Ancora una volta. Come se nessuno sapesse che il mondo del
petrolio è il mondo della corruzione per antonomasia: ai tempi di Mattei, si
portavano nei Paesi arabi bionde “stangone”, molto gradite agli emiri. Poi, gli
emiri capirono che non era il caso di farsi turlupinare con due puttane da
strapazzo: nacquero i petroldollari, il resto – guerre comprese – lo
conosciamo.
Perché il mondo del petrolio e dell’energia è così differente?
Perché c’è una netta differenziazione fra i Paesi che hanno
importanti risorse energetiche e quelli che non le hanno: c’è una sorta di
differenza di potenziale energetico fra Paesi come l’Arabia Saudita, la Russia,
l’Iran…e la Germania, l’Italia, il Regno Unito…una differenza di potenziale che, in Fisica, si definisce Tensione. C’è dunque tensione fra i Paesi produttori e quelli
consumatori: normale che sia così.
Per cautelarsi dai rischi della tensione, si fa fluire fra i
due poli a diverso potenziale una Corrente,
che è quella che scorre nel filo oppure, la sfilza di petroliere del Golfo
Persico o gli oleodotti: una corrente d’energia, che fluisce per mantenere
basso il rischio. L’Iraq e la Libia insegnano.
La corrente, per fluire in sicurezza, ha bisogno di un impianto
che ha le sue regole, ed anche il flusso d’energia ha le sue regole – in genere
non scritte ma ben conosciute in quel mondo – cosicché, quando Mattei forzò
quel sistema, il sistema lo “staccò” dal circuito. Come Gheddafi o Saddam
Hussein: anche la vicenda iraniana ci evidenzia un circuito di scambio al
limite di sicurezza e, entrambi i due poli, cercano di guadagnare il massimo
possibile senza rompere il giocattolo. Che è il laghetto chiamato Golfo
Persico.
L’importanza finanziaria di quel mondo è tale che le vicende
economiche di una classe politica siano lillipuziane rispetto ai “rimedi” per
mantenere in sicurezza il sistema ma, non sempre, la parte politica sa
astenersi dal great game dell’energia, formando strani connubi con chi è
destinato a gestirlo, ossia le compagnie petrolifere, nazionali e non.
Una parentesi riguarda l’Italia. Come nazione sconfitta nella
2GM, l’Italia non doveva avere una compagnia nazionale: vuoi per
l’intraprendenza di Mattei, vuoi come contropartita della cobelligeranza, il
“cartello” anglosassone chiuse un occhio. E fece male, perché, oggi, l’ENI gira
attorno al decimo o undicesimo posto nella classifica internazionale delle
compagnie energetiche dove, a riprova della stranezza, non c’è nessuna azienda
tedesca o giapponese. Ciò è dovuto, soprattutto, al perfezionamento delle
tecniche di ricerca dell’ENI e pure, anche se non si potrebbe dire, da una
certa “capacità di fluidificazione” delle correnti energetiche. Con quali
mezzi? Beh, i soliti di tutte le compagnie…vedete, ad esempio, la vicenda
nigeriana, nella quale vi sono “oscuri” pagamenti che rasentano e superano il
miliardo di dollari.(1)
Ciò che colpisce è la grande differenza delle cifre: un
finanziamento illecito ad un partito può essere d’alcuni milioni di euro, una
tangente energetica può salire di un grado (centinaia) molto facilmente, dato
il valore dell’oggetto della transazione.
Per scoprire l’arcano, spicchiamo un salto nel 1993, alla
famosa “tangente Enimont”.
Si trattò di una tangente pagata da Raoul Gardini (Gruppo Ferruzzi/Montedison)
al sistema politico per far “digerire” la nuova Enimont, colosso che doveva nascere dal una joint venture fra ENI e
Montedison, nel campo della chimica. La cifra, per l’epoca, fu iperbolica, 10
miliardi e 250 milioni di lire: beneficiari, tutto l’apparato politico
dell’epoca, da Bettino Craxi a Umberto Bossi. Oggi, corrisponde tecnicamente a
circa 5 milioni di euro, ma – cercando di attualizzarla utilizzando il potere
d’acquisto dell’epoca (compito assai arduo) – potrebbe essere una cifra fra i
20 ed i 50 milioni di euro. Riflettiamo che, quella tangente, fu il “cuore” di
“Mani Pulite”.
Oggi, Savoini – che mi pare inutile non far coincidere con
l’uomo della Lega in terra russa: troppi anni d’incontri, ufficiali e non, con
i russi – pare aver concordato un
“finanziamento” di 65 milioni di dollari in cambio dell’importazione di 300
milioni di tonnellate di petrolio. Nel passaggio, pare che sia coinvolta anche
l’ENI che, però, smentisce.
Si tratta di grandi cifre: 300 milioni di tonnellate, pari
circa al carico di un migliaio di super petroliere e corrispondenti, a grandi
linee, al fabbisogno italiano per 20 anni! Un accordo più che strategico,
diremmo epocale!
L’accusa è quella di corruzione internazionale, che consente
ogni tipo di rogatoria ed ogni tipo di intercettazione.
Se i magistrati confermeranno questa vicenda – che ha risvolti
strategici importanti, basti pensare al petrolio nigeriano dell’ENI (dove
finirà? a chi verrà venduto?) – si tratta non solo di un finanziamento
illecito, bensì di una mossa strategica di grande rilievo, che sposta
importanti equilibri nel mondo dell’energia.
A favore di chi? A scapito di chi?
Riflettiamo che, a fronte di un mercato europeo delle auto
elettriche che segna un mercato del 2% annuo sul totale, l’Italia è allo 0,1% e
molto in arretrato sulle strutture necessarie per questo mutamento nella
trazione dei veicoli: per ogni auto elettrica che si vende in Italia, se ne
vendono 20 in Europa. E le colonnine di ricarica non si vedono.
Le direttive europee impongono ai produttori, per il 2030, una
produzione pari al 35% di auto elettriche ed ibride, perché i produttori
“frenano” in tutti i modi: vogliono ancora lucrare sul motore a ciclo termico,
sia benzina e sia diesel.
Chi è, in Italia, che teme di più il cambiamento?
I consumi di benzina e gasolio, in Italia, sono di circa 70
miliardi di euro (2), mentre le accise (che avevano promesso di azzerare) sono
di 25 miliardi annui (3): da notare che è la quarta voce, per importanza, delle
entrate, dopo IRPEF, IVA ed IRES.
Come potrete notare, si tratta di numeri da legge Finanziaria,
mica di bruscolini da festival dell’unità o dei monti padani: questi sono i
numeri di quota 100 o del reddito di cittadinanza, che sono stati le punte di
lancia dell’azione di governo.
Una “bufala” creata ad hoc?
Difficile da credere: troppe sono le coincidenze, troppo
evidenti i fatti, che Salvini (ingenuamente) ha cercato di negare. La criticità
dell’evento sta tutta nella frizione fra i due mondi: una modesta provvigione
per chi fa l’affare nel mondo petrolifero, un colpo da novanta per un partito
dissanguato economicamente dalla sentenza che impone alla Lega di rientrare dei
49 milioni che derivano (probabilmente) dalla vecchia gestione Bossi. Il quale,
in anni lontani, già si distinse – appena entrato in politica – acchiappando al
volo la sua (modesta) tangente nel processo Enimont di 30 anni fa.
L’ENI si è chiamata fuori: il suo presidente – Descalzi – ha
già troppi guai con la vicenda nigeriana, e non ha bisogno d’aggiungere un’altra
tegola sui futuri processi. L’ENI ha propri uomini e propri servizi interni per
portare avanti queste faccende: si veda, ad esempio, la duplice posizione –
contraddittoria – fra la gestione dei grandi giacimenti di gas egiziani
(scoperti dall’ENI) e la triste storia di Regeni, che resterà probabilmente uno
dei molti misteri italiani.
Il Governo? Ufficialmente non sapeva niente: difficile da
credere, però un coinvolgimento del governo – in sede giudiziaria – molto
difficilmente sarà possibile dimostrarlo, perché documenti che coinvolgano il
governo non ce ne sono e non ce ne saranno: un conto è quello che i servizi
italiani avranno detto a Conte, un altro è ciò che – in mancanza di documenti –
Conte, se sarà chiamato a rispondere della vicenda, vorrà rivelare.
Tutta la storia – che piaccia o non piaccia ai sostenitori
della Lega – puzza da un miglio di faciloneria, di dilettantismo, di quel
mélange di Twitter e Facebook nel quale Salvini è maestro il quale, però, per
l’istruttoria milanese non conta una cippa. Ha messo un suo uomo in faccende
internazionali più grandi di lui, in affari da Kissinger quando il povero
Savoini era solo un vecchio amico di Borghezio.
E sarà facile, anche per i russi, sacrificare qualche modesto apparatcik di Lukhoil o Gazprom, qualche
scribacchino di Sputnik, che sarà ritirato nell’ombra: Putin non sarà nemmeno
sfiorato dalla cosa.
Rimarrà l’aspetto mediatico: mesi nei quali l’istruttoria
milanese andrà avanti e che produrrà i suoi effetti sull’alleanza di governo:
superfluo notare che la dicotomia sarà fra la specchiata onestà del 5S e la
nuova “caduta”, per tangenti, della Lega, si farà sentire.
Piaccia o non piaccia ai sostenitori della Lega, essa è il più
vecchio partito italiano: nacque proprio quando il processo Enimont liquidò in
un amen la vecchia classe politica italiana. Non a caso la Lega si oppone, da
tempo, alla riforma del processo penale di Bonafede, nel quale sarà quasi
eliminata la prescrizione, ciambella di salvataggio per i corrotti d’ogni tempo
e sotto ogni cielo.
Il governo andrà avanti?
A mio avviso sì, anche perché affrontare una campagna
elettorale sotto i riflettori di un rinvio a giudizio per corruzione
internazionale non mi sembrerebbe tanto proficuo e perché – siatene certi – i
magistrati milanesi non molleranno di un centimetro. A questo punto, però, la
palla sarà di più nelle mani dei 5S: Salvini vuole andarsene? Auguri.
Ed è anche inutile gridare “al lupo” perché Renzi o chi altro
urla “crucifige, crucifige!”: non ne avessimo viste di queste faccende! Quando
AN mandava i suoi uomini a gettare monetine su Craxi, oppure la Lega minacciava
con manciate di pallottole a Pontida!
Tutte chiacchiere.
In fin dei conti, com’è giusto che sia, sarà un’inchiesta
giudiziaria, un rinvio a giudizio ed un processo a mettere il punto finale a
questa vicenda, perché la difesa di Salvini – “quello non lo conosco” – è già
fallita in partenza. Non siamo allo stadio fra gli ultras, Salvini, siamo al
Tribunale di Milano: lo stesso che distrusse Craxi e Forlani, lo stesso che
giustiziò un’intera classe politica.
Fu un bene, fu un male?
Difficile rispondere, però, a fronte di queste vicende, l’unica
risposta è sempre in un vecchio proverbio della Marina.
“Come fai a salvarti in un sommergibile, a 300 metri di
profondità, centrato dalle bombe di profondità?”
“Basta non esserci dentro”.
