Ieri sono dovuto andare a Pietra Ligure, e dunque ho osservato una parte della nota Riviera di Ponente, una delle sezioni più interessate al turismo estivo: bagni, sabbia ed ombrelloni al sole. Riflettiamo che siamo alla metà di Maggio.
Sulle spiagge, in parecchi punti, c’erano le draghe che spostavano la sabbia per fare un po’ di spiaggia, visto che in Liguria ci sono tanti sassi e poca sabbia: di cabine, ombrelloni, ecc…nessuna traccia. Pare ancora Inverno pieno.
Alcuni alberghi, noti da generazioni, mostravano già i primi segni d’abbandono: sale svuotate, persiane che sbattono, finestre dimenticate aperte, porte sprangate nell’attesa di qualcosa che nessuno sa, conosce o riesce almeno ad immaginare.
Non ho difficoltà a credere che, fra un mese, sotto il sole, ci sarà gente ai bagni, bambini con bibite e gelati e tutto l’ambaradan delle vacanze, ma qualcosa è cambiato.
Come un’icona del cambiamento, il relitto della Piaggio – Finale Ligure – dà mostra di sé con i suoi calcinacci fin sulla strada, i vetri rotti, i capannoni scoperchiati ed un silenzio d’abbandono totale. E siamo in uno dei centri più noti della Riviera di Ponente. A Noli, sulla passeggiata, non sono riuscito a prendere un caffè: tutto sprangato, chiuso, come se fosse esistito eoni fa, non un paio d’anni.
Cosa è successo realmente?
Il Covid è soltanto un accessorio di un cambiamento già in atto: è solo stato (ed è tuttora) un evento stocastico in una vicenda già scritta.
Negli anni ’60 del Novecento, piccole cittadine rivierasche come Spotorno, Noli, Finale Ligure, Borgio-Verezzi, Pietra Ligure…poi Loano, Borghetto S. Spirito, Ceriale…fino al Albenga furono sconvolte da una rivoluzione edilizia.
Dapprima piccoli centri, con vocazione marinara, d’orticoltura ed olivicoltura, videro alzarsi una selva di condomini: brutti, orripilanti, accatastati gli uni agli altri che quasi balcone toccava balcone…ferro e cemento a iosa. Qui e là, fra le nuove colate di cemento, ancora spuntano antiche mura smozzicate, archi schiacciati da orribili cataste d’appartamenti, remoti cortili sono diventati oscuri pozzi senza sole.
Si potevano costruire villaggi più desueti alle spalle dei borghi, lasciare che la vita scorresse fra le antiche mura ma la gente voleva cambiarsi d’abito e tuffarsi subito, senza perdere tempo. Come in fabbrica. E poi: perché dover terrazzare le colline quando si poteva costruire sugli orti pianeggianti dietro le spiagge?
Così, migliaia di operai e dipendenti FIAT andarono all’assalto di quella selva di cemento e s’installarono, beati da un condominio in città ad uno al mare: vuoi vedere che, se avrò un po’ di fortuna, in spiaggia potrò anche incontrare – e magari chiacchierare con lui – l’Ingegnere, che dalla mia pressa intravedo appena, un paio di volte l’anno?
La FIAT, a quell’epoca, aveva 100.000 dipendenti diretti a Torino ed un indotto che era quantificabile dal doppio al triplo: un’intera città lavorava per gli Agnelli. Oggi (fonte: ANSA) gli stabilimenti torinesi occupano circa 6.000 dipendenti e dell’indotto non c’è più traccia.
Così, quel mondo trascorso e passato, finge d’esistere ancora per un paio di mesi l’anno, ma è un mondo emaciato, livido, e nei suoi occhi sbarrati si leggono solo più ansia per il futuro e tormento per l’oggi. Il Covid, è stato solo una pietra d’inciampo, nulla più.