo – Tutto può succedere. O niente.[3] – anche il violento assalto alla Freedom Flotilla da parte d’Israele s’inquadrava nel tentativo di far insorgere la “casta” militare turca – i cosiddetti Dunmeh[4] – contro il legittimo governo. Ovviamente, nel tentativo di favorire la politica israeliana e di frenare il riavvicinamento turco alla Siria ed all’Iran.
Oggi, invece, Israele tace.

C’è solo una breve dichiarazione di ex ambasciatore israeliano al Cairo, Zvi Mazel: “Gli Stati Uniti hanno perso oggi la maggior parte della loro influenza nella regione”. Tutti gli altri si sono defilati: è Sabato, non si parla. A nostro avviso, parole pronunciate in fretta ed a vanvera. Perché?
Poiché gli USA hanno ancora in mano i cordoni della borsa – certo, non è più la borsa di un tempo – ed i militari egiziani – l’Egitto stesso – hanno bisogno di quei soldi per puntellare un’economia che non è certo florida.
Anche all’interno dell’esercito egiziano, però, sono avvenuti cambiamenti: come non ci fu sollevazione militare in Turchia contro il governo dopo l’assalto alla Freedom Flotilla, oggi gli ufficiali egiziani hanno preferito non mettersi contro la popolazione e gli USA per far piacere, in fin dei conti, solo ad un rais 82enne ed a Tel Aviv.
Cosa è cambiato?

La consapevolezza che non si può governare indefinitamente contro la popolazione, e questo è il grande merito dei giovani egiziani, i quali hanno pagato un tributo di sangue non indifferente per convincere l’esercito che, finalmente, era ora di “staccare la spina” a quell’ectoplasma vivente di nome Mubarak.
Non nascondiamo, però, che dietro la possente rivolta egiziana hanno giocato e giocano ragioni internazionali: gli USA sono sempre gli USA, ma Obama non è Bush.
Come ricordavo in un precedente articolo – Apparentemente[5] – Obama non ha per nulla gradito gli appoggi di Tel Aviv al movimento dei “tea party” – a lui ostile – che gli hanno fatto perdere le elezioni di medio termine.
Comprendendo che, se non metteva un freno alle potenti lobbies israeliane negli USA poteva dar addio ad una possibile rielezione nel 2012, ha agito di conseguenza.

Oggi, al contrario di quanto afferma l’oscuro funzionario israeliano, gli USA non hanno proprio perso nulla nella regione: anzi, hanno guadagnato – agli occhi degli egiziani, ma anche oltre i confini del Nilo – l’alone di chi appoggia la democrazia senza esportarla con i bombardieri. Con un diverso agire, hanno riproposto lo schema che fu di Suez nel 1956, laddove estromisero le ex potenze coloniali Francia e Gran Bretagna: oggi, è toccato alla troppa ingerenza d’Israele.
La mossa diplomatica statunitense è stata dunque un successo: ciò non significa affatto che Israele sarà abbandonato al suo destino e che al Cairo s’insedierà un regime islamico, il quale pretenderà la cancellazione d’Israele, bensì che ogni mossa in quello scenario dovrà, in futuro, essere attentamente proposta da Tel Aviv e sempre mediata da Washington.
Gli insediamenti nel West Bank, ad esempio, ma anche l’infinita querelle sul nucleare iraniano: Obama, per cercare di salvare il suo Paese da una povertà che sta diventando endemica, deve varare una fase isolazionista (tipica delle amministrazioni democratiche) che gli consentirà risparmi sul fronte della politica estera. In sintesi: meno Iraq, meno Afghanistan e, meno che mai, un Iran.

Oggi è troppo presto per capire “cosa” diventerà il nuovo Egitto: se con Sadat terminò il “nasserismo”, con l’addio di Mubarak è terminata senz’altro la fase di restaurazione dal nasserismo. I desideri degli USA sappiamo quali sono: trionfo del “Mercato”, libertà d’impresa (e di profitto) e sottomissione alle grandi scelte strategiche targate USA.
Le speranze della popolazione egiziana sappiamo che sono una democrazia vera, senza carceri di regime, ed un’economia più attenta alle esigenze di larghi strati della popolazione.
Entrambi gli obiettivi sono – in parziale misura – a portata di mano e, senz’altro, la percezione che ne avrà la popolazione sarà di un miglioramento, almeno nella fase iniziale del processo: oltre – ad esempio, esplorare quale peso sarà concesso alla Fratellanza Musulmana nel Paese – è oggi più materia per indovini che per analisti.

La diplomazia statunitense ha dunque centrato il suo obiettivo, ma – nello scenario mediterraneo – non è certo finita qui.
Dubitiamo che le rivolte in Nord Africa potranno estendersi a Paesi come l’Algeria (metano, Francia, timore di un vero regime islamico), Libia (scarsa popolazione, petrolio in abbondanza, regime meno compromesso) e Marocco (emigrazione come valvola di sfogo, casa regnante ben posizionata nella società marocchina), però esiste un altro Paese in bilico, questa volta sull’altra sponda. E’ l’Italia.

Da Piazza Navona

Per comprendere quanto siano freddi i rapporti fra Roma e Washington, basta riflettere sulla frequenza delle visite diplomatiche, lasciando pure in un cantuccio le rivelazioni di Wikileaks.
Domandiamoci perché Obama non è mai venuto in visita ufficiale in Italia – G8 a parte – mentre ha visitato le altre capitali europee. L’unico incontro alla Casa Bianca fra Obama e Berlusconi è datato 2009 e durò una manciata di minuti, nei quali il Presidente USA parlò quasi ininterrottamente e, con l’aria dello scolaretto che l’ha fatta grossa – “Obama abbronzato” – Berlusconi se ne stette in silenzio ad ascoltare[6].
Ci sono, senza ombra di dubbio, questioni concrete come l’appoggio di Berlusconi a Putin – che non è certo disinteressato, per l’Italia (sicurezza negli approvvigionamenti) e personale (appoggio o “silenzio assenso” internazionale, probabili “affari” energetici) – e l’infinita querelle dei gasdotti. Ma c’è dell’altro.
L’appoggio incondizionato che Berlusconi fornì all’amministrazione Bush è ancora oggi mal visto a Washington e, nei think tank che contano, il premier italiano è considerato inaffidabile, persona poco gradita.
Veniamo, allora, alla situazione italiana.

Ad ogni, nuova boutade del Presidente del Consiglio, il Presidente Napolitano risponde[7] con la minaccia d’applicare l’art. 88 della Costituzione:

“Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tali facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato.”

Berlusconi si trova, però, in un cul de sac generato dalle precise e gravi accuse formulate dai giudici milanesi: concussione, abuso di potere, sfruttamento della prostituzione minorile. E, probabilmente, il ventaglio delle accuse che potranno essere provate s’arricchirà.
Come può rispondere?

Andare in giudizio sarebbe un suicidio: al termine – pur cercando di creare un clima da “Il Caimano” (paradossale: Berlusconi che deve imparare da Moretti!) – ne ricaverebbe soltanto una condanna e l’interdizione dai pubblici uffici.
Deve mostrare di non arrendersi, ed è costretto a sganciare sulla politica italiana la Ferrara-bomb[8]: roba da ultima spiaggia. Oppure, ordinare alla sotto-sottotenente Santanché di guidare un manipolo d’irriducibili di fronte al Tribunale di Milano: 150 persone che hanno finito per prendersi soltanto degli insulti. Già che c’era, poteva ordinare alla “Force Blue”, comandata dal sotto-guardiamarina Briatore, di risalire il Po con la sua nave da battaglia. Ah, già: la nave è sotto sequestro.
Insomma: le forze in campo sono scarse, le tanto evocate”piazze” finiscono per assomigliare alle “ridotte della Valtellina” del giorno che fu. E il giorno dopo fu Dongo.

Sul fronte parlamentare, bisogna rassicurare i cosiddetti “Responsabili”: gente che è stata “responsabilizzata” con argomenti politicamente profondi e sicuramente coinvolgenti, i 150.000 euro del mutuo di Razzi ed i 200.000 del debito di Scillipoti. O no?
Gente affidabile, dunque, fino alla prossima rata: gente che ha preso il Parlamento come un dispensatore di stipendi e pensioni e che quando la Legislatura finirà – giacché hanno più di 60 anni – si godrà una bella pensione d’almeno 3.000 euro il mese alla faccia vostra, nostra e pure di Berlusconi. Vatti a fidare.

L’ultima chance è mettere al lavoro i suoi avvocati – Ghedini e Alfano – per mettere insieme una bella riforma della Giustizia che consenta, questa volta, di de-rubricare reati come il falso, la concussione, l’abuso di potere e la prostituzione minorile.
Ma, qui, c’è l’altolà del Colle: se non proprio a Dongo, Berlusconi è già sulla via di Como.
Fanfaluche?

Per riuscire in una simile operazione, è necessario che le persone non caschino nell’inganno che Berlusconi è un perseguitato – vere o false che siano le accuse, più o meno gravi, ecc – e, perciò, bisogna mantenere alto l’interesse sulle sue vicende “privé”: qui, da noi, non s’ha il coraggio d’affrontare le fucilate in piazza come al Cairo, questo lo sanno anche oltreoceano.
A questo pensa un gruppo editoriale che si spaccia per “equanime”, ma che tanto neutrale non è: De Benedetti aspetta un rimborso di 700 milioni di euro per la faccenda Mondadori, e non ha né il tempo e né la voglia d’attendere che Berlusconi abbia la possibilità di corrompere qualche giudice o di farsi la solita leggina ad personam.
Molti italiani, però, sanno che ci sono anche vicende del passato, vecchie ruggini fra il gruppo Repubblica/Espresso a confondere le acque e potrebbero insospettirsi per il clamore che ogni giorno si solleva da quelle pagine.
Allora?

Beh, intanto si chiede la visione su RAI3 dei minuti finali de “Il Caimano” di Nanni Moretti (film per il quale la RAI pagò 1,5 milioni di euro per i diritti, e che mai trasmise), quelli nei quali il regista romano mostra d’aver visto anzitempo il futuro, e non solo per le parole messe in bocca al fantomatico “Caimano”. Disse anche, a Piazza Navona, rivolto a Fassino, Rutelli & Co: “con questi uomini non vinceremo mai”, e glielo disse sulla faccia. Doppio centro.
Ma, si sa, RAI3 è un regno di comunisti assassini, con la bava alla bocca ed i kriss insanguinati pronti per colpire il Dio dell’Amore, Nobile Cavalier da Arcore.
Che si fa?

Come, suppongo, molti di voi, ho riso parecchio nel guardare la bellissima parodia di Grease creata dalla “Sora Cesira”: se qualcuno non l’ha vista, il collegamento è in nota[9].
Già che ci siete, date un’occhiata agli altri video del sito: sono veramente belli ed originali. Certo, testimoniano una preparazione professionale e dei mezzi mica da poco: pianoforti a coda, teatri, ecc. Anche, però, la disponibilità dei diritti per “storpiare” un film coperto da copyright.
La Sora Cesira ha dichiarato che il lavoro l’ha fatto soltanto lei, con l’aiuto di un assistente[10]:

“Abbiamo registrato e montato il video con il mio assistente per divertirci, poi un giorno che ero a casa con l’influenza l’ho pubblicato. E ha fatto il botto. Una cosa che ha stupito anche me.”

Ci permettiamo, grazie a qualche conoscenza musicale che abbiamo, di dubitare: sono lavori svolti da professionisti, mica da gente che s’improvvisa nel fare cose del genere quando ha l’influenza.
A parte le indispensabili competenze musicali, c’è un lavoro che riguarda la corrispondenza con la mimica facciale degli attori del film (doppiatori?), i tempi (assistenti di regia? montatori?) e, infine, la disponibilità di un coro mooooooolto preparato (che compare in “Aggiungi un posto all’ATAC”), in grado di “stare” senza difficoltà nei tempi della base musicale. Tutto a letto con l’influenza?
Se, poi, corrisponde al vero che il video è comparso per la prima volta su Sky – la pay-Tv di Murdoch, ma non posso affermare con certezza che la notizia sia vera – il quadro sarebbe completo: in ogni modo, vicende come questa indicano quanto sia esteso, pericoloso e distruttivo per le istituzioni italiane avere un Presidente del Consiglio che può essere ricattato non dalla Minetti o da Ruby Rubacuori, bensì da Murdoch, Razzi, Scillipoti e da qualche altoatesino che potrebbe chiedergli l’annessione all’Austria in cambio del voto per il processo breve.

Non ce ne voglia la Sora Cesira, chiunque essa sia: ha svolto un ottimo lavoro, perché se il suo video riuscirà anche solo per lo 0,1% a toglierci dalle p…il Caimano, avrà tutta la nostra riconoscenza. Infine, possiamo comprendere le motivazioni del suo riserbo.

Solo, non siamo proprio gli ultimi allocchi scesi dall’astronave de no antri; non vorremmo che fosse una storiella come quella che raccontò Eugene Luttwak a Santoro riguardo la consistenza dell’UCK: erano solo pochi contadini, armati con pochi fucili da caccia, che s’opponevano ai corazzati serbi.
Solo le popolazioni soffrivano, ed era necessario soccorrerle con aiuti umanitari: prese il via la “Missione Arcobaleno”.
Al termine del conflitto, tutto il materiale inviato dai generosi italiani fu ritrovato a Valona – i container erano intatti, con dentro cibo e vestiti marci e maleodoranti – così come era stato spedito dall’Italia. Un’incongruenza, vero?
Solo apparente, perché se l’UCK era formata da pochi contadini, allora era soltanto una questione di disorganizzazione e di corruttele.
Se, invece – come si capì dopo la fine del conflitto – l’UCK (ci sono le testimonianze di molti “scampati” al giungere degli uomini di Hashim Tashi in Kosovo) era una forza militare organizzata e molto ben equipaggiata, con una probabile consistenza intorno ai 100.000 uomini, ogni giorno bisognava inviare almeno 10 Kg a testa di rifornimenti perché continuasse ad essere operativa.
Ciò, significa che almeno 1.000 tonnellate di materiali…armi, munizioni, viveri, medicinali, vestiario, carburanti…dovevano varcare giornalmente l’Adriatico: addirittura, i servizi segreti riuscirono ad infilare quattro cannoni anticarro fra gli aiuti di un’inconsapevole Caritas. Oh, la Missione Arcobaleno, come fu utile…
A margine: tutto questo (e molto altro) era già pronto nel 2000, ma nessuna casa editrice se la sentì di pubblicarlo.

Questo esempio serve a capire che ciò che appare non sempre è quel che è, anche nelle migliori intenzioni di chi opera per uno scopo umanitario, civile, oppure per legittime rivendicazioni politiche.
Nel mondo dei servizi, nessuno verrà mai a dirti “Fai questo, perché mi serve”: sarai avvicinato da qualcuno che magari conosci, il quale ti dirà che c’è un’occasione, un lavoro, una cosa che interessa ad un tizio – anche lui sopra ogni sospetto – e farai delle cose credendo d’agire indipendentemente, magari per un alto scopo. Guadagnandoci pure, in modo del tutto onesto.
Invece, stai lavorando per il Re di Prussia senza saperlo, anche se in quel momento la tua posizione e quella del misterioso sovrano coincidono, almeno in parte.
Oppure, vogliamo credere che il centro-sinistra – dal 1996 al 2001 – si “dimenticò” d’approvare una legge sul conflitto d’interessi?

Conclusioni

Egitto e Italia: paragone improponibile? Dipende dai termini della comparazione.
Se li guardiamo “dal basso” – ossia da Piazza Tahir e da Piazza Navona – obiettivamente lo sono: troppe le differenze storiche e culturali, i due, rispettivi quadri politici, la collocazione geografica, ecc.
Se, invece, li osserviamo “dall’alto” – dallo studio ovale della Casa Bianca, ma anche da qualche discreto appartamento londinese, da una tenuta di campagna nelle Asturie, da un’isola nel Pacifico, chissà… – non sono poi così distanti.

Non si poteva attendere la naturale fine di Mubarak, poiché era troppo pericoloso: vogliamo soppesare l’importanza del Canale di Suez nel quadro dell’interscambio con l’Estremo Oriente? Il periplo dell’Africa sarebbe una iattura ben peggiore di quella del 1973. Oppure un governo che non avesse continuato a mantenere in scacco, per la parte che gli compete, la Striscia di Gaza, aiutando Hamas?
No: meglio assicurarsi la fedeltà dell’Esercito egiziano, il quale – col tempo e con la paglia – “nominerà” il premier che vincerà le elezioni: spiace per il sangue versato, ma così è.

Il governo Berlusconi fu “nominato” – nel 1994 – per non lasciare nelle mani di una sinistra arruffona il Paese, ed il Vaticano negò ai “suoi” l’accordo che fu di Moro, ossia di correre insieme contro il Cavaliere. Poi, fu chiaro che l’uomo non era in grado di pilotare l’Italia verso il “traguardo” europeo e ci fu la disponibilità di un cavallo di razza come Prodi: quando un cavallo è migliore, senza pensarci su due volte si cambia cavallo.
Dopo cinque anni di traversata del deserto, Berlusconi fu pronto per la sua stagione (2001-2006), nella quale propose roboanti riforme “a futura memoria” – scuola, pensioni, stranamente approvate per il futuro – ma riuscì col solito sistema delle leggine, dei comma nascosti, dei “regolamenti” a distruggere quel poco d’economia sociale che ancora esisteva. Uno dei suoi primi provvedimenti – che, scommetto, pochi ricordano – fu la cancellazione della figura del socio-lavoratore nelle cooperative, una tremenda mazzata per le vere cooperative ed un gran sollievo per quelle false e di regime (dx e sx).

Nel 2006 doveva cedere il comando a chi avrebbe continuato il suo lavoro senza far urlare l’asino mentre lo pelava: difatti, nel 2007 Cesare Damiano partorisce una riforma delle pensioni peggiore di quella di Maroni.
Qui, la politica italiana impazzisce: iniziano i lavori sotterranei di Berlusconi per sottrarre uomini al Senato e far cadere Prodi. Cominciano allora a comparire le storie di attricette, inizia la fase del delirio d’onnipotenza, che si conclude con la vittoria del 2008. Poi, l’alterazione mentale ha il sopravvento: la moglie lo definisce “malato” senza mezzi termini, uomini come Pisanu e Taormina s’allontanano o lo abbandonano.

Inizia la fase della cosiddetta “autosufficienza” parlamentare, la deriva populista, ma l’attività di Governo è paralizzata: Brunetta sforna “riforme” che non stanno in piedi, la Gelmini “leggine” che finiscono per essere bocciate per incostituzionalità, ed il marasma dilaga.
I medici, pena il licenziamento, devono inviare per via telematica i certificati di malattia ma la rete che dovrebbe riceverli non funziona, le graduatorie per le supplenze e l’immissione in ruolo sono falsate, tutto da rifare, ricorsi a migliaia: lo Stato è paralizzato, Confindustria lancia grida d’allarme, i sindacati che si sono venduti per trenta denari un po’ troppo in fretta temono, i giovani emigrano, il rapporto debito/PIL raggiunge il 120%.

E’ ovvio che le istituzioni finanziarie ed economiche internazionali non possono più accettare un simile sfascio: si possono salvare la Grecia e l’Irlanda, ma il crollo dell’Italia significherebbe la fine dell’euro e della BCE. Non si possono lasciare nelle mani dei dilettanti le cose serie.
Le contromisure sono quelle che sono sotto i nostri occhi: tutta la stampa estera è già in fila per il funerale politico di Berlusconi[11] il quale – se non capirà per tempo l’antifona – rischia grosso. Probabilmente, si ricorrerà ancora una volta a Bossi per sistemare la faccenda, oppure a Maroni, che sembra il vero “astro nascente” padano.

Qualcuno potrà ricordare che Berlusconi sembra avere sette vite come i gatti: anche Mussolini, poche settimane prima di Dongo, arringava la folla. Con apparente successo.
E i ragazzi di Piazza Tahir, le donne che scendono in piazza per difendere la propria dignità di non essere merce, i ragazzi che sono stufi di non avere futuro, i contadini del Delta del Nilo, gli operai della “New FIAT”?

Queste vicende, se approfondite, tornano a proporre l’eterno dilemma fra il leninismo e la socialdemocrazia, del mutamento concordato con il potere, senza soluzione di continuità, oppure dello “strappo” rivoluzionario: qui, la confusione è massima.
Molti siti e commenti funzionano col sistema dello stadio di calcio: il nemico del mio nemico è il mio amico, e morta lì. Questo modo di porsi alimenta continui dibattiti, accese liti, a volte insulti e minacce: è un sistema che crea “share” ma uccide il tempo, nel senso che è soltanto tempo perso stare a leggere e commentare.

Se non si riflette sulla nascita della socialdemocrazia – ossia il grande tradimento/innovazione di Kautzky – non si può capire perché due posizioni che sono storicamente antitetiche possano trovare, magari solo per alcuni periodi, sintesi e simbiosi reciproca.
E, attenzione, non perché Lenin o Kautzky le abbiano “inventate”, bensì perché ne hanno provato – da opposti balconi, partendo entrambi dalle asserzioni marxiane – la scientificità storica.

Forse che, i giovani egiziani, sono scesi in piazza per garantire la continuità d’esercizio del canale di Suez? No, ma coloro che li appoggiavano – “siamo col popolo”, rimbalzavano da Washington – quello ed altro intendevano.
Le donne che difendono la loro dignità in piazza, pensano che il primo dei problemi sia il “risanamento” dei conti pubblici per “agganciare” la “ripresina” europea? Eppure, avranno sostegno e visibilità da molte persone – pensiamo a Mario Monti od a Mario Draghi, con tutti i think tank nostrani, le fondazioni che ne discendono, ecc – che proprio quell’obiettivo cercano.

Due volte, nella Storia, il meccanismo sfuggì di mano agli orologiai: Luigi XVI fu il re francese che più investì per l’istruzione del suo popolo il quale, quando più seppe, lo scapitozzò. Nonostante, fra i rivoluzionari, ci fossero personalità come La Fayette, che non parevano proprio persone che andavano in giro a tagliar teste ai re.
Lenin traversò la Germania “coperto” dai servizi segreti imperiali, all’oscuro del Kaiser – lo zar Nicola era suo cugino, la zarina tedesca – e riuscì nell’intento di depotenziare la Russia al punto di giungere alla vantaggiosa (per Berlino) pace di Brest-Litowsk.
Nemmeno i bolscevichi ritenevano di riuscire nell’impresa – difatti, si mostrarono molto impreparati a governare dopo aver preso il potere – e, anzi, temettero ragionevolmente di fare la fine dei decabristi di mezzo secolo prima.

Tutto il resto, le conquiste del dopoguerra delle classi operaie europee, è avvenuto in un quadro di contrattazione, di socialdemocrazia. Tornando ai parallelismi, il “nasserismo” non fu forse una forma di “via” socialdemocratica araba? In Egitto come in Iraq, in Sira e Libia, in Algeria come nell’Iran di Mossadeq?
E’ di questi giorni la contrattazione, aperta alla Volkswagen tedesca, di un nuovo modello contrattuale che tenga conto delle esigenze delle famiglie: ebbene, questo processo s’inquadra nella Mitbestimmung, (codecisione) che ha rango costituzionale in Germania, poiché discende direttamente dalla socialdemocrazia storica.

In conclusione, possiamo forse spezzare una lama d’ottimismo: i meccanismi che osserviamo all’opera sono vecchi di secoli, sia al Cairo e sia a Roma, ma esiste un nuovo attore, l’agorà internazionale del Web.
Le “menti raffinatissime”, che hanno percepito i pericoli a Roma come al Cairo, si sono subito attivate e, in quadro socialdemocratico, concederanno quel tanto che sono obbligate a permettere proprio per non finire in guai peggiori.
La percezione delle popolazioni sarà positiva: la vittoria contro il rais al Cairo riempie d’orgoglio i giovani egiziani; presto ci saranno feste, ci saranno frizzi e motteggi per la fine dell’incubo Berlusconi. Come al Cairo, presto, non si troverà un “mubarakista” anche a pagarlo a peso d’oro, così a Roma i berluscones compariranno tutti con folte chiome e promettenti lanugini.

Ancora una volta, il quadro generale del capitalismo e del neocolonialismo sarà salvo, pur considerando il prezzo che dovrà pagare: per le vere feste – energia, reddito di cittadinanza, smembramento delle burocrazie di controllo, economia sociale sostenibile e tanto altro – la festa è, purtroppo, rimandata.

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.


Questa pubblicazione non può essere considerata alla stregua della pubblicazione a stampa, giacché ha carattere saltuario e si configura, dunque, come un libera espressione, così come riferito dall'art. 21 della Costituzione. Per le immagini eventualmente presenti, si fa riferimento al comma 3 della Legge 22 Maggio 2004 n. 128, trattandosi di citazione o di riproduzione per fini culturali e senza scopo di lucro.



[1] Vedi: http://www.repubblica.it/esteri/2011/02/11/news/reazioni_egitto-12356846/
[2] I Grandi Califfati possono essere in qualche modo assimilati, ma non ebbero l’organizzazione imperiale ottomana e s’estinsero molti secoli or sono, mentre l’Impero Ottomano giunse al Novecento. Di conseguenza, molte tradizioni sono ancora oggi mutuate da quel passato.
[3] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2010/06/tutto-puo-succedere-o-niente.html
[4] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Dunmeh
[5] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2011/01/apparentemente.html
[6] http://www.youtube.com/watch?v=m4ToIGz0c7Y&feature=relatededi: http://www.youtube.com/watch?v=m4ToIGz0c7Y&feature=related
[7] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/napolitano_incontro-12371416/
[8] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/la_manifestazione_ferrara_attacca_la_procura_di_milano-12367894/
[9] Vedi: http://lasoracesira.blogspot.com/
[10] Fonte: http://blog.leiweb.it/novella2000/2011/02/09/parla-la-sora-cesira/
[11] Vedi: http://www.repubblica.it/politica/2011/02/12/news/per_l_a_stampa_estera_silvio_alle_corde_l_ultima_battaglia_del_cavaliere-12378456/

25 commenti:

gix ha detto...

Arrivati a questo punto, anche io credo probabile che B. cadrà con uno schianto improvviso, e magari anche inaspettato, piuttosto che con una agonia lenta; da ora in poi ogni momento è buono. Del resto anche il mitico “Alì il chimico” andava ancora alla tv irachena a dire che Saddam stava ributtando indietro gli USA, e dietro aveva i carri armati americani.
Per il resto è anche vero che il popolo, per quanto lo si possa angariare, alla fine c’è persino il rischio inaudito che ti si possa rivoltare contro. Per cui qualche pezzo di pane vero, invece che brioche, alla fine bisogna darglielo. Tutto, pur di salvaguardare il mercato.
Ma dopo tutto, quello che a me preoccupa, dopo venti, trenta anni di questo andazzo, è lo sfascio della società civile in Italia. Un popolo già malamente istruito, con un’istruzione pubblica sempre più ostacolata, con un precariato pauroso fra i giovani, con una solidarietà sempre più ridotta da artificiose divisioni, in una parola, un popolo a cui vengono tolte le speranze, non può non preoccupare. Anche se tendenzialmente sono ottimista, e sono convinto che la caduta di B. potrebbe risvegliare sentimenti positivi, in realtà mi pare che siamo in una situazione di guerra civile, fatta per fortuna con le parole e non con i fucili, finora. Certo, internet può contribuire ad aumentare la coscienza della gente, ma in Italia non ci sono due terzi della popolazione sotto i trenta anni, come in Egitto, semmai il contrario, e internet, inutile negarlo, è soprattutto uno strumento seguito dai giovani. L’Italia è un paese in cui la maggior parte della popolazione gode di diritti acquisiti, da difendere, mentre in Egitto per la maggioranza della popolazione i diritti sono ancora tutti da acquisire. Spero che non dovremo aspettare che ci pensi il corso della natura a risolvere le cose qui da noi…

Carlo Bertani ha detto...

Sì, gix, le due situazioni sono diverse, soprattutto per la demografia, ma qualcosa si sta muovendo.
Sarebebro utili "luoghi" - Web e non Web - ove discutere realmente delle alternative possibili per "rifondare" la nostra società su basi di comunitarismo e socialità, che esistevano parzialmente prima del 1990 e che sono state cancellate di brutto. Abbiamo avuto il peggior tatcherismo e non ce ne siamo accorti.
Continua a ripetere che sono le menti a mancare, le menti che potrebbero e dovrebbero assumere le redini di questa nazione.
Ciao e grazie
Carlo

Eli ha detto...

Carlo
l'estensione della rivolta all'Iran è purtroppo una conferma che dietro queste "rivoluzioni di popolo" potrebbero esserci gli americani filosionisti di Soros, come già accadde per la rivoluzione "verde" l'anno scorso.
Pare che dopo Simòn Bolìvar e Che Guevara, di sollevamenti popolari genuini se ne siano visti pochi.

Io non ho mai creduto alla superstizione che vorrebbe alcuni soggetti portatori di iella.
Però Mubarak è in coma dopo aver perso il potere in Egitto.
Fosse vero che lo Psicopatico di Arcore porti sfiga?

LO sai che con questi tuoi articoli stai scrivendo la storia di questo periodo? Per i nostri nipoti...
:-D

Carlo Bertani ha detto...

Eh, a volte ci penso - Eli - quando non ci sarò più resteranno queste pagine. Qualche ragazzino svogliato un giorno leggerà sonnacchiso...mannaggia, dirà, questo era un prof...ma pensa te che strano...ed io non mi faccio soverchie illusioni che serva a qualcosa.
Domenica la luna sarà già calante e potrò seminare le patate, i rapanelli, la lattuga e tagliare le canne per i pomodori.
Poi, verrà l'Estate e penserò alla Gretel. Panta rei.
Un abbraccio
Carlo

Roberto ha detto...

Che il Duc.. ops il vecchio nanetto inviagrito finirà appeso in piazzale loreto lo dico dal lontano 2002 e mi sembra di averlo anche scritto in questa piazza (anche se per errore scrissi sempione invece di loreto). Ho semrpe detto che saranno proprio i 'suoi' ad appenderlo.
Non intendo fisicamente ma politicamente e moralmente sicuramente sì.

Non mi sembra di essere un profeta né un facile profeta visto che la cosa è sempre stata evidente tanto quanto la reale incapacità di governare (nel senso pieno della parola ma sopratutto nel senso del progresso della società che si governa) del soggetto e dei suoi accoliti, pochissimi (l'eccezioni che confermano la regola) esclusi.

Questo tuo articolo è ben più intelligente e profondo di queste mie semplici profezie da mago otelma di provincia e ti ringrazio di averlo scritto.

Mi fai un po' di paura perchè sembrerebbe che non ci siano molti intelettuali 'vivi' in Italia con il tuo stesso acume.

Quindi sei il nuovo Messia?
Ocio che gli ebrei potrebbero mandare i romani a sacrificarti!
(meglio scrivere che: i due periodi sopra contengono ovviamente solo battute. Altrimenti qualcuno mi prende sul serio e ti porta sul calvario.)

E' invece (e purtroppo) sicuro che altri abbiano la tua stessa vista
solo che lavorano per "loro" e non per il popolo italiano.

Io ricomincio a pensare che l'esempio germanico (uno dei quali hai citato tu stesso) sia la nuova strada per l'Italia e tutto il resto sia solo...noia...


salutations

RA

Carlo Bertani ha detto...

Beh, Roberto, se finirò sul Golgota avrò il privilegio - questa è la democrazia - di scegliermi i ladroni.
Ti inserisco nella lista dei papabili? -))
Ciao
Carlo

Mahmoud ha detto...

L’ovvietà del paragone tra Mubarak e Berlusconi, riportato da osservatori ed opinionisti italiani ed internazionali (anche su Al-Jazeera), non toglie nulla all’originalità stilistica con cui Bertani mette a confronto il crollo del mubarakesimo (paragonato dallo stesso autore, in diverse occasione, all’epoca di “nonno Breznev”) con la rovina dello Stivale e con l'abbruttimento, sempre maggiore, del Belpaese.

Lo stile bertaniano in questo articolo, affine per certi versi allo spirito del programma televisivo di Enrico Ghezzi, Blob, dà luogo ad un’interessante “politica comparata”, in quanto riporta vari spunti, necessariamente ingigantiti, al punto tale da diventare parallelismi validi e particolarmente utili per la disamina dello scenario politico mediterraneo.

Lungi da analisi dilettantesche mediatiche (e non) che fanno risaltare alcune analogie tra due potenti vecchietti di nome Mubarak e Berlusconi, aggrappati al potere, ricchissimi ma indebitati moralmente fino al collo con la giustizia e con la corruzione, le lucide osservazioni di Bertani, vanno a toccare, a livello contenutistico, i punti “universali” che accomunano Piazza Tahrir e Piazza Navona: l’eventuale nascita dei think tank egiziani simili a quelli italiani; la socialdemocrazia e la fine del mubarakesimo – berlusconismo ed il ruolo atlantico in tutto ciò. Quando mi capita di leggere articoli di questo spessore, mi verrebbe da chiedere come mai i media del “democratico occidente” non raggiungono mai questa profondità di pensiero. Perché bisogna limitarsi sempre ai “valori locali”? Sulla terza rete ieri, hanno dedicato la puntata della trasmissione culturale (non politica) “Correva l’anno” a Hosni Mubarak, presentandolo come perno della stabilità del medio oriente; erede fedele di un Sadat filo-occidentale; leale alleato degli USA; grande mediatore tra Israele ed il mondo arabo, ecc. Il documentario trascurava intenzionalmente la sua politica interna. Il presentatore, Paolo Mieli, verso la fine della trasmissione, ha detto: “Mubarak non è forse un modello di 'leader ideale' per noi occidentali, ma rimane una figura importantissima per la stabilità della sua regione e anche della nostra”. I giovani egiziani, insomma, non contano nulla. Non meritano probabilmente, secondo il noto storico italiano, un futuro libero. Magari contano qualcosina quando arrivano a Lampedusa, quando scioperano a Milano, oppure, e questo è il massimo, quando uno di loro si svende per “noi”, maledice “loro”, cambiando il proprio nome oppure aggiungendo un aggettivo-sostantivo propagandistico come “Cristiano”.
grazie Carlo
Continua …

mozart2006 ha detto...

Siamo probabilmente arrivati alle idi di marzo del tappo sciupafemmene.
Mi preparo a gustarmi lo spettacolo da lontano, comodamente seduto al pc, sgranocchiando pop corn e facendo la ola ai fendenti più micidiali.

Unica nota stonata: Bersani che, come tutti i piddini, dovrebbe contare fino a un milione prima di aprire bocca.

Ma credo che l´ involontario tentativo di salvataggio in extremis stavolta sia arrivato fuori tempo massimo.

Carlo Bertani ha detto...

Ringrazio Mahmoud per la superba critica, ed attendo con ansia il "seguito" che, sono certo, ci aprirà ancor più gli occhi su quanto sta accadendo nel Mediterraneo.
Certo, chiedersi perché i media europei non riescono a staccarsi di dosso la rogna del proprio, unico, punto di vista...500 anni di dominazione coloniale possono essere una buona ragione? Che non scusa nulla, ovvio, spiega soltanto.
Anch'io farò il tifo, Mozart, quando cadrà il Caimano, ma non posso dimenticare un racconto di mia madre:

"Vennero i fascisti, e ci dissero: dovete lavorare per l'Italia!
Venne la guerra, e ci dissero: dovete lavorare per la vittoria!
Vennero i partigiani. Compagni, ora le fabbriche sono nostre: dovete lavorare!
Vennero i democristiani e ci dissero: dobbiamo ricostruire l'Italia, dovete lavorare!"

Ma quando mai, capita qualcosa che ti dicono: ragazzi, godetevela un po'!

Grazie a tutti
Carlo

MattoMatteo ha detto...

Sembra proprio che in Aprile i giudici saranno alquanto impegnati...
http://www.iltempo.it/politica/2011/02/15/1237537-legittimamente_impedito.shtml
Ciao a tutti.

Eli ha detto...

Una precisazione per Mahmoud:
i filmati di "Correva l'anno" sono vecchi, non attuali.
Quindi Mieli non poteva parlare dei giovani egiziani, perché tutto doveva ancora accadere.
E poi, absit iniuria verbis, senza offesa per nessuno, ma Paolo Mieli è un ebreo sionista.
Era un modesto assistente del Professor De Felice, grande storico del fascismo, quando frequentavo l'università nel 1970, e feci anche un esame con lui.
Da allora ha fatto una grande carriera...E' stato per vent'anni direttore del Corriere della Sera mica per caso...

Ciao Mahmoud, sei una grande risorsa per questo blog con la tua particolarissima visuale!

Mahmoud ha detto...

Caro Carlo,
vorrei che discutessimo sui seguenti punti, tratti dal tuo articolo:

- “Con un diverso agire, [gli USA] hanno riproposto lo schema che fu di Suez nel 1956, laddove estromisero le ex potenze coloniali Francia e Gran Bretagna: oggi, è toccato alla troppa ingerenza d’Israele”.

Domanda: perché gli USA estromisero Francia e Gran Bretagna? Per far piacere a Nasser? Assolutamente no. Non dimentichiamo che la decisione da parte di Nasser di nazionalizzare il Canale Suez era una risposta diretta all’amministrazione Eisenhower per aver cambiato idea sui finanziamenti americani per la costruzione della diga di Aswan. Gli americani non potevano tacere sulle azioni dei loro alleati (Francia, Bretagna ma anche Israele) dopo aver criticato duramente, qualche settimana prima, l’intervento militare sovietico a Budapest (Crisi ungherese). Sarebbe stato imbarazzante per la diplomazia statunitense agli occhi del terzo mondo. In più, Washington considerava seriamente la dichiarazione sovietica, secondo qui Mosca avrebbe attaccato Parigi e Londra con “tutti i tipi di moderne armi di distruzione” (un modo elegante per dire “nucleare”), nel caso i governi francese ed inglese non si fossero ritirati. Sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.

Mahmoud ha detto...

-“Ogni mossa in quello scenario dovrà, in futuro, essere attentamente proposta da Tel Aviv e sempre mediata da Washington”.

Ma ben vengano le proposte. Meglio proposte israeliane e mediazioni americane che un vergognoso diktat che ci farebbe tornare al nostro Mubarak ed al vostro Prodi (vi riporto qui questo video (fuori onda) dell’incontro tra Prodi e l’ex premier israeliano, Ehud Olmert: http://www.youtube.com/watch?v=3uO_FHeHB2k.) Dal filmato della conferenza stampa congiunta si può rilevare come tutto sia andato come richiesto da Olmert. Attenzione, non proposto, ma proprio richiesto. Non penso, comunque, che ci sarà un ulteriore rafforzamento tra Tel Aviv ed il Cairo. Il popolo egiziano ha ormai capito il gioco. Ma soprattutto hanno oltrepassato la barriera della paura. D’ora in poi, nessuno impedirà loro di uscire in piazza a chiedere di rivedere i rapporti con lo Stato Ebraico: eh .. ci sarebbe veramente tanto da rivedere: un Camp David rispettato non solo dal Cairo ma anche da Sion; la sovranità egiziana, anche militare, sul Sinai; il prezzo di favore concesso ad Israele sul gas egiziano; l’apertura dei confini con Gaza per commercio ed altro (apertura al popolo di Gaza e non necessariamente ai loro governanti di Hamas); il turismo unidirezionale: alcuni giovani egiziani, durante le manifestazione, si chiedevano davanti alle telecamere: “perché gli israeliani possono vedere le nostre Piramidi e noi non possiamo vedere la moschea di Omar di Gerusalemme?” Sono le principali tematiche politiche che il nuovo Premier egiziano deve prendere in considerazione, tenendo sempre presente che il nuovo trono ha una zampa in più: il popolo.

A differenza di siriani ed iraniani, in Giordania nessuno vorrebbe pensare che gli accordi di Camp David siano a rischio. Se dovessero rompersi i legami tra Egitto ed Israele, la Giordania, Paese “moderato” ed aperto a tutti, si troverà d’un tratto isolato nella regione, in quanto unica nazione che ospita un’ambasciata israeliana. Ecco perché Amman dovrebbe riesaminare presto le proprie scelte diplomatiche. Il nostro ministro dell’Informazione, in modo troppo ottimistico, ha dichiarato che la Giordania, dopo la caduta di Mubarak, potrà avere un ruolo maggiore nel medio oriente. Egli trascura, però, che il 70% della popolazione giordana è d’origine palestinese. Questi “scusarono” la Giordania quando re Hussein optò per seguire la “via” egiziana, firmando accordi di pace con Tel Aviv. Ma ora l’ombra egizia gigante non ci coprirà più!

Mahmoud ha detto...

-“Se li guardiamo ‘dal basso’ – ossia da Piazza Tahir e da Piazza Navona – obiettivamente lo sono: troppe le differenze storiche e culturali, i due, rispettivi quadri politici, la collocazione geografica, ecc.
Se, invece, li osserviamo ‘dall’alto’ – dallo studio ovale della Casa Bianca, ma anche da qualche discreto appartamento londinese, da una tenuta di campagna nelle Asturie, da un’isola nel Pacifico, chissà… – non sono poi così distanti.”

Il paragone riportato è talmente interessante che mi porta a credere anche nell’esatto opposto :) vale a dire “dal basso” troviamo italiani ed egiziani che, nonostante le differenze culturali, chiedono entrambi più diritti, dignità politica, sociale ed economica nonché, ovviamente, più libertà. In questa prospettiva, Piazza Tahrir e Piazza Navona non hanno religione, quadro politico, e nemmeno una certa collocazione geografica. Da quelle piazze ci giunge un urlo apolitico, astorico ma determinato, quasi definitivo: “basta menzogne! Se non ora, quando?”

Se, invece, li osserviamo “dall’alto”, scopriamo che le differenze storiche e culturali e la collocazione geografica hanno un ruolo influente nella politica dello Studio Ovale. Come? E’ vero che Washington apprezza tanto Gianfranco Fini quanto El-Bradei, tanto il Colosseo quanto le Piramidi e temeva tanto Togliatti quanto Nasser ecc. ma l’Italia di Bruxelles, sotto Germania e Francia, è in tasca. L’Egitto, invece, è il Paese arabo più popoloso. Controllarlo significa domare una gran parte della regione. Nella forma mentis degli strateghi americani, troviamo, infatti, un’Europa quasi omogenea ed un medio oriente assomigliante ad un mosaico coloratissimo del Monte Nebo: il Libano non è la Siria; l’Iraq non è la Libia; la Giordania non è più l’Egitto. Le differenze vanno a toccare minuziosamente addirittura i vari Paesi del Golfo. Ora il Qatar prende il ruolo del Kuwait, gli Emirati quello dell’Arabia Saudita, ecc.

Insomma, la differenza tra l’Egitto e l’Italia, per gli Usa, è semplicemente quella tra la Comunità Europea ed il mondo arabo!

Mahmoud ha detto...

-“Il “nasserismo” non fu forse una forma di “via” socialdemocratica araba? In Egitto come in Iraq, in Sira e Libia, in Algeria come nell’Iran di Mossadeq?”

D’accordo sulla somiglianza tra Nasser e Mossadeq: entrambi puniti per la nazionalizzazione di risorse locali. Ma siamo sicuri che il nasserismo fu una forma di via socialdemocratica araba? Due anni dopo il colpo di stato del ’52, Nasser estromise il Capo del governo Muhammad Nagiub, perché questi voleva percorrere quella via di cui parla Carlo. Non solo: ha impedito questa “via” anche ai Paesi confinanti. Non è esagerato affermare, secondo me, che alcuni Paesi arabi non hanno mai conosciuto forme democratiche di governo proprio per colpa di Nasser. Penso alla Libia, alla Siria e soprattutto al Sudan. La socialdemocrazia potrebbe essere, invece, il frutto di questa rivoluzione: la rivoluzione del Tahrir.

La principale differenza tra il 1952 e 2011, cari lettori del blog, è semplice: è successo praticamente il contrario. Il 1952 ha visto una rivolta militare (i cosiddetti Ufficiali Liberi) sostenuta in un secondo momento dal popolo; quella del 2011 è una rivolta popolare sostenuta in un secondo momento dai militari. La “via” socialdemocratica è l’unica che gli osservatori vedono nell’orizzonte del Nilo in quanto rappresenta l’articolo più evidente di tutte le agende dell’opposizione del passato, Fratelli Musulmani e Kifaya in primis.

Ciao a tutti ed un abbraccio a Carlo.
Da Amman è tutto,
Mahmoud.

Ops ora leggo il commento di Eli che ringrazio per la precisazione e per le belle parole. buona notte

servo inutile ha detto...

Confermo che il video di "Sora Cesira" è stato trasmesso dieci giorni fà su sky nella trasmissione satirica."Gli Sgommati"

http://www.youtube.com/watch?v=BeDrDBwteXI
minuto 9:34

Ma, il meglio della nostra democrazia lo avremo su La7, con il talk show "IL CONTRATTO", nel quale tre candidati reali si sottoporranno a una sfida all'ultimo quiz per conquistare un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

ciao a tutti
blackskull

servo inutile ha detto...

Dimenticavo... che nel film documentario "Diario del saccheggio", l'esperimento del.. ti do un posto di lavoro in diretta tivvù, è stato praticato con successo in Argentina ai tempi del suo default.

Precisazione doverosa, direi.

Il lavoro nobilita l'uomo e lo rende una star.

a-ri-ciao
black

Carlo Bertani ha detto...

Molto interessante, ma fino a stasera non potrò rispondere ai molti contributi...causa...scuola!
Ciao a tutti
Carlo

mozart2006 ha detto...

Carlo, la cosa più comica è proprio questa. Nemmeno io avrei saputo immaginare finale più perfetto. Da emulo di Al Capone, Al Cafone cade per una cosa che reputava una quisquilia e pagherà anche per le cose ben più gravi: vedi le stragi e la corruzione di giudici). Il boss di Chicago rideva dei G men che volevano incastrarlo NON per le decine di omicidi commessi, ma per evasione fiscale. E' crepato in galera.

Carlo Bertani ha detto...

Mahmoud, come sempre, mette molta carne al fuoco.
La mia “lettura” della crisi del ’56 è stata sempre in una sola chiave – non ne escludo altre, ma quella secondo me è la “madre” – ossia regolare i conti nel Vicino Oriente con le ex potenze coloniali. Non dimentichiamo che avviene poco dopo l’Iran e l’intervento per cacciare Mossadeq, che fu organizzato e gestito da Norman Schwarzkopf Primo – il padre di quello del ‘91 – per conto ed in associazione con gli inglesi.
A quel punto, soprattutto con l’importanza che andava ad assumere il mercato petrolifero, è naturale che gli americani volessero chiudere il conto e stabilire chi avrebbe avuto, da quel giorno in poi, le “redini” dell’area.
I russi, i russi…tante volte hanno minacciato…
Temo, caro amico, che gli egiziani potranno probabilmente visitare la moschea di Omar, ma che non ci saranno cambiamenti per quanto riguarda i palestinesi, meno che mai un’apertura di frontiere verso l’Egitto che, per Israele, significherebbe perdere il “lavoro” di anni per creare la più grande prigione a cielo aperto del Pianeta.
Può darsi che, sempre sotto la supervisione americana, qualcosa sarà concesso, ma non molto: ripeto, la questione è da inquadrare nei rapporti fra Washington e Tel Aviv, visti sotto l’aspetto delle ingerenze interne negli USA.
In questo senso, soprattutto per il ruolo internazionale che occupa, Obama non è Prodi! -))
(continua)

Carlo Bertani ha detto...

Dal “basso” o dal “alto”? Sì, devo riconoscere che i termini possono essere ribaltati, ma con alcuni “distinguo”.
Le persone che sono scese in piazza in Italia hanno una condizione economica molto diversa da quella degli egiziani: pur considerando il diverso potere d’acquisto, c’è una certa differenza fra il PIL pro-capite italiano (35.500) ed egiziano (2500) (approx. entrambi).
Questo per dire che la richiesta italiana poggia maggiormente su questioni di legalità, di buon governo, mentre in Egitto le richieste economiche sono più pressanti.
Non nascondo, però, che un denominatore comune ci sia: la democrazia, il rispetto della persona, l’uguaglianza di fronte alla legge.
Quando indicavo “l’uguaglianza” dall’alto della diplomazia non intendevo che le situazioni fossero simili, quanto che potevano entrambe essere considerate pedine di scambio all’interno del Great Game, che ha raggiunto dimensioni planetarie.
Domani, per l’interscambio con la Cina, l’Egitto potrebbe diventare più importante dell’Italia, ed a Gioia Tauro ne sanno già qualcosa, con l’abbandono delle grandi portacontainer, che vanno sempre di più nei porti del Nord Africa.
Infine, Nasser.
La dissertazione – ossia quanto il panarabismo di Nasser fu socialdemocrazia araba – mi fa tornare alla mente un film strano, non compreso perché troppo avanti per gli anni: La Rabbia, di Pasolini e Gureschi, del 1963.
Entrambi gli scrittori esacerbarono i toni, li estremizzarono – forse per renderli più fruibili agli spettatori – e quel che si ricava dal “promettente” ottimismo di Pasolini (la Cuba “terra promessa”, il Vietnam “eroico”, ed il panarabismo “coraggioso”) fa il contraltare col pessimismo di Guareschi, che osserva il fallimento dell’unico mondo che, egli, ritiene (riteneva) possibile, l’ordinato “procedere” degli stati ex colonizzati nel solco creato dalle ex potenze.
Entrambe le visioni erano forse viziate all’inizio dalle rispettive estremizzazioni, ma in qualche punto del “mezzo” forse possiamo trovare la realtà: Nasser non fu il socialdemocratico (magari gradito da Guareschi) e neppure il rivoluzionario che avrebbe desiderato Pasolini.
Fu il massimo (insieme a Mossadeq, forse Assad) che, all’epoca, le classi politiche arabe riuscirono ad esprimere. Non a caso, divennero i nemici giurati d’Israele, al contrario della monarchia saudita, degli stati del Golfo e della stessa Giordania, nella quale Sion assistette gongolante al tristissimo “Settembre Nero”.

Eh, Mahmoud, ce ne sarebbe da dire…se ce la facessi a venire fino a Creta, Aleppo…con la Gretel…purtroppo, così, ci si spella le dita sulla tastiera…e la rivista, non sarebbe l’ora di darci tutti una sveglia?
Ti abbraccio col cuore: grazie di esistere.
Carlo

Carlo Bertani ha detto...

Bello il paragone con Al Capone, Mozart, è vero: forse il Capoccione non ci aveva pensato. Comunque, scriverò qualcosa sull’attualità italiana nel prossimo articolo. Se non esistessero i Nostromi bisognerebbe inventarli: la notizia mi era giunta ma non confermata. E tutti credono che Arcore’s Night sia un prodotto artigianale! Grazie Black
Confermo, Eli, che le trasmissioni di “Domani accadrà” sono registrate senza tener conto dell’attualità: sono archivi storici, nulla più.
Grazie a tutti.
Carlo

servo inutile ha detto...

Da questi documentari si dovrebbe partire per esaminare le vicende geopolitiche internazionali.

Tenere gli occhi sempre aperti, riconoscersi ancora in una non terminata logica tragica, mascherata da logica tecnica, mal celata da una falsa democrazia che avanza con pesanti mezzi ovunque il denaro glielo permetta, ovunque l'uomo-merce si assoggetta.

Se non avremo nuovi simboli da sostituire ai precedenti, non ci sarà facile transitare da questo presente al nuovo tempo.

Le rivoluzioni del Nord-Africa ci riporteranno al cospetto di orribili simboli, di un già visto estremista e xenofobo che sgretolerà quel che resta di un sogno europeo, presto incubo di droghe iperdiffuse quanto la disoccupazione e le sociofollie ingovernabili.

Apocalisse nel deserto
di
Werner Herzog

http://www.megavideo.com/?v=DSSGTSSS

Alla distruzione segue inevitabilmente la rabbia dei vinti.
Il Cesarismo, però, non è ancora stato abbattuto...il woodoo delle radio-onde l'ha semplicemente risvegliato.

ciao a tutti
black

doc ha detto...

Scusatemi la digressione ma credo sia indispensabile. Per riportarci a ...terra.

Indubbiamente quello che sta accadendo - in italia e nel mondo nord africano- ha tutto per diventare epicentrico rispetto alla considerazione di una analisi utilitaristica necessariamente allargata ad un volgo sempre piu' ampio e non, invece come sta succedendo nei commenti restringendo ad un mero disocroso tra pari altilocati.

Mi viene in mente una ricerca di tanti anni fà tesa a capire le motivazioni che stavano dietro il fatto che la materia principe in cui venivano rimandati gli alunni italiani fosse la Matematica.

Furono scomodate analisi sociologiche, bla..blà di ogni tipo dimenticando quello che stava e sta sotto gli occhi di tutti: la mancanza totale a livello di istituzione di una didattica (peraltro comune ad altre materie scientifiche).

In definitiva il prof dimenticava, e dimentica ancora oggi, che senza collegamenti con la realta e la storia si finisce per considerare "segnati" come geneticamente inidonei all'apprendimento di certe materie.

In definitiva (ancora) per far capire come ed in che modo uno se ne va per la tangente basta ad esempio rifarsi alla fionda di davide e golia, al lancio del disco, del martello etcc..

Voi ve ne state andando per la tangente senza munirvi degli esempi propri per farlo (tranne quelli contenuti nel post), fininendo per cantarvela tra di voi ed escludendo proprio quel vulgo a cui diciamo di essere interessati ad elevare culturalmente.

Finisco con una considerazione - consiglio:gli argomenti introdotti sono fondamentali per capire gli scenari attuali e prevederne i prossimi ma serve che li attrezziate...per il vulgo.

Con immutata stima per tutti voi, vi saluto e vi auguro un buon cammino.

Doc

Carlo Bertani ha detto...

Concordo con te, Doc, sulla mancanza di una didattica per la Matematica: è il grande problema della scuola italiana, e nessuno ne parla.
La soluzione del problema - tornando a noi - si trova soltanto in un diverso contenitore, dove più interpretazioni del messaggio trovano spazio.
E' sbagliato tenere livelli troppo "alti", ma è altrettanto sbagliato (e deprimente) doverli abbassare per forza.
Ritorneremo sull'argomento: grazie per averlo segnalato.
Carlo
PS. Il prossimo non è un articolo molto "alto", però...